00 16/09/2011 11:13
[SM=g1740733]Ringraziando il sito di "papalepapale" per aver accolto questo mio modesto contributo e pubblicato sul loro sito , lo riporto anche qui....

MA POI, S. FRANCESCO,

ERA DAVVERO IL CICCIOBELLO CHE DICONO?

Francesco d’Assisi:

dalla Legenda aurea alla leggenda metropolitana

PARTE 1

Ma è davvero il santo della sedizione dissimulata contro il papa?…no, quello era Valdo. Davvero è il santo bucolico e sognatore che ci viene propinato oggi? Poi c’è quella storia strana della sortes apostolorum. Francesco, “romantico” una come lama affilata! Il santo “decattolicizzato”. Francesco e il sultano: dialogo interreligioso una cippa! La povertà secondo Francesco, non è quella che s’immaginano le ideologie. Quindi, dove diavolo sta questo santo “marxista”?…per tacer di quello “pacifista”.

 

 

L’errore di un certo francescanesimo moderno sta nel fatto di ingnorare che un conto è il messaggio di san Francesco che ragionevolmente valica i confini della Chiesa e s’instaura anche fra gruppi non cattolici, secondo il detto “l’erba del vicino è sempre più verde”, ma ben altra cosa è aver fatto di san Francesco, e spesso proprio dai suoi, una sorta di “giullare” in senso negativo, sobillatore e riformatore contro il Papa e i vescovi del suo tempo.

Dovrebbe forse meravigliarci che, al giorno d’oggi, non si senta più predicare un francescano con le parole del santo Fondatore, ma bensì usando un linguaggio del mondo e giungendo perfino all’uso dei balli sfrenati, salti e danze senza dire più la verità ai giovani, senza dire loro che “se restano nella concupiscenza e non vivono di penitenza per frenare i desideri della carne, restano prigionieri del diavolo”?

No, nessuna meraviglia. I francescani di oggi usano il Waka Waka per sollecitare i giovani a trovare ugualmente l’amicizia di Dio senza fare una benchè minima penitenza, e lo fanno in nome di san Francesco, citando, non si sa bene da dove, un bucolico san Francesco, o interpretandolo secondo le mode del momento…

Francesco ha subito una sorta di “decattolicizzazione”

 

 

di Tea Lancellotti

 

 

In una Catechesi all’inizio del 2010, Benedetto XVI mette in guardia da un “san Francesco non di Chiesa”. E infatti, dice testualmente il Papa:

“In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia.”

Dice ancora Benedetto XVI:

“E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi”.

 

E’ DAVVERO IL SANTO DELLA SEDIZIONE DISSIMULATA CONTRO IL PAPA? NO, QUELLO ERA VALDO…

Uno dei tanti monumenti dedicati nelle città italiane agli eresiarchi nell'800, quando la massoneria giunse al potere con i Savoia, invasori d'Italia. Qui Pietro Valdo

Il Papa ci ha confermato ciò che in fondo si sapeva, ma non se ne parlava volentieri: san Francesco non voleva fondare un Ordine religioso, meno ancora tre, e fu invece la Chiesa di quel tempo a ritenere necessario un Ordine.

Il vero ed autentico “Poverello d’Assisi” dimostrò chiaramente, fin da subito, la sua filiale obbedienza al Papa. Lo stesso gesto, alla radice, di quello “spogliarsi” in piazza ha un duplice significato, sia materiale che teologico: egli rinuncia al bene e si spoglia, togliendosi di dosso tutto, perfino le proprie opinioni, anche il grado di parentela umana, per assumere, accettando il mantello del Vescovo, l’adozione a Figlio della Chiesa dove il Papa è il Padre che rappresenta Cristo in terra.

Una spiegazione simile la da anche Caterina da Siena, portandolo come esempio di colui che “rinuncia tutto a se stesso, muore a se stesso”. In una lettera, la Santa scrive: “Affinchè il mondo non gli gonfiasse lo stomaco (nutrisse di superbia), il padre nostro santo Francesco elesse la santa e vera estrema povertà, maggiormente davanti al Dolce Cristo in terra, in obbedienza e carità…”. In queste parole, è chiaro l’insegnamento: san Francesco non fu mai contro il Papa.

