Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

DIFENDERE LA VERA FEDE

Domande su Maria, sulle apparizioni e sulla corretta MARIOLOGIA

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    Caterina63
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    00 25/09/2009 16:57
    Amici lettori

    www.stpauls.it/madre/0802md/0802md02.htm

    Maria come arca della nuova alleanza

    ** Caro direttore, sono da anni una lettrice affezionata alla sua rivista e la fiducia che nutro nel suo umile ma necessario servizio dato alla Chiesa mi spinge a domandarle un chiarimento in merito alla figura della Beata Vergine. Mi capita spesso di ascoltare Radio Maria: non molto tempo fa un mariologo invitato come ospite in una delle sue trasmissioni ha più volte fatto riferimento a Maria come "Arca della nuova alleanza" sottolineando alcuni parallelismi tra l’Antico Testamento e il Nuovo che ne attesterebbero le ragioni. Potrebbe spendere qualche parola di più su questo? La ringrazio.

    Maria Luisa
    insegnante di Campi Salentina (Lecce)


    [SM=g1740750]

    In effetti le tradizioni anticotestamentarie sull’arca dell’alleanza trovano una singolare convergenza in Maria. Soprattutto l’evangelista Luca ci guida in questa rilettura mariana del simbolismo connesso all’arca. A titolo di esempio citerò due accostamenti significativi.

    Il primo è tra l’episodio di Esodo 40,34-35 («…la nube adombrava la tenda del convegno e la gloria del Signore riempiva la dimora») e l’episodio dell’Annunciazione in Luca 1,35, in cui è riportato che la nube dello Spirito verrà a posarsi su Maria e come effetto di questo essere "adombrata" il grembo della Vergine sarà riempito della presenza di un essere divino: il Figlio di Dio.

    Il secondo è tra un episodio del secondo libro di Samuele (2 Sam 6,1-2), dove si racconta del trasferimento dell’arca dell’alleanza da Baalà di Giuda a Gerusalemme per ordine di Davide, e la visita di Maria ad Elisabetta (Lc 1,39). Ecco alcune somiglianze tra le due narrazioni: 1) entrambi gli episodi hanno luogo nella regione di Giuda; 2) ambedue i viaggi sono caratterizzati da una manifestazione di gioia: del popolo e di Davide, che danza davanti all’arca, e di Elisabetta e di Giovanni Battista, che "sussulta" (lett. "saltella") nel seno materno; 3) Davide esclama «Come potrà venire da me l’arca del Signore?», ed Eisabetta «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?». Colpisce nei due testi il parallelismo tra «arca del Signore» e «madre del mio Signore»; 4) l’arca rimase in casa di Obed Edom tre mesi e Maria si trattenne presso Elisabetta circa tre mesi.

    Da questo rapido confronto si può concludere che con il suo "si" all’annuncio di Dio Maria accoglie la proposta dell’alleanza nuova che il Signore le rivela mediante l’angelo. Chiaramente con Gesù nel suo grembo Maria appare come l’arca dove riposa il Dio fatto uomo.


    Davide suona e danza davanti all’arca santa, miniatura da un Salterio (XI sec.).
    A questa scena allude Luca (1,44) quando scrive che, al saluto di Maria, Giovanni "saltellò" nel grembo di Elisabetta.



    Le apparizioni di Kibeho

    ** Su Madre di Dio sono state pubblicate in questi anni le storie di molti santuari. Ultimamente quelli delle diverse nazioni europee. Ringrazio vivamente il curatore, mi sembra Bruno Simonetto, per averci dato una panoramica così ricca anche di immagini e di foto di santuari. Avete dato ampio spazio ai 90 anni delle apparizioni di Fatima e, ora, ai 150 di Lourdes. Avete parlato della Madonna in America: Aparecida, Guadalupe. Anche dell’India. Ma dell’Africa niente. Come mai?

    Alessio Bertani


    [SM=g1740750]

    La ringraziamo, caro lettore, per l’attenzione e l’apprezzamento. Oltre ai santuari europei abbiamo dato risalto a quelli mondiali più noti e frequentati, come anche alle apparizioni (Fatima, Lourdes, Guadalupe). Dell’Africa abbiamo parlato ricordando l’Egitto, l’Etiopia e la presenza cristiana nei secoli. Ma anche di Notre Dame de la Paix, il "San Pietro" (è quasi uguale) della Costa d’Avorio, consacrato nel 1990 da Giovanni Paolo II. Luogo di pellegrinaggi soprattutto dall’Africa occidentale francofona. Ma abbiamo ospitato in passato lunghi articoli anche sulle apparizioni di Kibeho, le uniche ufficialmente riconosciute dall’autorità ecclesiastica in Africa.

    Kibeho è un villaggio del Ruanda (repubblica a ridosso dello Zaire e del Burundi). Questa nazione di soli 26.000 kilometri quadrati, grande quindi poco più della Sicilia, è stata teatro di terribili lotte tribali tra popolazioni tutsi e hutu alla fine degli anni ’80. La Vergine vi è apparsa come la Madre dei dolori. Tragica profezia di quanto sarebbe accaduto anni dopo. Apparve nel novembre di venticinque anni fa (1982). Le tre ragazze veggenti (Alphonsine di 17 anni, Nathalie di 20, Marie-Claire di 21) testimoniarono la tenerezza della Vergine, che invitava alla preghiera per la pace e la concordia.


    [SM=g1740750]

    Perché non esiste una festa a Maria Madre della Chiesa?

    ** Come mai tra le tante ricorrenze nelle quali lungo l’anno liturgico celebriamo la Vergine Maria non è presente quella di Madre della Chiesa? Grazie.

    Anastasia (Modena)


    Cara Anastasia, credo che alla tua domanda si possa rispondere semplicemente che non ne è stato riscontrato il bisogno, dal momento che il primo gennaio di ogni anno, festeggiando Maria Madre di Dio, la ricordiamo di fatto anche come Madre della Chiesa.

    Nel bel capitolo conclusivo della Constituzione conciliare sulla Chiesa, la Lumen gentium, dedicato alla Vergine Maria, infatti leggiamo: «Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (Gv 19,25), soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al suo sacrificio, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: "Donna, ecco tuo figlio" (Gv 19, 26-27)» (n. 58).

    Queste linee di grande intensità sono l’eco di una lunga tradizione autenticata dal Magistero. La Madre del Figlio di Dio fatto uomo è consacrata, sotto la croce, Madre del suo corpo che è la Chiesa. Sarà proclamata Madre della Chiesa da Paolo VI. Questo titolo illumina il senso dell’«intima unione» di Maria con la Chiesa, dove occupa, «in modo eminente e singolare» il «primo posto» (cf n. 63). È nella sua persona che la Chiesa ha già raggiunto quella perfezione che la rende senza macchia e senza ruga (cf Ef 5,27). Della Chiesa Maria è il modello (typus). Due sono le cose da ritenere: Maria non è fuori dalla Chiesa, dal momento che è il suo membro eminente ed esemplare; ella esercita sulla Chiesa una funzione materna. Il mistero della Chiesa e il mistero di Maria s’includono e s’illuminano reciprocamente.

    [SM=g1740750]


    Perché Pio XII non andò a Lourdes?

    Papa Pio XII ritratto nel suo studio. Aveva progettato di presenziare a Lourdes
    per il centenario delle apparizioni, nel 1958, ma ne fu impedito dalla malattia.


    ** Caro direttore, leggendo la storia della Chiesa negli anni prima e dopo il Concilio, ho notato che il primo Papa a recarsi "fuori" Roma dopo Pio IX (1792-1878) è stato Giovanni XXIII, che si è recato a Loreto e ad Assisi alla vigilia del Vaticano II. Ma per i viaggi all’estero bisogna attendere Paolo VI, col suo pellegrinaggio in Terra Santa. Paolo VI andò anche a Fatima nel 1967 per il 50o delle apparizioni. Mi sono chiesto perché non a Lourdes.

    Gian Mario Biazzini



    La cosa non è risaputa, ma a Lourdes voleva andarci Pio XII nel 1958 (per i cento anni delle apparizioni), un mese prima della morte. Lo sostituì di fatto il patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII. Così ne parla lo storico di Lourdes, René Laurentin: «Pio XII s’era proposto di intervenire in aereo nel giorno dell’Assunta per celebrare la messa in occasione del pellegrinaggio dell’Azione Cattolica Operaia. Il progetto del Papa era tenuto segreto [...]. La vigilia della solennità i pochissimi che ne erano al corrente seppero che l’archiatra dott. Galeazzi non poteva permettere lo spostamento all’augusto malato; un mese dopo papa Pacelli moriva» (citato in Nuovo dizionario di mariologia, alla voce "Lourdes", p. 796).


    [SM=g1740734] Auguri dalla Terra santaMaria come arca della nuova alleanza

    ** Buon Natale e felice anno 2008! Grazie della vostra bellissima rivista mariana che ricevo ogni mese. Maria entra nella mia povera casa e la abbellisce con il suo fascino e il suo splendore. Madre di Dio è un miracolo straordinario! Con affetto.

    Salim Giacaman
    (Nazareth)


    È una sorpresa veramente inaspettata anche per noi della redazione questa cartolina da un lettore che scrive addirittura da Nazareth. Non sapevamo, a dire il vero, di avere lettori originari della terra di Gesù. È una gioia anche per noi! Ricambiamo con pari affetto e gratitudine gli auguri anche a te, caro Salim, e ai tuoi cari! Ricordaci nelle tue preghiere alla Santa Vergine, che immaginiamo essere felicissima del tuo entusiasmo e della tua particolare devozione.

    [SM=g1740750]

    Culto a Dio, alla Madonna, ai santi: quale differenza?

    ** Gentile direttore, qualche tempo fa, un sacerdote ospite del parroco, venuto a celebrare in parrocchia, durante l’omelia, ha puntualizzato (senza però approfondire) come il culto che dobbiamo alla Madonna è particolare e si distingue da quello a Dio e da quello ai santi. Sono anziana ma ancora piena d’interessi e di curiosità… potrebbe spiegarmi meglio questa differenza ? Grazie.

    Lodovica
    (Arezzo)


    Tradizionalmente il culto religioso si differenzia secondo una gerarchia di valori ben precisa. Tale differenziazione è stata espressa con la triplice distinzione di: a) latria, o vera adorazione, dovuta a Dio solo, al Verbo incarnato e allo Spirito Santo; b) dulia, o semplice venerazione, dovuta ai santi in quanto amici, immagini e manifestazioni di Dio, che vengono riveriti, amati e invocati in riferimento a Dio; c) iperdulia, o venerazione speciale, dovuta a Maria per la sua singolarità di Madre del Verbo incarnato e di sua cooperatrice specialissima nella redenzione, per cui la si onora con un particolare sentimento di riverenza, di fiducia e di amore, a lei si ricorre, in lei si confida, in quanto Madre di Gesù e Madre nostra. Il culto dovuto a Maria supera dunque quello dovuto a qualsiasi altra creatura, fino al più sublime dei serafini. Ella è infatti Regina anche degli angeli.

    Il Concilio afferma chiaramente questa verità: «Maria, perché Madre santissima di Dio, presente ai misteri di Cristo, per grazia di Dio esaltata, al di sotto del Figlio, sopra tutti gli angeli e gli uomini, viene dalla Chiesa giustamente onorata con un culto speciale [...]. Questo culto, quale sempre è esistito nella Chiesa sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione prestato al Verbo incarnato così come al Padre e allo Spirito Santo» (Lumen gentium 66). Viene così fissato dal Concilio il senso teologico del culto mariano, come risultato dell’insegnamento mariologico precedente: culto di «iperdulia» (anche se il Concilio non fa uso di questo termine) verso la creatura più vicina a Dio, eletta fra tutte a essere la Madre e la cooperatrice singolare del Verbo incarnato; ma viene anche aperta la via a una considerazione più ampia, cosa che farà Paolo VI nella Marialis cultus (1974).

    [SM=g1740750]

    Le origini dell’Angelus

    ** Caro direttore, sono un giovane catechista impegnato da qualche anno nella mia parrocchia. Qualche giorno fa uno dei miei ragazzi, fra i più svegli, mi ha chiesto quale sia l’origine della preghiera dell’Angelus che sente recitare dal Papa ogni domenica dalla sua finestra su piazza San Pietro. Potrebbe aiutarmi a dare una risposta? Grazie.

    Leopoldo
    (Monza)

    La preghiera dell’Angelus nasce dalla devozione al mistero dell’incarnazione del Verbo nel seno di Maria e ha la sua gestazione fin dal primo Medioevo, quando, al suono della campana del "coprifuoco", si usava fare una genuflessione in ricordo dell’incarnazione pronunciando le parole: «Verbum caro factum est». Nel basso Medioevo (e anche prima) si introdusse nei monasteri l’usanza di un ossequio alla Vergine dopo compieta, all’imbrunire: generalmente il canto di un’antifona mariana. In questo contesto si inserì, con una forza originale che proveniva dalla Terra santa, un’elaborazione francescana della pratica di salutare la Vergine, sempre al tramonto, con apposite preghiere che rievocavano l’annuncio dell’angelo e il mistero dell’incarnazione.

    Questa pratica si consolidò quando nel 1349 i francescani ebbero a custodire il luogo dell’incarnazione a Nazaret; si estese poi anche nei conventi italiani con l’appoggio zelante di san Bonaventura.

    Il capitolo generale di Pisa, dei francescani, stabilì che nella predicazione i fedeli fossero esortati a salutare la Vergine Maria al suono di compieta. Nel capitolo provinciale di Padova del 1295 si dispose che in ogni convento si suonasse tre volte a breve intervallo la campana, mentre i religiosi in ginocchio salutavano la Vergine santissima per tre volte. Nel secolo successivo l’usanza fu estesa anche al mattino e a mezzogiorno.

    Giovanni XXII (1334) convalidò per la Chiesa l’uso di recitare tre Ave Maria al suono delle campane nell’ora del tramonto e al mattino. Callisto III (1458), introducendo il suono delle campane a mezzogiorno, estese a quell’ora la recita della salutazione. L’ossequio mariano, che era stato promosso dal contatto vivo con la Terra santa, trovò poi, dal secolo XVII, la sua formulazione attuale e la sua affermazione universale.


    Il Direttore


    Cari amici lettori, in occasione del trasferimento della redazione di Madre di Dio ad Alba, vi ricordiamo che potete inviare le vostre lettere, con le domande relative a Maria e più in generale alla nostra vita di fede, al seguente indirizzo: Redazione Madre di Dio – Piazza San Paolo 12 – 12051 Alba (Cn), o al seguente indirizzo e-mail: mdd@stpauls.it


    Per la storia dell'Angelus, leggasi anche qui:
    difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...

