00 06/10/2009 18:26
Gli interventi di martedì mattina

La terza congregazione generale




Si è svolta martedì mattina, 6 ottobre, alla presenza del Papa, la terza congregazione generale dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi. Presidente delegato di turno era il cardinale francescano Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban (Sud Africa). Hanno partecipato 226 padri sinodali. Dopo il discorso del delegato fraterno Abuna Paulos e la risposta di Benedetto XVI si è svolta la votazione per eleggere la Commissione per il messaggio, quindi sono intervenuti sedici padri sinodali. Pubblichiamo i testi dei primi sette interventi.




Nazionalismo e razzismo negano il cristianesimo

Cardinale Angelo Sodano decano del Collegio cardinalizio
Il 15 settembre del 1965 il compianto Papa Paolo VI istituiva un nuovo organismo di comunione ecclesiale tra i vescovi e il Successore di Pietro. È il nostro Synodus Episcoporum.
Quest'istituzione è ormai diventata adulta con i suoi 44 anni di vita e mi sembra che le sue assemblee (finora ben 22) abbiano contribuito grandemente ai fini specifici che il legislatore le aveva attribuito, nel solco indicato dal concilio ecumenico Vaticano II. Sono i fini che il nuovo Codice di diritto canonico, nel 1993, ha poi così sintetizzato nei seguenti tre: favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi; prestare aiuto alla missione del Romano Pontefice; studiare congiuntamente i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo (can. 342).
Personalmente sono stato testimone della grande importanza di tali incontri, avendo partecipato alle ultime dodici Assemblee sinodali, alcune generali e altre speciali.
Ora il Papa ha voluto nuovamente invitarmi a essere membro del Sinodo, quasi in rappresentanza del Collegio Cardinalizio, l'altra millenaria Istituzione ecclesiale che è parimenti chiamata ad assistere il Romano Pontefice nella sua missione di Pastore della Chiesa universale (cfr. can. 349).
Certo, fra di noi vi sono già vari confratelli cardinali, provenienti soprattutto dall'Africa. Sono però lieto di poter qui rappresentare simbolicamente tutti i 185 cardinali del mondo intero, che in questo momento ci sono vicini con la loro preghiera e con il loro comune impegno apostolico.
Ogni Sinodo, come ogni Concistoro, è così destinato a essere un momento di intensa comunione ecclesiale. In tale contesto, vorrei accennare al capitolo iv del nostro Instrumentum laboris, là ove si parla delle persone e delle istituzioni cattoliche chiamate a operare nella realtà africana, in favore della riconciliazione, della giustizia e della pace. In tale capitolo si sottolinea la necessità della collaborazione dei vescovi con le Conferenze episcopali e di queste con il Simposio delle Conferenze dell'Africa e del Madagascar.
Sarà però bene ricordare che, in primo luogo, v'è la necessità di una stretta collaborazione con la Sede Apostolica, e cioè con il Romano Pontefice e i suoi collaboratori.

Come è noto, nei vari Paesi d'Africa vi sono poi anche i rappresentanti pontifici: sono 26 generosi nunzi apostolici che mantengono i contatti con i vescovi del continente e instaurano un dialogo costruttivo anche con le autorità civili, per favorire la libertà della Chiesa e contribuire all'opera di riconciliazione, di giustizia e di pace: le tre finalità di questo Sinodo.
Ricordando qui la missione dei rappresentanti pontifici, vorrei anche rendere omaggio dinnanzi a voi al compianto nunzio apostolico monsignor Michael Courtney, che fu barbaramente assassinato in Burundi il 29 dicembre del 2003, proprio mentre si interessava per la riconciliazione fra i differenti gruppi etnici del Paese. Purtroppo egli dovette pagare con il sangue il suo abnegato servizio per la pacificazione di quella Regione.
Proprio per questo, ho notato con piacere che il tema della riconciliazione ha addirittura la priorità fra i tre grandi temi da studiare in questo Sinodo: riconciliazione, giustizia e pace.
In realtà, oggi vediamo più chiaramente l'enormità dei disastri provocati dal nazionalismo e dall'esaltazione del concetto di razza. Noi qui in Europa ne abbiamo fatto una triste esperienza nel corso dei secoli, fino a giungere all'ultima guerra mondiale, che in cinque anni provocò ben 55 milioni di morti!
Ora dobbiamo tutti lavorare perché tali tragedie del passato non si verifichino più.