Va detto che l’interesse a presentare un Francesco contro il papato, specialmente nell’Ottocento, proviene da ambienti massonici e protestanti, come da questi ambienti pervenne, di fatto, una ricca letteratura, falsa, sulla storia della Chiesa. San Francesco è stato sempre associato, dal mondo protestante e catto-sincretista, a Pietro Valdo (valdesi) il quale era, solo fino a qualche anno prima, all’origine del movimento i “Poveri di Lione”. La sintesi della predicazione è apparentemente (ripeto: apparentemente) identica a quella di Francesco: richiamo ad una fede vissuta nella povertà del Vangelo, la non violenza, il riferimento alla pace, uno stile di vita che porti a rinunciare alle carriere politiche ed ecclesiastiche viste come tali, ossia “carriere”, l’interessamento alla natura che ci circonda, etc.

Una prima differenza con Pietro Valdo fu proprio l’obbedienza al Papa di san Francesco e la sua fedeltà.

In sostanza, l’errore di un certo francescanesimo moderno sta nel fatto di ingnorare che un conto è il messaggio di san Francesco che ragionevolmente valica i confini della Chiesa e s’instaura anche fra gruppi non cattolici, secondo il detto “l’erba del vicino è sempre più verde”, ma ben altra cosa è aver fatto di san Francesco, e spesso proprio dai suoi, una sorta di “giullare” in senso negativo, sobillatore e riformatore contro il Papa e i vescovi del suo tempo.

Francesco, infatti, non sarebbe mai diventato un santo, nè sarebbe rimasto dentro la Chiesa se, in quel paragonarlo a Pietro Valdo, si facesse della povertà che rincorreva lo scopo della sua predicazione, il fine ultimo come invece intendeva Valdo… o peggio i catari-albigesi. Al contrario, Francesco usava la virtù della povertà evangelica quale mezzo, e non come scopo, nè fine, per rivitalizzare la Chiesa, ponendosi sotto la guida del Papa, aiutandolo a combattere la grave crisi di corruzione penetrata anche nel basso clero, e tutto questo, a differenza di Valdo, senza mai mettere in discussione il Magistero dottrinale del Pontefice, men che meno il magistero dottrinale del suo vescovo.

Valdo in un primo tempo accettò l’obbedienza al Papa, salvo ritirarla dopo. San Francesco, invece, rimase fedele prima e dopo, e principalmente a riguardo della Dottrina, lasciandosi consigliare e correggere dal Papa e dal vescovo.

Non a caso così ha ricordato, Benedetto XVI, ai Figli di san Francesco nell’aprile 2009 in occasione dell’udienza concessa per gli 800 anni dall’approvazione della regola dei Frati Minori:

“Viene spontanea qui una riflessione: Francesco avrebbe potuto anche non venire dal Papa.

Molti gruppi e movimenti religiosi si andavano formando in quell’epoca e alcuni di essi si contrapponevano alla Chiesa come istituzione o, per lo meno, non cercavano la sua approvazione.

Sicuramente un atteggiamento polemico verso la Gerarchia avrebbe procurato a Francesco non pochi seguaci”.

Invece egli pensò subito a mettere il cammino suo e dei suoi compagni nelle mani del Vescovo di Roma, il Successore di Pietro. Questo fatto rivela il suo autentico spirito ecclesiale. Il piccolo “noi” che aveva iniziato con i suoi primi frati lo concepì fin dall’inizio all’interno del grande “noi” della Chiesa una e universale. E il Papa lo riconobbe e l’apprezzò.

Anche il Papa, infatti, da parte sua, avrebbe potuto non approvare il progetto di vita di Francesco.

Anzi, possiamo ben immaginare che, tra i collaboratori di Innocenzo III, qualcuno lo abbia consigliato in tal senso, magari proprio temendo che quel gruppetto di frati assomigliasse ad altre aggregazioni ereticali e pauperiste del tempo.

Invece, il Romano Pontefice, ben informato dal vescovo di Assisi e dal cardinale Giovanni di San Paolo, seppe discernere l’iniziativa dello Spirito Santo e accolse, benedisse ed incoraggiò la nascente comunità dei frati minori.”

