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CAPITOLO 8

Ove si comincia a spiegare questa notte oscura.


1. Questa notte, o contemplazione, produce due forme di tenebre o purificazione nelle persone spirituali, secondo le due parti dell’uomo, cioè la sensitiva e la spirituale. Così la prima notte o purificazione sarà sensitiva, se purifica l’anima nella sua parte sensitiva, rendendola più conforme a quella spirituale. La seconda notte o purificazione sarà spirituale, se purifica e spoglia l’anima nella sua parte spirituale, preparandola e disponendola all’unione d’amore con Dio. La notte dei sensi è abbastanza comune, e molti ne fanno esperienza, tra cui i principianti; di essa parlerò subito. Quella spirituale è riservata a pochissime persone, cioè a coloro che sono già esercitati e avanzati nella virtù; di questi mi occuperò in un secondo momento.

2. La prima notte o purificazione è amara e terribile per i sensi, come dirò subito. La seconda non ha confronto, perché è orrenda e spaventosa per lo spirito, come dirò più avanti. Per procedere con ordine tratterò in primo luogo della notte dei sensi, che corrisponde alla prima purificazione. Dirò qualcosa di essa molto velocemente, perché è quella più comune e se n’è già scritto molto. Mi soffermerò a parlare in modo particolare della notte spirituale, perché se ne tratta poco, sia nelle conferenze che nei libri, e meno ancora se ne fa esperienza.

3. Il modo di comportarsi dei principianti nel cammino verso Dio è imperfetto e molto condizionato dall’amor proprio e dai gusti sensibili, come ho detto sopra. Per questo motivo Dio vuole farli progredire gradatamente, liberarli da questo modo imperfetto di amare e condurli a un livello più alto d’amore. Allora li svincola da questo basso esercizio dei sensi e dei ragionamenti, attraverso cui cercano Dio in una maniera così meschina e piena d’inconvenienti; li colloca nell’esercizio dello spirito, dove potranno comunicare con Dio molto più fruttuosamente e diverranno più liberi dalle loro imperfezioni. Già essi si sono esercitati un po’ nel cammino della virtù; hanno perseverato nella meditazione e nell’orazione; il sapore e le delizie che hanno gustato in queste pie pratiche li hanno distaccati dalle cose del mondo; hanno trovato una certa forza spirituale in Dio per tenere a freno le loro sregolate inclinazioni verso le creature. Per questo motivo saranno in grado di sopportare per Dio qualche peso o qualche aridità senza voler tornare indietro, ai tempi più piacevoli. Quanto più gusto e gioia provano in questi esercizi spirituali, tanto più credono di essere illuminati dal sole delle grazie divine. Ma il Signore li priva di questa luce, chiude la porta delle sue delizie e dissecca le sorgenti delle acque spirituali di cui essi gustavano in lui la dolcezza ogni volta e per tutto il tempo che lo desideravano. Poiché erano deboli e fiacchi, per loro non c’erano porte chiuse, come dice san Giovanni nell’Apocalisse (3,8). Il Signore li lascia, dunque, in tenebre così profonde che essi non sanno dove andare con l’aiuto dell’immaginazione e del ragionamento. Sono incapaci di meditare come prima; i loro sensi interiori sono come annegati in queste tenebre; sono in preda a una tale aridità che non solo non ricavano frutto e gusto dalle cose spirituali e dai buoni esercizi nei quali erano soliti trovare delizie e gioie, ma, al contrario, in queste stesse pratiche non trovano che disgusto e amarezza. Il motivo, ripeto, sta nel fatto che sono un po’ cresciuti, e allora Dio, per fortificarli e farli uscire dal loro infantilismo, li stacca dal petto delle sue consolazioni; non li tiene più in braccio e insegna loro a camminare da soli. In tutto questo essi avvertono una grande novità, che è opposta al loro modo precedente di trattare con Dio.

4. Questo cambiamento di solito si verifica nelle persone ritirate dal mondo, più che in altre, e poco dopo il loro ingresso nella vita spirituale, perché sono più libere dalle occasioni di tornare indietro e più disponibili anche a riformare alla svelta le inclinazioni per i beni di questo mondo. Ciò è quanto si richiede per cominciare a entrare in questa beata notte dei sensi. Di solito non passa molto tempo dall’inizio, senza che entrino in questa notte dei sensi; ora, la maggior parte di esse vi entrano, perché le si vede attraversare queste aridità.

5. Su questa forma di purificazione sensitiva, che è assai comune, potrei citare numerose affermazioni della sacra Scrittura, molto frequenti soprattutto nei Salmi e nei profeti. Ma non intendo dilungarmi su questo, perché a chi non sapesse trovarle lì può bastare l’esperienza comune che se ne ha.

CAPITOLO 9

Ove si parla dei segni dai quali si riconosce che la persona spirituale è in questa notte o purificazione dei sensi.

1. Quest’aridità molte volte può derivare non dalla notte o purificazione dei sensi, bensì dai peccati, imperfezioni, debolezze, tiepidezze, oppure da qualche cattivo umore o indisposizione fisica. Per questo motivo indicherò qui alcuni segni per discernere se quest’aridità ha come origine la purificazione dei sensi oppure qualcuno dei suelencati difetti. A tale proposito tre sono i segni principali.

2. Il primo è l’assenza di gusto e consolazione nelle cose di Dio e in qualsiasi cosa creata. Infatti, allorché Dio introduce l’anima in questa notte oscura per condurla all’aridità e purificarla dall’appetito sensitivo, non le permette di provare consolazioni in cosa alcuna. Da ciò si riconosce abbastanza bene che tale aridità e disgusto non provengono da colpe o imperfezioni commesse recentemente; se così fosse, la natura dovrebbe sentire qualche inclinazione o attrazione per qualcosa di diverso da Dio. Difatti, quando la volontà si lascia andare a qualche imperfezione, si sente subito inclinata, più o meno fortemente, verso questa medesima imperfezione, secondo il piacere o l’affetto riversati su di essa. Ma poiché la ripugnanza per le cose del cielo e per quelle terrene potrebbe derivare da qualche indisposizione fisica o dal temperamento malinconico, che spesso non lascia provare piacere in nulla, occorre un secondo segno o una seconda condizione.