    [SM=g1740722]

    [Modificato da Caterina63 25/09/2009 17:38]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 25/09/2009 17:17
    Con Maria nel nuovo millennio

    di padre STEFANO DE FIORES monfortiano

    Fatima, un Dio che castiga?


    La teologia odierna supera alcuni elementi correnti della devozione popolare e interpreta alcuni dati dell’evento Fatima precisando il comportamento di Dio ispirato alla misericordia e rispettoso della libertà umana, anche se questa decide per la separazione definitiva da lui che è l’inferno.


    Oggi la teologia ha definitivamente appurato come l’idea di un Dio che si placherebbe con la sofferenza espiatrice, oltre ad essere rifutata da tanti nostri contemporanei, è ben lontana dall’immagine di Dio rivelata nella Bibbia, soprattutto nel Nuovo Testamento. Il Dio che a Israele si mostrava «pieno di compassione» e «grande nell’amore» (Sal 145,8-9), «misericordioso e pietoso» (Es 34,6), «manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù Cristo» (Rm 3,26). Qui la giustizia non ha nulla a che fare con il castigo, perché significa che Dio «accoglie favorevolmente e mette nella giusta relazione con sé» – come traduce la Bibbia in lingua corrente (traduzione interconfessionale) – coloro che credono in Cristo, per quanto peccatori siano stati.

    Questa infatti è la lieta notizia: Dio si prende cura dell’empio e offre a tutti (non solo alle persone devote) di entrare in relazione d’amore con lui. E la parabola del Figlio prodigo (Lc 15,11-32) è quanto mai rivelativa del vero volto di Dio, che non castiga né rimprovera il figlio che ritorna alla casa paterna, ma lo avvolge di affetto e di gioia incontenibile.

    La croce pertanto non è il momento della "soddisfazione" di un Dio vendicativo, ma «la sublime rivelazione del senso della giustizia divina, la suprema teofania del suo entrare in relazione con noi totalmente, condividendo la vita umana fino alla sua fine, anche se tragica»! Solo che dinanzi alla sua morte, Gesù non chiede interventi miracolosi, né fugge, ma l’affronta e la trasforma in offerta di amore, in dolore salvifico e in spazio di redenzione a favore dell’umanità. Egli mostra così che il sacrificio non consiste nell’uccidere o distruggere, ma nell’offrirsi totalmente a Dio per riconoscere la sua sovranità di amore.

    ***************************************************************

    **** ATTENZIONE ****

    [SM=g1740733] PER NON STORPIARE LE PAROLE DI PADRE DE FIORES:


    esse vanno lette nell'ortodossia, restando fedeli a quanto dice il Catechismo : nn. 599-623. ...
    in particolare:
    602. San Pietro può, di conseguenza, formulare così la fede apostolica nel disegno divino della salvezza: " Foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri [...] con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato, già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi" (1 Pt 1,18-20). I peccati degli uomini, conseguenti al peccato originale, sono sanzionati dalla morte.(a) (1) Inviando il suo proprio Figlio nella condizione di servo,(b) quella di una umanità decaduta e votata alla morte a causa del peccato,(c) (2) " colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio " (2 Cor 5,21).

    Dice ancora il CCC citando Trento: Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre se stesso in espiazione, mentre porta il peccato di molti, e li giustifica addossandosi la loro iniquità.Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati. (n.615)... [SM=g1740733]

    *******************************************



    Dio e l’inferno

    Quanto all’inferno, la teologia riconosce che è difficile parlarne, perché è una realtà che non si trova nella dimensione del tempo, ma nell’aldilà trascendente ed eterno. Per forza si è costretti a ricorrere ai simboli, come fa lo stesso Gesù che sottolinea la perdita o lontananza da Dio («Via, lontano da me, maledetti nel fuoco eterno…», Mt 25,41), e preannuncia anche un tormento concreto, descritto con simbolismo contrastante: «fornace ardente» e «fuoco eterno», «tenebre esteriori», «pianto e stridor di denti» (Mt 13,42; 10,28).

    Il Catechismo della Chiesa cattolica ribadisce che «la pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio» e che l’insegnamento sull’inferno costituisce «un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare della propria libertà in vista del proprio destino eterno» (nn. 1935-36).

    La teologia a sua volta precisa che quanto la Scrittura dice dell’inferno «è da leggere, secondo il carattere escatologico del discorso, non come un reportage anticipatorio [...], bensì come svelamento della situazione nella quale l’uomo è veramente». Cioè, l’inferno è un invito pressante agli esseri umani perché regolino la propria vita e compiano le proprie scelte con estrema serietà, poiché si trovano di fronte alla reale possibilità della rovina eterna.

    Andare oltre, specificando il numero dei dannati e il tipo di pena, come vorrebbe una legittima curiosità, non è possibile per la teologia, perché i vangeli si rifiutano di rispondere a queste domande, né è consentito supplire con altre informazioni su un mondo che è al di fuori dello spazio e del tempo. Non sono pertanto da prendere in considerazione quei teologi per i quali l’inferno è vuoto, né quelli che lo vedono pieno zeppo di dannati. La rivelazione non entra in queste determinazioni. E neppure la Madonna di Fatima.

    La Madonna di Fatima e la visione dell’inferno

    Infatti, bisogna superare l’impressione che Maria stessa a Fatima voglia completare i dati della rivelazione mostrando l’inferno ai tre pastorelli durante l’apparizione del 13 luglio 1917. Con questa terrificante visione, la Madonna non intende dare nuove informazioni sull’inferno come in un filmato a colori dell’aldilà, ma si propone di scuotere le coscienze per provocarle alla salvezza: «Avete visto l’inferno», spiega Maria ai pastorelli, «dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore immacolato. Se faranno quello che vi dirò, molte anime si salveranno e ci sarà pace».

    Con la visione dell’inferno la Madonna pone la questione fondamentale della salvezza dei peccatori. A Dio e a Maria preme che gli uomini siano salvati, cioè non camminino con ostinazione sulla via dell’offesa di Dio preparandosi il fallimento per l’eternità. Il rimedio non è la semplice osservanza dei comandamenti, ma una forma di spiritualità che sintonizza con il Cuore immacolato, docile allo Spirito d’amore e orientato alla meditazione dei misteri di Cristo. In pratica la salvezza consiste nell’identificazione di ogni cristiano con il cuore di Maria per compiere la volontà del Dio della nuova alleanza.

    Troviamo pertanto una profonda convergenza tra le parole del Figlio e quelle della Madre sulla realtà dell’inferno. Ambedue mirano a fermare i peccatori sulla via della rovina perché facciano uso della libertà ancorandosi a Cristo e ai suoi insegnamenti che conducono alla vita eterna.



    Il senso della riparazione nell’antropologia

    La riparazione non consiste nel placare un Dio irato e pronto al castigo, perché «Dio è amore» (1Gv 4,8.16) e la sua giustizia consiste nell’accogliere misericordiosamente tutti i peccatori per introdurli in una comunione d’amore con lui.

    Ciò non toglie che i fedeli, al seguito di Cristo redentore, si rendano disponibili a riparare spinti dall’amore creando un contrappeso alla forza del male.

    Circa l’uso di consolare Dio, Gesù e Maria, occorre ricordare che sono essi i consolatori, ognuno al proprio livello, dell’umanità; per cui noi in ultima analisi possiamo compatire e consolare «con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio» (2Cor 1,4).

    Nessun dubbio che la Chiesa sia riparatrice in quanto chiamata a svolgere un ruolo riparatore. Di capitale importanza a questo proposito è un passo della lettera ai Colossesi, in cui Paolo (o qualcuno della sua cerchia) descrive la propria missione di servo della Parola, che accetta con gioia di soffrire per la comunità ecclesiale: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).

    In questo passo di difficile interpretazione «Paolo non pretende certamente di aggiungere qualche cosa al valore propriamente redentivo della croce, a cui non potrebbe mancare nulla», dal momento che Cristo ha compiuto l’atto redentivo degli uomini in modo perfetto (Col l,14.20.22; Ef 1,7.14-18; Eb 7,27). Tuttavia l’apostolo si associa ai patimenti legati al «sangue della sua croce» e alla «morte del suo corpo di carne» (Col 1,20.22), sicché Agostino può infine affermare: «Gesù ha sofferto per stabilire il regno di Dio e tutti coloro che sono impegnati nella sua opera devono condividere le sue sofferenze».

    In tale contesto i pastorelli di Fatima, per la coerenza con cui eseguono la volontà della bianca Signora e si sacrificano eroicamente per i peccatori, appaiono i prototipi di un’umanità non ruotante su se stessa, ma che raggiunge la sua vera statura nella pro-esistenza, nell’esistere-per-gli-altri. Lucia, Francesco e Giacinta solidarizzano con gli altri, specie con quelli più infelici e cattivi, e si addossano i loro limiti e peccati per amore.

    Sì, l’amore è necessario, altrimenti si cade nel dolorismo. Ma non è il caso dei pastorelli, che si sacrificano per i peccatori mossi dall’amore per Gesù e per loro. Non si possono comprendere le loro mortificazioni e penitenze al di fuori dello spirito di riparazione, che a sua volta presuppone la vita come essere-per-gli-altri.

    p. Stefano De Fiores

    www.stpauls.it/madre/0802md/0802md10.htm

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 12/01/2010 22:24
     

    Le Apparizioni della Madonna si presentano come un segno di Dio per il nostro tempo, una parola profetica a noi rivolta per mezzo di Maria, madre dell’umanità. Un articolo di Giuseppe Daminelli su Madre di Dio n. 8-9 agosto - settembre 2004



                                           Guadalupe

    Il "fenomeno" delle apparizioni mariane

    Il ‘fenomeno’ delle Apparizioni mariane è quanto mai vasto, sia in senso temporale che spaziale. Esso percorre tutte le epoche storiche della Chiesa, a cominciare dalla prima Apparizione a noi nota: quella di Maria a San Gregorio Taumaturgo (+ 270) per istruirlo intorno ai misteri della fede, secondo il racconto di San Gregorio Nisseno (cfr. PG 46, 909-913).
    Una concentrazione di Apparizioni mariane si localizza nell’Europa Occidentale durante l’Ottocento e il Novecento: sono almeno le 7 Apparizioni approvate dal magistero episcopale o papale che rievocano località ormai note come Centri di fede e di pellegrinaggio: Rue du Bac a Parigi (1830), La Salette (1846), Lourdes (1858), Pontmain (1871), Fatima (1917), Beauraing (1932-1933), Banneux (1933).
    Se si prendono in esame le 232 presunte Apparizioni che costellano il secolo che si è appena chiuso, il campo di riferimento si allarga smisuratamente e tocca aree culturali diverse da quella europea.
    L’intensificarsi delle Apparizioni di Maria nell’età contemporanea, mentre è accettato dalla maggioranza dei credenti con semplicità, talvolta con credulità, diventa problematico per altri ambienti più critici e attenti al quadro globale della rivelazione. Molti si meravigliano di queste Apparizioni; e si chiedono: "Non potrebbe il Signore della Chiesa stesso rivelare la sua volontà?".
    Alcuni teologi hanno tentato una risposta a questi interrogativi, del tipo: "Chi si meraviglia in questo modo non ha capito chi è veramente Maria. Ella è il prototipo della Chiesa, la Chiesa nella sua forma più pura, la Chiesa come dovrebbe essere o, come dovrebbe cercare d’essere. Ella è ora ‘a disposizione’ del Figlio, per mostrare ai Cristiani ciò che la Chiesa è in realtà, o dovrebbe essere" (cfr. Hans Urs von Balthasr).


    Apparizioni e funzione storico-salvifica di Maria

    Al riguardo, il termine "rivelazione privata" non è molto felice. Esso è giustificato se si considera che, oltre alla Parola di Dio del Nuovo Testamento, non c’è da aspettarsi per il mondo nessuna rivelazione del Dio Uno e Trino. Ma l’abbiamo compresa nella sua profondità e pienezza? Non abbiamo bisogno sempre di nuove spiegazioni per capire ciò che in essa è contenuto in profondità di grazia, ma anche in richiesta di grazia? In che misura ne siamo assorbiti?
    Il Cristianesimo, come il Giudaismo, è la religione della Parola. Nelle teofanie la manifestazione sensibile è al servizio della Parola. L’importante non è il fatto di vedere la divinità, ma quello di ascoltare la sua Parola... Questo prevalere dell’ascoltare sul vedere è uno dei caratteri essenziali della rivelazione biblica.
    Il Nuovo Testamento insiste su questo principio: siamo nel regime dell’ascolto della Parola e non della visione: "Beati piuttosto quelli che ascoltano la Parola e la mettono in pratica" (Lc 11, 28). "Beati quelli che pur non vedendo, crederanno" (Gv 20, 29).
    Le Apparizioni si spiegano a motivo della triplice base della funzione storico-salvifica cui Dio ha chiamato Maria, della spiritualità di servizio che la caratterizza, del nostro bisogno permanente di esegesi vitale della Parola da parte di Colei che personifica la "Chiesa immacolata".
    Non è solo il passato a spiegare i segni di una più assidua presenza di Maria nel nostro tempo. Le mariafanie illuminano il passato, in quanto attualizzano il Vangelo e ne mettono in rilievo alcuni dati importanti. In ognuna di esse Maria non appare un assoluto, né esprime una maternità captativa: al contrario, richiama alle esigenze evangeliche [preghiera-penitenza], suscita il senso della solidarietà umana ["…non c’è chi preghi e si sacrifichi per loro"], conduce ai Sacramenti ["…voglio una Cappella"].


