00 04/11/2009 20:09
Ricorando a tutti questo appello:

ATTENZIONE: APPELLO AL PAPA (serio) PER DIFENDERE L'ARTE NELLE CHIESE

interessante l'articolo che segue....

Una monografia sull'architetto Andrea Vici morto nel 1817

I tecnici
cascano sempre in piedi



di Antonio Paolucci

Quando nel 1817 Andrea Vici muore a settantaquattro anni d'età al culmine del successo professionale, della notorietà e del prestigio - principe dell'Accademia di San Luca, primo architetto di San Pietro e delle fabbriche lauretane, ingegnere capo delle acque a Roma e nello Stato, celebre in Italia e in Europa per le sue opere di ingegneria idraulica e di bonifica agraria nella cascata delle Marmore, lungo il corso dell'Aniene, nella Val di Chiana pontificia - quando, dicevano, il celebre professionista muore, il "Diario di Roma" gli dedica un elogio funebre tanto sintetico quanto intelligente.

Sono poche parole che rappresentano assai bene il carattere, il temperamento e anche il destino del personaggio. Parole che possono essere assunte a emblema della personalità umana e professionale di Andrea Vici, il marchigiano di Arcevia che era arrivato a Roma diciassettenne nel 1760 e che Roma aveva conquistato e affascinato sotto l'antico regime, sotto la rivoluzione, sotto l'impero e sotto la restaurazione.

Uomo di "edificante spirito di cristiana pietà, di probità inalterabile e del complesso delle più gradevoli qualità sociali". Così il "Diario di Roma" del 10 settembre 1817 e non si poteva dire meglio a sintesi della vita del grande architetto e ingegnere.

Della "cristiana pietà" non abbiamo motivo di dubitare. Andrea Vici veniva da una famiglia di salda tradizione cattolica, da generazioni al servizio della Chiesa. Aveva un fratello prete, gli artefici del suo successo professionale e della sua non piccola fortuna economica erano stati cardinali, legati pontifici, monsignori di curia, rettori di monasteri, di conventi, di confraternite.


"La probità inalterabile" intesa come etica professionale, competenza, efficienza, capacità di valutare esattamente il rapporto costi-benefici e di arrivare al risultato migliore nel tempo più breve e con il massimo risparmio, tutto questo era il vero punto di forza di Andrea Vici, la ragione "tecnica" del suo successo.

Egli era "il pratico giudizioso architetto" di cui parla il marchigiano Amico Ricci, uno dei suoi primi estimatori. Era il professionista perfetto, versatile, intelligente, efficiente e onesto che ogni ministro dei lavori pubblici vorrebbe avere.

C'era dell'altro, però, e fa bene l'autore del necrologio a sottolinearlo. Andrea Vici era uomo dotato "delle più gradevoli qualità sociali". Erano qualità che si rivelarono importanti e addirittura preziose negli anni difficili che chiudono il XVIII secolo e aprono il nuovo. Cordiale, affidabile e adattabile, Andrea Vici si trovò a suo agio con i cardinali dell'antico regime come con i giacobini del 1798, con i commissari francesi come con i notabili della restaurazione.

Quando a Roma arrivò la rivoluzione, i triumviri del Governo provvisorio lo confermarono in tutti i suoi incarichi "per attaccamento alla Repubblica e per competenza". Che il clericale Andrea Vici nutrisse particolare affezione alla Repubblica scomunicata dal Papa è lecito dubitare. Ma la "competenza" c'era e gli veniva riconosciuta. Questa era la cosa davvero importante. Perché la politica cambia ma i mestieri e i saperi restano.

Così ragionava il grande tecnico Andrea Vici. Non diversi, in quegli anni, dovevano essere i pensieri dell'amico Antonio Canova il quale servì, con equanime generosità, il Papa e Napoleone, i granduchi russi e i milord inglesi, i principi polacchi e il presidente della giovane America democratica e virtuosa.

Ad Andrea Vici è stata dedicata una monografia (Andrea Vici. Architetto e ingegnere idraulico, Milano, Silvana Editoriale, 2009, pagine 287) curata da Maria Luisa Polichetti con la collaborazione di Angela Montironi. È un'opera che vede la presenza di parecchi autori:  specialisti di architettura italiana del Settecento come Elizabeth Kieven, Jörg Garms, Loretta Mazzoni, Ester Donninelli e così via, e anche studiosi che hanno ereditato la professione e il nome dell'avo quali Clemente Busiri Vici e Francesco Saverio Folchi Vici.

Perché in assenza di discendenti maschi, Barbara, figlia di Andrea, ebbe il privilegio di conservare il cognome del padre così che, sposando prima un Busiri poi un Folchi, diede origine a due dinastie di noti professionisti romani.
Nel libro, presentato recentemente all'Accademia di San Luca, la personalità e l'attività professionale di Andrea Vici sono analizzate in ogni loro parte. Lo vediamo ingegnere idraulico nelle paludi della Val di Chiana che veniva bonificata nel suo segmento umbro in accordo con il granduca di Toscana. Lo vediamo collaboratore del Vanvitelli nella Reggia di Caserta e partecipe del suo studio a Roma ma anche commissario al terremoto nella Camerino devastata dal sisma terribile del 1799.

Al termine della vita lo vediamo sensibile, come nessun altro a quei giorni, ai problemi pratici della edilizia moderna. Quando, presidente dell'Accademia di San Luca, convince i colleghi a dibattere i cosiddetti "quesiti di architettura" e cioè indici di fabbricabilità, questioni legali, contenziosi condominiali e così via. È la modernità che, sulla scia dell'Enciclopedia e del Codice napoleonico, entra nell'universo tardo barocco all'interno del quale l'ingegnere architetto aveva avuto la sua prima educazione.

Andrea Vici si era formato in seguito nella Roma del Goethzeit, negli anni classicheggianti e protoromantici di Canova, di Piranesi, di Angelica Kauffmann, di Hackert, di Gavin Hamilton. Il suo immaginario estetico e quindi la sua sensibilità e il suo gusto si  collocano  fra  le Antichità romane del Piranesi (1757) e il monumento funebre di Antonio Canova a Clemente xiv ai Santi Apostoli (1787).

I capolavori di architettura che stanno agli estremi cronologici della sua storia professionale sono la Reggia di Caserta del Vanvitelli e la Piazza del Popolo di Valadier.

Come architetto egli non seppe essere né scopertamente barocco (sia pure nella variante razionalizzata e semplificata del Vanvitelli) né pienamente neoclassico. Questo spiega perché egli non abbia mai avuto in Roma commesse di particolare rilievo.

Con maggiore libertà e con esiti di raffinato compromesso poté esprimere il meglio del suo talento nella patria marchigiana alla quale rimase sempre legato da interessi familiari ed economici. La gran parte del libro monografico - schede di Angela Montironi e Loretta Mozzoni - è un accurato e prezioso censimento delle architetture che fra Macerata e Loreto, fra Osimo e Camerino, fra Morovalle Treia e Offagna, Andrea Vici realizzò nel corso degli anni. Sono edifici di servizio e di abitazione (canoniche, palazzi pubblici, dimore patrizie, ville di campagna), sono chiese, cappelle, porzioni di monasteri e di conventi, caratterizzati sempre da garbo, sobrietà, inserimento perfetto nel contesto urbano e nel paesaggio.


(©L'Osservatore Romano - 5 novembre 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)