Nulla a che vedere pertanto con il Francesco modernista o protestante, o peggio, sobillatore contro il Papa! Resta famoso l’episodio di san Francesco che, dopo una predica in un villaggio, si vede portare davanti un sacerdote macchiato dai peccati, del quale il popolo furioso vuol fare giustizia (non dimentichiamo che siamo nel mezzo dell’eresia catara-albigese, dei cosiddetti “puri”). Il prete, inginocchiato davanti a Francesco, attende la dura condanna, sa di essersi macchiato di gravi colpe e attende il verdetto, ma Francesco prende quelle mani e le bacia. Davanti agli sguardi attoniti degli ignoranti contadini o dei saggi del villaggio, il “poverello d’Assisi” spiega come quelle mani, seppur insudiciate dal peccato, sono le stesse che compiono il Prodigio nella Messa, e di quante volte queste avessero tenuto fra le mani Gesù-Ostia-Santa. Nel dirlo, Francesco si commuove e il sacerdote e gli abitanti del villaggio si convertono.

E sappiamo bene che san Francesco non volle mai diventare prete non perchè ce l’avesse con il clero, come certa letteratura ottocentesca ha millantato, ma perchè non si stimava degno di un dono così immenso, di un potere così grande, e ritenendosi un indegno peccatore fino alla fine, bisognoso, mendicante del perdono di Dio, ritenne inopportuno che gli si affidasse la confessione delle anime.

 

 

MA DAVVERO E’ IL SANTO BUCOLICO E SOGNATORE CHE CI VIENE PROPINATO OGGI?

San Francesco fu tutt’altro che romantico, sognatore, bucolico: la sua virilità si era semplicemente spostata, da sotto la cintola, salendogli su, nel cuore e nella mente, quando si convertì e si consegnò al suo vescovo. Altro che romantico! Ragionava e meditava, vedeva il cielo ma restava coraggiosamente con i piedi per terra, ma ciò non toglie che il francescanesimo ha sempre tentato di presentare un Francesco al di fuori della normalità e spesso anche fuori della stessa ecclesialità, una sorta di Riformatore interno alla Chiesa, per cambiare la Chiesa; un Francesco che spesso camminava “per conto suo” (qualcosa di vero, in fondo, potrebbe anche esserci)….ma fu proprio grazie all’umiltà di Francesco ed alla sua ostinata obbedienza al Papa, che egli potè restare sui binari giusti, contrariamente al deragliamento di non pochi suoi fraticelli!

Non so quanto la pratica de le Sortes Apostolorum aiuti a comprendere la situazione, ma forse aiuta noi a comprendere perchè è giunto a noi un san Francesco spesse volte al di fuori di ciò che era veramente…

Nel 2000, l’università di Verona ha presentato un Convegno Internazionale, molto interessante, dal titolo “L’illusione religiosa, rive e derive”, convegno riconosciuto, ai fini dell’aggiornamento degli insegnanti di religione cattolica, dall’Ufficio Diocesano apposito della curia veronese.

Riporto il passo di pagina 23 che ritengo importante:

“San Francesco d’Assisi è ricorso per ben tre volte nella sua vita alla pratica della sortes apostolorum. Questa pratica dell’apertura casuale della parola di Dio ha segnato i momenti fondamentali della sua vita spirituale: l’inizio della sua vocazione, la vocazione del primo compagno san Bernardo, le stimmate.

Francesco dà di questo testimonianza nel suo Testamento scrivendo: “e dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del Santo Vangelo”.

 

 

POI C’È QUELLA STORIA STRANA DELLA SORTES APOSTOLORUM

La pratica della sortes apostolorum era nota in ambiente popolare, ma era solo tollerata dall’istituzione ecclesiale perché era considerata una sorta di pratica magica o pagana. Nonostante questi divieti, essa era una pratica diffusa che traeva le proprie origini dalle ordalie, con un profondo significato spirituale e psicologico.

La sortes apostolorum infatti può essere letta alla luce del concetto junghiano di sincronicità, vale a dire la corrispondenza tra avvenimenti che riguardano la sfera collettiva e i significati che essi assumono a livello individuale.

Nell’esperienza di s. Francesco il ricorso alla sincronicità pone in rapporto il mondo divino con il mondo umano senza intermediari. Potrebbe essere questo uno dei motivi per cui la sortes apostolorum è sempre stata osteggiata dalla Chiesa: proprio perché questa pratica non necessita dell’intermediazione dell’istituzione nel rapporto con il divino.