3. Il secondo segno che conferma la presenza della purificazione dei sensi consiste nei ricordarsi abitualmente di Dio con una sollecitudine e un’attenzione che dà pena; ci si preoccupa di non servire Dio, anzi di regredire, perché non si prova più gusto nelle cose divine. Ciò dimostra che il disgusto e l’aridità non provengono da fiacchezza e tiepidezza. Difatti è proprio della tiepidezza non preoccuparsi molto né avere sollecitudine per le cose di Dio. C’è, quindi, molta differenza tra l’aridità e la tiepidezza. È proprio della tiepidezza generare una grande fiacchezza e svogliatezza nella volontà e nell’intelligenza, così da non preoccuparsi delle cose di Dio. Al contrario, l’aridità purificatrice per sua natura comporta una sollecitudine costante e un’attenzione sofferta, per paura di non servire Dio. Questa, sebbene a volte sia aggravata da malinconia o da altro umore cattivo – e accade spesso –, non per questo cessa di avere il suo effetto purificante nella volontà, poiché l’anima è privata di ogni consolazione e desidera solo servire Dio. Quando, invece, l’aridità è solo frutto di umore cattivo, si prova disgusto e spossatezza fisica; in altri termini, l’anima non prova questi desideri di servire Dio che le offre l’aridità purificatrice. Quando questa si verifica, la parte sensitiva è molto abbattuta, fiacca e avvilita a causa del poco piacere che trova nell’agire, mentre lo spirito è pronto e forte (cfr. Mt 26,41).

4. Quest’aridità è dovuta al fatto che Dio trasferisce allo spirito i beni e la forza dei sensi, e poiché i sensi e la natura non sono capaci di tali beni spirituali, restano privi di nutrimento, nell’aridità e nel vuoto. La parte sensitiva, infatti, non è capace di accedere a ciò che è puro spirito. Così, quando lo spirito gode, la carne è scontenta e non ha voglia di agire. Quanto allo spirito, che si va nutrendo, si fortifica, diventa più vigile e attento di prima a non offendere Dio. A causa della novità di tale cambiamento, non sente subito all’inizio le gioie e le delizie spirituali, ma solo aridità e ripugnanza. Il suo palato è tuttora abituato ai gusti sensibili, ragion per cui fa ancora riferimento ad essi. D’altra parte, il suo palato spirituale non è ancora abituato a simili grazie e non è purificato per ricevere cibi così fini. Fin quando non si sarà gradualmente preparato attraverso questa notte arida e oscura, non potrà sentire i gusti e i beni spirituali. Proverà solo aridità e ripugnanza, venendogli a mancare il piacere che prima gustava con tanta facilità.

5. Difatti coloro che Dio comincia a introdurre in queste solitudini desolare sono simili ai figli d’Israele. Da quando li condusse nel deserto, Dio offrì loro un pane capace di procurare ogni delizia, come si legge nella Scrittura, e che si adattava al gusto di chi l’inghiottiva (Sap 16,20-21). Ciò nonostante, gli ebrei rimpiangevano più il gusto e il sapore delle carni e delle cipolle d’Egitto, a cui il loro palato era da tempo assuefatto, che non la delicata dolcezza di questo cibo angelico. Pur abbondando di cibi celesti, piangevano sospirando quelle carni (Nm 11,4-6). Fino a tanto arriva la bassezza dei nostri appetiti: ci fa rimpiangere le nostre miserie e provare avversione per i beni straordinari del cielo!

6. Ma, ripeto, quando queste aridità dipendono dalla purificazione che sta subendo l’appetito sensitivo, anche se lo spirito all’inizio non gusta il sapore per i motivi suddetti, sente però la forza e lo slancio ad agire che gli offre la sostanza di questo cibo interiore. Tale alimento segna l’inizio della contemplazione oscura e arida per i sensi, contemplazione nascosta e segreta anche per colui che la possiede. Di solito l’anima che prova questa aridità e vuoto dei sensi, è attratta dal desiderio di stare sola e in pace, senza dover pensare a qualcosa di particolare né averne voglia. Se le anime che si trovano in questa situazione sapessero rimanere nella calma, tralasciare qualsiasi opera interiore ed esteriore, senza preoccuparsi di fare qualcosa, allora nell’oblio e nell’intimo riposo gusterebbero subito quel cibo interiore. Esso è tanto delicato che, pur avendo la voglia e l’attenzione a sentirlo, di solito non si percepisce, perché, ripeto, esso agisce nel riposo più assoluto e nell’oblio totale dell’anima. È come l’aria che sfugge di mano quando la si vuole afferrare.

7. Al riguardo possiamo capire ciò che la sposa dice allo Sposo nel Cantico: Distogli da me i tuoi occhi; il loro sguardo mi rapisce (Ct 6,4). Infatti Dio mette l’anima in uno stato tale e la guida per vie così insolite che, se essa volesse servirsi delle sue facoltà, disturberebbe l’opera di Dio anziché aiutarla; in breve, avviene il contrario di quanto accadeva prima. Questo perché l’anima è ormai nello stato di contemplazione; è uscita dalla fase discorsiva per entrare nello stato dei proficienti. Ormai è Dio che agisce in lei e imbriglia le sue potenze interiori, togliendo ogni appoggio all’intelletto, ogni gusto alla volontà e ogni ragionamento alla memoria. In questa fase, ciò che l’anima può fare di suo non serve, come ho già detto, anzi disturba la pace interiore e l’opera che Dio compie nello spirito per mezzo dell’aridità nei sensi. Ora, poiché quest’intervento divino è spirituale e delicato, l’opera si svolge nella calma e nella delicatezza; è un’opera segreta, soddisfacente, pacifica e affatto estranea a tutti i piaceri anteriori, che erano palpabili e sensibili. Tale è la pace che Dio annunzia all’anima, come dice Davide (Sal 84,9), per renderla spirituale. Da qui nasce il terzo segno.

8. Il terzo segno per riconoscere la purificazione dei sensi è l’incapacità, da parte dell’anima, di meditare o di discorrere servendosi dell’immaginazione, come faceva prima, per quanti sforzi compia. Ora Dio comincia a comunicarsi all’anima non per mezzo dei sensi, come in precedenza; non per mezzo dell’attività discorsiva che compone e ordina le cognizioni; ma per mezzo dello spirito puro, nel quale non si sviluppa il ragionamento. Le si comunica in un atto di semplice contemplazione, a cui non possono giungere i sensi interni ed esterni della parte inferiore. Per questo motivo l’immaginazione e la fantasia non possono trovare in essi un punto d’appoggio per qualche considerazione, né fare affidamento su di essi in quel momento o in avvenire.

