Per Pergamena: una sola precisazione. La frase che citi nel messaggio 20 riferendola ad Edith Stein, in realtà appartiene a don Giovanni Moioli tratta da "La parola della croce". Se, come penso, l'hai attinta da un testo che possediamo in comune, quella frase serviva solo per dare l'incipit al discorso che seguiva... Sai, l'autore del nostro testo è un po' avanti negli anni e avrebbe dovuto precisare con una nota donde la bella frase provenisse... Abbi pazienza!
I morti ci parlano?, per tornare al discorso. A Roma c'è sul Lungotevere Prati una chiesa dedicata alle anime del purgatorio, con testimonianze di impronte di mani infuocate su porte e federe di cuscini. Qualcuno dice che è una pubblicità per sostenere il credere nel purgatorio, qualcuno ci crede punto e basta, qualche altra persona mette questo piccolo museo nel grande reliquiario che è la città di Roma.
Ora, io non credo che i morti ci parlino nel senso comune del termine, essendo fuori dalla sfera dell'esistenza in vita. Nè credo sia lecito stuzzicare l'alterità alla ricerca di un caro scomparso: non si sa mai chi potrebbe inserirsi da quello spiraglio socchiuso.
Tantomeno credo che il morto in sè abbia voglia di comunicare se è vero che, o nello stato di purificazione, o nello stato di beatitudine, i suoi pensieri si fissano o sulla distanza dalla visione (purgatorio) o sulla visione beatifica in sé.
Ho conosciuto una madre impazzita dal dolore per la morte del suo unico figlio.
Si è venduta un appartamento per pagare maghi e chiromanti, strani e pittoreschi mediatori con l'aldilà. Il marito non sopportava più questa storia e dopo qualche anno l'ha lasciata e si è rifatto una vita.
Lei ha continuato e continua con sedute spiritiche: veste sempre di nero e il suo sguardo è senza luce. Si muove come un automa e non parla più con nessuno.
Credo che anziché aspettare la voce di un morto, sarebbe stato meglio udire la voce della solidarietà di altri cristiani, ma questa voce non c'è stata.
Ho provato una volta ad attaccar discorso ma non c'è stato niente da fare: ho capito che chi cerca la voce dei morti, in qualche modo, è perché è morto anche lui.
Spero che un giorno possa rinsavire: intanto continua nelle sedute e in questa terribile attesa di un improbabile emozione.
Se poi ammettiamo che un morto non muore mai finché vive in noi che ancora viviamo, questa è un'altra cosa. Allora è possibile sentire la voce del suo amore, il suo tocco delicato, la sua vicinanza reale perché è vivo presso il Signore della vita.
Se ammettiamo che il suo spirito si rivolge al nostro spirito (non alla nostra corporeità sensibile) questo non è avulso dal piano della razionalità.
Ricitando E. Stein, ella dice che la comunione tra spirito e spirito è perfetta rispetto alla comunione tra essere umano ed essere umano, o tra essere umano e spirito.
Ci sono amicizie che durano sempre anche se i due amici non si vedono mai, o le loro mani non si toccano, perché i loro spiriti sono rivolti al fine comune, alla meta comune, insieme lavorano alla stessa vigna e colgono la stessa uva, anche se non si toccano, anche se non si vedono.
La loro unione spirituale consente di sentire l'uno l'altro, oltre le distanze tra corpo e corpo. Allo stesso modo, ritengo plausibile che il mio spirito incarnato nel mio qui ed ora possa avvertire la nostalgia, la presenza di un caro che non c'è più nella corporeità ma c'è nello spirito. Se lascio che i due spiriti conversino nel silenzio di Dio, custode e garante delle due alterità, quel silenzio tra noi è la vera voce dell'amore che è più forte della morte e più bruciante delle fiamme, perché è l'amore di quel Dio che ci ha donato un cuore nel quale riporre ricordi e presenze, senza che ricorriamo a strani prefissi per metterci in comunicazione con chi in Dio riposa.
Ci rileggiamo presto...
Chisolm