    Sollecitudine materna di Maria verso il mondo


    Le Apparizioni mariane non vogliono né possono sostituire i lineamenti biblici di Maria: la fondamentale "mariafania" è contenuta negli scritti del Nuovo Testamento; tuttavia, le Apparizioni sono interventi che manifestano la sollecitudine materna di Maria verso il mondo. Non è un personaggio del tempo passato, ma una persona viva che si interessa dei suoi figli e li guida verso il Cristo. Non un esempio da copiare, ma una presenza; o meglio, un esempio dinamico che aiuta nella concretizzazione della risposta cristiana.
    Anzi, alla luce biblica dei corpi risorti (1Cor 15, 40-49), le Apparizioni di Maria sono incontri con la sua persona pneumatizzata, con il suo corpo glorificato, che pur appartenendo ad una dimensione extra-spazio-temporale realizza in modo misterioso ma profondo una comunione personale con il Veggente e, tramite questi, con i suoi figli ancora peregrinanti.
    Poiché il messaggio della Vergine ai suoi diversi Veggenti comporta generalmente una proiezione sul futuro con toni apocalittici, le Apparizioni non possono comprendersi fuori dalla prospettiva dell’avvenire della Chiesa e del mondo.
    I ripetuti inviti alla conversione, come prerequisito per la pace nel mondo o per il trionfo del Cuore immacolato di Maria [ vedi Fatima], indicano nella Vergine la ‘donna’ dell’Apocalisse (cfr. 12, 1) che scende in lizza nella Chiesa contro il ‘drago’, simbolo delle forze attuali disgregatrici della società e del cosmo. Così Maria diviene l’estremo tentativo intriso di maternità che Dio compie per provocare il ritorno al Vangelo della salvezza, impedire il folle cataclisma e ispirare fiducia nelle sue promesse.
    La presenza carismatica di Maria nel nostro tempo non dipende dagli studi mariologici, ma dal libero disegno di Dio, che si manifesta in modo "femminile e materno" per unificare il mondo in Cristo mediante il richiamo irresistibile della Madre.
    Il Signore, con il suo Spirito di verità e di comunione, può liberare noi e la Chiesa dalla vana credulità che corre verso i "segni e prodigi", dimenticando lo statuto di fede adulta richiesta dal Vangelo. E nello stesso tempo, egli ci preserva dalla fredda chiusura agli interventi di Dio nella storia mediante Maria, che mirano a convertire i cuori, sostenere la speranza, preparare la Chiesa agli impegni futuri.
    Dobbiamo infatti convincerci che l’armonia del piano divino richiede la presenza di Maria in tutti gli avventi del Cristo sul mondo. "Pertanto – afferma la Redemptoris Mater – la Chiesa, in tutta la sua vita, mantiene con la Madre di Dio un legame che abbraccia nel mistero salvifico il passato, il presente e il futuro..." (RM 47).
    Ogni Apparizione mariana, che si presenta con i caratteri dell’autenticità, non fa che esprimere e rafforzare tale intimo legame e permettere alla Vergine di meglio esercitare la sua missione a favore dell’umanità: "Maria, l’eccelsa figlia di Sion, aiuta tutti i suoi figli - dovunque e comunque essi vivano - a trovare in Cristo la via verso la casa del Padre" (RM 47).

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    00 12/01/2010 22:28
    La memoria dell'apparizione di Santa Maria in Portico in Campitelli a Roma in un articolo di Davide Carbonaro

    Madonna romana

     La veneranda icona di santa Maria in Portico, conservata nel santuario romano di Campitelli, è legata alla persona della nobile Santa Galla, figlia del princeps senatus Aurelio Memmio Simmaco, consigliere di re Teodorico, che però lo fece assassinare nel 525 per infondati sospetti di tradimento. Galla, ricca, giovane e molto religiosa, dopo la morte del marito decise di esprimere la carità di Cristo con azioni concrete e quotidiane, trasformando il portico della sua casa in un luogo di ospitalità per i poveri e per i pellegrini, che accorrevano numerosi.

    Proprio sotto il portico della sua casa apparve, il 17 luglio del 524, la Madre di Dio. Da allora il luogo divenne continua memoria dei favori celesti ottenuti dai cristiani di Roma. Papa Gregorio Magno (590-604) invocò il suo patrocinio nella peste del 599. Grazie ai tanti prodigi avvenuti, Gregorio VII (1073-1085) risollevò le sorti del fatiscente santuario, riconsacrando la chiesa e collocando l'icona mariana in un tempietto-ciborio posto sopra l'altare maggiore, ponendovi in mosaico una serie di iscrizioni che facevano riferimento alla nobile Galla, ai poveri e alla prodigiosa apparizione.

    A motivo della preservazione dalla famigerata peste del 1656, che causò numerosi decessi in Italia, specie a Napoli, il popolo romano accorso numeroso presso l'angusta chiesa di Santa Maria in Portico, sperimentò la prodigiosa cessazione del morbo per intercessione di Maria, impegnandosi con voto solenne a restaurare e a rendere più decoroso il tempio.

    Papa Alessandro VII (1655-1667) il 29 settembre 1660 gettò la prima pietra del nuovo tempio sulle fondamenta della Chiesa di Campitelli affidandone il progetto al valente architetto Carlo Rainaldi. Il 14 gennaio del 1662 fu traslata la venerata effigie della Vergine nel nuovo tempio ancora in costruzione. Sulla monumentale facciata della Chiesa ancora oggi si legge: S. P. Q. R. Votum Alexan. VIII P. M. S. Mariae in Porticu a Fundam. Pos. A. M. DC. LXV. L' 11 luglio 1728 la nuova «casa di Maria» fu solennemente consacrata dal vescovo Pompeo Aldobrandi.

    Pio IX con rescritto del 12 gennaio 1871 decretò che si celebrasse la memoria liturgica della dedicazione il 19 gennaio di ogni anno. La chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli fin dal 1601 è custodita ed animata dallo zelo apostolico e mariano dei Chierici della Madre di Dio, figli spirituali di san Giovanni Leonardi (1541-1609) che, intorno all'amata icona, scrisse un compendio: Narratione della Miracolosa Imagine della Beatissima Vergine (1605).

    In questo prezioso testo il Leonardi raccoglie le testimonianze di una antica Legenda che il popolo romano ha sempre custodito fra le tradizioni più care. Ecco alcuni significativi passaggi: «[...]Admiranda propterea est nobis hec Sacrosancta Imago, quam nec signavit, nec coloravit manus pictoris, nec sculptoris errantis, sed formavit et benedixit omnipotentia Conditoris, qui sicut ad ilicem Mambre cum tribus personis, ut Abraham adoraretur apparuit; et in cammino ignis ardentis cum tribus pueris similis filio hominis quartus assistens declaravit in gloriose et sanctissime Galle palatio se orandum quando voluit, et quomodo voluit imaginem demonstravit. Digitus quoque Dei, qui in tabulis lapideis, Moyse intra nubem orante, ad recte vivendum Israelitis legem sculpsit […]». (cfr. D. CARBONARO, La Madre di Dio un portico sull’avvenire del Mondo, Edizioni Monfortane, 2001, 78-79).

    Le fonti attestano che l’immagine attuale, fu venerata nell’antica chiesa di S. Maria in Portico fin dal secolo XII, tuttavia i canoni iconografici tramandati, ci consegnano una rappresentazione molto più antica. Le lontane forme protoromaniche: colonnine in stile ionico, le teste degli Apostoli - secondo il tipo dei vetri cimiteriali - le forme greco-siriache come l’inquadratura a rose e gli alberi ornamentali, fanno supporre due momenti compositivi. Nel VI secolo, si stabilisce la tipologia iconografica legata agli eventi della miracolosa visione di santa Galla, tuttavia gli studiosi sostengono che, per la gamma cromatica degli smalti e la naturalezza dell’esecuzione, l’opera attuale fu realizzata tra l’XI e il XIII secolo. Accanto a questi sviluppi iconografici, corrono alcune testimonianze frammentarie, che riportano il culto di Santa Maria in Portico al VI secolo legandolo al titolo di Theotokos
    : Madre di Dio.

    L’antica Legenda si riferisce ad alcuni personaggi di quel periodo: santa Galla, il padre Simmaco ed il pontefice Giovanni I. Il padre Luigi Pasquali (1846-1905), collettore delle memorie storiche su Santa Maria in Portico, ipotizza una relazione tra il diacono Giovanni della «regione II» (l’attuale rione Campitelli-S.Angelo in Pescheria) divenuto in seguito pontefice col nome di Giovanni I, (523-526) e il filosofo Severino Boezio genero di Simmaco. Il probabile coinvolgimento tra il futuro pontefice e il filosofo nei rapporti con i vescovi orientali filoortodossi - perseguitati durante lo scisma di Acacio - suggerì a Boezio di scrivere il suo Liber contra Eutychen et Nestorium e di dedicarlo appunto al diacono Giovanni.

    Gli opuscoli boeziani ratificano quanto Efeso aveva definito contro Nestorio ed in modo particolare la divina maternità di Maria. Altre tracce del culto a Santa Maria in Portico sotto il titolo Genitricis Dei, sono state rinvenute dal Pasquali in un «carme» dedicato a Rusticiana, sorella di Galla, moglie di Boezio e figlia di Simmaco, composto da «Andrea oratore».

    In esso si celebra il mistero della divina maternità e si fa riferimento alla famiglia di Galla: «Andreae oratoris de Maria Virgine ad rusticianam carmen. Virgo parens hac luce deumque virum creavit, gnara puerperii, nescia coniugii […] nostras ille suo tueatur numine vias protegat ille tuum Rusticiana genus». (Il testo citato dal Pasquali, si trova in K. VON BARTH, Adversariorum commentariorum libri LX, typis Wechelianis, Francofurti 1624, lib. 56, cap. XVI). Il carme è composto per celebrare l’hac luce la festa del 25 marzo annunciazione del Signore e la Vergine Maria è invocata come protettrice del genus la famiglia di Rusticiana.

    Il titolo dogmatico (Theotokos- Dei Genitrix) in relazione a Santa Maria in Portico, lo ritroviamo nell’XI secolo. Ne sono testimoni l’iscrizione sull’altare dedicato da Gregorio VII nel 1074: «Ad honorem D(omi)ni n(ost)ri IHV (Iesu) XPI (Christi) | et beate Marie semper Vir|ginis genitricis ei(us) d(omi)ne n(ost)re | […]»; e un distico scolpito sul ciborio dell’altare di S. Maria in Portico vecchia (poi Santa Galla distrutta nel 1935 per tracciare la via del Mare e ricostruita oggi sulla via Ostiense), ormai scomparso, ma tramandatoci dalla testimonianza dei primi agiografi: «Hic est illa piae Genitricis Imago Mariae quae discumbenti Gallae patuit metuenti».

    I versi furono visti e trascritti da san Giovanni Leonardi nella Narratione: «il sacro luogo, ove al presente si riposa (la sacra immagine) in Tabernacolo di marmo, assai nobilmente lavorato con arteficio di antico mosaico, nel frontespizio di esso, si leggono due versi in stile molto antico latinamente composti, e co l’istesso lavoro di mosaico formati, i quali oltre all’antichità dell’opera chiaramente scuprono tutto quel successo dell’apparitione della Santa Immagine che nella sopradetta narratione si è diffusamente raccontato».

    Il Leonardi, afferma, che le espressioni latine, indicano il momento, il luogo e le persone che ebbero il favore del prodigio. Del ciborio, non rimane traccia se non nelle fonti scritte. È ipotizzabile che i distici gregoriani scorressero alla base del fastigio e a lato fossero poste le sigle greche MP-Θ
    Y. Mentre sulla sommità angolare, era custodita l’icona di Santa Maria in Portico. Efficace è a tal proposito, questa presenza di Maria sul luogo dove si celebra l’Eucaristia. Si tratta di vera e propria «iconografia» di ciò che l’anafora eucaristica riserva fin dall’inizio alla menzione della Madre di Dio. Maria è altare della celebrazione di Cristo, trono regale della Divina Sapienza offerta in cibo agli uomini.


    http://www.latheotokos.it/modules.php?name=News&file=article&sid=315

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    00 12/01/2010 22:31
    Perchè la Vergine Maria piange?

    Che senso hanno quelle lacrime?


    Un articolo di padre Stefano de Fiores su Madre di Dio del 10 ottobre 2006



    Il pianto di Maria, espressione della sua maternità universale, è una manifestazione eccezionale della sua continua presenza materna nella vita dei suoi figli.

     
    Il saggio antico-testamentario Siracide tra i suoi consigli propone anche questo: "Non dimenticare i dolori di tua madre" (Sir 7, 29). Egli si riferisce alle doglie del parto sofferte da ogni madre, ma noi possiamo applicarlo al dolore della Madre del Popolo di Dio, che ha sperimentato sul Calvario le angosce della partoriente partecipando al mistero pasquale di Cristo, fonte della nostra rigenerazione spirituale.

    Nel corso dei secoli ella ha espresso nelle sue Apparizioni o nelle sue icone le sofferenze materne dinanzi ai pericoli e affanni che non mancano nel cammino della Chiesa. Ricordare i dolori di Maria significa prestare attenzione ad essi, conservarli nella memoria individuale e collettiva, interpretarli dal punto di vista delle scienze umane e della teologia, e infine tradurli in lezioni di vita.

    Originariamente, le autorevoli voci di Pio XII, del Card. Ildefonso Schuster e dell’Arcivescovo Ettore Baranzini convergono nell’additare come causa della lacrimazione della Vergine a Siracusa [29 Agosto – 1 Settembre 1953] il distacco o apostasia dei singoli o delle masse dalla fede cattolica, per aderire alle schiere dei nemici di Dio e della Chiesa [storicamente, chiara allusione al pericolo comunista]. Si tratta, per i nostri tempi, di una lettura storico-socio-politico-religiosa che ha la sua consistenza e non può essere trascurata in quanto rappresenta il significato originario e primigenio dell’evento. Essa non può essere considerata chiusa e definitiva, poiché l’approfondimento dell’evento deve continuare secondo varie prospettive.

    Significato mariologico

    In prima istanza si cerca il significato mariologico del pianto siracusano, sia perché chi piange attira innanzitutto l’attenzione sulla sua persona, sia perché l’evento non si può staccare dai precedenti interventi di Maria a Lourdes, La Salette, Fatima, in cui ella si mostra triste o addirittura in lacrime.

    Qualcuno, come Y. Chiron, contesta l’organicità di tali Apparizioni, ritenendole ognuna un caso particolare da esaminare in se stesso: "Sarebbe eccessivo considerare le 15 Apparizioni dal 1830 al 1933 come un grande ciclo europeo che avrebbe una propria coerenza, per cui il messaggio si precisa e si completa da un’Apparizione all’altra. Non c’è continuità tra i messaggi delle grandi Apparizioni mariane del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo, non c’è una specie di "rivelazione" progressiva. C’è piuttosto un identico messaggio diversamente formulato, secondo i bisogni dell’epoca e del luogo".

    Tesi a sua volta eccessiva, che rischia di omologare le Apparizioni nell’identico messaggio, non cogliendo le convergenze e le divergenze, e tanto meno l’evoluzione. In particolare, non c’è chi possa chiudere gli occhi di fronte alla diversità delle Apparizioni di Lourdes e di Fatima, soprattutto quanto al messaggio che nel 1917 assume una dimensioni storico-salvifica, politica, spirituale e perfino apocalittica che non aveva nel 1854. Nello stesso tempo permangono alcuni punti fondamentali, come la preghiera e la penitenza.