9. A proposito del terzo segno occorre ricordare che l’impedimento in cui vengono a trovarsi le potenze e il conseguente loro disgusto non proviene da qualche cattivo umore. Se, infatti, la causa fosse questa, e quell’umore svanisse, in quanto è per sua natura mutevole, l’anima impegnandosi potrebbe ricuperare il potere di prima e le potenze ritroverebbero il loro appoggio. Ma non è così nella purificazione dell’appetito sensitivo, perché, appena ha inizio, aumenta sempre più l’impossibilità di discorrere con le potenze. È vero che in alcuni principianti non si verifica una notte continua al punto tale d’impedire loro di gustare talvolta qualche dolcezza o consolazione sensibile. Data la loro debolezza, forse non conveniva operare un distacco netto nella loro vita. Ciò nonostante, essi penetrano sempre più nella notte, lasciando poi da parte l’opera della purificazione sensitiva se sono chiamati ad altezze sublimi. Quanto a quelli che non seguono questo cammino di contemplazione, al contrario degli altri, si ha un modo di procedere molto diverso. Questa notte di aridità, di solito, non è continua nei loro sensi; a volte si verifica, altre volte no; talvolta alcuni non possono discorrere, altri possono farlo. Solo Dio, infatti, li introduce in questa notte per provarli, umiliarli, correggere il loro appetito e impedire che acquistino una golosità viziosa nelle cose spirituali, ma questo non per elevarli alla vita dello spirito, cioè alla contemplazione. Difatti non tutti quelli che deliberatamente si consacrano alla vita spirituale vengono da Dio elevati alla contemplazione: forse nemmeno la metà. Perché questo? Solo Dio lo sa. Ne segue che costoro non riescono a staccarsi mai completamente dalle considerazioni e dai ragionamenti; riescono, come ho detto, a farlo solo per qualche tempo e di tanto in tanto.

CAPITOLO 10

Ove si descrive come ci si deve comportare nella notte oscura.

1. Quando si verificano le aridità di questa notte dei sensi, nella quale Dio opera il cambiamento di cui ho parlato prima, egli sottrae l’anima alla vita dei sensi per elevarla a quella dello spirito, cioè la fa passare dalla meditazione alla contemplazione, dove essa non può più agire con le sue facoltà e discorrere sulle cose di Dio. Proprio a questo punto le persone spirituali soffrono grandi pene, non tanto per le aridità che subiscono, quanto per la paura di vedersi smarrire in questo cammino. Pensano che tutto il bene spirituale sia finito e che Dio le abbia abbandonate, perché non trovano né aiuto né consolazione alcuna negli esercizi di pietà. Allora si affaticano e cercano, com’erano solite, di fissare con un certo piacere le loro potenze su qualche oggetto discorsivo. Se non fanno così e non si sentono portate ad agire, credono di non fare nulla. Tutto ciò procura all’anima un profondo disgusto e una grande ripugnanza interiore, mentre essa voleva restare nella calma, nella tranquillità e nel riposo delle potenze. Così, dunque, da una parte essa si affatica, dall’altra non trae nessun bene. Volendo servirsi del proprio spirito, perde questo spirito di tranquillità e di pace che aveva. Somiglia a colui che abbandona il già fatto per rifarlo daccapo; a colui che esce dalla città per poi rientrarvi; o a colui che lascia la preda catturata per inseguirla di nuovo. Tale comportamento è assolutamente inutile perché, ripeto, l’anima non approderà a nulla ritornando al suo primo metodo.

2. Se in tale situazione queste anime non trovano un padre spirituale che le comprenda, tornano indietro, abbandonando o rallentando il cammino, o perlomeno si creano ostacoli a procedere, a causa dei molteplici sforzi che fanno per seguire il cammino della meditazione e del ragionamento. Si affaticano e si tormentano fino all’eccesso, convinte che ciò accade a motivo delle loro negligenze e dei loro peccati. Ora, tutto ciò è inutile, perché ormai Dio le guida per un altro cammino, quello della contemplazione, totalmente diverso dal precedente: quest’ultimo, infatti, è quello della meditazione e del ragionamento, mentre il nuovo si sviluppa senza l’immaginazione e il ragionamento.

3. Coloro che si trovano in questa situazione, si consolino perseverando nella pazienza, senza affliggersi. Confidino in Dio, che non abbandona coloro che lo cercano con cuore semplice e sincero. Egli non mancherà di dare loro l’aiuto necessario per il cammino, fino a elevarli alla pura e chiara luce dell’amore, che comunicherà loro nella notte oscura dello spirito, se meriteranno che Dio ve li faccia entrare.

4. Il comportamento che l’anima deve tenere in questa notte dei sensi è quello di non preoccuparsi affatto del ragionamento e della meditazione, perché non è più il tempo per queste cose. Cerchi piuttosto di restare nella pace e nella calma, anche se ha la sensazione netta di non fare niente, di perdere tempo, e a motivo della sua tiepidezza non ha voglia di pensare a nulla. Sarà già molto se conserverà la pazienza e persevererà nell’orazione, pur non facendo altro. L’unica cosa da fare è lasciare l’anima libera, sgombra e al riparo da tutte le conoscenze e i pensieri, non preoccupandosi di cosa dovrà pensare o meditare. Si limiterà soltanto a un’attenzione piena d’amore e di pace in Dio, evitando ogni preoccupazione, desiderio ardente o semplice voglia di gustarlo o di sentirlo. Tutte queste pretese, infatti, turbano e distraggono l’anima dalla pacifica quiete e dal dolce riposo della contemplazione che le viene concesso.

5. Anche se le viene lo scrupolo di perdere tempo e pensa che sarebbe bene fare qualcos’altro, poiché nell’orazione non può fare né pensare nulla, abbia pazienza e rimanga tranquilla, perché non si va all’orazione per cercarvi un piacere personale o la libertà di spirito. Se l’anima vuole fare qualcosa di sua iniziativa con le facoltà interiori, non farà che disturbare e perdere i beni che Dio sta imprimendo in lei attraverso la pace e la quiete dello spirito. È come se un pittore volesse dipingere o disegnare un volto: se la persona muove continuamente la testa per fare qualcosa, il pittore non può concludere nulla perché viene disturbato nel suo lavoro. Allo stesso modo, quando l’anima vuole stare nella pace e nella quiete interiore, qualsiasi azione, affetto o attenzione che essa volesse coltivare non farebbe che distrarla, metterla in agitazione e procurarle aridità e vuoto dei sensi. Quanto più vorrà appoggiarsi agli affetti e alle conoscenze, tanto più ne sentirà la mancanza che non può essere colmata attraverso questi mezzi.

6. Pertanto quest’anima non deve preoccuparsi se le vengono meno le operazioni delle potenze. Al contrario dev’essere lieta che cessino, perché così, non disturbando più la contemplazione infusa in cui viene introdotta, Dio può accordarle maggiore abbondanza di pace. Egli le darà la possibilità di ardere e di infiammarsi nello spirito d’amore che questa contemplazione oscura e segreta comporta e le comunica. La contemplazione, infatti, non è altro che infusione segreta, piena di pace e d’amore per Dio che, all’occasione, infiamma l’anima d’amore, come essa fa intendere nel verso seguente: con ansie, dal mio amor tutta infiammata.