Come dimenticare che anche in Africa la furia omicida fra differenti gruppi etnici ha sconvolto interi Paesi? Basterebbe pensare al Rwanda e ai Paesi limitrofi! Nel 1994 e negli anni successivi l'ideologia nazionalista giunse a provocare più di 800.000 morti, fra i quali tre membri generosi dell'Episcopato, con altri membri del clero e di varie congregazioni religiose.
Credo che dovremo ripetere a tutti, con maggiore insistenza, che l'amore alla propria nazione (in concreto, al proprio popolo, alla propria gente) è certo un dovere del cristiano, ma dovremo anche aggiungere che la deviazione del nazionalismo è totalmente anticristiana. Certo il concetto di nazione è molto nobile. Esso si è formato in ambiente cristiano, a giudizio di molti storici, dato che nell'antichità prevalevano piuttosto le figure della piccola tribù, da una parte, e del vasto Impero, dall'altra. Il cristianesimo ha favorito invece l'aggregazione delle genti di una determinata regione, dando vita al concetto di popolo o nazione, con una propria specifica identità culturale. Il cristianesimo ha però sempre condannato ogni deformazione di tale concetto di nazione, una deformazione che sovente cadeva nel nazionalismo o addirittura nel razzismo, vera negazione dell'universalismo cristiano. In realtà, i due principi basilari della convivenza umana cristiana sono sempre stati i seguenti: la dignità di ogni persona umana, da una parte, e l'unità del genere umano, dall'altra. Sono i due confini invalicabili, entro i quali possono poi evolversi i vari concetti di Nazione, a seconda dei tempi e dei luoghi. E in realtà vediamo oggi in Europa che molte nazioni vanno integrandosi, ai fini di una convivenza più solidale, e ciò con l'appoggio degli episcopati locali e della stessa Sede Apostolica.

Concludendo, vorrei dire che le attuali 53 nazioni africane avranno un grande avvenire, nel concerto delle 192 nazioni che compongono oggi l'intera famiglia umana, se sapranno superare le loro divisioni e cooperare congiuntamente per il progresso materiale e spirituale dei loro popoli. Da parte sua, questo Sinodo vuole dimostrare ancora una volta ai nostri fratelli e sorelle dell'Africa che la Chiesa è loro vicina e vuole aiutarli nella loro missione di essere artefici di riconciliazione, di giustizia e di pace in tutto il Continente.



Il coraggio di denunciare gli abusi di potere


Cardinale Polycarp Pengo >small 0arcivescovo di Dar-es-Salaam (Tanzania) presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (S.e.c.a.m.)
Il tema di questo Sinodo è oggi particolarmente urgente per la Chiesa africana. Al fine di sviluppare e approfondire tale tema, come ci è stato richiesto, problemi quali l'egoismo, l'avidità e la ricchezza materiale, le questioni etniche che sfociano in conflitto e altre istanze che sono all'origine della mancanza di pace in molte società africane devono essere affrontati coraggiosamente e apertamente, e accompagnati da specifiche direttive pastorali. Le guerre e i conflitti che affliggono il nostro continente dividono i nostri popoli, seminando una cultura della violenza e distruggendo il tessuto spirituale, sociale e morale delle nostre società. È triste dover riconoscere che alcuni di noi pastori sono stati accusati di essere coinvolti in tali conflitti o per omissione o per partecipazione diretta. In questo Sinodo dobbiamo avere il coraggio di denunciare, persino contro noi stessi, l'abuso del ruolo e della pratica del potere, il tribalismo e l'etnocentrismo, lo schieramento politico dei capi religiosi eccetera... La Chiesa africana non potrà parlare a una sola voce di riconciliazione, giustizia e pace se nel continente è evidente la mancanza di unità, di comunione e il dovuto rispetto nei confronti del Secam da parte dei singoli vescovi, nonché delle conferenze episcopali nazionali e regionali. Abbiamo bisogno di una maggior comunione e di una maggior solidarietà pastorale in seno alla Chiesa africana.