Ma ben sappiamo che s. Francesco d’Assisi non volle diventare sacerdote perché si riteneva troppo indegno di così eccelsa vocazione. E anche un po’, certamente, per un calcolo di “convenienza”, affrancandosi da quale eventuale vescovo non troppo ben disposto verso di lui… non c’è nulla di male in ciò.

Ma soprattutto venerava i sacerdoti con tale devozione da considerarli suoi “Signori”, poiché in essi vedeva solamente “il Figlio di Dio”; e il suo amore all’Eucaristia si fondeva con l’amore al sacerdote, il quale consacra e amministra il Corpo e Sangue di Gesù, e assolve dai peccati. In particolare, venerava le mani dei sacerdoti, che egli baciava sempre in ginocchio con grande devozione, quindi è palese che la pratica sortes apostolorum non influenzò san Francesco che riteneva il sacerdote l’unico intermediario fra l’uomo e Dio, fra il penitente e Dio, e riteneva il Papa l’intermediario fra tutti, sacerdoti e laici, vescovi e imperatori, villici o stranieri, un intermediario necessario per l’uomo, e per questo usava anche per lui il termine “Signor, Signor Papa!” e, a differenza di certa interpretazione spicciola, l’uso del termine “Signore” per Francesco era rivolto proprio non all’immagine, ma alla funzione del prete, alla funzione del Papa, in quanto “Alter Christi” e non per sminuirne il ruolo.

 

 

ROMANTICO? COME LAMA AFFILATA!

Si comprende così e meglio ciò che ha detto Benedetto XVI citato all’inizio:

“E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i vescovi.” E, ancora, ricorda il Papa, una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: “Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo” (Francesco di Assisi, Scritti, 399).”

E non era bucolico, o sognatore o romantico…. ciò che doveva dire lo diceva usando la parola come lama affilata. Ecco un passo dalla Letteraai Fedeli di san Francesco nelle Fonti Francescane, dove già il titolo dice tutto:

Guai a quelli che non fanno penitenza. Cap II°

[178/4] Tutti quelli e quelle, invece, che non vivono nella penitenza, e non ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e si abbandonano ai vizi e ai peccati e camminano dietro la cattiva concupiscenza e i cattivi desideri della loro carne, e non osservano quelle cose che hanno promesso al Signore, e servono con il proprio corpo al mondo, agli istinti carnali ed alle sollecitudini del mondo e alle preoccupazioni di questa vita: costoro sono prigionieri del diavolo del quale sono figli e fanno le opere; sono ciechi, poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo. Non hanno la sapienza spirituale, poiché non posseggono il Figlio di Dio, che è la vera sapienza del Padre; di loro è detto: ” La loro sapienza è stata ingoiata” e: ” Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti”. Essi vedono e riconoscono, sanno e fanno ciò che è male, e consapevolmente perdono la loro anima.

[178/5] Vedete, o ciechi, ingannati dai vostri nemici, cioè dalla carne, dal mondo e dal diavolo, che al corpo è cosa dolce fare il peccato e cosa amara sottoporsi a servire Dio, poiché tutti i vizi e i peccati escono e procedono dal cuore degli uomini, come dice il Signore nel Vangelo. E non avete niente in questo mondo e neppure nell’altro. E credete di possedere a lungo le vanità di questo secolo, ma vi ingannate, perché verrà il giorno e l’ora alla quale non pensate, non sapete e ignorate. Il corpo si ammala, la morte si avvicina e così si muore di amara morte.”

Dovrebbe forse meravigliarci che, al giorno d’oggi, non si senta più predicare un francescano con le parole del santo Fondatore, ma bensì usando un linguaggio del mondo e giungendo perfino all’uso dei balli sfrenati, salti e danze senza dire più la verità ai giovani, senza dire loro che “se restano nella concupiscenza e non vivono di penitenza per frenare i desideri della carne, restano prigionieri del diavolo”?

