00 12/10/2010 18:30
I padri sinodali in ascolto

Quello che lo Spirito
dice alle Chiese


di Frédéric Manns
Studium Biblicum Franciscanum (Gerusalemme)

"Chi è costei che sale dal deserto profumata d'incenso?":  durante il sinodo forse molti si faranno la domanda che si legge nel Cantico dei cantici (3, 6), quando vedranno i patriarchi e i vescovi d'Oriente rivestiti di tiare e di copricapi strani. Nel ii secolo Erma paragonava volentieri la Chiesa a una donna anziana, perché era stata creata agli inizi dei tempi. Questa donna anziana accompagnata da vergini numerose viene quest'anno dal deserto di Giuda e di Arabia.

È vero che la Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, ma deve respirare con due polmoni. I grandi concili ecumenici hanno inculturato il messaggio evangelico nel mondo ellenistico e romano. Ma la Chiesa non può dimenticare la patristica orientale, specialmente quella siriaca, che ha cercato di tradurre questo messaggio per il mondo semitico. E anche il mondo arabo ha una sua patrologia e le sue lettres de noblesse.

Dall'Oriente viene la luce (ex oriente lux) dicevano gli antichi. Ed è questo messaggio di luce che le Chiese orientali hanno mantenuto e che vogliono condividere con la Chiesa di Roma. Luce che è Cristo nel suo mistero di trasfigurazione. Luce che è lo Spirito diffuso nella liturgia divina. La Chiesa è la sposa di luce che vuole vincere le tenebre di un mondo dove l'intolleranza e il dubbio hanno seminato la violenza. Maria vergine e madre di tutti i popoli è l'icona di questa Chiesa.

"Chi ha orecchi, ascolti quello che lo Spirito dice alle Chiese". Il ritornello del veggente di Patmos alle Chiese dell'Apocalisse ha il merito di ricordare che esse sono opera dello Spirito Santo. Gli uomini non riusciranno a distruggerla. Rimarrà un piccolo resto, ma sarà sempre un segno della vittoria di Dio sul mondo. I discepoli sono nel mondo ma non sono del mondo. In Oriente, più che in Occidente, è il carisma dell'apostolo Giovanni che viene meditato.

L'Oriente è vitalmente propenso alla meditazione e alla contemplazione. La sua liturgia ha mantenuto la dimensione del mistero. Il messaggio dell'apostolo Giovanni, che si riassume nel comandamento dell'amore, potrà portare la comunione tra le Chiese e dare loro la forza di rendere testimonianza in mezzo ai musulmani e agli ebrei. Il mondo violento nel quale vivono i cristiani orientali potrà sdrammatizzarsi con il comandamento dell'amore.

Il Deuteronomio ricorda che l'unico comandamento fondamentale è di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. La tradizione ebraica ha interpretato questo comandamento come esigenza di amare Dio con le due tendenze che sono nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è il teatro di una lotta interiore tra il bene e il male.

Amare Dio con l'anima significa essere pronto ad amare Dio con il sangue, sede della nephesh, in caso di persecuzione. E in Oriente non mancano i martiri. Molti furono e sono i cristiani che hanno amato Dio con tutta l'anima.

San Luca nella sua descrizione della Chiesa primitiva ricordava che la moltitudine dei credenti aveva un cuore solo, una anima sola e metteva in comune i beni materiali. In altre parole la Chiesa di Gerusalemme continuava a vivere l'ideale dello shema Israel, perché Gesù stesso aveva risposto alla domanda su quale fosse il primo comandamento citando lo shema Israel (Marco, 12, 29).

La preparazione del grande giubileo del 2000 aveva permesso di radunare a Gerusalemme molti capi delle Chiese orientali nella riflessione sul Padre, sullo Spirito e sul Figlio. Durante l'anno dello Spirito una serie impressionante di conferenze ripeteva costantemente la stessa teologia orientale dello Spirito. Nella tavola rotonda che seguì, uno dei partecipanti pose la domanda:  "Abbiamo tutti la stessa teologia dello Spirito, perché siamo divisi?". E un silenzio cadde sull'assemblea.

