00 22/06/2010 08:29

Karl Rahner e la distruzione del concetto di "riparazione".

Siamo nel mese di giugno, e, siccome ogni ladrone ha la sua devozione, ed essendo io devoto di tutte le devozioni che i modernisti chiamerebbero con disprezzo preconciliari, non posso certo lasciar passare questo mese senza qualche pio ossequio, coroncina, triduo, novena, etc. al Sacratissimo Cuore di Gesù.

E così qualche giorno fa, mentre cercavo, nel reparto della mia biblioteca dedicato all’adorabile Cuore del Salvatore, una devozione che mi ispirasse - con tanti deh, Voi, orsù dunque, con citazioni bibliche non più di tanto, con qualche esempio di vita di santo sconosciuto ai più e rigorosamente NON passato al vaglio della cosiddetta moderna critica storica -, mi capita tra le mani la Teologia del Cuore di Cristo di Karl Rahner (Roma 1995).

- Cosa ci fa un libro di Rahner nella mia biblioteca? - ho pensato tra me e me - Come mai non l’ho ancora bruciato? -; e mi son ricordato che quel libro era lì perché donatomi da una comunità di suore, alle quali avevo predicato anni addietro un ritiro.

- Almeno era devoto del Sacro Cuore – mi son detto; e pensavo che, forse, almeno da novizio gesuita, Karl Rahner potrebbe aver fatto i primi nove venerdì del mese, e di conseguenza, aver salvato l’anima. E ho cominciato allora a recitare qualche Requiem per lui, sperando nella sua riconoscente intercessione e nel suo desiderio di riparare i danni fatti da teologo, di cui ora stiamo pagando tutti le conseguenze: infatti il suo fiume di scritti è, in theologicis, ciò che la recente fuoriuscita di greggio nel Golfo del Messico è in naturalibus.

Dopo di che, apro a caso il succitato libro e mi imbatto nel capitolo VI, intitolato «Conforto» del Signore (p. 81).

Comincio a leggere con interesse, perché, fin dai tempi delle mie letture proibite di seminarista, mi erano sempre rimaste scolpite nel cuore alcune frasi dell’enciclica Miserentissimus Redemptor (8-5-1928), sulla riparazione.

Nessun buon cristiano può ignorare le parole di Pio XI, quando afferma che:

“... se a causa anche dei nostri peccati futuri, ma previsti, l’anima di Gesù divenne triste sino alla morte, non è a dubitare che qualche conforto non abbia anche fin da allora provato per la previsione della nostra riparazione, quando a «lui apparve l’Angelo dal cielo» per consolare il suo cuore oppresso dalla tristezza e dalle angosce. E così anche ora in modo mirabile ma vero, noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati, giacché — come si legge anche nella sacra liturgia — Cristo stesso si duole, per bocca del salmista, di essere abbandonato dai suoi amici: «Smacco e dolore mi spezzano il cuore; mi aspettavo compassione, ma non ce ne fu, qualche consolatore, e non l’ho trovato»”

Purtroppo, una volta cominciata la lettura, non mi ci è voluto molto per capire che, in base ai principi rahneriani, salta per aria tutta la teologia della riparazione.

Riassumo le argomentazioni del gesuita tedesco:

1) “La nostra preghiera a Cristo … nella sua struttura teologica oggettiva, è indirizzata al Signore glorificato. Una «preghiera al Redentore sofferente» è dal punto di vista teologico, una preghiera al Cristo che ha sofferto. La rappresentazione contemplativa della passione di Cristo non può quindi essere il fondamento di una consolazione attiva del Signore sofferente” (pp. 82-83).

Eccoti sistemato Pio XI, ed ecco perché, mentre S. Alfonso dipingeva il crocifisso tutto insanguinato, adesso si vedono i crocifissi moderni dove Gesù non soffre più, e più che come crocifisso, viene presentato come un super-eroe dei fumetti.

Il discorso potrebbe sembrare logico; ormai Cristo ha sofferto ed ora è risorto: chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto: come dunque è possibile una contemporaneità reale dell’uomo con il Christus passus? Notate bene che con questi principi, con questa solo apparentemente ferrea logica, ne va di mezzo anche la rinnovazione del Sacrificio della Croce nella S. Messa

2) E l’angelo che avrebbe consolato Gesù? Poco più di una pieuserie.

“Si deve per lo meno provare ... che il Signore fu di fatto consolato nella sua passione da questa conoscenza... il riferimento all’angelo consolatore non lo prova da un punto di vista esegetico” (pp. 83-84).

Prendiamo atto, ahimè, che Bultmann è proprio l' omnium modernistarum condimentarium.

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Adesso andiamo a leggere la verità, come diceva un tale quando, dopo aver letto i vari articoli di un quotidiano, passava a dare una scorsa ai necrologi.

Ma è proprio vero che non possiamo porre degli atti contemporanei alla passione di Cristo; è ormai proprio vero che, visto che ora Cristo è risorto, la sua gloriosa passione non può più irrompere realmente nella storia?

Ci facciamo dare la risposta a questa domanda da S. Gemma Galgani e da Padre Pio.

1) Santa Gemma Galgani: leggiamo solo alcune tra una infinità di espressioni simili [1]:

«In questo stesso anno 1896 cominciò anche in me un altro desiderio: in me sentivo crescere una brama di amare tanto Gesù Crocifisso, e insieme a questo una brama di patire e aiutare Gesù nei suoi dolori»

«non gli ho domandato nulla, ma continua sempre a piangere»
«Figlia mia – mi disse – vedi queste piaghe le avevi aperte per i tuoi peccati, ma ora consolati, che le hai tutte chiuse con il tuo dolore: Non mi offendere più. Amami, come io ti ho sempre amato.»