No, nessuna meraviglia. I francescani di oggi usano il Waka Waka per sollecitare i giovani a trovare ugualmente l’amicizia di Dio senza fare una benchè minima penitenza, e lo fanno in nome di san Francesco, citando, non si sa bene da dove, un bucolico san Francesco, o interpretandolo secondo le mode del momento…

E meno male che san Francesco chiude la Lettera ai Fedeli con questa memorabile raccomandazione:

[178/7] Tutti coloro ai quali perverrà questa lettera, li preghiamo, nella carità che è Dio, che accolgano benignamente con divino amore queste fragranti parole del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo scritto. E coloro che non sanno leggere, se le facciano leggere spesso, e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino alla fine, poiché sono spirito e vita. Coloro che non faranno questo, dovranno renderne ragione nel giorno del giudizio, davanti al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo.

Non mi pare ci sia molto da interpretare: c’è solo il fatto che queste raccomandazioni del Santo Patrono d’Italia, sono letteralmente disattese da gran parte dei Frati dei tre Ordini, ma anche da non poche suore. Non si tratta di giudicare, basti pensare al fatto che, se vuoi sapere cosa ha detto Francesco, te lo devi andare a cercare da solo, perchè nelle prediche troviamo solo il trito e ritrito Signore fa di me uno strumento della tua pace, preghiera attribuita a Francesco, ma che non è sua e lo spiegheremo al termine di questo modesto lavoro, e il Cantico delle Creature aggiornato con le frasi più consone allo spirito di questo mondo e di questo tempo, tagliato nelle sue frasi più severe:

Laudato si’ mi’ signore per quelli ke perdonano per lo tuo amore,

et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke l’ sosterrano in pace,

ka da te altissimo sirano incoronati.

Laudato si’ mi’ signore per sora nostra morte corporale,

da la quale nullu homo vivente pò skappare.

Guai acquelli ke morrano ne le peccata mortali,

beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,

ka la morte secunda nol farrà male”.

Ringraziamo il cielo che ci sono i Francescani dell’Immacolata che stanno riportando alla luce l’autentico carisma, integrale, del Fondatore!

 

 

IL SANTO “DECATTOLICIZZATO”

Ad aprile del 2009 il francescanesimo ha vissuto un anno di grazia: 800 anni dall’approvazione dei Frati Minori (il primo gruppo di Francesco) da parte di Papa Innocenzo III (era il 16 aprile 1209) ed è curioso come il 16.4.2009 l’OR riportò un interessante articolo sul “Vero san Francesco delle origini”, liberando un Francesco appesantito da leggende varie e successive, messe oggi, finalmente ed ufficialmente, in discussione. L’occasione è l’uscita di una nuova ed ultima traduzione della Vita di san Francesco, la cosiddetta Legenda Maior di san Bonaventura da Bagnoregio, di Fr. Pietro Messa, della Pontificia Università Antonianum.

Vi riporto i passi più salienti della presentazione che vale la pena meditare:

“Francesco ha subito una sorta di decattolicizzazione, ed è stato sottoposto alla critica rigorosa dell’analisi storica, la quale, tuttavia, non è giunta al superamento del mito, ma anzi la questione francescana ha rappresentato un esempio piuttosto raro in cui la ricerca storica ha contribuito alla formazione di un vero e proprio mito contemporaneo.

Di fronte a queste osservazioni, che costringono a ripensare il rapporto tra storia e agiografia, diviene inevitabile porsi anche altri quesiti: chi decide dove finisce la historia salutis – intesa come lettura provvidenziale degli avvenimenti – e comincia la storia? E ancora, chi decide dove debba collocarsi il confine tra mito e realtà? Similmente, sempre circa l’approccio che abbiamo definito decattolicizzato con Francesco d’Assisi, si deve quanto meno ricordare che il contesto in cui si colloca la sua vicenda è quello cristiano cattolico, come mostra, ad esempio, l’importanza della liturgia nella vicenda della fraternità minoritica. Gli studi moderni hanno certamente contribuito a creare il mito di una determinata immagine di san Francesco, spesso raffigurato come un antesignano dell’idea di tolleranza.