CAPITOLO 11

Ove vengono spiegati i tre versi della strofa.

1. Questo incendio d’amore, di solito, non si sente agli inizi, perché non è ancora cominciato a causa dell’impurità della natura, oppure perché l’anima, non comprendendolo, non lo accoglie in sé pacificamente. A volte, invece, con o senza questi ostacoli, l’anima comincia a provare improvvisamente un certo desiderio di Dio pieno si spasimo; quanto più questo desiderio aumenta, tanto più l’anima si sente trasportata verso Dio e infiammata d’amore per lui, senza sapere né comprendere né come né donde le vengano quest’amore e quest’affetto. A volte sente solo crescere in sé tanto questa fiamma e quest’incendio da desiderare Dio con un amore pieno di spasimo. Ciò è appunto quanto Davide, che pure attraversò questa notte, riferisce di sé nei seguenti termini: Il mio cuore era infiammato, nell’amore della contemplazione, i miei reni erano alterati (Sal 72,21-22 Volg.), cioè i miei gusti e i miei affetti sensibili sono stati trasformati, sono passati dalla vita sensitiva a quella spirituale, attraverso l’aridità e la rinuncia a tutti i gusti, di cui sto parlando. E io, aggiunge Davide, ero ridotto un niente e non capivo (ibid.); perché l’anima, senza sapere dove va, si vede annientata in tutte le cose di lassù e di quaggiù, ove era solita trovare le sue consolazioni. Essa constata soltanto di essere infiammata d’amore, senza sapere come né perché si sia prodotto tale cambiamento. E poiché a volte l’incendio d’amore assume proporzioni inverosimili, gli spasimi per Dio si fanno talmente intensi nell’anima da sembrare che questa sete ardente inaridisca tutte le ossa, indebolisca la natura, tolga all’anima il suo calore e la sua forza per l’acutezza della sete d’amore che l’anima sente tanto potentemente. Tale è la sete che Davide provava; dice infatti: L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente (Sal 41,3). È come se dicesse: la sete della mia anima è molto ardente. Questa sete, essendo vivissima, si può ben dire che fa morire. Ma dobbiamo ricordare che la veemenza di questa sete non è continua, bensì intermittente, anche se l’anima abitualmente prova sempre un po’ dei suoi ardori.

2. Occorre ricordare, come ho già detto in apertura, che ordinariamente quest’amore non si avverte all’inizio. Al contrario, l’anima prova l’aridità e il vuoto di cui sto parlando. E allora, invece di quest’amore, che pure va accendendosi e che l’anima consegue in mezzo alle aridità e al vuoto delle sue potenze, c’è una costante attenzione e sollecitudine di piacere a Dio, mista al dolore e al timore di non servirlo abbastanza. Ora, è sacrificio non poco gradito a Dio vedere un cuore affranto e sollecito per l’amor suo (Sal 50,19). Questa sollecitudine e attenzione si sviluppano nell’anima in seguito alla segreta contemplazione, finché, con il tempo, accendono nello spirito quest’amore divino, dopo che sono stati alquanto purificati i sensi, cioè le forze e gli affetti naturali della parte sensitiva, per mezzo dell’aridità che si viene a produrre. Ma nel frattempo l’anima assomiglia al malato che è tenuto sotto cura: tutto è sofferenza in quest’oscura e arida purificazione dei sensi, per guarire da molte imperfezioni, esercitarsi nella pratica delle virtù ed essere, così, degni dell’amore divino, come si dice nel verso seguente: oh, sorte fortunata!

3. In un primo momento Dio introduce l’anima nella notte dei sensi al fine di purificare i sensi della parte inferiore, adattarli, assoggettarli e unirli allo spirito, immergendoli nelle tenebre e mettendo fine ai loro ragionamenti. In seguito poi, per purificare lo spirito e unirlo a sé, come dirò più avanti, Dio lo introduce nella notte spirituale. In questo modo l’anima, anche se non le sembra, ottiene così tanti vantaggi che ritiene sorte fortunata essere sfuggita ai lacci e alla presa dei sensi della parte inferiore attraverso questa notte, come recita il verso presente, oh, sorte fortunata! Al riguardo occorre sottolineare i vantaggi che l’anima ottiene in questa notte e a causa dei quali stima sorte fortunata l’averla attraversata. Ora, tutti questi vantaggi si trovano racchiusi nel verso seguente: uscii, né fui notata.

4. Uscii qui si riferisce all’anima che si libera dall’asservimento in cui la teneva la parte sensitiva, costringendola a cercare Dio attraverso mezzi così deboli, limitati e pericolosi come quelli della parte inferiore. Ad ogni passo, infatti, cadeva in mille imperfezioni o ignoranze, come si è notato sopra parlando dei sette vizi capitali. Ma essa se ne libera, quando questa notte spegne tutte le soddisfazioni spirituali e terrene, immerge nelle tenebre tutti i suoi ragionamenti e le procura molti altri beni, arricchendola di virtù, come dirò subito. Sarà piacevole e molto consolante, per chi cammina su questa strada, constatare che ciò che sembrava all’anima così duro, amaro e contrario ai suoi gusti spirituali, sia divenuto la sorgente di tanti beni. Ora, torno a ripetere, l’anima ottiene questi beni quando, con il favore della notte, si allontana effettivamente ed effettivamente da tutte le cose create e si eleva verso i beni eterni. Ciò costituisce una felice e fortunata sorte per l’anima: prima di tutto perché è una grande vittoria aver spento le passione e gli affetti che la inclinavano alle cose create; in secondo luogo, perché sono pochissimi coloro che soffrono e perseverano nel passare per questa porta stretta e seguire la via angusta che conduce alla vita (Mt 7,14), come dice il Signore. La porta stretta è la notte dei sensi, dei quali l’anima si spoglia e si libera per entrare in essa, appoggiandosi alla fede, che è estranea a ogni senso, per poi percorrere la via angusta, o l’altra notte, che è quella dello spirito. Successivamente, attraverso questa seconda notte, l’anima avanza verso Dio, sostenuta solo dalla fede, che è il mezzo con cui si unisce a Dio. Poiché questo cammino è molto stretto, oscuro e terribile – non c’è paragone tra questa notte dei sensi e l’oscurità e le angosce della seconda, come dirò a suo tempo – sono molto pochi quelli che lo percorrono, ma i suoi vantaggi sono incomparabilmente superiori a quelli della prima notte. Comincio dunque a parlare dei vantaggi della notte dei sensi, il più brevemente possibile, per poi passare alla notte dello spirito.

