00 18/09/2009 19:33
A colloquio con l'arcivescovo Pelvi, ordinario militare per l'Italia

Il terrorismo si nutre di morte
perché ha paura della solidarietà


di Nicola Gori

"Il terrorismo ha paura della solidarietà, per questo si nutre del disprezzo per la vita umana". C'è amarezza ma anche lucida consapevolezza nelle parole dell'arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, all'indomani del tragico attentato a Kabul costato la vita a sei militari italiani. Il presule sa che non è facile dare una risposta ai tanti che in queste ore si domandano se il prezzo da pagare per ristabilire pace e democrazia in Afghanistan non stia diventando troppo alto. "Ci sono momenti - confessa - in cui il bene e il male si confondono, in cui la rabbia prevarica, momenti in cui è naturale chiedersi:  perché? Essere in un Paese ostile per il bene dello stesso sembra un paradosso". Tuttavia - afferma - "bisogna ricordare che non è il Paese a essere ostile, ma solo una minoranza di chi lo popola".
 
FolgoreProprio qualche giorno fa monsignor Pelvi aveva inviato a ciascun militare impegnato in Afghanistan una lettera in cui esprimeva stima e incoraggiamento per la missione svolta. Parole che rilette oggi suonano quasi profetiche. "La tua - scriveva - è una chiara lezione di pace evangelica nella insanguinata storia dei nostri giorni. Il Vangelo della pace non si dimostra, si mostra pagando di persona". In questa intervista al nostro giornale l'arcivescovo ribadisce il valore del compito che i militari svolgono al servizio della pace e spiega in particolare il ruolo dei cappellani delle forze armate, anche alla luce dell'Anno sacerdotale che la Chiesa sta vivendo.

Di fronte a eventi tragici come questo viene da chiedersi se ha ancora un senso una missione militare in uno scenario così instabile e difficile.

I nostri militari sono in Afghanistan per proteggere e incoraggiare chi vuole vivere in pace e migliorare le proprie drammatiche condizioni di vita. A nessuno può sfuggire la loro generosità che, oltre a garantire la sicurezza del territorio, sta aiutando a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture di quel Paese. In questo periodo così delicato, dunque, sento anzitutto il dovere di ringraziare i giovani militari, sia come uomo che come fratello e padre nel Signore.

In situazioni così drammatiche, quale può essere il ruolo di un cappellano militare?

In una situazione resa drammatica dalla sempre più incombente minaccia del terrorismo il primo pensiero è rivolgere a Dio la nostra supplica intensa e fiduciosa. Quanto più insormontabili sembrano le difficoltà e oscure le prospettive, tanto più insistente deve farsi la preghiera per implorare da Dio il dono della comprensione reciproca, della concordia e della pace.

Quali sono gli attuali orientamenti pastorali della Chiesa castrense?

Il nostro è un programma quinquennale, iniziato nel 2007 con una esplicita priorità:  costruire il presbiterio, aiutando i cappellani a risvegliare la loro identità sacerdotale. Al riguardo, abbiamo vissuto due significativi convegni, le cui conclusioni sono sintetizzate nella lettera pastorale Splendete come astri di speranza. Ne è seguita la consapevolezza, da parte dei cappellani, di crescere nella fede assieme alla comunità militare. Da qui il convegno di Assisi del 2008 su "Annuncio del Vangelo e mondo militare", che ha offerto percorsi di accompagnamento spirituale per coloro che desiderano rendere più solida la fede, certa la speranza e operosa la carità. L'anno pastorale 2009-2010, perciò, con la riflessione su Parola di Dio e accompagnamento spirituale, intende concretizzare la guida spirituale delle famiglie e dei giovani, privilegiando la formazione cristiana del militare nel percorso dell'iniziazione cristiana, del cammino vocazionale e della testimonianza.

Come si colloca l'Anno sacerdotale in questo cammino pastorale?

È una provvidenziale coincidenza vivere la grazia dell'Anno sacerdotale, mentre come Chiesa siamo impegnati nell'incoraggiare fedeli, consacrati e presbiteri a celebrare la Penitenza sacramentale, come pure ad accostarsi periodicamente alla direzione e vivere gli annuali esercizi spirituali. L'Anno sacerdotale, infatti, vuole essere un tuffo nella spiritualità, sperimentando, alla scuola di san Giovanni Maria Vianney, una inesauribile fiducia nel sacramento della Confessione, dove viene offerto l'infinito amore di Dio per l'uomo.

Perché insistete proprio su questo sacramento?

Perché consideriamo il senso più genuino della Confessione:  eravamo morti, e, attraverso la morte di Cristo, siamo rigenerati a vita nuova; la buona notizia che Dio ci ama come e più di un padre, desidera il nostro bene, la felicità. In Cristo c'è un bene più grande, un orizzonte di vita infinito; il Vangelo di Gesù Cristo è il trionfo della vita sulla morte, della luce sulla disperazione delle tenebre. Ci saranno, allora iniziative pastorali, perché la caserma, la nave, l'aeroporto diventino come la parrocchia del curato d'Ars.

Oltre alla riscoperta della Confessione, lei sottolinea anche la necessità di una maggiore valorizzazione della direzione e degli esercizi spirituali. Perché?