(…) A questo proposito sono interessanti alcune osservazioni inerenti al passaggio dalla storia alla teologia che l’arcivescovo Giuseppe Betori ha esposto nelle conclusioni a un convegno inerente al Liber di Angela da Foligno, una penitente francescana il cui pensiero è debitore anche della teologia di Bonaventura: Non è vero forse che proprio la separazione tra fatti e dottrina, tra storia e teologia, tra contesto e testo è ciò che conduce a due assurdi: quello di ridurre Angela – nel nostro caso san Francesco– a un trattato mistico e quello di annullarne l’originalità nella temperie spirituale del suo tempo? Qui proprio dall’esperienza dell’esegesi biblica può venire un decisivo aiuto: gli ultimi due secoli della sua storia non insegnano forse come sia impossibile separare il Gesù della storia dal Cristo della fede, se non si vuole rendere irrilevante il primo e inconsistente il secondo?.”

 

 

FRANCESCO E IL SULTANO: DIALOGO INTERRELIGIOSO UNA CIPPA!

La pace secondo il mondo. Cioè secondo lo Spirito del Mondo. Che poi altro non è che Lucifero

Un altro esempio concreto è la famosa storia, trita e ritrita per certi versi, dell’incontro di san Francesco con il Sultano, in Terra Santa.

Storia spesso infarcita di buonismo e semplicismo. La realtà dell’incontro è, però, piuttosto complessa perchè riportata da più fonti con sfumature diverse, ma oseremo dire provvidenziale nel suo insieme, per come è avvenuta e per come si è conclusa: senza spargimento di sangue per Francesco, ma senza dubbio con una grande lezione per noi, oggi, sull’autentico dialogo che dovremo tenere in campo interreligioso.

Nel san Francesco autentico, delle autentiche Fonti francescane, si narra di quando andò dal Sultano in piena crociata e gli mostrò che cosa comportasse l’essere cristiani: “I cristiani giustamente attaccano voi e la terra che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quelli che potete”…

San Francesco non è andato lì per intraprendere un dialogo interreligioso! Non è andato ad accusare il Papa e le Crociate! È andato, invece, a giustificare l’offensiva dei cristiani anche se è vero che preferiva la predicazione di Cristo alle armi, ma era consapevole che ognuno doveva agire nel posto in cui Dio l’aveva messo, avendo come bene comune la causa ultima: la conversione a Cristo.

Era andato perchè voleva convertire il Sultano, non lo voleva fare con la forza o con le armi, però voleva parlare con lui di Gesù Cristo, e riportano le Fonti: “Quando il beato Francesco per la fede in Cristo volle entrare in un grande fuoco coi sacerdoti del Soldano di Babilonia; ma nessuno di loro volle entrare con lui, e subito tutti fuggirono dalla sua vista”. E rifiutò i ricchi doni del Sultano perchè non volle convertirsi…. un segnale, come a sottolineare che non c’era nulla fra loro che valesse uno scambio di doni: il dono che portava Francesco era Cristo!

Ma vale la pena riflettere sull’insieme del dialogo avvenuto fra i due:

FF. 2690-2691

IL SULTANO: II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca, dunque voi cristiani non dovreste imbracciare armi e combattere i vostri nemici.

FRANCESCO: Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Il perdono di cui Cristo parla non è un perdono folle, cieco, incondizionato, ma un perdono meritato.

Gesù infatti ha detto: “Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino”. Infatti il Signore ha voluto dirci che la misericordia va dispensata a tutti, anche a chi non la merita, ma che almeno sia capace di comprenderla e farne frutto, e non a chi è disposto ad errare con la stessa tenacia e convinzione di prima.

Altrove, oltretutto, è detto: “Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te”. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete.

Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi.

Troviamo forse oggi predicatori francescani con lo stesso coraggio puramente cristiano del loro Fondatore? E poichè avere questo tipo di coraggio non è detto che a tutti sia dato, diciamo dunque: troviamo predicatori francescani onesti nell’ortodossia della fede come lo fu il loro Fondatore? Senza dubbio sì, e se qualcuno può additarceli quale esempio e perchè noi possiamo ascoltarli, ne saremo infinitamente grati!

Notare che san Francesco pone una condizione all’essere amati: se voi voleste conoscere, confessare, adorare… il Redentore, allora i cristiani vi amerebbero come se stessi: ossia, l’amore Cristiano è solo quello che si vive attraverso il Cristo, tutto il resto non è amore, non è amare, ma illusione, ipocrisia, mediocrità, non è la radicalità chiesta e vissuta da Francesco!