    Si può dunque, con Philippe Séveau, parlare di coerenza dei messaggi di Maria e insieme della loro escalation fino all’evento siracusano: "Maria ha parlato tante volte invitandoci alla penitenza, alla conversione del cuore: ora ella piange. Le sue lacrime sono un messaggio, e insistiamo su questo punto, un messaggio rivolto agli uomini del nostro tempo. Il suo pianto è la continuazione del messaggio materno di Maria che chiama gli uomini alla penitenza e alla conversione. [...] A Siracusa, Maria ha parlato senza parlare. A differenza degli altri messaggi tanto luminosi come quelli di Lourdes e Fatima, questa volta Maria ha taciuto completamente. Ma nessuna parola poteva superare l’eloquenza del suo silenzio unito al pianto. Nessuna sollecitudine, per chi sa capire con intelligenza d’amore, può superare le sue mute lacrime. Quando una madre vede respinti ostinatamente i suoi ammonimenti, quando vede i suoi figli ingannati incamminarsi verso la rovina perché non credono più in lei, ella trasforma il suo linguaggio in pianti che sono la più vibrante espressione del suo amore, la denuncia della impotenza in cui l’hanno ridotta, la resistenza dei suoi figli, il riflesso quasi sperimentale e il ricordo del male dove sono orientati".

    Manifestazione eccezionale di una presenza materna abituale

    Nelle ultime mariofanie la Vergine ha rivelato una profonda umanità, delicatezza e partecipazione psicologica alle sorti del mondo. In lei non è assente talvolta il sorriso, come quando Bernadette la asperge con acqua benedetta, tuttavia una più netta espressione di serietà, dolore, tristezza e perfino di pianto predomina sul volto di Maria nell’arco delle sue Apparizioni. La Madre di Gesù piange per i peccati e i mali del mondo e invita alla conversione. Ma, mentre nelle suddette Apparizioni Maria si mostra afflitta e piangente ed insieme lancia pressanti inviti e chiari messaggi, a Siracusa ella non parla se non attraverso "l’arcano linguaggio delle lacrime" (Pio XII).

    In base al nostro studio teologico-biblico del pianto di Maria, espressione della sua maternità universale, possiamo applicare a Siracusa quanto A. Bossard discerne nelle Apparizioni come elemento che le accomuna al di là delle loro specifiche finalità: "…ogni Apparizione di Maria può essere letta come una manifestazione eccezionale della sua presenza materna e abituale nella vita della Chiesa e dei suoi figli".

    La "scena di rivelazione" ha mostrato per sempre l’identità storico-salvifica e teologica di Maria, che da Madre di Gesù diviene Madre del discepolo amato, figura tipologica rappresentativa di tutti i discepoli del Signore. Questa prerogativa la rende presente nella vita della Chiesa, sia direttamente nelle Apparizioni, sia indirettamente nei segni ordinari e straordinari. In questo senso si esprime Giovanni Paolo II: "Le lacrime della Madonna appartengono all’ordine dei segni: esse testimoniano la presenza della Madre nella Chiesa e nel mondo. Piange una madre quando vede i suoi figli minacciati da qualche male, spirituale o fisico".

    Un problema posto sul tappeto da Pio XII riguarda la compresenza nella persona glorificata di Maria della gioia escatologica e insieme di una sensibilità alla situazione difficile dei Cristiani e delle loro Comunità. Il Pontefice lo aveva risolto negando a Maria assunta in Cielo qualsiasi sofferenza, incompatibile con il suo stato glorioso, ma anche escludendo in lei ogni insensibilità e affermando amore e pietà per i suoi figli ancora pellegrinanti. Senza dubbio Maria è in Cielo eternamente felice e non soffre dolore né mestizia; ma Ella non vi rimane insensibile, ché anzi nutre sempre amore e pietà per il misero genere umano, cui fu data per Madre, allorché dolorosa e lacrimante sostava ai piedi della Croce, ove era affisso il Figliolo.

    La figura di Maria cessa in tal modo di essere considerata come rutilante di gioia per la visione e il possesso beatifico di Dio Uni-Trino, ma chiusa nella sua letizia inalterabile e congiunta ad un’impassibilità di tipo stoico.

    Pio XII modifica questa immagine gloriosa, ma impassibile di Maria. Nega a lei il dolore e la tristezza come sono sperimentate nella vita terrena e perpetua in lei, secondo l’effato scolastico della gloria che perfeziona la grazia, la sua situazione di "Madre… dolorosa e lacrimante… ai piedi della Croce". Maria, pur felice, è compassionevole nei riguardi del "misero genere umano, cui fu data per Madre". La riflessione teologica ha cercato di spiegare questa condizione paradossale della Vergine glorificata ricorrendo ai vari strati compresenti nella psicologia umana e alla felicità più piena correlata alla fase finale dell’escatologia. Per il Card. Martini, "la felicità dei Santi non è così imperfetta da non accettare di coinvolgersi nell’umana infelicità".

    Significato cristologico e antropologico delle lacrime

    A 25 anni dall’evento siracusano, durante la prima settimana di Studi mariani a Siracusa [19-24 giugno 1978], l’Arcivescovo Calogero Lauricella insisteva sul significato cristologico della lacrimazione siracusana, la quale va inserita "anzitutto ed essenzialmente nel mistero del dolore di Maria, coinvolta alla Croce di Gesù nel modo più intimo": "Le lacrime di Maria a Siracusa sono il segno di uno straordinario richiamo agli uomini peccatori e di una ripresentazione del dolore redentore di Cristo e di sua Madre".

    Nella stessa occasione si approfondiva il necessario legame delle lacrime della Vergine con il pianto di Gesù, documentato dal Nuovo Testamento in tre circostanze: con vero sussulto davanti alla tomba dell’amico Lazzaro (Gv 11, 35), con profonda emozione o "veemente pathos" alla vista di Gerusalemme (Lc 19, 41), e infine "con forti grida e lacrime" durante la sua Passione (Eb 5, 7). In particolare, il motivo delle lacrime versate da Gesù sulla Città Santa è la sua infedeltà e futura rovina. Essa non ha compreso la via della "pace", cioè dell’insieme dei beni messianici, della salvezza piena e totale [cfr. Is 57, 19; 66, 12; Ger 33, 6], e non ha riconosciuto "il tempo della sua visita", in quanto non ha colto il momento decisivo della salvezza offerta dalla venuta regale di Gesù. Di fronte a tale chiusura e rifiuto, Gesù reagisce con un pianto d’impotenza e con l’annuncio della sorte tremenda di Gerusalemme.

    In questa prospettiva cristologica, le lacrime di Maria rivelano la sua umanità, che non rimane indifferente di fronte alle sorti del mondo, ma anche la sua impotenza di fronte al gioco della libertà e responsabilità degli uomini, che si chiudono alla salvezza e alla pace messianica offerte da Cristo. Maria piange, come ha fatto Gesù, per lanciare alla società un ultimo monito a non rifiutare il Regno di Dio e a non respingere ostinatamente il messaggio evangelico. Il suo è un pianto estremamente serio, pregno di tristi presagi, un richiamo a non respingere gli inviti divini onde non incorrere nella rovina.

    Si è voluto inserire il pianto di Maria nell’esperienza universale dell’umanità, studiandone il significato antropologico. La Vergine di Nazaret è infatti "figlia di Sion" e "figlia di Adamo" [cfr. LG 55 e 56], appartiene al popolo di Israele, ma fa parte della stirpe di Adamo e del genere umano. Il suo pianto realizza la definizione della lacrima, simbolo universale.

    In questo contesto si colloca pure lo studio dei bisogni psichici e sociali, cui rispondono le Apparizioni e le altre manifestazioni dell’amore materno di Maria nel mondo: esigenza di fatti constatabili e concreti, materializzando realtà ultraterrene altrimenti distanti, bisogno di protezione e sicurezza di fronte all’angoscia per il presente malvagio e per il futuro oscuro, ricerca di una madre accogliente che garantisca il valore dell’amore e della comunione.




    Intervista con padre Jesús Castellano Cervera da ZENIT, Servizio Giornaliero, 17 maggio 2004

    In alcuni momenti significativi della storia, l’ apparizione della Vergine è stata e può essere un mezzo per rafforzare la fede. Evento, questo, la cui importanza è testimoniata dalla scrupolosa attenzione che la Chiesa gli dedica, ha spiegato a ZENIT uno specialista in studi mariani e consultore della Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede, il padre Jesús Castellano Cervera. In occasione del mese dedicato alla Madonna, padre Castellano Cervera, OCD, professore ordinario presso la Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum”, ha voluto spiegare in questa intervista il perchè delle apparizioni mariane e i meccanismi della Chiesa per confermare la loro veridicità.

    Che significato hanno le "Apparizioni" nel disegno di salvezza della fede cristiana?

    P. Castellano Cervera: Da una parte le apparizioni autentiche hanno come significato teologico la presenza viva di Cristo nella sua Chiesa. Nel caso di Maria anche la sua particolare presenza accanto a Cristo come Vergine Assunta in cielo. Le “apparizioni” di Maria possono essere un mezzo per confermare nella fede della Chiesa, per assicurare la sua presenza e protezione materna, particolarmente in certi momenti della storia, dove c’è bisogno di rafforzare la fede e la speranza. Spesso alcune apparizioni di Maria o l’invenzione di una sua immagine miracolosa, hanno un significato ecclesiologico in quanto fondano con un fatto soprannaturale la certezza della presenza di Maria in una Chiesa particolare che nasce, per favorire la riconciliazione fra le persone, come nel caso della Vergine di Guadalupe.

    Come fa la Chiesa a verificare l'autenticità delle apparizioni?

    P. Castellano Cervera: La Chiesa prima di tutto è convinta che Dio può manifestarsi al suo popolo in qualunque circostanza, come ha fatto nelle teofanie dell’Antico Testamento e nelle apparizioni di Gesù Risorto. Lo può fare anche la Vergine. Ma cerca di ottenere la certezza di questa presenza davanti a tutte le possibili mistificazioni soggettive, inganni e credulità che possono guidare molti veggenti o sedicenti veggenti. Allora davanti ai casi che si presentano e sempre con il desiderio di guidare i fedeli nella verità cerca di appurare prima di tutto la verità dei fatti escludendo ogni possibile mistificazione o errore. Poi cerca di appurare che nei fatti e nelle persone non vi siano controindicazioni che sarebbero contro la fede, la morale e la vita cristiana. Cerca inoltre di verificare la verità anche dei messaggi che si propongono e i frutti che si ricavano. Lo fa con lentezza, con serietà...Per questo talvolta passano anni ed anni senza un pronunciamento ufficiale della Chiesa, invitando tutti nel frattempo a seguire le norme della fede e i principi di una sana teologia e spiritualità mariana.

    Ci sono state apparizioni recentemente? In quali luoghi? E qual’è la loro l'attendibilità?

    P. Castellano Cervera: La rassegna di presunte rivelazioni e apparizioni della Vergine Maria è talmente ampia che non è possibile dare qui un resoconto. I Vescovi hanno il dovere di informare la Santa Sede quando un fenomeno valica i confini della diocesi. La Santa Sede allora, attraverso il competente Dicastero che è la Congregazione per la Dottrina della Fede, offre gli strumenti adeguati e suggerisce il modo di procedere in tali casi, avendo sempre presente il bene dei fedeli e la sostanza della fede e della vita della Chiesa, la sua prassi liturgica ed il valore della pietà popolare, fondata sulle verità della Bibbia, la Tradizione ed il Magistero della Chiesa su Maria, così ricco in testi come quelli del Vaticano II, di Paolo VI, la Marialis Cultus, di cui ricorre quest’anno il trentesimo anniversario della pubblicazione, e la splendida Enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris Mater.

    150 anni fa vi è stata l'apparizione della Madonna a Lourdes. Che cosa ha rappresentato per la storia della fede e che insegnamento possiamo ricavarne?

    P. Castellano Cervera: Il messaggio di Lourdes mi sembra evidente. Maria conferma con la sua apparizione la verità del dogma dell’Immacolata Concezione, come lei stessa si presenta con questo nome a Santa Bernardette. A partire da questo momento la “mariofania di Lourdes”, riconosciuta anche dalla Chiesa come una vera apparizione, diventa un punto di riferimento della devozione mariana. Lourdes è un luogo carismatico dove la Vergine Maria attraverso la pastorale ordinaria della Chiesa (Parola, Sacramenti, Eucaristia, devozione popolare), agisce misteriosamente anche come fonte della grazia e della luce per la salute fisica, psichica e spirituale di coloro che si avvicinano con fede, speranza e amore.





    [Modificato da Caterina63 12/01/2010 22:35]
    Fraternamente CaterinaLD

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    FATTI E PERSONE DALLA RIVISTA MADRE DI DIO ANNATA 2008




     

    «SE VOGLIAMO ESSERE CRISTIANI,
    DOBBIAMO ESSERE MARIANI»


    Quest’affermazione – una delle più importanti del magistero dei Papi del secondo millennio (R.Laurentin) – è di Paolo VI (foto), pellegrino in Sardegna al Santuario di Bonaria, il 24 aprile di quarant’anni fa.

    Riprendiamo quel discorso:«…Ed eccoci, fratelli tutti …dobbiamo non solo riconfermare il culto, che per sei secoli ha fatto di questo Santuario un punto, anzi un ponte, di spirituale contatto delle genti sarde e degli uomini del mare con la benedetta fra tutte le creature, Maria Santissima, madre di Cristo secondo la carne, e madre nostra spiritualmente.

    Dobbiamo soprattutto, a noi pare, cercare di comprendere nuovamente le ragioni della nostra venerazione e della nostra fiducia verso la Madonna. Ne abbiamo bisogno? Sì, tutti ne abbiamo bisogno. Bisogno e dovere. Questo momento prezioso deve segnare un punto di illuminata ripresa, per tutti, della nostra venerazione a Maria, di quella speciale venerazione cattolica alla Madre di Cristo, che a lei è dovuta e che costituisce un presidio speciale, un conforto sincero, una speranza singolare della nostra vita religiosa, morale e cristiana …

    Paolo VI. Foto Giancarlo Giuliani.