Perché i cappellani non sono militari, ma sacerdoti tra i militari, che vogliono essere sostenuti nel loro cammino verso la santità, imparando a discernere la volontà di Dio nel concreto quotidiano. In quest'Anno sacerdotale ai cappellani si chiede di risvegliare il gusto e la frequenza periodica della direzione spirituale; ma anche, di essere consapevoli del loro ruolo di educatori nella fede e quindi di formatori, mettendosi nell'ottica della persona a cui si dà la direzione:  in altre parole, avere tempo ogni giorno per incontrare giovani e adulti. Nell'esistenza cristiana, illuminata dalla prospettiva della fede e dalla certezza della verità della presenza del Signore, l'amore stesso di Dio ci tiene uniti a sé e fra di noi più fortemente di quanto possono le promesse umane. Nel Dio della vita continuano a esistere i vincoli dell'amore e della comunione. La pratica della direzione richiamerà tra le forze armate il gesto del samaritano che si carica sulle spalle il viandante percosso dai banditi, lo porta alla locanda, ci rimette del suo. L'offerta della propria disponibilità, della propria casa, della propria vita.

I cappellani riescono a creare un clima di dialogo e di familiarità con i militari?

ItaliaAccade non di rado che di fronte al cappellano vengano poste delle domande, ci si apra a delle confidenze personali, ci si dichiari disponibili a un confronto, o a uno scambio anche di riflessioni più approfondite. È il momento dell'accoglienza rispettosa, del dialogo, della possibilità di una rivelazione più esplicita delle realtà e dei significati appena intravisti. Tutto questo predispone al momento della richiesta esplicita di essere aiutati a credere, di poter stabilire quello stesso rapporto sereno, di fiducia, di grazia con il Signore, riprendendo un incontro interrotto per vari motivi e per un tempo più o meno lungo. La direzione spirituale manifesta una sensibilità diffusa nella comunità cristiana, una enorme disponibilità presente nel vissuto di donne e uomini con le stellette. 

I cappellani partecipano annualmente agli esercizi spirituali?

Sono solito predicare tre corsi di esercizi, rispettivamente per i cappellani del nord, del centro e sud Italia, essendo il presbiterio presente su tutto il territorio nazionale. Ciò permette di sperimentare uno stile di serena appartenenza e dare vigore all'aspetto contemplativo che illumina e sostiene l'assistenza spirituale dei militari. Noi sacerdoti siamo ministri del Signore. È importante spogliarci delle preoccupazioni del ministero e pensare al ministro.

C'è una specifica spiritualità del cappellano militare?

La spiritualità del cappellano militare è quella di santificarsi personalmente attraverso il ministero e quindi santificare la sua opera personale con la sua santità personale, ma di far servire anche la sua opera pastorale alla santificazione propria. Come ricorda il Papa, in Gesù, Persona e missione tendono a coincidere:  tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo "Io filiale" che, da tutta l'eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia anche il sacerdote deve aspirare a questa identificazione, avendo come modello il Curato d'Ars, che desiderò sempre quest'umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato. Ritornare agli esercizi annuali e ai ritiri mensili con i nostri giovani oppure all'esperienza dei fine settimana di spiritualità familiare significa interrogarsi se Dio sta al cuore di ogni giornata. La fede non può essere un fatto scontato, un dato ovvio; e non è che la fede - nelle sue esigenze di radicalità e totalità di risposta e del dono di tutta la vita - faccia sconto ai presbiteri. Più che di atto di fede, una volta per sempre, dobbiamo parlare di continua e permanente adesione credente, perché chiamati a diventare adulti, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.

Come si fa a diventare modelli di fede per i giovani militari?

Come cappellani non possiamo considerarci modelli di fede per i nostri militari solo perché affermiamo senza incertezze alcune verità e sappiamo esporle in modo teologicamente corretto. La fede non è una scelta nostra. Chi è credente sa che risponde di una scelta fatta dal Signore a una chiamata. Gli esercizi spirituali e ogni momento di sosta nello spirito è riflettere sul cammino personale, percorso incontro a Cristo, sulla strada lungo la quale il Signore benevolmente ci è venuto incontro. È importante verificare se il Signore è un interlocutore reale, il vero fondamento dell'esistenza:  più siamo attaccati a lui, più il nostro cuore è pieno di lui e di desiderio che tutti lo conoscano e lo amino, più diventiamo - senza nemmeno rendercene conto - suo segno trasparente; più si affina la nostra capacità di attrarre verso di lui, più contiamo su di lui e meno sulle nostre capacità e più il Vangelo si fa strada nel cuore dei nostri militari.

Cosa si aspetta per l'Ordinariato militare in questo Anno sacerdotale?

Mi auguro che aiuti i cappellani e i fedeli militari a crescere nella spiritualità. C'è uno stretto rapporto tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale, anche se sono di natura diversa. Ogni fedele con la sua vita santa deve essere opera lucis, ma di questa luminosità cristiana il sacerdote deve essere come una sorgente. L'augurio che si fa preghiera costante è che la nostra comunità ecclesiale abbia una claritas occupans ac dirigens. La chiarezza non è solo quella che illumina la vita personale del sacerdote, ma anche l'intero popolo di Dio; l'occuparsi e il dirigere non è solo riferito alla condotta privata del presbitero, ma anche a quell'orientamento soprannaturale che deve dare ai fedeli perché camminino, nella Chiesa, sulla via della salvezza. Tutto il popolo di Dio è sacerdotale. In questo dono del sacerdozio di Cristo, sia pure in forma e misura diversa, sta il grande fermento di spiritualità da seminare nel mondo militare.


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)