Capitolo 12

Ove si parla dei vantaggi procurati all’anima da questa notte.

1. La notte o purificazione degli appetiti è vantaggiosa per l’anima a motivo dei grandi beni e profitti che le procura, anche se, come ho detto, a lei sembri che glieli tolga. Come Abramo fece gran festa quando svezzò il figlio Isacco (Gn 21,8), così in cielo ci si rallegra quando Dio toglie un’anima dalle fasce, non la tiene più in braccio, ma la fa camminare sui suoi piedi. E ci si rallegra anche perché, togliendole il latte e il nutrimento delicato e dolce dei bambini, le dà a mangiare il pane con la crosta e fa sì che vi prenda gusto. In quest’aridità e notte dei sensi comincia a essere offerto il cibo dei forti allo spirito libero e distaccato da ogni consolazione sensibile. Questo pane è la contemplazione infusa, di cui ho parlato.

2. Il primo e principale vantaggio, procurato all’anima da quest’arida e oscura notte di contemplazione, è la conoscenza di sé e della propria miseria. È vero che tutte le grazie da Dio concesse all’anima abitualmente sono accompagnate da questa conoscenza; ma è altrettanto vero che l’aridità e il vuoto delle potenze comparati all’abbondanza di cui esse godevano in passato, insieme alla difficoltà che l’anima prova nel compiere il bene, le fanno scoprire in sé una grettezza e una miseria che non riusciva a vedere al tempo della sua prosperità. Nel libro dell’Esodo (cfr. 33,5) si può trovare un’ottima esemplificazione di tale situazione. Vi si legge che, volendo Dio umiliare i figli d’Israele e insegnar loro a conoscere se stessi, ordinò che deponessero l’abito e gli ornamenti festivi, che ordinariamente indossavano nel deserto, dicendo loro: «D’ora in poi deponete gli ornamenti festivi e indossate abiti comuni da lavoro, perché conosciate il trattamento che meritate». Tale espressione vuol dire questo: il vestito che indossate è un abito di festa e d’allegria; per voi è occasione di non ritenervi tanto umili quanto invece siete; toglietevi dunque queste vesti, perché d’ora in poi, vedendovi ricoperti di abiti dimessi, sappiate che non meritate di più e chi siete in realtà. Questo esempio mostra all’anima la realtà della propria miseria che prima ignorava, cioè quando era in festa e trovava in Dio molta gioia, consolazione e sostegno; si sentiva più soddisfatta e contenta; le sembrava di servirlo in qualcosa. Sebbene non nutrisse in sé espressamente questi sentimenti, tuttavia era portata, attraverso la soddisfazione che provava, alla gioia. Al contrario, ora che ha indossato l’abito da lavoro ed è nell’aridità e nell’abbandono e le luci di una volta si sono spente, possiede molto più verosimilmente questa virtù così eccellente e tanto necessaria della conoscenza di sé e si ritiene ormai un niente e non prova alcuna soddisfazione di sé: vede che da sola non fa e non può fare nulla. Ora, Dio stima di più la scarsa soddisfazione di sé e la desolazione in cui l’anima si trova per l’incapacità di servirlo, che non tutte le sue opere e tutte le gioie che sentiva prima, per quanto elevate fossero. In queste cose, infatti, vi era il pericolo di molte imperfezioni e di molta ignoranza. Al presente, invece, da quest’aridità, che è come un abito per l’anima, derivano non solo i beni di cui si è parlato, ma altresì i vantaggi di cui sto per trattare e molti altri che passerò sotto silenzio. Tutti questi beni nascono dalla conoscenza di sé come da loro fonte originaria.

3. Anzitutto, sorgono nell’anima maggior rispetto e affabilità nei suoi rapporti con Dio, condizioni richieste quando ci si avvicina all’Altissimo. Ora, qui l’anima trova ciò che non faceva quando godeva a iosa dei gusti spirituali e delle consolazioni. Questo favore dei gusti le suggeriva nei confronti di Dio più audacia di quanto non convenisse, meno rispetto e poca soggezione verso il Signore. Ciò è quanto accadde a Mosè quando si accorse che Dio gli parlava. Travolto dalla gioia e dal suo ardente desiderio, non pensava ad altro che ad avvicinarsi a Dio, se questi non gli avesse ordinato di fermarsi e di togliersi i calzari. Questo dice il rispetto, la discrezione e la povertà di spirito con cui si deve trattare con Dio. Così, dopo aver obbedito, Mosè divenne tanto prudente e discreto che, come dice la Scrittura, non solo non osava avvicinarsi, ma nemmeno guardare (Es 3,2-6; At 7,32); infatti, solo dopo aver tolto i calzari, cioè aver mortificato gli appetiti e i gusti, conobbe profondamente la sua miseria di fronte a Dio, cosa necessaria per ascoltare la parola di Dio. Tale è altresì la disposizione interiore che Dio concesse a Giobbe per parlare con lui. Non quando godeva le delizie e la gloria che era solito avere da Dio, di cui lo stesso Giobbe ci parla (Gb 1,1-8), ma quando fu posto tutto nudo sul letamaio, abbandonato e persino tormentato dai suoi amici, colmo di angoscia e di amarezza, ricoperto di vermi, sulla nuda terra (Gb 29-30), solo allora colui che solleva l’indigente dalla polvere (Sal 112,7), il Dio altissimo, si degnò di scendere e parlare con lui faccia a faccia, mostrandogli le profondità incommensurabili della sua sapienza, come non aveva mai fatto nel tempo della sua prosperità (Gb 38-42).

4. È opportuno ricordare qui anche un altro prezioso vantaggio che proviene da questa notte o aridità della parte sensitiva, perché è arrivato il momento di parlarne. In questa notte si verifica ciò che dice il profeta: Brillerà fra le tenebre la tua luce (Is 58,10). Dio illumina l’anima, e questa non solo conosce la sua grettezza e la sua miseria, come ho detto, ma altresì la grandezza e l’eccellenza di Dio. Spenti infatti gli appetiti, i gusti e gli attaccamenti sensibili, l’intelletto ha acquistato la purezza e la libertà necessaria per comprendere la verità. I gusti sensibili e gli appetiti, anche per cose spirituali, offuscano e ingombrano lo spirito; mentre, al contrario, l’angustia e l’aridità dei sensi illuminano e vivificano l’intelletto, come dice Isaia: solo il terrore fa capire il discorso (Is 28,19). Quando l’anima è distaccata e libera come le occorre per rendersi disponibile all’influsso divino, passa attraverso la notte oscura e arida della contemplazione, e Dio, come ho detto, nella sua divina saggezza la istruisce soprannaturalmente, cosa che non faceva quando l’anima gustava le gioie e le soddisfazioni di una volta.