 

 

LA POVERTÀSECONDO FRANCESCO, NON È QUELLA CHE S’IMMAGINANO LE IDEOLOGIE

Leonardo Boff. Che da francescano inventò la criminale Teologia della Liberazione. Traditore di Francesco, del sacerdozio, dei fedeli, dei poveri, dei peccatori, dei santi, del papa, della Chiesa, di Cristo di Dio

Cominciamo con il sottolineare un punto fermo: la povertà a cui sorride Francesco è quella verso se stesso, ossia “morire a se stesso”, una netta conversione dal ciò che era al ciò che divenne: sempre più “conforme al Cristo”. La povertà di Francesco è la radicalità: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Francesco si spoglia di tutto letteralmente, per lasciarsi vestire da Cristo in tutto. La sua radicalità è talmente eccessiva che non può impedire ai suoi le collette, o l’elemosina, per mangiare almeno un tozzo di pane. La povertà evangelica di Francesco è una penitenza continua.

E attenzione, come dicevamo sopra, a differenza di altri movimenti che inseguivano la povertà come scopo, per Francesco la povertà non è lo scopo della sua missione, nè della sua vocazione, ma un mezzo, e questo mezzo è la sua penitenza che si esprime nella spoliazione totale. Francesco comprende che senza radicalità non può essere un degno testimone di ciò che va predicando all’interno di un mondo corrotto: il suo fine dunque, è Cristo Crocefisso e Risorto; il suo scopo è testimoniare la radicalità della povertà (intesa anche in quel “morire a se stessi”) per convertire a Cristo. Inoltre, come si accennava, c’era il problema dell’eresia catara-albigese, i cosiddetti “puri” per i quali c’era bisogno di essere autentici testimoni per dimostrare loro che avevano torto.

Lo scopo di Francesco è raggiungere Cristo passando per la cosa più semplice che sente di fare meglio: vivere quella povertà come stile di vita PER AMORE di Cristo e non come impeto di una moda del momento, non come ideologia. Il suo “piacere” non gli viene certo dalle privazioni in sè che sono per lui una vera sofferenza, una continua penitenza, ma da ciò che la privazione e tale sofferenza provoca nel suo cuore, facendolo sentire libero, totalmente, libero non di fare ciò che vuole, ma libero di andare verso Cristo, senza pesi, libero di aderire con questi sentimenti alla Chiesa e di sentirsi accolto, compreso dal “Signor Papa” al quale rimette a giudizio ciò che ritiene essere un “buon progetto”.

Tale povertà è così radicale per “contrastare lì piaceri dello mondo“, che san Francesco la invoca affettuosamente come “sposa”: rappresenta, quindi, una convivenza nuziale, una compagna per la vita, uno stile di vita che potesse convincere la gente che la povertà non è l’origine dei mali che affliggevano le popolazioni del suo tempo. Era semmai la schiavitù delle ricchezze, la schiavitù del possesso, la schiavitù del peccato a condurre verso una vita infelice ed inquieta, mentre la povertà evangelica, che non era altro che vivere da persone semplici e “povere di spirito”, arricchiva e donava il centuplo perchè, spiegava Francesco, “sollecita la Divina Provvidenza a farsi prodiga, in tutto”. Esisteva, pertanto, ed esiste la povertà dignitosa, una dignità nell’essere povero… che produce “valori salvifici”, produce frutti.

Attenzione a non confondere la povertà evangelica predicata e vissuta da Francesco con la miseria e la fame, causate dalla schiavitù del vizio e del peccato: non era questo che egli intendeva per povertà da “sposare”. Non a caso, nella regola definitiva, Francesco spiega ai suoi frati in modo chiaro e inequivocabile il suo concetto di povertà, quali ne siano i fondamenti e quali i valori salvifici: “I frati non si approprino di niente, né casa, né luogo, né cosa alcuna. E come pellegrini e forestieri, servendo in questo mondo al Signore in povertà e umiltà, vadano per elemosina con confidenza; e non sta bene che si vergognino, perché il Signore per amor nostro si fece povero in questo mondo. Questa è la vetta sublime di quell’altissima povertà, che ha fatto voi, fratelli carissimi, eredi e re del regno dei cieli, e, rendendovi poveri di sostanze, vi ha arricchito di virtù. Questa sia la vostra porzione che conduce nella terra dei viventi. E a essa, fratelli dilettissimi, totalmente stando uniti, nient’altro mai dovete, per il nome del Signor Nostro Gesù Cristo, cercare di possedere sotto il cielo”.