Era stato programmato che, proprio prima di questa seconda Assemblea speciale, il Secam dovesse celebrare la sua quindicesima assemblea plenaria a Frascati, sul tema "Autonomia: la via della Chiesa africana". Sfortunatamente, e con nostro imbarazzo, l'assemblea ha dovuto essere convocata all'ultimo momento per mancanza di sostegno finanziario da parte di molti membri delle Conferenze episcopali, tutto ciò mentre stiamo celebrando i quarant'anni del Secam. Esprimo la speranza e la preghiera che questo Sinodo porti noi tutti a impegnarci maggiormente per il Secam.



Non siamo cattolici di serie b


Monsignor Lucas Abadamloora >small 0vescovo di Navrongo-Bolgatanga (Ghana) presidente della Conferenza episcopale
Ricopriamo spesso ruoli politici ed economici, e dobbiamo dare il nostro contributo a questioni quali educazione e salute alla luce della fede. Come individuo, il cristiano ha un bagaglio culturale diverso che potrebbe imporsi con forza, opponendosi così alla fede. Spesso l'individuo può trovarsi in contraddizione per diversi motivi, che gli impediscono di fare qualunque cosa. È naturale che i cristiani appartengano sia alla Chiesa sia alla società nelle sue varie dimensioni. Come membri dalla natura sfaccettata impegnati su molti fronti, talvolta essi potrebbero trovare difficile sapere cosa fare e quale posizione rispettare.
Nella prima Assemblea sinodale, ci siamo concentrati sulla Chiesa come famiglia universale di Dio. L'Assemblea stabilì una serie di condizioni per accrescere la credibilità della propria testimonianza: riconciliazione, giustizia e pace. In questa luce, fra le altre cose raccomandò la formazione dei cristiani alla giustizia e alla pace, che è una affermazione del ruolo profetico della Chiesa. Ciò riguardava i temi seguenti: un salario equo per i lavoratori e l'istituzione di Commissioni per la pace e la giustizia.
I principi che sottendono al documento Ecclesia in Africa sono assolutamente chiari e sono stati ripresi da molte Chiese particolari come linee-guida per le loro riflessioni.

Ma non va particolarmente in fondo alla questione. Non è questa l'esperienza di molti vescovi, sacerdoti e laici africani che si recano negli Stati Uniti d'America, in Europa e in altre parti del mondo. La nostra esperienza della Chiesa in Europa e in America, ma anche quella di alcuni fratelli vescovi e sacerdoti ci fa pensare di essere membri di serie b della famiglia della Chiesa, o di appartenere a una Chiesa diversa. Si è creata l'impressione che noi abbiamo bisogno degli altri, ma non gli altri di noi. La teoria della fraternità e della comunità è forte, ma la pratica è debole.
La dinamica della Chiesa che insiste sul fatto che la comunità ecclesiale deve essere integrata, in teoria e in pratica, in modo tale che tutti vi si sentano a casa, dovrebbe essere portata avanti anche in questo secondo Sinodo. La presente Assemblea sinodale dovrebbe considerare opportuno riprendere la dinamica del Sinodo precedente, non soltanto sul piano dei temi da discutere collegialmente, ma anche nella necessaria prospettiva cristiana.
Affinché ciò accada, alcuni suggeriscono che si usi la radio, la parola stampata e le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Devono continuare gli sforzi affinché venga ricevuto tale messaggio, sempre valido in ogni tempo.