5. Ciò è quanto ci fa capire chiaramente lo stesso lo profeta Isaia quando riferisce: A chi vuole insegnare la scienza? A chi vuole spiegare il discorso? Ai bambini divezzati, appena staccati dal seno? (Is 28,9). Queste parole ci fanno comprendere che la disposizione necessaria per ricevere le comunicazioni divine non è il primo latte della soavità spirituale, né il sostegno dei saporosi discorsi delle facoltà sensitive, già gustati dall’anima, ma la mancanza dell’uno e il distacco dall’altro. Per ascoltare Dio, infatti, l’anima deve stare all’erta e distaccata da ogni affetto e dai sensi, come dice il profeta: Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza (Ab 2,1), cioè staccato dagli appetiti, a spiare e non a discorrere con i sensi per vedere che cosa mi dirà, cioè per sapere che messaggio mi viene da Dio. Dobbiamo, quindi, sapere che da questa notte arida deriva anzitutto conoscenza di sé e questa a sua volta è il fondamento della conoscenza di Dio. Per questo sant’Agostino prega così: Fa’, o Signore, che io mi conosca e ti conosca! E i filosofi aggiungono che un termine si conosce meglio confrontandolo con il suo contrario.

6. Per meglio provare l’efficacia della notte dei sensi che, attraverso le aridità e il distacco attira sull’anima la luce divina, riporto un testo di Davide. Il salmista fa chiaramente capire il valore di questa notte in vista della conoscenza profonda di Dio con le seguenti parole: Come terra deserta, arida, senz’acqua, così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria (Sal 62,3). È sorprendente: Davide ci fa capire che le delizie spirituali e le abbondanti soavità che aveva provato non gli erano servite per conoscere la gloria di Dio; era invece riuscito nell’intento passando per le aridità e l’abbandono della parte sensitiva, rappresentata qui dalla terra arida e deserta. Inoltre egli dice che neanche i concetti e i discorsi celesti, di cui si era frequentemente servito, erano stati per lui una via per conoscere e contemplare la gloria di Dio. Al contrario, un mezzo adatto a tale scopo erano stati l’incapacità di fissare il suo pensiero in Dio, come pure l’impotenza a procedere con il ragionamento e le considerazioni dell’immaginazione, qui significata dalla terra senza una strada. Pertanto il mezzo che abbiamo per conoscere Dio e noi stessi è la notte oscura con le sue aridità e il suo deserto. Ma la pienezza e l’abbondanza di tale conoscenza si avranno solamente nella notte dello spirito: questa prima conoscenza non è che l’inizio dell’altra.

7. Dall’aridità o deserto della notte dei sensi l’anima ricava anche l’umiltà di spirito, virtù contraria al primo vizio capitale, cioè la superbia spirituale, di cui si è parlato in precedenza. Quest’umiltà, che proviene dalla conoscenza di sé, purifica l’anima da tutte le imperfezioni d’orgoglio in cui cadeva al tempo della sua prosperità. Vedendosi, infatti, tanto arida e miserabile, non pensa, come faceva prima, nemmeno con moto istintivo, di essere migliore degli altri o di superarli in qualcosa; al contrario, riconosce che gli altri le sono superiori.

8. Questa considerazione genera bell’anima l’amore del prossimo, perché stima gli altri e non li giudica come era solita fare prima, quando era piena di fervore e gli altri no. Ora considera solo la propria miseria e la tiene davanti agli occhi, tanto che questo pensiero non le consente di guardare i difetti altrui. Ciò è quanto Davide, attraversando questa notte oscura, afferma stupendamente in questi termini: Sono rimasto quieto, in silenzio; tacevo privo di bene, la sua fortuna ha esasperato il mio dolore (Sal 38,3). Si esprime così, perché gli sembra che i beni della sua anima siano talmente finiti che non solo non può dirne nulla e non trova il modo di parlarne, ma la conoscenza della propria miseria lo rende muto di dolore soprattutto se guarda alla virtù degli altri.

9. Durante questa notte le anime diventano anche sottomesse e obbedienti nel cammino spirituale. Vedendosi così piene di miseria, non solo ascoltano quanto viene loro insegnato, ma desiderano altresì che chiunque dia loro consigli e avvisi su quanto devono fare. Perdono quella presunzione affettiva che a volte avevano nella prosperità. Infine, andando avanti, si spogliano di tutte le imperfezioni che ho ricordato qui e che derivano dal primo vizio, cioè dalla superbia spirituale.

CAPITOLO 13

1. In questa notte arida e oscura l’anima si libera anche dalle imperfezioni che provengono dall’avarizia spirituale. Essa bramava ora questo ora quell’altro bene spirituale; non si sentiva mai soddisfatta di alcuni esercizi di pietà, a motivo del desiderio delle dolcezze e delle soddisfazioni che trovava in essi. Ora, invece, in questa notte arida e oscura è completamente trasformata. Non trovandovi più le gioie e i piaceri di prima, ma piuttosto disgusto e fatica, pratica le sue devozioni con tanta calma che potrebbe forse peccare per difetto, laddove in passato peccava per eccesso. Ciò nonostante, l’anima che è introdotta in questa notte riceve abitualmente da Dio umiltà e spirito di prontezza, perché compia solo per amore e senza consolazioni quanto Dio le comanda. Così essa si distacca da molte imperfezioni, nelle quali in passato trovava le sue compiacenze.

2. Va aggiunto, altresì, che le aridità e il disgusto della parte sensitiva, che l’anima prova nelle pratiche di pietà, la liberano da quelle impurità di cui si parlava a proposito della lussuria spirituale; dicevo, infatti, che queste miserie comunemente derivano dalle compiacenze che dallo spirito si riversano sui sensi.