La radicalità di Francesco è chiara: Gesù si fece povero in questo mondo, ma non andava chiedendo l’elemosina materiale, piuttosto “mendicava cuori da convertire, mendicava anime e non disdiceva l’offerta di un pasto o di un invito a Nozze…”. Ecco allora che Francesco sente la necessità di andare oltre e per amore del Signore, che si fece umile e povero, è necessario che ci spogliamo di ogni vanità (appropriarsi di case e cose), per testimoniare l’amore totale a Lui. Non dobbiamo vergognarci di chiedere perché, chiedendo, sollecitiamo gli altri alla carità in nome di Cristo, questo è lo scopo di Francesco. Per lui il povero è un dono e, di conseguenza, egli si fa dono al prossimo.

Nel sontuoso inno Veni Creator, la Chiesa canta: “Vieni, Padre dei poveri”. Francesco dà prova di conoscere le Scritture e conosce i due concetti di povertà biblica: quella effettiva e quella spirituale; sa che quei due concetti sono inseparabili e che può viverli entrambi arricchendoli vicendevolmente e ottenendo da Dio ogni favore.

Diceva santa Teresa del Bambin Gesù: “La santità non consiste in tale o tal’altra pratica, bensì consiste in una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli nelle braccia di Dio, consci della nostra debolezza e fiduciosi fino all’impudenza nella sua bontà di Padre….Quello che piace (al Buon Dio) nella mia anima, è il vedermi amare la mia piccolezza e povertà, è la cieca speranza che ho nella sua misericordia e nella sua provvidenza…Non temere; rinuncia a tutto ciò che puoi, perchè più sarai povero e più sarai amato da Gesù.”

 

 

QUINDI, DOVE DIAVOLO STA QUESTO FRANCESCO “MARXISTA”? PER TACER DI QUELLO “PACIFISTA”

Una "pace" falsa e bugiarda, che si è inventata un Francesco altrettanto falso e bugiardo

Nulla a che vedere con lo schema marxista!

Visto che a proposito ha parlato il papa, lasciamo dire a lui direttamente. Spiega, infatti, Benedetto XVI nella Deus Caritas Est, la sua prima enciclica:

“Il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale: attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione — si asseriva in tale dottrina — doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore. Questo sogno è svanito. Nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo anche a causa della globalizzazione dell’economia, la Dottrina Sociale della Chiesa è diventata un’indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di là dei confini di essa [...]

L’attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Non è un mezzo per cambiare il mondo in modo ideologico e non sta al servizio di strategie mondane, ma è attualizzazione qui ed ora dell’amore di cui l’uomo ha sempre bisogno […]

Il programma di Gesù è « un cuore che vede ». Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente [...] La carità, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza [...]

È venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo. Ovviamente, il cristiano che prega non pretende di cambiare i piani di Dio o di correggere quanto Dio ha previsto. Egli cerca piuttosto l’incontro con il Padre di Gesù Cristo, chiedendo che Egli sia presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella sua opera [...]

Fede, speranza e carità vanno insieme. La speranza si articola praticamente nella virtù della pazienza, che non vien meno nel bene neanche di fronte all’apparente insuccesso, ed in quella dell’umiltà, che accetta il mistero di Dio e si fida di Lui anche nell’oscurità”.

Nulla a che vedere con il pacifismo, dunque: il suo stile di vita è sofferenza e penitenza, ma con “Laude e gaudio”. San Francesco, come Gesù, era pacifico, ma non lesinava parole severe, come abbiamo potuto leggere sopra, quando c’era da predicare la Salvezza al prossimo. Non imponeva a nessuno il suo stile di vita, ma la sua testimonianza personale conduceva gli altri a seguirlo, come, del resto, avveniva per tutti i grandi santi Fondatori e Fondatrici della Chiesa.



Fine prima parte

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[Modificato da Caterina63 16/09/2011 11:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)