Liberarsi dalla paura


Monsignor Fidèle Agbatchi >small 0arcivescovo di Parakou (Benin)
È evidente che la presente Assemblea costituisce una positiva continuazione di quella del 1994. Se quest'ultima si era conclusa con l'Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, quella attuale si presenta con il tema: la Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Questa formula, per quanto positiva, non vuole nascondere le divisioni familiari, le tensioni interetniche con radici storiche, le guerre e la corruzione su larga scala che minano il continente.
Proseguendo il servizio a favore di questo continente, possano i padri sinodali comprendere quindi, al di là degli aspetti pratici più volte sottolineati dall'Instrumentum laboris, come fondare esegeticamente e teologicamente la riconciliazione, la giustizia e la pace sull'unico Dio Trinità e sulla sua opera nella Rivelazione, dall'Antico Testamento fino alla venuta del Figlio dell'Uomo. Una simile impresa da parte dei padri sinodali aiuterebbe l'Africa ad assumersi la propria responsabilità storica di fronte al Vangelo che ha ricevuto e che ha il dovere di donarsi inserendosi prepotentemente nella dinamica della metanoia. Questa responsabilità la costringerebbe a liberarsi dalla paura.

In effetti, l'Africa ha paura e vive di paura. Conservando gelosamente per sé le sue scoperte riguardo al mondo e alla natura, si lascia istintivamente andare alla sfiducia, al sospetto, all'atteggiamento di autodifesa, all'aggressione, alla ciarlataneria, alla divinazione, all'occultismo e al sincretismo, tutte cose che hanno contribuito a offuscare la ricerca del vero Dio per millenni. Quanto è dunque attesa su questo continente - madre di tutti gli altri - la diffusione ancor più radiosa della luce del Cristo morto e risorto! Il mio augurio per questo Sinodo è quello di un futuro pasquale e, dopo le sue sofferenze, di una risurrezione dell'Africa.



C'è bisogno di discernimento vocazionale e formazione


Cardinale Franc Rodé, c.m., >small 0prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica
L'Instrumentum laboris, al numero 113, rileva la "forte crescita delle vocazioni" religiose "segno del dinamismo della Chiesa in Africa" e insieme l'energia spirituale che proviene dai monasteri di vita contemplativa.
I vescovi africani in visita ad limina testimoniano l'insostituibile impegno apostolico e missionario dei consacrati, uomini e donne, che offrono la propria vita per il Vangelo. La presenza dei consacrati/e è ancora oggi assolutamente predominante, in modo particolare nel campo della salute, dell'insegnamento e della carità.
Questo impegno encomiabile non può non tener conto delle grandi sfide della Chiesa in Africa, anzitutto del discernimento vocazionale e della formazione iniziale e permanente. La vita consacrata in Africa ha quindi bisogno di formatori e formatrici preparati e, insieme ad essi, di una comunità educante: la testimonianza di vita religiosa delle Comunità, la fedeltà ai consigli evangelici, alle Costituzioni e al carisma proprio, rappresentano una condizione indispensabile per formare veri discepoli di Cristo.
I religiosi e le religiose africani, inoltre, sono chiamati a vivere in pienezza il valore e la bellezza dei consigli evangelici, in una cultura in cui è difficile essere testimoni di povertà, obbedienza e castità, vissuti liberamente e per amore. Le Conferenze dei superiori maggiori a livello nazionale e due organismi internazionali si occupano dell'animazione dei consacrati e delle consacrate africane e rappresentano un valido strumento per il dialogo con i vescovi.



Le Chiese dell'Africa del Nord chiedono di partecipare al Sinodo per il Medio Oriente