Durante le celebrazioni eucaristiche i padri sinodali si daranno il segno della pace. Questo gesto ricorderà a tutti il detto (lògion) di Gesù:  "Quando presenti la tua offerta sull'altare va prima a riconciliarti con il tuo fratello". Il gesto di riconciliazione - che si riallaccia all'usanza ebraica nel giorno precedente il Kippur - dovrà essere ripreso da tutti i fedeli delle Chiese orientali in spirito e verità.

Anche in Oriente si parla di nuova evangelizzazione. Questo nuovo annuncio di Cristo - al quale si aprono anche le strade nuove di internet - non si potrà fare se i cristiani dimostrano nei fatti il contrario di quello che proclamano nelle Scritture. I cristiani sono destinati a unirsi o a scomparire dall'Oriente.



La questione capitale al centro dei lavori del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente

Essere cristiani o non esserlo più



di Manuel Nin

Al rientro del suo pellegrinaggio in Terra Santa, Benedetto XVI nel settembre 2009, alla presenza dei patriarchi e dei capi delle diverse Chiese orientali cattoliche, e accogliendo la loro richiesta, convocò il Sinodo per il Vicino Oriente. La vita concreta delle Chiese cristiane orientali cattoliche, le loro sfide, le loro speranze, i loro timori portarono i loro pastori a proporre al vescovo di Roma d'indire la celebrazione di questo strumento della vita ecclesiale. L'uso e il significato della parola sinodo, termine forse più nuovo in Occidente, non lo è per l'Oriente, e molto meno per quell'Oriente cristiano, che chiamiamo appunto "prossimo" e che raccoglie la sua eredità multiforme soprattutto dall'antichissima sede di Antiochia.

Mentre lungo i primi secoli dell'era cristiana l'altra grande sede episcopale dell'Oriente cristiano, quella di Alessandria, ebbe nell'episcopato stesso e nella scuola teologica della città il luogo di riflessione sia teologica che ecclesiologica, e che si manifestò nelle grandi figure che vanno da un Origene (ii-iii secolo) a un Cirillo di Alessandria (v secolo); la Chiesa antiochena lungo la sua storia bimillenaria, ebbe invece nell'istituzione sinodale lo strumento fondamentale per affrontare e risolvere i problemi sia di carattere teologico che ecclesiologico.

Dalla seconda metà del iii secolo fino al vi secolo ben inoltrato, Antiochia fu sede di diversi sinodi che affrontarono temi dottrinali ed ecclesiologici molto importanti:  la questione attorno a Paolo di Samosata nel sinodo del 268; nei decenni dopo il concilio di Nicea del 325 tutti i diversi sinodi antiocheni che coinvolsero i vescovi della regione nell'accettazione o meno del credo niceno, e che furono sinodi soprattutto di carattere dottrinale; quindi attorno alla figura di Melezio di Antiochia eletto vescovo nel 360, tutti sinodi che affrontarono questioni di carattere fortemente ecclesiologico e che coinvolsero anche la sede romana e le grandi figure episcopali di Basilio di Cesarea e Damaso di Roma.

Quella città dove i cristiani furono per prima volta chiamati con tale appellativo (cfr Atti degli Apostoli, 11, 26) è la culla di una buona parte delle tradizioni culturali, linguistiche, liturgiche e teologiche dell'Oriente cristiano. In modo speciale Antiochia è il grembo di tre grandi tradizioni liturgiche che ancora oggi conformano la vita teologica, liturgica e spirituale di diverse Chiese orientali:  la tradizione siro orientale; quella  siro  occidentale  e  quella  bizantina.