3. Delle imperfezioni relative alla gola spirituale, quarto vizio capitale, di cui l’anima si purifica in questa notte, se n’è parlato a suo tempo, anche se non sono state elencate tutte perché innumerevoli. Non ne parlerò, dunque, qui, perché vorrei concludere con questa notte per passare all’altra, circa la quale ho da esporre importanti insegnamenti e una dottrina profonda. Per farsi un’idea degli innumerevoli vantaggi che, oltre a quelli già elencati, l’anima ottiene in questa notte contro il vizio della gola spirituali, basti dire che si libera da tutte le imperfezioni che ho elencato e da molti altri gravi danni e vizi detestabili di cui non ho detto nulla. In tali imperfezioni sono cadute molte persone, di cui ho avuto esperienza, perché non hanno corretto il vizio della gola spirituale. Infatti Dio, in quest’arida e oscura notte in cui introduce l’anima, tiene a freno la sua concupiscenza e i suoi appetiti, di modo che essa non può cibarsi di alcun gusto o piacere sensibile per cose celesti o terrene. Così l’anima prosegue in questo cammino in modo da rimanere sottomessa, trasformata e mortificata nella concupiscenza e negli appetiti. Le sue passioni e la sua concupiscenza hanno perso la loro forza, mentre la loro attività, non essendo più alimentata dai piaceri precedenti, è ormai senza vigore, come quando i condotti delle mammelle s’inaridiscono perché non si spreme più il latte. Una volta soggiogate le passioni, l’anima, oltre ai vantaggi suddetti, ne acquista altri meravigliosi grazie a questa sobrietà spirituale. In verità, sedate le passioni e spenta la concupiscenza, l’anima vive nella pace e nella tranquillità spirituale, perché dove non regnano più le passioni e la concupiscenza non c’è più turbamento, ma solo la pace e le consolazioni divine.

4. Da ciò deriva un secondo vantaggio, ed è il sentimento abituale della presenza di Dio, accompagnato dal timore di tornare indietro, come ho detto, nel cammino spirituale. Il presente vantaggio è molto prezioso e certamente non il più piccolo in mezzo a quest’aridità e purificazione dei sensi, perché l’anima si purifica e si libera dalle imperfezioni che le si attaccano per mezzo delle passioni e degli affetti, che per loro natura la indeboliscono e la offuscano.

5. In questa notte c’è un altro vantaggio molto grande, ed è che l’anima si esercita contemporaneamente nella pratica di più virtù. Si esercita nella pazienza e nella longanimità, a motivo dell’abbandono e dell’aridità, quando occorre perseverare nelle pratiche di pietà senza cercare gusto o consolazione. Si esercita, altresì, nella carità verso Dio, perché non è mossa dal gusto piacevolmente attraente che trova nelle opere, ma solo da Dio. Allo stesso modo pratica anche la virtù della fortezza, perché nelle difficoltà e nei disgusti che contrastano la sua attività, prende forza dalla sua debolezza e diviene più energica. In breve, tutte le virtù teologali, cardinali e morali agiscono sia sul corpo che sullo spirito durante quest’aridità.

6. Questa notte, dunque, produce nell’anima i vantaggi che ho detto, cioè il diletto della pace, il ricordo abituale e attento di Dio, il candore e la purezza dell’anima e la pratica delle virtù. Ciò è quanto Davide ha sperimentato personalmente, trovandosi in questa notte. Ne parla nei termini seguenti: Io rifiuto ogni conforto; mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. E subito aggiunge: Un canto nella notte mi ritorna nel cuore; rifletto e il mio spirito si va interrogando su tutte le affezioni (Sal 76,3-4.7).

7. Per quanto riguarda le imperfezioni degli altri tre vizi spirituali di cui ho parlato, e che sono l’ira, l’invidia e l’accidia, in quest’aridità dell’appetito l’anima se ne purifica e acquisisce le virtù contrarie. Difatti, temperata e umiliata da queste aridità e difficoltà e da altre tentazioni e fatiche di questa notte in cui talvolta Dio la esercita, diventa mite con Dio e con se stessa e anche con il prossimo; così non si agita per le proprie mancanze, né per quelle altrui si irrita contro il prossimo, né si disgusta o si lamenta inopportunamente con Dio perché non la rende buona in fretta.

8. Contro ogni reale invidia, pratica la carità verso gli altri. E se prova qualche invidia, non si tratta di invidia viziosa come la precedente, quando soffriva perché altri le erano preferiti o erano più virtuosi di lei. Ora, invece, si dà per vinta, vedendosi tanto miserabile; e l’invidia che prova, se la prova, è virtuosa, perché desidera imitarli, e questa virtù è profonda.

9. Quanto all’accidia e al tedio che l’anima prova nelle cose spirituali, non sono viziosi come prima. Difatti, in passato, questi sentimenti provenivano dai gusti spirituali che a volte provava e che desiderava avere quando li provava; mentre ora questo tedio non procede dal gusto imperfetto, perché Dio le ha tolto tale gusto in rapporto a tutte le cose create in questa purificazione dei sensi.

10. Oltre a questi vantaggi appena elencati, ve ne sono innumerevoli altri che l’anima acquista attraverso quest’arida contemplazione. Difatti, in mezzo alle aridità e angustie, molte volte, quando meno se l’aspetta, Dio comunica all’anima soavità spirituale, amore purissimo e conoscenze spirituali, a volte molto elevate, ognuna delle quali è più vantaggiosa e preziosa di quelle gustate prima. Ma occorre dire che l’anima agli inizi non la pensa così, perché la comunicazione spirituale a lei accordata è elevata per natura, ragion per cui i sensi non possono percepirla.

11. In conclusione, a questo punto, più l’anima si purifica dagli affetti e dai desideri sensitivi, più acquista libertà di spirito, nella quale si sviluppano i dodici frutti dello Spirito Santo. In questo stato si libera straordinariamente dalle mani dei suoi tre nemici, che sono il mondo, il demonio e la carne; infatti, scomparendo il sapore e il gusto sensibile per le cose, né il demonio né il mondo né la sensualità hanno armi o forze contro lo spirito.

12. Queste aridità, dunque, fanno avanzare l’anima nella via del puro amore per Dio. Difatti essa non è più spinta ad agire perché influenzata dal gusto o dal sapore che provava nelle sue azioni, come forse faceva prima, ma solo per far piacere a Dio. Non è più arrogante né ammette soddisfazioni sul piano personale, come forse era abituata all’epoca della prosperità. Al contrario, è divenuta timorosa e sospettosa di sé e non cerca più soddisfazione in se stessa; insomma, vive nel santo timore di Dio, che conserva e accresce le virtù. L’aridità, inoltre, spegne anche le concupiscenze e gli slanci della natura, come ho detto; in questo stato, infatti, se Dio a volte non le concedesse qualche gioia, difficilmente l’anima potrebbe procurarsi con tutta la sua diligenza una gioia o un piacere sensibile nelle sue opere o pratiche di pietà, come ho già detto.

13. In questa notte arida cresce l’attenzione per Dio e l’ardente desiderio di servirlo. Inaridendosi la fonte della sensualità, che nutriva l’accattivante cupidigia, all’anima resta soltanto, nel distacco assoluto, un ardente desiderio di servire Dio. Tale sentimento è molto gradito a Dio, perché, come dice Davide, uno spirito contrito è sacrificio a Dio (Sal 50,19).