Monsignor Maroun Elias Lahham >small 0vescovo di Tunis (Tunisia)
Il mio intervento riguarda i rapporti con l'Islam in Africa. Il primo aspetto da sottolineare è che l'Instrumentum laboris parla dell'Islam in un solo paragrafo (102), in termini generici e che interessano l'Islam nell'Africa subsahariana. Ora, la stragrande maggioranza dei musulmani africani vive in Africa settentrionale, zona geografica completamente assente nell'Instrumentum laboris. Un altro aspetto è che circa l'80 per cento dei 350 milioni di arabi musulmani vive nei Paesi dell'Africa settentrionale.
Tutto ciò per dire che i rapporti islamo-cristiani in Africa del Nord sono diversi da quelli dell'Europa, dell'Africa subsahariana e anche dei Paesi arabi del Medio Oriente. Questa omissione delle Chiese dell'Africa del Nord, quando si parla di Africa, e soprattutto questa omissione dell'Islam ci sorprende; l'abbiamo comunicato alle autorità competenti.
La specificità delle relazioni islamo-cristiane nelle Chiese dell'Africa settentrionale può arricchire le esperienze di dialogo vissute altrove (in Europa o nell'Africa subsahariana) e attenuare le reazioni di paura e di rifiuto dell'Islam che cominciano a farsi sentire in alcuni Paesi. Sappiamo tutti che la paura è cattiva consigliera.
In cosa consiste la specificità dell'esperienza delle Chiese dell'Africa del Nord?
Si tratta di una Chiesa dell'incontro. Anche se non ha tutta la libertà auspicata, non è perseguitata.
Si tratta di una Chiesa che vive in Paesi al cento per cento musulmani e in cui la schiacciante maggioranza dei fedeli è composta da stranieri, la maggior parte dei quali resta solo qualche anno.
Si tratta di una Chiesa che, dall'indipendenza dei Paesi dell'Africa del Nord, si è fortemente impegnata nel servizio umano, sociale, culturale e educativo dei Paesi che l'accolgono.
Si tratta di una Chiesa che gode di un margine abbastanza ampio di libertà nell'esercizio del culto cristiano per le migliaia di fedeli, come per esempio in Tunisia.

Si tratta di una Chiesa che vive in Paesi musulmani in cui sta nascendo un movimento di pensiero critico nei confronti di un Islam integralista e fanatico. C'è anche una scuola "magrebina" di studio razionale dei testi e delle tradizioni musulmani.
Viene spesso richiesta la collaborazione della Chiesa per questo nuovo modo di concepire e vivere l'Islam. Questo invito è rivolto a sacerdoti e vescovi che hanno trascorso molti anni nei paesi del Maghreb ed è stato sottolineato dalla nomina di vescovi arabi in alcune sedi episcopali.
Due proposte: che il Sinodo per il Medio Oriente previsto per l'ottobre del 2010 comprenda anche le diocesi dell'Africa del Nord, soprattutto per quanto riguarda le minoranze cristiane e i rapporti e il dialogo con l'Islam; un dibattito sull'Islam in Africa che tenga conto della varietà delle esperienze africane, da Tunisi a Johannesburg.



Urge un'adeguata catechesi sull'Eucaristia


Monsignor Simon-Victor Tonyé Bakot >small 0arcivescovo di Yaoundé (Camerun) presidente della Conferenza Episcopale
I bantù del Sud del Camerun attribuiscono un'importanza fondamentale alla vita in comunità. Si può esserne esclusi in seguito a un grave errore e poi cercare di ritrovare la comunione con tutti. È il senso del perdono offerto o accolto a seconda che si sia ricevuta un'offesa o si sia commessa una colpa.

Vi si giunge attraverso un rituale le cui tappe essenziali sono le seguenti: la discussione (palabre), la confessione pubblica, le parole rituali di richiesta di perdono, la riconciliazione e il pasto comunitario. È ciò che noi definiamo cultura della pace e della riconciliazione. Il clan sa ristabilirla ogni qualvolta la comunità si trova in situazioni di squilibrio.
L'Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana, promuove la pace e la riconciliazione ma non ha ancora raggiunto la stessa capacità di conversione tra i cristiani che vi partecipano poiché il bacio della pace dato durante la messa manifesta discordanze abbastanza nette tra i fedeli. Si possono anche voltare le spalle a chi vi dà la possibilità di riconciliazione.

Si impone un'adeguata catechesi da parte dei pastori per far capire a tutti che, essendo diventati fratelli e sorelle di sangue, visto che nelle nostre vene scorre lo stesso sangue di Cristo, assunto attraverso la comunione, questo sangue ci purifica da tutte le nostre impurità e dovrebbe essere più forte della tradizione del clan. Purtroppo, non è ancora così. Occorre impegnarsi sempre di più per raggiungere questo obiettivo. [SM=g1740721]


(©L'Osservatore Romano - 7 ottobre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)