    E "Maria – ci ricorda il Concilio – non fu strumento puramente passivo nelle mani di Dio, ma cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede ed ubbidienza". Questa dunque non è una circostanza occasionale, secondaria, trascurabile; essa fa parte essenziale, e per noi uomini importantissima, bellissima, dolcissima del mistero della salvezza: Cristo a noi è venuto da Maria; lo abbiamo ricevuto da lei; lo incontriamo come il fiore dell’umanità aperto su lo stelo immacolato e verginale, che è Maria; "così è germinato questo fiore" (cf Dante, Par .,33, 9).Come nella statua della Madonna di Bonaria, Cristo ci appare nelle braccia di Maria; è da lei che noi lo abbiamo, nella sua primissima relazione con noi; egli è uomo come noi, è nostro fratello per il ministero materno di Maria. Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a lui ci conduce.

    Una duplice via: quella dell’esempio e quella dell’intercessione. Vogliamo essere cristiani, cioè imitatori di Cristo? Guardiamo a Maria; ella è la figura più perfetta della somiglianza a Cristo.Ella è il "tipo ".Ella è l ’immagine che meglio d ’ogni altra rispecchia il Signore;è,come dice il Concilio,"l ’eccellentissimo modello nella fede e nella carità ".Com’è dolce, come è consolante avere Maria, la sua immagine, il suo ricordo, la sua dolcezza, la sua umiltà e la sua purezza, la sua grandezza davanti a noi, che vogliamo camminare dietro i passi del Signore; com’è vicino a noi il Vangelo nella virtù che Maria personifica e irradia con umano e sovrumano splendore …»

    (da Insegnamenti di Paolo VI ,VIII,1970).
      


       

    IL "DOTTORE MELLIFLUO"
    RILETTO DA BENEDETTO XVI

      
    Bernardo di Chiaravalle – chiamato anche «l’ultimo dei Padri della Chiesa »– è stato oggetto di una delle riflessioni del mercoledì (21.10.09)di Benedetto XVI.

    Riportiamo la sottolineatura mariana fattane dal Papa: «…In un celebre Sermone nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione ,il santo Abate descrive in termini appassionati l’intima partecipazione di Maria al sacrificio redentore del Figlio. "O santa Madre – egli esclama – veramente una spada ha trapassato la tua anima!... A tal punto la violenza del dolore ha trapassato la tua anima, che a ragione noi ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio superò di molto nell’intensità le sofferenze fisiche del martirio" (14:PL 183,437438). Bernardo non ha dubbi: "Per Mariam ad Iesum", attraverso Maria siamo condotti a Gesù. Egli attesta con chiarezza la subordinazione di Maria a Gesù, secondo i fondamenti della mariologia tradizionale. Ma il corpo del Sermone documenta anche il posto privilegiato della Vergine nell’economia della salvezza, a seguito della particolarissima partecipazione della Madre (compassio) al sacrificio del Figlio. Non per nulla, un secolo e mezzo dopo la morte di Bernardo, Dante Alighieri, nell’ultimo canto della Divina Commedia, metterà sulle labbra del "Dottore mellifluo" la sublime preghiera a Maria: "Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,/ umile ed alta più che creatura,/ termine fisso d’eterno consiglio,…" (Par .,33,vv.1ss).

    Queste riflessioni, caratteristiche di un innamorato di Gesù e di Maria come san Bernardo, provocano ancor oggi in maniera salutare non solo i teologi, ma tutti i credenti. A volte si pretende di risolvere le questioni fondamentali su Dio, sull’uomo e sul mondo con le sole forze della ragione… 

    Insieme a Bernardo di Chiaravalle, anche noi dobbiamo riconoscere che l’uomo cerca meglio e trova più facilmente Dio "con la preghiera che con la discussione". Alla fine, la figura più vera del teologo e di ogni evangelizzatore rimane quella dell’apostolo Giovanni, che ha poggiato il suo capo sul cuore del Maestro.

    Vorrei concludere con le invocazioni a Maria, che leggiamo in una sua bella omelia. "Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze – egli dice – pensa a Maria, invoca Maria. Ella non si parta mai dal tuo labbro, non si parta mai dal tuo cuore; e perché tu abbia ad ottenere l’aiuto della sua preghiera, non dimenticare mai l’esempio della sua vita. Se tu la segui, non puoi deviare; se tu la preghi, non puoi disperare; se tu pensi a lei, non puoi sbagliare. Se ella ti sorregge, non cadi; se ella ti protegge, non hai da temere; se ella ti guida, non ti stanchi; se ella ti è propizia, giungerai alla meta..." (Hom.II super "Missus est", 17:PL 183,7071)».
       


       

    QUANDO GIOVANNI XXIII
    UNÌ ARS A LOURDES…

      
    Cinquant’anni fa Giovanni XXIII emanava un’enciclica dedicata al Curato d ’Ars (foto ).Un testo insuperabile, a dire di molti, riguardante i sacerdoti. Ed è a questo documento che si è ispirato Benedetto XVI nel proclamare l’Anno sacerdotale (200910). Riportiamo qui la parte finale, dove papa Giovanni unisce idealmente Lourdes ad Ars. Due centenari (siamo nel 1959):la Vergine apparve nel 1858,il Curato d’Ars morì nel 1859.

    «Poco prima che il Curato d ’Ars – scrive Giovanni XXIII – compisse la sua lunga carriera piena di meriti, la Vergine era apparsa in un’altra regione di Francia ad una fanciulla umile e pura per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l’immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo una illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l’Immacolata Concezione della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrata la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854.

    Anche noi ci compiacciamo di unire nel nostro pensiero e nella nostra gratitudine verso Dio questi due centenari di Lourdes e di Ars, che si succedono provvidenzialmente... Memori di tanti benefici ricevuti e nella speranza di nuovi favori, facciamo nostra l’invocazione mariana che era familiare al santo Curato d’Ars: "Sia benedetta la Santissima ed Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, madre di Dio! Che tutte le nazioni glorifichino, tutta la terra invochi e benedica il vostro Cuore immacolato!"».

    E Giovanni XXIII terminava la sua enciclica con l’invito a pregare per i sacerdoti e le vocazioni.«Con la viva speranza che questo centenario della morte di san Giovanni Maria Vianney possa suscitare nel mondo intero un rinnovamento di fervore presso i sacerdoti e presso i giovani chiamati al sacerdozio, e possa altresì richiamare più viva ed operosa l’attenzione di ogni fedele sui problemi che riguardano la vita e il ministero dei sacerdoti, a tutti, e in primo luogo a voi, venerabili fratelli, di cuore impartiamo, come pegno delle grazie celesti e testimonianza della nostra benevolenza, l’apostolica Benedizione»

    (enc. Sacerdotii Nostri Primordia, 1 agosto 1959).
       


       

    Brevi
       

    «Reparte com alegria, como a Jacinta» (Condividi con gioia, come Giacinta).

    Questo lo slogan del centenario della nascita di Giacinta Marto, la più piccola dei tre veggenti di Fatima. Francesco e Giacinta furono beatificati da Giovanni Paolo II il 13 maggio del 2000. Dal 19 dicembre il terzo sabato di ogni mese è dedicato a tale ricorrenza, nella preparazione del pellegrinaggio di Benedetto XVI che avrà luogo il prossimo 13 maggio. Mentre dal 4 al 6 giugno si terrà, sempre a Fatima, un congresso internazionale su Giacinta, l’umile fanciulla protagonista con Lucia e Francesco delle più importanti apparizioni del secolo XX (vedi anche il servizio alle pagg.22-23 ).

    Monseigneur René Laurentin, foto Leto.

    «Monseigneur René Laurentin (foto sopra - Leto), prélat de Sa Sainteté». Di Laurentin mariologo, autore di oltre 160 volumi di teologia e mariologia, credevamo di sapere tutto, o quasi. Ci era sfuggito l’ultimo riconoscimento, questo conferito direttamente dal Papa: Prelato di Sua Santità (nomina del 30 aprile 2009). Dandone notizia, tardivamente (dicembre 2009), la rivista mariana francese Stella Maris, dopo aver notato che le prelature d’honneur sono state semplificate e ridotte a tre (protonotario apostolico, prelato, cappellano di Sua Santità), nota che, honoris causa, René Laurentin meritava ampiamente tale riconoscimento perché unanimemente considerato il massimo esperto di mariologia e studioso delle apparizioni degli ultimi decenni.

    «La cultura croata senza la croce di Cristo rischia di non riconoscersi più …». Anche il metropolita di Zagabria (Croazia), card. Josip Bozanìc, ha richiamato con forza al segno visibile della croce. In occasione del 278ª anniversario del pellegrinaggio nazionale al Santuario di Marija Bistrica, ricordando il beato Alojzije Stepinac, ha affermato che purtroppo secondo il relativismo imperante «il male non dev’essere chiamato male per timore di offendere chi lo commette». La celebrazione si è conclusa con la consacrazione della Nazione a Maria nell’800ª anniversario del Santuario.

    I sacerdoti e Maria. Quale splendida galleria di personaggi, anzi di santi, può riservare alla contemplazione quest’Anno sacerdotale! Tutti i sabati, dall’Avvento 2009 alla Pentecoste 2010, in Santa Maria in via Lata (Roma) vengono presentate via via eminenti figure della pietà e della teologia, spigolando un po’ dall’antichità al medioevo; dall’epoca moderna e, perché no?, dall’attualità. Per esempio, Benedetto XVI o il mariologo Ignazio Calabuig. L’iniziativa è del "Centro cultura mariana Madre della Chiesa".

    Loreto, Montserrat (Spagna), Oropa, Varese, Czestochowa (Polonia), Crea, Einsiedeln (Svizzera) o Rocamadur (Francia) cos’hanno in comune? Immagini della Vergine considerate "nere". I santuari citati, e altri, hanno organizzato un convegno insolito (dal 20 al 22 maggio) avente per tema: Nigra sum. Culti, santuari e immagini delle Madonne nere d’Europa. Vi parteciperanno studiosi dell’Università Cattolica di Milano e la sede degli incontri sarà a Oropa e Crea. Alcuni ricercatori hanno pensato a derivazioni da divinità antiche (Artemide, Cibele). Ma di solito si preferisce il richiamo biblico: «Nigra sum, sed formosa». Che si può tradurre: Sono scura (o nera di carnagione), ma bella. È un verso famoso del Cantico dei Cantici.

    Chiara Lubich - foto Giuliani.

    A 70 anni dell’inizio del Movimento dei Focolari il Comune di Loreto ha conferito la cittadinanza "benemerita" alla fondatrice Chiara Lubich (foto sopra - Giuliani, 1920-2008).Fu infatti davanti all’immagine della Vergine, nella Santa Casa di Loreto, che Chiara all’inizio della seconda guerra mondiale (1939) ebbe l’ispirazione di dar vita al Movimento. Il sindaco Moreno Pieroni ha motivato il riconoscimento come un grazie per il «lascito spirituale, culturale e operativo di eccezionale intensità». A ricevere il premio era l’attuale presidente del Movimento dei Focolari Maria Voce.

    «L’80% degli uomini che oggi nel mondo sono perseguitati per la loro fede sono cristiani », lo ha affermato il vescovo di Basilea Kurt Koch nel giorno dedicato ai missionari martiri. La "cristianofobia" è alimentata da integralisti soprattutto nei Paesi arabi. Al Parlamento europeo la musulmana Vural Öger (eletta in Germania) ha avuto il coraggio di affermare: «Ciò che Solimano ha iniziato con l’assedio di Vienna (1683), noi lo porteremo a termine con i nostri presenti in Europa». In questi primi mesi del 2010 si contano già attentati e uccisioni di cristiani anche nell’Alto Egitto. Pellegrinaggi per la "pacifica convivenza" si sono tenuti al Santuario di Zeitoun (Cairo), dove la Vergine apparve tra il 1968 e il 1971.

    Mons. Enrico Solmi.

    «Venire in Cattedrale è ritrovare se stessi: la nostra nascita nel battesimo, la convocazione nella Chiesa, e tutto attraverso la preghiera a Gesù affidata a Maria sua madre ». Così il vescovo di Parma Enrico Solmi (foto sopra Wikimedia Commons), ha aperto la Settimana mariana diocesana (1522 novembre 2009): Con Maria in ascolto di Gesù. Una specie di moderni Esercizi spirituali a cui tutti i fedeli erano invitati in Cattedrale. Similmente il vescovo di Cassano all’Ionio, Vincenzo Bertolone (foto sotto), ha proposto nel convegno pastorale diocesano di «declinare la natura della Chiesa alla luce della Lumen gentium attraverso la Via Mariae ».

    Mons. Vincenzo Bertolone.

    «Anche se tanti secoli ci separano dal tempo della Vergine santa, le sfide sono rimaste le stesse. Oggi come ieri non è meno necessario ricevere il Cristo e, per così dire, partorirlo a questo mondo, nelle sofferenze…». Parole dell’arcivescovo Stanislav Zvolenský di Bratislava (Slovacchia) che ha presieduto un pellegrinaggio nazionale con oltre mille sacerdoti al Santuario di Šašfin (8.10.09). Mai il Santuario ha annoverato tanti sacerdoti «attorno alla Madre del Pastore buono». Invitando a pregare per le vocazioni, in quest’Anno sacerdotale, il Presule ha ringraziato Benedetto XVI per la sua visita in Moravia e nella Repubblica Ceca.

    Ignoti hanno imbrattato un’immagine della Vergine con Bambino posta all’esterno della porta principale del Duomo di Bolzano (foto sotto). Con vernice rossa vi hanno scritto sopra Gay! L’affresco, che è già stato oggetto di un delicato restauro nel 1997 per un analogo gesto, è del 1475 (forse di Friedrich Pacher) e richiama la Vergine «che ha il potere taumaturgico di curare i bambini balbuzienti». Un danno enorme secondo l’esperto di arte medievale Helmuth Rizzoli. Abbiamo dato notizia tempo addietro di furti sacrileghi di corone o ex voto (Pescara, Belmonte Canavese, Monte Berico…). Mai abbassare la guardia!

    «Che fastidio danno due statue alte 90 centimetri?». Si tratta ovviamente di statue della Madonna e il donatore, Calogero Panevino, ha chiesto che vengano collocate in corsia, sotto gli sguardi degli ammalati. Ma siamo a Livorno. L’Asl, dopo mesi di silenzi, ringrazia a modo suo il donatore e "promette" che le statue saranno sistemate nei corridoi interni dei reparti «in appositi spazi». A Livorno vi è il Santuario di Montenero e le lotte "religiose" sono secolari. Si parla ora di "bieco laicismo", di "lotta alle Madonne come ai crocefissi". E Calogero Panevino? Importante – ha detto – è che la Madonna intanto sia entrata nell’ospedale. In quell’ospedale…!

