Il vangelo nel cuore e il coltello tra i denti. Padre Paolino, raccontato da Fiorella Perrone ne Le avventure di un monaco in bianco e nero (Siena, Edizioni Cantagalli, 2014, pagine 190, euro 12), è racchiuso in questo binomio. I suoi 99 anni (1909–2008) e le sue tante vite — figlio di beati e postulatore di santi, cappellano in guerra e monaco di clausura, scout e partigiano — scorrono all’insegna di una coerente radicalità: ama Gesù in modo assoluto e si batte per tener fede al suo insegnamento.
La sua storia è avvincente sin da prima che venga al mondo. L’unione dei genitori Maria Corsini e Luigi Beltrame Quattrocchi, infatti, è così unica che verrà innalzata all’onore degli altari. Nel 2001 la coppia di sposi, vissuta a Roma nell’ambiente dell’alta borghesia, è la prima dopo molti secoli a essere proclamata beata per le virtù coniugali e familiari che ha incarnato. Il primogenito, don Tarcisio, dedica il proprio sacerdozio all’apostolato giovanile e all’assistenza del prossimo. Suor Cecilia sceglie la clausura e prende la via di Milano.
Padre Paolino, diventa un «monaco in bianco e nero», benedettino come il fratello. Quando scoppia la guerra chiede e ottiene di essere in prima fila al fianco dei soldati. Per due anni vive sul fronte jugoslavo e riceve numerosi encomi per il suo coraggio e il suo sprezzo del pericolo. Quando si trova in mezzo alla sanguinosa guerriglia tra serbi e croati, padre Paolino, indifferente all’appartenenza etnica e alle alleanze italiane, continuamente si espone per mettere in salvo profughi, donne, bambini.
All’indomani dell’armistizio, partecipa attivamente alla Resistenza come agente segreto, mentre la famiglia a Roma nasconde e aiuta numerosi fuggiaschi, in alcuni casi usando come travestimento le tonache dismesse dei figli. Nel 1944, padre Paolino si reca di persona a Salò, al ministero della Guerra, e ottiene la sospensione della pena capitale di ventisei partigiani parmensi. In altre occasioni intercede presso il carcere di Parma a favore di alcuni condannati a morte con l’accusa di connivenza al fascismo.
Finita la guerra, inizia anche per padre Paolino l’epoca della ricostruzione, materiale e spirituale Per offrire primo soccorso ai tanti che rientrano dal fronte e dalla prigionia, organizza un campo nella vicina stazione di Pescantina e accoglie decine di soldati con un bicchiere di lambrusco, una parola di conforto e un aiuto materiale per raggiungere al più presto casa. Tra loro anche lo scrittore Giovannino Guareschi, così colpito da quel primo incontro con padre Paolino da ispirarsi a lui per la creazione del celebre personaggio di don Camillo.
Nel 1962 entra nella Trappa, trasferendosi nel monastero benedettino di Frattocchie, vicino a Roma. La ricerca storica che lo spinge a compiere diversi viaggi e a seguire da postulatore diverse cause di beatificazione. Il capitolo più avventuroso di questa attività è senz’altro la spedizione in Cina nel 1979, allo scopo di ricostruire la storia dell’antico monastero benedettino di Yang Kia Ping, distrutto nel 1947. E così anche dalla clausura Paolino continua a pungolare i suoi contemporanei, da autentico provocatore evangelico qual era. In una delle ultime interviste che rilascia, alla soglia dei cent’anni, indica ancora loro la strada senza esitazione: «Mettetevi in condizione di rispondere coraggiosamente a questa domanda, “che cosa stai facendo nel mondo, come stai rispondendo all’amore di Dio?”. Un po’ di silenzio e lasciamo che le risposte vengano fuori dal fondo del cuore».
di Silvia Gusmano