Verso l’anno 130 a.C. il nipote dell’Ecclesiastico parla di una traduzione “della Legge, dei Profeti e di altri libri”; verso lo stesso periodo il I Mac. parla di “libri sacri”, libri cioè che godono di una particolare venerazione presso il popolo di Israele, mentre vengono proscritti dai pagani Seleucidi;
Il 2 Mac. 2,13 riferisce che tra le attività riorganizzative di Neemia vi fu pure una biblioteca che, probabilmente, con i libri sacri ne comprendeva altri.
Vi furono dei dubbi su quali libri includere anche nei protocanonici perché in Ezechiele furono trovate alcune contraddizioni con la Legge, poi furono trovate contraddizioni interne anche in Ecclesiaste e i Proverbi, o anche il contenuto in apparenza profano per il Cantico, il pericolo di provocare dell’odio contro il popolo giudaico per Ester.
Alcuni sostenevano che questi libri “macchiavano le mani”, altri che bisognava “nasconderli” (cioè escluderli dalla lettura sinagogale). Finì per prevalere l’opinione favorevole alla canonicità.
Alle soglie dell’era cristiana, tra gli Ebrei vi erano ancora esitazioni: il giudaismo palestinese rivela la tendenza a considerare sacri soltanto i libri antichi, scritti soprattutto in ebraico, e non quelli scritti in greco; ma questa è la tendenza dei farisei; ve n’erano pure altre. L’ambiente sadduceo considerava canonico solo il Pentateuco; mentre nella diaspora alessandrina e a Qumràn, forse, si riteneva che la parola di Dio non fosse terminata e si avesse il diritto di attendere ancora un messaggio ispirato. E’ così che nella diaspora si riconosce una vera autorità divina ai deuterocanonici.
Gli apostoli usavano e citavano la Bibbia dei LXX e con la nascita della Chiesa cristiana gli essi erano i custodi del deposito della fede, di cui un punto fondamentale è la divina origine delle Scritture. Se dunque essi non avessero tenuti per ispirati i deuterocanonici (che nei LXX erano mescolati ai protocanonici), avrebbero dovuto avvertirne i fedeli. Ma in nessun documento appare la minima traccia di una tale riserva. Dunque, fino a prova contraria, dobbiamo concludere che gli apostoli ritenevano i libri deuterocanonici ispirati e canonici come i protocanonici. Su circa 350 citazioni del V.T. contenute nel N.T., quasi 300 sono conformi ai LXX, quindi questa versione si può considerare praticamente approvata dagli apostoli. Questo è quanto appare pure dalle testimonianze della Chiesa primitiva.
I pareri sui deuterocanonici ebbero un periodo di unanimità nel I-II secolo durante i quali si ritenevano ispirati; un periodo d’incertezze (sec. III-V), seguito dal ritorno all’unanimità (dal sec. VI in poi).
Anche fra i cattolici vi furono dei dottori che ebbero dei dubbi tra essi ci sono in oriente Melitone di Sardi (seconda metà del sec. II) ed Origene (prima metà del sec. III); i dubbi si diffondono maggiormente durante il sec. IV, come attestano Cirillo di Gerusalemme, Atanasio, Epifanio, Gregorio nazianzeno. Invece nel sec. V i dubbi diminuiscono: durante questo secolo ne troviamo solo qualche rara testimonianza. Dall’Oriente i dubbi si propagano in Occidente e sono rappresentati da Ilario di Poitiers, da Rufino e da Gerolamo.
Bisogna dire comunque che Gerolamo usava la Bibbia dei settanta, quindi implicitamente la considerava autorevole e corretta, ed in pratica (lasciando stare la teoria) nelle sue opere anche posteriori al 390, cita tutti i deuterocanonici, e alcuni di questi come Scrittura Sacra. Ciò significa che in pratica egli riconosceva ai deuterocanonici quell’autorità e forza probativa che in teoria loro negava.
Si noti inoltre che i Padri (apostoli compresi) prima di S. Gerolamo usavano la versione dei LXX, o versioni derivate da questa, la quale (come già detto) conteneva i deuterocanonici.
I Padri favorevoli ai deuterocanonici nei secoli III-V sono: Cipriano (258-60), Dionigi alessandrino (264-65), Luciano (312), Efrem (373), Basilio Magno (379), Gregorio nisseno (395), Ambrogio (396), Giovanni Crisostomo (407), Agostino (430), Teodoreto di Ciro (458).
Dei Padri solo Agostino dà il catalogo dei libri sacri in cui si trovano tutti i deuterocanonici.
Quanto agli altri per conoscere realmente il loro pensiero è meglio vagliare i loro scritti, perché se alcuni espressero qualche dubbio, ma poi nelle loro opere citano i libri deuterocanonici vuol dire che in definitiva essi li riconoscevano come ispirati, avendo chiarito i loro dubbi in merito.
Concludendo, possiamo affermare che la maggioranza dei Padri non ha alcun dubbio intorno all’ispirazione dei deuterocanonici; solo una minoranza ne dubita in teoria, mentre in pratica se ne serve come dei protocanonici: nei loro dubbi essi riflettono il pensiero giudaico, da cui sono direttamente o indirettamente influenzati; nell’uso pratico attestano la fede della Chiesa.
Pace
Salvatore