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 06/10/2011 16:42
    [SM=g1740733] LA MADONNA DI TONINO BELLO:  NON UN MODELLO, MA UNA MODELLA.
    PER “PERVERTITI”


     La mariologia del progressismo cattolico e la Mariologia della Tradizione Cattolica
    …passando per quella di Tonino Bello


    pubblicato da papalepapale byMastino


    “Ma possibile che un vescovo possa essere santo e al contempo non ortodosso?”. A Tonino non piace la Madonna “retorica e magniloquente”. Maria che litiga con san Giuseppe, “che era taciturno”: “coppia in crisi”? Quella sua Maria “casalinga” contrapposta alla Maria “teologica”. Il Magnificat “è il canto della teologia della liberazione”. Una mariologia laica. E l’Eucarestia diventò solo… “pane”. E il card. Ratzinger con discrezione corresse la Maria “feriale” di Bello. La Maria delle “vampe” matrimoniali di don Tonino, dimentica che Giuseppe era il “castissimo sposo”. Distinguiamo la Mariologia della Tradizione dalla mariologia progressista.

     
    Tonino Bello era solito ripetere ai giovani:
    «Anche Maria ha sperimentato la gioia degli incontri, l’attesa delle feste, gli slanci dell’amicizia, l’ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo. Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: “Maria, ti amo”. E lei rispose veloce come un brivido: “Anch’io”… Santa Maria, donna innamorata.., facci capire che l’amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall’unico incendio di Dio. Maria, comunque, doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima. Parlo, anche, del suo corpo di donna. Vogliamo immaginarla adolescente, mentre d’estate risale dalla spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di bellezza»

    L’errore di fondo è quello della svolta antropologica in Mariologia. Proporre la Madonna in questi termini, ai giovani, significa ignorare che sono già sazi e nauseati di estetica, di corpi, di “bermuda”, di spiagge, di abbronzature… Hanno sete di Dio, non di queste cose, che gli escono ormai dagli occhi e dagli orecchi. Proporre la Madonna in questi termini sembra l’istigazione ad un’ immaginazione pervertita, che tutto comprende “sub specie libidinis”, anche ciò che di più puro e più santo vi è in assoluto.

     
    diTea Lancellotti

     

    Lo so che negli articoli non si fa, ma proprio non ne posso fare a meno. Devo citare pari pari un altro articoletto, e poi capirete perchè (ferisce!). E’ una critica di padre Apollonio alla mariologia di mons. Tonino Bello, tratta da “Immaculata Mediatrix” del 2009, ma una versione simile dovrebbe essere uscita anche su “Il Settimanale di padre Pio” quest’anno, a margine del incertissimo processo di beatificazione del fu vescovo di Molfetta. Il mentore di Vendola, fra l’altro, vi descrive la Santa Vergine in “bermuda”… vedere per credere… Ve lo riporto sotto: è breve, tranquilli.

     “MA POSSIBILE CHE UN VESCOVO POSSA ESSERE SANTO E AL CONTEMPO NON ORTODOSSO?”

    Scrive dunque il padre Alessandro Maria Apollonio, dei Francescani dell’Immacolata, in un articolo intitolato: Tonino Bello, la mariologia feriale, e l’ermeneutica della discontinuità:
    Nel recentissimo numero di Civiltà Cattolica, 3 ott. 2009, pp. 91-92 si recensiscono ben 4 volumi che presentano la figura di mons. Tonino Bello (1935-1993), Vescovo di Molfetta: due di questi libri parlano di lui, e negli altri due è lui che parla, essendone l’autore. Nella benevola seppur rapida recensione, s’accenna alla sua Mariologia e al fatto che nel 2007 è stato avviato il suo processo di beatificazione. Ora, senza voler entrare in merito alla sua personale santità, vorrei mettere in luce il carattere fuorviante, certamente non esemplare, della sua Mariologia.
    La cosa appare contraddittoria: è mai possibile che un Vescovo possa essere ad un tempo santo e non perfettamente ortodosso? Rispondo: ciò sarebbe eccezionalmente possibile solo laddove l’eterodossia s’annidi in una coscienza oscurata da ignoranza soggettivamente invincibile. E questo non è contraddittorio, benché sembri impossibile.
    A ben guardare, però, non è nemmeno assolutamente impossibile: nulla è impossibile a Dio, nel bene e, nel male morale, nulla è impossibile all’insipienza umana. E di questa insipienza, nel periodo post conciliare ce n’è stata talmente tanta, da rimanere facilmente coinvolti in una sorta di tragico errore comune, definito da Benedetto XVI “ermeneutica della discontinuità”.
    Di questa ermeneutica sbagliata sarebbe rimasto vittima inconsapevole, lo supponiamo, mons. Bello, la cui Mariologia potrebbe tutta riassumersi in questo principio di rottura: prima del concilio la Madonna era vista vicina a Cristo, nella luce della santità divina, ora invece la guardiamo alla luce di questo mondo segnato dal peccato.

    Diamo un’occhiata solo ad alcune sue idee mariologiche. Da “Maria donna dei nostri giorni” (supplemento di Jesus, ed. San Paolo, maggio 1993), leggiamo le seguenti affermazioni, che mons. Bello era solito ripetere ai giovani, con il suo pathos travolgente:
    «Anche Maria ha sperimentato quella stagione splendida dell’esistenza, fatta di stupori e di lacrime, di trasalimenti e di dubbi, di tenerezza e di trepidazione, in cui, come in una coppa di cristallo, sembrano distillarsi tutti i profumi dell’universo. Ha sperimentato pure lei la gioia degli incontri, l’attesa delle feste, gli slanci dell’amicizia, l’ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo» (p. 21).
    «Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: “Maria, ti amo”. E lei rispose veloce come un brivido: “Anch’io”… Le compagne… non riuscivano a spiegarsi come facesse a comporre i suoi rapimenti in Dio e la sua passione per una creatura… Poi la sera rimanevano stupite quando, raccontandosi a vicenda le loro pene d’amore sotto il plenilunio, la sentivano parlare del suo fidanzato con le cadenze del Cantico dei Cantici…» (p. 22).
    «Santa Maria, donna innamorata.., facci capire che l’amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall’unico incendio di Dio» (p. 23).

    COMMENTO
    L’errore di fondo è quello della svolta antropologica in Mariologia, che per mons. Bello significa pensare all’adolescenza di Maria secondo il cliché dell’innamoramento giovanile, così come avviene di fatto nella maggior parte dei ragazzi, senza la minima considerazione del deleterio apporto derivante dalla concupiscenza, che tutto intorbidisce in noi, ma che era del tutto assente in Lei.
    Quali dubbi di fede poteva mai avere «Colei che non dubitò, ma credette» (SANT’AMBROGIO, Comm. a Lc, 1; cf. SAN Pio X, Ad diem illum)?
    Quali trasalimenti, quale ebbrezza della danza, quali lusinghe, quali passioni poteva avere la Tuttasanta (Padri), “l’umile serva del Signore” (cf. Lc 1), che «non conosceva uomo» (cf. Lc 1), perché non voleva conoscerlo, per il suo voto di perpetua verginità ispiratole da Dio sin dalla giovinezza (Duns Scoto, San Tommaso, Giovanni Paolo II)?
    Quale esperienza poteva avere l’Immacolata di tutte queste cose macchiate dalla concupiscenza, in noi, e che non potevano trovarsi in Lei, immune da ogni disordine derivante dal peccato originale? Sembra che mons. Bello non distingua abbastanza – contro tutta la tradizione patristica e contro il costante magistero della Chiesa – l’amore verginale e santo dell’Immacolata verso san Giuseppe, dall’amore concupiscente delle creature macchiate dalle conseguenze del peccato originale. Dire, poi, soprattutto in questo contesto d’innamoramenti giovanili, che «l’amore è sempre santo», suona proprio un’eresia, perché anche l’impurità è un amore, «l’amor di sé fino al disprezzo di Dio» (sant’Agostino).

    Proporre ai giovani una spiritualità del genere, significa divinizzare i loro turbamenti giovanili e spianare la strada per lo sfrenamento della loro lussuria, che è anche un genere di amore. L’Autore usa costantemente un linguaggio ambiguo. Parla di esperienze affettive e sentimentali, che normalmente nei giovani sono – a dir poco – il preludio della passione, impura, attribuendole alla Madonna che è la purissima sempre vergine. E la mistica della sensualità giovanile, di cui la Madonna viene ad essere, più che il modello, la “modella”. Roba da telenovela, una profanazione! [SM=g1740721]

    Continua ancora su questa falsa riga il Vescovo di Molfetta:
    «Maria, comunque, doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima… Parlo, anche, del suo corpo di donna» (p. 108). «Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei meriggi d’estate risale dalla spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di bellezza» (p. 116).
    Proporre la Madonna in questi termini, sopratutto ai giovani, significa ignorare che sono già sazi e nauseati di estetica, di corpi, di “bermuda”, di spiagge, di abbronzature… Hanno sete di Dio, non di queste cose, che gli escono ormai dagli occhi e dagli orecchi. Il mondo li bombarda continuamente con questa “spazzatura” (san Paolo).
    Non occorre che ci si metta pure un Vescovo. [SM=g1740730]
    Proporre la Madonna in questi termini sembra l’istigazione ad un’ immaginazione pervertita, che tutto comprende sub specie libidinis, anche ciò che di più puro e più santo vi è in assoluto. Chi mai si consacrerebbe a Dio, nella totale verginità di corpo e spirito, se anche Maria, il paradigma della santità, si trascinasse verso le vanità di questo mondo?

    Bisognerebbe dire ancora molte cose, ma non è questo il luogo né il momento adatto. Bastino queste “chicche” per comprendere la gravità della situazione. Se la dottrina di un Vescovo dovrebbe esser per sé ineccepibile, essendo “maestro della fede”, la dottrina di un Vescovo canonizzato dovrebbe esserlo doppiamente, visto che la Chiesa lo addita universalmente come modello esemplare da seguire. Proprio quest’ortodossia esemplare manca, a nostro avviso, al Nostro. Da qui la domanda: ammesso che don Tonino (così si faceva chiamare anche da Vescovo) sia davvero già nella gloria dei Santi in Paradiso, a che giova inserirlo anche nella gloria del Bernini sulla terra?
    Testo tratto da: Immaculata Mediatrix, IX (3 – 2009), pp. 296-298.

    Così in questo tagliente articolo, tanto tagliente quanto saturo di realismo cristiano, conclude il padre Apollonio. Si resta basiti: non da quel che dice il padre, ma da quello che ha osato dire quel vescovo pugliese.

     
    A TONINO NON PIACE LA MADONNA “RETORICA E MAGNILOQUENTE”

    A questa ampia e chiarissima introduzione, vorrei aggiungere altri passi che dal libro indicato, Maria donna dei nostri giorni, non possono che allertare il nostro “sensum fidei” nei confronti dell’identità di Maria Santissima e non certo per farne una dea o una divinità… ma santo cielo!… il dogma dell’Immacolata e il fatto che Maria fosse Immacolata fin dal concepimento, significherà pur qualcosa o no?
    Dice san Paolo agli Efesini (1,4), che Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità; ma mentre noi tali dobbiamo diventarlo, Maria, ne è stata preservata; non è certo una icona immobile, ma piuttosto è proprio l’identità viva, il progetto riuscito di Dio, di questo essere “immacolati e santi”.

    Mons. Bello, in quel libro (pag.14) spiega la “sua” Maria, che sarebbe una donna “senza retorica”, e sottolinea che Ella, la Madonna, “senza retorica, prega per noi inguaribilmente malati di magniloquenza“. Hai capito! Lascia sconcertati, non soltanto perchè il primo afflitto da “magniloquenza” è, paradossalmente, proprio lui, con quel suo fraseggiare ridondante, ma soprattutto perchè usa il termine “magniloquenza” come a dire che usata per descrivere la grandezza della Vergine è una forma di “malattia e di retorica”. Che sarebbe pure come dire cestiniamo il Trattato della vera Devozione a Maria di san Luigi M. Grignon de Montfort, o il suo Segreto di Maria, o magari cestinianoGlorie di Maria di sant’Alfonso M. de Liguori.
    E spiega ancora mons. Bello: “Lo so bene: non è una invocazione da mettere nelle Litanie Lauretane. Ma se dovessimo riformulare le nostre preghiere a Maria, in termini laici, il primo appellativo da darle dovrebbe essere questo: donna senza retorica“. Stando a mons. Bello, dunque, le Litanie sarebbe meglio riformularle più laicamente.
    Andrebbe fatto notare che, generalmente, lo sviluppo di una dottrina o della stessa fede della Chiesa va avanti e non indietro. Si arricchisce semmai di nuovi elementi, ma non va a sostituire quelli dottrinalmente già ufficialmente acquisiti con altri di nuovo conio. Nella Tradizione orante e viva della Chiesa si aggiunge, non si toglie: così come, per esempio, il beato Giovanni Paolo II alle Litanie Lauretane aggiunse il Regina della Famiglia, senza mai mettere in dubbio i Titoli onorifici già assunti dalla Vergine stessa in secoli di pietà cristiana.

     
    MARIA CHE LITIGA CON SAN GIUSEPPE, “CHE ERA TACITURNO”. “COPPIA” IN CRISI?

    Cosa intenderebbe, per altro, mons. Bello col quel riferimento che fa, nel libro, a “termini laici”?
    La risposta, che troviamo nelle analisi agli stessi titoli da lui creati nel libro, è in quel suo associare l’immagine della Vergine Maria ad una donna del nostro tempo, immischiata nelle vicende del mondo in termini laici, e con un fare naturalmente laico… in Maria (come spiega a pag.11), “donna feriale”, e dove aggiunge: “Come tutte le mogli avrà avuto anche lei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’era, non sempre avrà capito i silenzi…“
    Diciamo subito che san Giuseppe ne esce maluccio! Ma quanto all’incomprensione, la risposta la troviamo in Luca, quando entrambi si accorsero che Gesù non era con loro, si spaventarono. Ritrovatolo, nel vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi “non compresero” le sue parole.
    Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stando loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

    Perché allora inventare una immagine falsata di Maria e Giuseppe quando una risposta ce l’abbiamo nel Vangelo? Dove, dunque, i Vangeli lasciano intravvedere “momenti di crisi con Giuseppe”? Leggeremo poi al termine di queste riflessioni cosa ne pensa san Bernardo di Chiaravalle.
    Ora, pur volendo lasciare a mons. Bello la poetica visione di una Famiglia di Nazareth comune, assimilata a tutte le famiglie di questo mondo, come di fatto lo era, perché insinuare il dubbio sul rapporto fra Maria e Giuseppe e affiancarlo alle gravi crisi fra i coniugi di oggi, dal momento che, Maria e Giuseppe, nulla hanno a che vedere con le motivazioni per le quali entrano in crisi i coniugi post-moderni? Le principali ragioni di crisi del matrimonio, della famiglia, dei coniugi, infatti provengono dai tradimenti, dalle infedeltà, dall’incapacità di mantenere fede ad una promessa data, dal non conoscere che cosa è amare e cosa è l’amore, dall’inseguire le mode del tempo, dall’allontanarsi da Dio, dal non pregare più in famiglia.