Nell'ormai lontano 1977 uno dei migliori conoscitori e amatori del Vicino Oriente cristiano, padre Jean Corbon (1924-2001) pubblicava L'Eglise des Arabes, un libro illuminante e indispensabile nel suo genere, in cui l'autore analizza e approfondisce la presenza della Chiesa nell'area mediorientale a partire dalla realtà cristiana della città di Antiochia. All'inizio della sua opera Corbon si chiede quali siano i modi per conoscere e per vivere "una" e "in una" Chiesa. E ne elenca tre. In primo luogo, la necessaria conoscenza "dell'umanità di Cristo che è ogni Chiesa, qua e adesso, da un punto di vista geografico a quello sociologico e anche linguistico". In secondo, luogo la necessaria conoscenza "di quello che oggi succede in ognuna delle Chiese a partire dalla sua storia, dai fatti che l'hanno configurata e travagliata lungo i secoli. La sensibilità per sentire l'armonia della storia" nella vita di quella Chiesa. In terzo luogo, la necessaria conoscenza "della fede, cioè della Chiesa vista e vissuta come mistero di fede, e come mistero di fede che coinvolge e investe la vita di ognuno dei fedeli".

Lungo la sua opera, Corbon analizza nella prima parte la storia cristiana della città di Antiochia, e parlando di questa città lo sguardo dell'autore va a tutto il Vicino Oriente cristiano, sottolineando un fatto che mai potremmo ignorare per capire la realtà, di ieri e di oggi, di queste terre:  il processo di inculturazione araba che, al di là delle varianti anche confessionali tra le diverse Chiese cristiane, creerà un forte senso di comunione tra di loro. Fatto, però, che non toglierà la presenza di due altre realtà culturali e linguistiche importanti:   quella  greca  e  quella  siriaca.

Nella seconda parte dell'opera, Corbon fa un'analisi accurata della situazione attuale della Chiesa antiochena - leggiamo di tutto il Vicino Oriente - e propone dei punti su cui riflettere per capirne i veri problemi. In primo luogo, la problematica delle realtà ecclesiali provenienti dall'Occidente, sia di ambito cattolico latino che riformato, e insiste sulla necessità vitale di rifiutare qualsiasi forma di proselitismo sia di carattere ecclesiologico che liturgico - evitando forme oggi diremmo di sincretismo e di ibridismo liturgico tra diverse tradizioni che hanno ognuna un patrimonio unico e intangibile. In secondo luogo, Corbon accenna alla realtà delle Chiese orientali cattoliche in ambito antiocheno:  armeno cattolica, greco cattolica, siro cattolica e caldea, e al loro rapporto con le Chiese sorelle di comunione ortodossa.

L'autore insiste "sull'asse attorno al quale tutte le questioni si unificano e si chiariscono, cioè la comunione nella carità tra le Chiese. È attorno a questo asse che tutte le altre questioni possono essere abbordate, senza per niente minimizzarle".

All'inizio della celebrazione del Sinodo, l'opera di Jean Corbon diventa dunque sicuramente profetica in molti aspetti e in qualche modo si potrebbe proporre quasi come un secondo Instrumentum laboris per le riflessioni dei padri sinodali che in queste due settimane sono chiamati sì a radunarsi, incontrarsi, pregare insieme, ma soprattutto chiamati a mettere sul tavolo con schiettezza non disgiunta da grande carità, i problemi dei cristiani oggi nel Vicino Oriente. In quella realtà multiculturale e multietnica che è il bacino orientale del Mediterraneo e dei paesi che lo circondano.

Vescovi di diversi Paesi, di diverse lingue, di tradizioni liturgiche e anche spirituali diverse si incontra per riflettere sui problemi pastorali e soprattutto sulla vita delle Chiese, sulla situazione ogni giorno più precaria in vista alla continuità di una presenza cristiana autoctona in quelle terre dove il cristianesimo nacque e si sviluppò come Chiesa.

Corbon conclude la sua opera citando la frase del Patriarca Atenagora e che potrebbe essere anche uno dei fili conduttori delle riflessioni dei padri sinodali:  "La questione dell'unità tra i cristiani non è più una questione su quello o quell'altro modo di essere oggi Chiesa, ma la questione di essere cristiani o non esserlo più".





 


(©L'Osservatore Romano - 13 ottobre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)