14. Poiché l’anima capisce che in quest’arida purificazione, che ha attraversato, ha ottenuto tanti e così preziosi vantaggi, come ho detto, non stupisce molto che nella strofa che sto spiegando esclami: Oh, sorte fortunata! Uscii, né fui notata, cioè mi liberai dai lacci e dalla soggezione in cui mi tenevano i miei appetiti sensibili e i miei affetti, senza essere notata, senza che i tre suddetti nemici me lo potessero impedire. Infatti sono gli appetiti e i vani piaceri che con i loro legami imprigionano l’anima e le impediscono di uscire da sé e di attingere nella libertà l’amore di Dio; ma privati dei legami, di cui sopra, essi non possono combattere l’anima.

15. Perciò, quando, attraverso una continua mortificazione, si sedano le quattro passioni dell’anima, che sono la gioia, il dolore, la speranza e il timore; quando si addormentano gli appetiti naturali della sensualità attraverso un’aridità costante, allora i sensi e le potenze interne si stabiliscono in un’armonia perfetta, perché cessano le loro operazioni discorsive che, come ho detto, costituiscono tutto il mondo interiore della parte sensitiva, che qui l’anima chiama sua casa: allora essa può dire: stando la mia casa al sonno abbandonata.

CAPITOLO 14

1. Quando la casa della sensualità è ormai acquietata, cioè mortificata, le sue passioni sedate, gli appetiti sopiti e addormentati, per mezzo della beata notte della purificazione dei sensi, allora l’anima è uscita. In realtà, essa comincia a percorrere la via dello spirito, che è quella dei proficienti o di coloro che sono già avanzati. Tale cammino si chiama anche via illuminativi o della contemplazione infusa. È qui dove Dio nutre l’anima di se stesso e la ristora, senza che essa vi contribuisca con i suoi ragionamenti o collaborazione alcuna. Questa è, come ho detto, la notte o purificazione dei sensi, una notte che non è attraversata da un gran numero di persone. Infatti sono pochi quelli che ordinariamente l’attraversano, per poi entrare nell’altra notte più terribile dello spirito fino a raggiungere l’unione d’amore con Dio. Di solito è accompagnata da terribili tribolazioni e tentazioni nei sensi. È una prova che dura a lungo, in alcuni più, in altri meno. Alcuni sono assaliti dall’angelo di Satana (2Cor 12,7), un vero e proprio spirito di fornicazione, che frusta i loro sensi con odiose e possenti tentazioni, oppure tormenta il loro spirito con brutti pensieri e la loro immaginazione con rappresentazioni molto vive nella fantasia, infliggendo loro maggior dolore della stessa morte.

2. A volte coloro che attraversano questa notte sono tentati dallo spirito di bestemmia: tutti i loro pensieri e concetti sono attraversati da esecrande parole blasfeme. Anzi molte volte vengono suggerite all’immaginazione con tanta forza da indurli quasi a pronunciarle, procurando loro grande tormento.

3. Altre volte essi vengono assaliti da un altro detestabile spirito che Isaia chiama spiritus vertiginis, spirito di smarrimento (Is 19,14). Tale spirito mira non tanto a farli peccare, quanto a metterli alla prova. Questo spirito offusca talmente i loro sensi da riempirli di mille scrupoli e perplessità tanto intricate per il loro animo che non si sentono soddisfatti di niente né sono capaci, secondo il loro giudizio, di seguire il consiglio e i suggerimenti di altri. Ciò costituisce uno dei più gravi tormenti e orrori di questa notte, molto simile a quanto avverrà nella notte dello spirito.

4. Di solito Dio invia simili tempeste e prove in questa notte e purificazione sensitiva a coloro che, come dico, deve introdurre più tardi nell’altra notte, anche se non tutti vi arrivano. Quando sono provati e tartassati in questo modo, essi si esercitano, si preparano e adattano i loro sensi e le loro facoltà all’unione con la Sapienza, ove saranno accolti in quella notte. Se l’anima non è tentata, esercitata e messa alla prova con pene e sofferenze, non può affinare i suoi sensi per accogliere la sapienza. Per questo l’Ecclesiastico dice: Chi non è stato tentato, che sa mai? Chi non ha subito prove, conosce poco (Sir 34,11 e 10). Di questa verità rende testimonianza anche Geremia quando afferma: Tu mi hai castigato e io ho imparato (Ger 31,18). Ora, la correzione più sicura per introdurre l’anima nella sapienza divina è data dalle prove interiori di cui sto parlando. Sono proprio quelle più dure a purificare i sensi da tutte le soddisfazioni e consolazioni a cui erano attaccati per naturale debolezza. Se a questo punto l’anima è veramente umiliata, lo è in vista dell’esaltazione cui è destinata.

5. Non si può dire con esattezza quanto tempo l’anima trascorra in questo digiuno e penitenza dei sensi, perché non tutti subiscono le stesse tentazioni né alla stessa maniera. Ciò dipende dalla volontà di Dio. Questi, in base alle maggiore o minore imperfezione che dev’essere purificata in ciascun’anima, come pure in base al grado d’amore unitivo al quale intende elevarla, la umilierà più o meno intensamente o più o meno a lungo. Nondimeno, la purificazione di coloro che sono più forti e più capaci di sopportare la sofferenza è più intensa e più rapida. Al contrario, i più deboli sono molto meno provati e tentati, ma restano più a lungo in questa notte. Di solito il Signore concede loro qualche consolazione sensibile, perché non tornino indietro. In questo modo essi arrivano tardi alla purezza perfetta in questa vita, anzi alcuni non vi arrivano affatto, perché non sono completamente immersi in questa notte né sono fuori di essa. Sebbene non procedano oltre, tuttavia, perché si mantengano nell’umiltà e nella conoscenza di sé, Dio li esercita per qualche tempo o per qualche giorno in quelle tentazioni e aridità; di tanto in tanto li sostiene con alcune consolazioni, perché non perdano coraggio e non tornino a cercare i piaceri del mondo. Con altre anime ancora più deboli Dio si comporta ora mostrandosi e ora nascondendosi per esercitarle nel suo amore, perché senza tali assenze non imparerebbero mai ad avvicinarsi a lui.

6. Quanto alle anime che devono arrivare al beato e sublime stato dell’unione d’amore, per quanto presto Dio ve le conduca, di solito restano molto a lungo nelle aridità e nelle prove, come dimostra l’esperienza. Ma ora è il momento di cominciare a parlare della seconda notte.