    QUELLA SUA MARIA “CASALINGA” CONTRAPPOSTA A QUELLA “TEOLOGICA”

    Un pò difficile pensare la Famiglia di Nazareth in “momenti di crisi” simili; mentre diverso è portare la Santa Famiglia nel nostro doloroso tempo quale modello, e i due Santi Genitori ci richiamano invece alla realtà ed alla verità coniugale, condividendone senza dubbio le battaglie e le lotte, ma mai assecondando la confusione di questi tempi e mai giustificandone gli errori e i peccati.
    Su questa Maria “donna feriale”, il Bello conclude con questa preghiera a pag.13:
    “…aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia e della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi….Ma è quello che ti colloca all’interno della Casa di Nazareth dove, tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua antieroica femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni“.

    A parte la bellezza poetica che nessuno discute (e che, ammettiamolo, in modo inquietante ricalca l’arte retorica di Nichi Vendola), ci viene spontanea una domanda: ma perché contrapporre quel capitolo teologico che La preleva dall’interno della Bibbia, dalla patristica, La segue nella spiritualità e nella liturgia, La insegna nei dogmi, con fare negativo, quasi fosse estraneo a quel Suo essere invece all’interno della Casa di Nazareth con tutte le preoccupazioni del suo tempo?
    I due capitoli non sono forse un unico capitolo della vita e dell’identità stessa di Maria Santissima? E non si corre il rischio di togliere qualcosa alla sua identità invocando una Madonna esclusivamente nel capitolo proposto da mons. Bello?


    IL MAGNIFICAT “È IL CANTO DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE”

    Ma la ciliegina sulla torta la troviamo in “Maria, donna missionaria” alle pagg. 35-38, dove nella conclusione leggiamo:
    “Tu che nella casa di Elisabetta pronunciasti il più bel canto della teologia della liberazione, ispiraci l’audacia dei profeti.”
    Il Magnificat è dunque un canto della “teologia della liberazione”. Si, senza dubbio è una teologia della liberazione, ma in quali termini? E perché usare un termine del quale ben sappiamo la condanna che l’allora cardinale Ratzinger, Prefetto dell’Ortodossia, per volontà del pontefice sottoscrisse con un documento ufficiale?
    La preghiera invocazione di mons. Bello, in queste tre pagine, è un continuo rimprovero alla Chiesa che, secondo Bello, non sarebbe affatto sulla stessa scia missionaria della Vergine Maria, ecco alcune espressioni:
    - la Chiesa si attarda all’interno delle sue tende dove non giunge il grido dei poveri;
    - la Chiesa si adagia sulle posizioni raggiunte, scuotila (…) nomade come te, mettile nel cuore una grande passione per l’uomo…
    Preghiere del genere sono sempre auspicabili, intendiamoci, ma perché presentare sempre la Chiesa come una sorta di peccatrice, meretrice, adultera e mai come quella che professiamo nel Credo: santa? La prima passione che dovremmo avere non dovrebbe essere “ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente; ama il prossimo tuo come te stesso”?

    Si ha come la sensazione che mons. Bello abbia dimenticato TUTTA la storia della Chiesa bimillenaria e si sia concentrato esclusivamente su una faccia della medaglia, quella degli uomini che rendono senza dubbio opaca la santità di questa Sposa. Ancora una volta si associa la Chiesa in quanto tale (ossia santa e fedele nella sua dottrina, nei dogmi, nella liturgia, nei sacramenti, nella stessa mariologia, insomma complessivamente nella sua Tradizione) a chi, abitando nella Chiesa, piuttosto tradisce, invece che rispettarli, tali elementi di santità. Ancora una volta, si confendono le due nature della Chiesa: quella umana e quella soprannaturale; la sua Persona col suo personale.

     
    UNA MARIOLOGIA LAICA

    Nel riflettere su questa situazione veramente spiacevole e che non può non metterci a disagio perché resta assai palese e forte l’affetto filiale che Bello nutriva per la Vergine Maria, mi viene in mente che fra i primi beatificati del suo pontificato, Benedetto XVI ne ha proclamato uno, padre Charles de Foucauld. Il quale insegnava questa regola di vita: “Per formare dei discepoli non basta il fascino, non è sufficiente un carisma, ci vuole una dottrina”. [SM=g1740722]
    Ci appare questo monito, molto eloquente per spiegare l’ambiguità delle riflessioni, seppur poetiche, di mons. Bello sulla Vergine Maria!
    In tali riflessioni manca sovente un insegnamento dottrinale univoco, anzi, delle volte notiamo un superamento dottrinale, un indirizzo assai pericoloso ed ambiguo nello spingere il fedele a vivere una mariologia “laica”, come se la mariologia ecclesiale della Tradizione fosse d’impedimento all’autentica comprensione di Maria e del ruolo della Famiglia di Nazareth.

    E’ senza dubbio vero che senza estrapolare i vari passi da tutto il contesto del pensiero mariano di mons. Bello non vi troveremo affatto una eresia conclamata, ma qui sta forse l’inganno più grande: apparentemente non vi è eresia, però ciò che si avanza è, alla fine, una nuova dottrina in rottura con la mariologia della Tradizione. Ed è difficile restare a guardare e tacere di fronte alle mille domande che certe frasi impongono sia alla fede genuina della Chiesa sia alla ragione dell’intelletto di chi legge e vorrebbe meditare ponendosi non queste, ma altre domande su se stessi, sulla personale inclinazione, già facile di questi tempi, ad abbandonare la sana dottrina per rincorrere nuove immagini, nuove dottrine, “nuovi pruriti” come li definisce san Paolo.

     
    E L’EUCARESTIA DIVENTÒ SOLO… “PANE”

    Così come nelle bellissime, stilisticamente, pagine dedicate a Maria, donna del pane, pagg. 47-50 nelle quali, impeccabilmente, mons. Bello descrive il corretto e bellissimo accostamento fra “il pane quotidiano” che imploriamo nel Padre Nostro e il pane eucaristico. Tuttavia, in queste pagine la parola Eucaristia non viene mai usata e l’accostamento resta invischiato esclusivamente nel “pane della tavola”, un frammisto che rischia di confondere i fedeli, ancora una volta, su questa tendenza post-conciliare che ha ridotto l’altare dell’eucaristia esclusivamente ad una mensa comune. Se è vero, infatti, come spiega Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis e nel suo Lo Spirito della liturgia, che l’altare si trasforma in mensa eucaristica DOPO il Sacrificio, la tendenza errata, spiega il papa, è quella di trasformare l’altare in una mensa prima ancora del Sacrificio e di ridurre l’eucaristia esclusivamente all’accostamento del pane quotidiano. In questo mondo si è persa la dimensione del Sacrificio, del senso del sacro, e si è elevato il pane quotidiano al di sopra di ogni sacramento, una priorità che non conduce ad alcuna conversione e fa guardare all’eucaristia come ad un simbolo il cui senso si riduce esclusivamente all’attivismo per ottenere pane quotidiano dimenticando la dimensione sacramentale del Pane Eucaristico.

    In questi tempi di crisi economica, dove ci sono persone ridotte, non solo retoricamente, alla fame, si tende spesso a nascondere che la Chiesa è ovunque nel mondo a compiere e a vivere la missionarietà del “pane quotidiano”. Perché, allora, continuare a dipingere una Chiesa quasi assente dalle opere di Carità? Ciò che in concreto è preoccupante per il cattolicesimo è che si sta verificando una gravissima crisi liturgica che sminuisce il Pane Eucaristico, laddove, per essere più “buoni” agli occhi del mondo, si finisce per ridurre l’eucaristia esclusivamente all’attivismo sociale, penalizzandola nella sua dimensione sacra e di adorazione.
    Questa devastante disassociazione tra la fede e le opere, c’è da dire, proviene direttamente da una mariologia progressista.

     
    E IL CARD.RATZINGER CON DISCREZIONE CORRESSE LA MARIA “CASALINGA” DI BELLO

    E’ significativo che al libro di mons. Bello del 1993 segua, nel 1997, quello dell’allora cardinale Ratzinger Maria Chiesa nascente che, leggendo con molta attenzione, appare come una vera e propria correzione all’audace mariologia progressista di mons. Bello. Non a caso Ratzinger inizia e finisce il libro con citazioni bibliche, diversamente da come lo comincia e lo finisce Bello, senza alcuna citazione diretta, ma usando la Bibbia solo come spunto innovativo, quasi di rilettura e re-interpretazione della stessa.

    Tanto per fare qualche esempio, a pag. 18, come a rispondere a mons. Bello, scrive Ratzinger:
    “Il pensare tipologico dei Padri verrebbe fondamentalmente frainteso, se dovesse ridurre Maria ad una semplice e quindi sostituibile esemplificazione di fatti teologici. Il senso del typos (carattere) resta invece garantito se la Chiesa, tramite la figura singolare e non permutabile di Maria, diviene riconoscibile nella sua fisionomia personale. In teologia non si deve ricondurre la persona alla cosa, ma questa a quella. Una ecclesiologia puramente strutturale fa necessariamente degenerare la Chiesa a programma di azione. (..) A questo punto riconosco la verità nell’affermazione ‘Maria vincitrice di ogni eresia’: dove esiste questo radicamento affettivo ivi vige l’unione ex toto corde, dal profondo del cuore… e diventa impossibile la fusione della cristologia in un programma-Gesù … rivolto all’essere ateistico e del tutto rivolto alle cose materiali…”

    A pag. 63, Ratzinger chiarisce la sintesi dell’autentica interpretazione del Magnificat, anche qui come se volesse rispondere all’audacia di mons. Bello, dice:
    “Maria ha vissuto così profondamente nella parola dell’Antica Alleanza, che questa è divenuta in modo del tutto spontaneo la sua propria parola. La Bibbia era così pregata e vissuta da Lei, era così ruminata nel Suo cuore, che Ella vedeva nella Parola Divina la sua stessa vita (…) e la Sua parola si era unita a quella di Dio”. E, citando sant’Ambrogio, prosegue Ratzinger: “Magnificare il Signore significa voler far grandi non se stessi, il proprio nome, il proprio io, allargarsi ed esigere spazio, ma dare spazio a Lui, fare grande Lui e il Suo Nome perchè Egli sia sempre e più maggiormente conosciuto nel mondo (…) il Magnificat è un canto che ci dice che è necessario rendersi liberi per Lui, questo è il vero e proprio esodo che i Padri della Chiesa e Massimo il Confessore ci spiegano lungamente”.

    E così anche a riguardo dell’incomprensione descritta da mons. Bello e che abbiamo sopra riportato, anche qui Ratzinger sembra rispondere per correggerlo, a pag. 60:
    “Ma essi non compresero le sue parole. Anche per il credente le parole di Dio non sono comprensibili sin dal primo momento. Chi esige dal messaggio cristiano l’immediata comprensione banale e mediocre, sbarra la via a Dio! Dove non c’è l’umiltà del mistero accolto, la pazienza che accetta in sè ciò che non si comprende, spiega Ratzinger, là il seme della parola è caduto sulla pietra, non ha trovato la buona terra! Ma se invece lo conserva nel modo migliore, con tutta umiltà e lascia che lentamente, con i tempi di Dio, si apra alla comprensione attraverso la sofferenza di una attesa, senza pretendere delle spiegazioni banali e mediocri, là il seme cade nella terra buona e Maria, infatti, custodisce tutte queste parole nel suo cuore. La parola custodire qui significa attraverso, cioè attraverso Dio stesso, Maria stessa, e di conseguenza questa Parola viene così mantenuta fedelmente e renderà frutto a suo tempo”.

    Una piccola curiosità: in tutto il libro di Ratzinger, scritto cinque anni dopo quello di mons. Bello, fra le tante citazioni fatte, nessuna, neppure una proviene dalle nozioni astratte di don Tonino Bello e della “sua” Maria. Non ne traiamo alcuna conclusione, ma documentiamo solo un fatto eloquente.

     
    LA MARIA DELLE “VAMPE” MATRIMONIALI DI DON TONINO, DIMENTICA CHE GIUSEPPE ERA IL “CASTISSIMO SPOSO” [SM=g1740729]

    Riguardo al rapporto fra Maria e Giuseppe, che mons. Tonino Bello fa scendere nella quotidianità del nostro tempo attribuendo alla Vergine “momenti di crisi e di sconforto” di coppia, come avviene per molte famiglie di oggi, san Bernardo di Chiaravalle la pensa diversamente.

    [SM=g1740733] Nella sua Seconda Omelia, spiegando la titubanza di Giuseppe nel prendere Maria con sé, prima del sogno rivelatore, ne descrive la grandezza e l’innamoramento casto che manterrà per tutta la vita che vivrà come membro della Sacra Famiglia.
    San Bernardino spiega che Giuseppe, comprendendo bene quanto egli fosse peccatore e quanto fosse santa la giovane Maria, si riteneva indegno di essere chiamato alla guida di questa famiglia e con una Donna di tale grandezza, diventandone lo sposo. La vedeva, spiega san Bernardino, portare in sé la Presenza Divina, e lui aveva timore di non essere all’altezza di proteggerli abbastanza; ma san Giuseppe venerava già la Sposa Immacolata e, fidandosi di Dio che lo aveva chiamato per proteggerla e per proteggere la vita del Divino Fanciullo, si affida egli stesso alla Vergine Sposa ponendosi così da subito a servirla e ad onororala senza mai procurarle dispiaceri.
    “Giuseppe – conclude san Bernardino-, era l’uomo giusto, perciò procurati di valutare che grande uomo sia stato tanto da ricevere da Dio il compito di essere Sposo di una Vergine di cui Dio ne fece il proprio Tempio, e lo volle padre putativo del Suo Divin Figlio, e considera anche il significato del suo nome arricchimento che il Signore stesso volle mettere al fianco della Piena di Grazia, e se nella Vergine Maria si compì la promessa, in Giuseppe troviamo il primo discepolo della Beata Madre e il terzo discepolo del Signore: la prima Discepola fu, infatti, la stessa Madre, la seconda santa Elisabetta che lo riconobbe Signore e a Lei Madre del suo Signore, il terzo è san Giuseppe, custode e discepolo di entrambi”.