«Guarda tutte le piaghe che avevi aperto a Gesù coi tuoi peccati, le hai tutte risanate con il tuo dolore»

Queste poche citazioni – ma se ne potrebbero trovare molte altre – esprimono “il senso del nostro problema: Gesù soffre sempre, soffre ancora, soffre ora per i peccati degli uomini; quindi soffre e soffrirà ogni volta che gli uomini peccano, che ciascuno di noi pecca, fino alla fine del mondo”[2].

Si può vedere che Gesù soffre sempre, per dei peccati particolari fatti nel presente (i tuoi peccati), e che ora viene consolato dalla partecipazione alla sua passione. Cornelio Fabro spiega la natura di questo presente:
“Quando i mistici e S. Gemma affermano di vedere Gesù sofferente, che porta la croce, che ha le piaghe aperte, che è grondante di sangue ecc. intendono riferirsi a un presente reale e non a una semplice immagine o a un ricordo del passato: sarà un presente mistico, ma deve pur essere sempre reale com’è reale su di un altro piano, quello sacramentale – la rinnovazione del sacrificio della croce nella consacrazione del pane e del vino nella S. Messa: rinnovazione mistica”[3].
2) Vediamo ora come concetti analoghi sono espressi da San Pio da Pietrelcina. Così leggiamo in una sua lettera:

"Mio carissimo Padre, venerdì mattina ero ancora a letto, quando mi apparve Gesù. Era tutto malconcio e sfigurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici, di questi chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo dalle sacre vesti. La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n'ebbi. Però il suo sguardo mi portò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorché lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: "Macellai! E rivolto a me disse": "Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no; io sarò per cagione delle anime da me più beneficiate, in agonia sino alla fine del mondo. Durante il tempo dell'agonia, figlio mio, non bisogna dormire. L'anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ahimè mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L'ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l'agonia. Ahimè come corrispondono male al mio amore! Ciò che più mi affligge e che costoro al loro indifferentismo, aggiungono il loro disprezzo, l'incredulità. Quante volte ero lì per lì per fulminarli, se non fossi stato trattenuto dagli angioli e dalle anime di me innamorate... "[4].

Sintetizzando l’esperienza di due tra i tanti mistici cha hanno partecipato in modo speciale alla Passione del Signore, Cornelio Fabro afferma:

“Per Cristo l’evolversi della storia umana, ed in particolar della storia della Chiesa, non è uno spettacolo indifferente quasi come il proiettarsi di una pellicola già bell’e montata, ma rimane e si presenta ad ogni momento come il conto della libertà dell’uomo che la grazia divina continua stimolare e a rispettare”[5].
Abbiamo, di conseguenza, una sorta di doppia contemporaneità tra la Passione di Cristo e la storia umana:

1) dalla parte di Cristo c’è una contemporaneità di solidarietà e di misericordia. Gesù vive in tutte le membra sofferenti della Chiesa e a ciascuno in particolare offre la sua divina misericordia e tutti i frutti della sua Passione.

2) Dalla parte dei credenti c’è una contemporaneità di pentimento e di espiazione, che arriva fino ad interagire con le sofferenze del Salvatore (accrescendole o diminuendole).

Questa duplice contemporaneità si realizza mirabilmente al massimo grado ogni qualvolta viene offerto il Santo Sacrificio della Messa.
La riparazione è dunque - lungi da essere soltanto un ricordo che oggi non si può indirizzare che al Cristo glorioso - una reale partecipazione alla passione di Cristo, l’Amen dopo il per Ipsum della S. Messa, la S. Messa che continua nella vita, ciò a cui siamo invitati da ogni Ite missa est.
Questa è la vera partecipazione attiva alla Messa; se pensiamo che la actuosa participatio - così cara al Magistero, dai tempi di San Pio X fino ad oggi - viene spesso recepita come “finalmente i laici leggono e così partecipano”, “abbiamo abolito il latino così tutti partecipano”, ”facciamo battere le mani ai bambini così partecipano” e a tante altre stupidaggini, viene proprio da piangere .

La storia del mondo, la nostra storia di oggi, la storia concreta di ciascuno di noi, è come se si svolgesse attorno a un tavolo di una sala operatoria. Sul tavolo c’è un paziente, Gesù Cristo, che sta subendo quasi un’operazione a Cuore aperto: da questo Cuore zampillano Sangue ed Acqua, che danno la vita a tutti quelli che stanno intono; ma, a differenza di una normale sala operatoria, non ci sono solo dei medici che cercano di far vivere il paziente; ci sono anche tanti sabotatori: c’è chi tenta di staccare la spina, c’è chi vuole chiudere il tubo dell’ossigeno; insomma, attorno a questo Cuore aperto si svolge nel presente, nell’oggi, nel qui ed ora, la lotta tra le due città, tra le due stirpi (quella della donna e quella del serpente).

E quando sembra che non ci siano più sacche per le trasfusioni, c’è qualcuno tra i medici buoni, che offre il suo sangue, piangendo e commuovendosi di poterlo quasi restituire al Paziente.

Questa - e adesso l’ha capito anche Rahner - è l’opera della riparazione, del «Conforto del Signore».


Don Alfredo Morselli, Stiatico di San Giorgio di Piano, 17 giugno 2010.



[1] Cit. in Cornelio Fabro, Gemma Galgani testimone del soprannaturale, Roma: CIPI, 1989, pp. 53 e ssgg. passim. Il grassetto è mio.

[2] Ibidem, p. 53.

[3] Ibidem, p. 61.

[4] Lettera a Padre Agostino del 7 aprile 1913.

[5] Gemma Galgani, p. 65


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)