     
    DISTINGUIAMO LA MARIOLOGIA DELLA TRADIZIONE DALLA MARIOLOGIA PROGRESSISTA

    Per concludere queste riflessioni possiamo chiederci: che differenza c’è fra la Mariologia della Tradizione e la mariologia progressista?
    A quando abbiamo detto fin qui, quale prova della differenza, possiamo dire che nella Mariologia della Tradizione, l’incontro fra Dio e l’uomo, attraverso l’esempio di Maria, è una reciproca esperienza, una reciproca “penetrazione”, una trasformazione ontologica (ossia trasformazione, discorso dell’essere); avviene una conversione, un moto continuo che sfocia in Dio, un moto che Dio, pur “muovendo ed azionando” per primo, attende da Maria il “sì” della compiutezza, affinché tale moto si attivi, e da questo “sì” dipenderà il sì o il no di tutti gli uomini con tutto ciò che questo comporta.

    Nella mariologia progressista, al contrario, pur partendo dal “sì” di Maria, l’incontro fra l’uomo e Dio diventa sentimento e sentimentale, superficiale e mediocre, non chiede all’uomo il massimo dello sforzo, ma il minimo; non chiede necessariamente una conversione, ma una sorta di stabilimento di un “sì-ma” racchiuso nelle capacità esclusivamente umane senza la necessità di dottrine. Insomma, dialogare, discutere, METTERSI SEMPRE AL CENTRO per difendere le proprie opinioni.

    La Mariologia della Tradizione non viene citata dai teologi progressisti quale valida dottrina per affrontare le tematiche odierne e gli scritti dei Santi, dei Padri e dei Dottori della Chiesa, vengono re-interpretati a seconda della situazione del momento, del tempo e delle mode non di rado laicissime. In essa vi è una ostinazione all’archeologismo cristiano denunciato da Pio XII, un modo difettoso di ritornare alle radici cancellando però lo sviluppo dottrinale e teologico di certi periodi della Chiesa, specialmente del Medioevo e dei tempi di san Tommaso d’Aquino e dei suoi scritti, preferendo una re-interpretazione della Bibbia libera da vincoli dottrinali e dogmatici. Una mania con tutti i crismi del protestantesimo, insomma.

    [SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 06/10/2011 18:16
    [SM=g1740733]in proseguimento dell'articolo sopra postoato sulla Marilogia della Tradizione contro una mariologia progressista, leggiamo anche questo bellissimo articolo:

    “Maria, bellezza della donna”


     

    di suor M. Caterina Gatti*

    ROMA, giovedì, 6 ottobre 2001 (ZENIT.org).- Nell’enciclica Redemptoris Mater Giovanni Paolo II scrive che “la femminilità si trova in una relazione singolare con la Madre del Redentore […]. Si può, pertanto, affermare che la donna, guardando a Maria, trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità ed attuare la sua vera promozione. Alla luce di Maria, la Chiesa legge sul volto della donna i riflessi di una bellezza che è specchio dei più alti sentimenti di cui è capace il cuore umano: la totalità oblativa dell’amore; la forza che sa resistere ai più grandi dolori; la fedeltà illimitata e l’operosità infaticabile; la capacità di coniugare l’intuizione penetrante con la parola di sostegno e di incoraggiamento”.

    Possiamo quindi affermare che Maria Santissima è una donna stupenda da qualsiasi punto di vista la si guardi, dato che I papi e la Chiesa ce la additano come esempio di femminilità, ce la mostrano come luce che illumina ogni donna. Si potrebbe facilmente pensare che non è possibile fare un paragone tra Lei e noi, dato che Lei è stata preservata dal peccato originale ed è stata prescelta da Dio per diventare la Madre del Salvatore. Ma se è vero che il Signore l’ha scelta come Madre di Cristo e se è vero che la sua anima non è mai stata macchiata dal peccato è anche vero che la Santa Vergine era una donna nel senso pieno della parola, era uguale in umanità a tutte le donne. È per questo che la sua figura può essere proposta come esempio di un modo di essere e di fare per qualsiasi donna di qualsiasi tempo e luogo.

    L’enciclica parla di Maria Santissima come di una persona libera e attiva. Non è stata cioè uno strumento passivo nelle mani del Signore, una specie di “burattino” che viene mosso da altri poiché incapace di qualsiasi movimento e decisione, ma ha collaborato perché si realizzasse in pienezza quel progetto che il Signore aveva su di Lei. Quindi era persona pienamente attiva. E non è stata obbligata a dire quel fiat, quel pronunciato all’Angelo: poteva dire “sì” ma avrebbe anche potuto dire “no”. Quel fiat l’ha detto in piena e totale libertà. Quindi era donna libera. E per libertà stiamo attenti a non intenderla come un “fare tutto quello che mi piace, quello che voglio” – perché oggi questa è la definizione che normalmente si dà alla parola libertà. Il Concilio Vaticano II precisa che la libertà è la capacità di autodeterminarsi nello scegliere il bene. Se scelgo ciò che mi piace ma che in realtà va contro i comandamenti di Dio o va contro ciò che Dio vuole per il mio bene, scelgo una cosa che è un male per me, poiché sappiamo benissimo che le leggi Dio le ha date per il nostro bene e sappiamo anche che il disegno che Dio ha per ciascuno di noi è un disegno che ci vuole rendere felici. Allora se siamo convinti che Dio ci ama e vuole il nostro bene, se crediamo che solo la verità ci farà liberi (e Dio è la Verità), allora significa che solo aderendo alla legge di Dio e alla sua volontà – che sono il bene per noi – saremo realmente liberi.

    Questo è ciò che ha fatto la Madonna: pur avendo scelto di vivere in verginità, di essere tutta di Dio, di fronte all’Angelo che le annunzia una maternità (che non era quindi nei suoi progetti di vita) non oppone resistenza ma si adegua al piano di Dio. Maria sceglie liberamente poiché sceglie ciò che la rende libera: la volontà di Dio, che è anche il suo bene. Allora è da chiedersi: com’è la donna cristiana? È veramente quella donna attiva, che si impegna nel quotidiano, giorno dopo giorno, per realizzare la missione che il Signore le ha affidato? E la missione, per le donne già sposate, è quella di occuparsi prima di tutto della propria famiglia: pensare al marito, all’educazione dei figli, alla loro istruzione non solo culturale ma soprattutto religiosa, dato che in molti documenti del Magistero viene sottolineato che i primi catechisti sono proprio i genitori. Questa è la prima e più importante missione della donna: essere moglie e mamma, cooperare attivamente per svolgere al meglio quella che è una vocazione data dal Signore.

    La donna che si dice cristiana è veramente libera, capace di scelte libere e liberanti dalle tante schiavitù del mondo? È capace di fare le proprie scelte alla luce del Vangelo, degli insegnamenti della Chiesa, è capace di andare controcorrente rispetto a quello che il mondo pensa, rispetto a quello che le amiche, le colleghe di lavoro e magari anche qualche familiare poco religioso pensano e sostengono?

    L’enciclica Redemptoris Mater dice che è la grazia che Maria Santissima porta in sé a determinare “la straordinaria grandezza e bellezza di tutto il suo essere”. Quindi non si tratta semplicemente e solamente di un fatto estetico, fisico, esteriore: la Madonna è modello di bellezza non solo per il suo comportamento, per l’atteggiamento, per la modestia, ma anche e soprattutto per le sue virtù, per la grazia di Dio di cui era ripiena, per il suo Cuore che era Immacolato. È questo che, più di ogni altra cosa, fa di Maria Santissima la donna più bella, il modello della femminilità. Non sono il trucco, il vestirsi alla moda, il farsi la tinta ai capelli a determinare la bellezza della donna, ma è il suo interno, è il vivere in grazia di Dio, è quel complesso di virtù, è quella santità di vita. Quello che si è, quello che si ha dentro, traspare anche fuori, all’esterno.

    Quali sono allora in particolare le virtù di Maria Santissima che la donna cristiana deve imitare?

    OBBEDIENZA. La Madonna è chiamata anche “nuova Eva” perché con la sua obbedienza, con il suo fiat pronunciato all’Angelo ripara a quell’atto di disobbedienza compiuto da Eva. In tutta la sua vita Maria Santissima è stata obbediente a Dio, sempre pronta a fare la sua volontà con gioia e senza spaventarsi dinanzi a qualsiasi sacrificio e sofferenza. Così dobbiamo essere anche noi: obbedienti a Dio e al suo volere. Vi potreste chiedere: “Ma qual è la volontà di Dio per me?”. Per le donne sposate è sicuramente volere di Dio ciò che costituisce la loro missione che, come dicevo all’inizio, è quella di essere moglie e mamma. Il Concilio Vaticano II nel Messaggio alle donne“Voi donne avete sempre la missione di salvare il focolare, l’amore delle fonti della vita, il senso delle culle. […] Spose, madri di famiglia, prime educatrici del genere umano”. Non può essere allora volontà di Dio tutto quello che distoglie la donna da questa missione: se avete dei figli non è giusto ad esempio andare dopo il lavoro a fare 4 ore di volontariato e lasciare i bambini a casa da soli, magari davanti al televisore che troppe volte funziona da “baby sitter”. Perché la carità va fatta al prossimo, ma non dimentichiamoci che il prossimo è proprio colui che vive accanto a noi, quindi per voi donne sono i vostri mariti e i vostri figli. E questa missione va svolta, sull’esempio di Maria Santissima, con gioia e con disponibilità al sacrificio. dice:

    CARITÀ, ATTENZIONE. La Madonna si dimentica di se stessa e intraprende un lungo viaggio per andare dalla cugina Elisabetta che ha bisogno del suo aiuto. Alle nozze di Cana si mostra particolarmente attenta accorgendosi che è finito il vino e chiede l’aiuto del Figlio per porre rimedio a questa situazione. Anche voi dovete essere sempre animate da questa carità e attenzione verso tutte le persone che vivono con voi, che lavorano con voi; saper andare incontro alle loro necessità, prevenire i loro bisogni, offrire quell’aiuto che magari non viene neppure chiesto. Giovanni Paolo II diceva che “è infatti specialmente nel suo donarsi agli altri nella vita di ogni giorno che la donna coglie la vocazione profonda della propria vita”. Essere capaci di ascoltare.

    SILENZIO. Quante volte la Madonna rimane in silenzio dinanzi a tanti avvenimenti che non comprende fino in fondo, anche di fronte al Figlio dodicenne che le dice “Perché mi cercavate?”. Questa virtù è molto importante sia per sentire la voce di Dio che ci parla nel silenzio, sia per vivere bene in famiglia o sul lavoro. Tante volte bisogna anche saper tacere, stare in silenzio, non rispondere impulsivamente al marito che arriva stanco dal lavoro e magari è un po’ nervoso, a quella collega di lavoro che si comporta magari un po’ sgarbatamente con voi perché non condivide il vostro modo di pensare o agire dettato dalla fede in Cristo.

    FEDELTÀ. La Madonna è stata sempre fedele a Dio e alle sue leggi, e così la donna della “Famiglia” deve mostrare di avere questa fedeltà al Signore ma anche al marito, ai suoi compiti di moglie e mamma. Fedeltà nella buona e nella cattiva sorte, a costo di fare grandi sacrifici.

    DOLCEZZA, AMABILITÀ. Quanto sarà stata amabile la Madonna! Mai una parola sgarbata, mai un volto arrabbiato neppure nei confronti di chi le aveva ucciso il Figlio. Anzi, è proprio nei confronti dei peccatori che Lei dimostra tutta la sua dolcezza e amabilità, e sono proprio queste virtù molte volte che convertono anche i cuori e le anime più induriti. Dobbiamo essere anche noi come Lei, sempre amabili con tutti, mai sgarbate con nessuno, pronte a dire una buona parola di sostegno e di incoraggiamento a chiunque ci avvicini.

    MODESTIA, NASCONDIMENTO. Che Maria Santissima era donna del nascondimento lo si capisce anche dal fatto che compare poche volte nei Vangeli e le sono attribuite poche parole, quasi a voler passare inosservata. La donna cristiana deve essere modesta nel vestire e nel comportamento, amare il nascondimento, non desiderare di apparire davanti agli altri, ricordandosi che ciò che conta non è tanto il fare grandi cose, grandi opere visibili agli occhi umani, ma fare le piccole cose di tutti i giorni (lavare i piatti, stirare, aiutare i figli a fare i compiti, cucinare) con amore, perché è questo che il Signore vuole da voi ed è attraverso queste cose che vi santifica.

    Per vivere tutto questo occorre continuamente attingere alla fonte che è Gesù Eucaristia e ricorrere con fiducia alla materna intercessione di Maria Santissima. Più la donna cercherà di somigliare a Lei, immagine e modello di tutte le donne, “massima espressione del genio femminile”, più si leggerà anche sul suo volto “i riflessi di una bellezza che è specchio dei più alti sentimenti di cui è capace il cuore umano”.

    --------

    * Suor M. Caterina Gatti, dell’Istituto Servi del Cuore Immacolato di Maria (Icms).

     

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 03/04/2012 00:10
    [SM=g1740733] Amici....poichè un sacerdote mi ha scritto in email chiedendomi aggiornamenti circa il riconoscimento alla devozione della Signora di tutti i popoli nelle presunte apparizioni di Amsterdam... gli ho risposto quanto segue:


    Gentile sig. Caterina,

    mi sono imbattuto per caso nel suo forum dedicato al Difendere la vera fede, e devo ringraziarla soprattutto per la quantità di materiale didattico, catechetico-magisteriale.
    Dopo aver letto con attenzione le due sezioni dedicate alla Mariologia, vorrei chiederle notizie sulle apparizioni di Amsterdam, se e quando la Chiesa le abbia mai approvate e con quale Nota. Sono un parroco vicino a Cervetri e sto avendo problemi con un gruppo di Medjugorje ed uno della Signora di tutti i popoli, sono anime volenterose ma non accettano i miei consigli. Da quel che ne so nessuna delle due apparizioni sono state approvate, ma ho forti dubbi su quelle di Amesterdam, può darmi qualche aggiornamento?
    Nell'augurarle una Santa Pasqua, preghi per me, e che Dio la benedica, anch'io la benedico.
    Don ****

    *******************

    Reverendo Don ****,
    a seguito della sua richiesta le suggerisco di documentarsi direttamente presso la sua Diocesi, magari parlandone con il suo Vescovo o contattando la CdF. La mia non è una risposta di comodo ^__^ quanto piuttosto evitare di darle delle false interpretazioni o false notizie.
    Tuttavia, facendo una rapida ricerca, l'unico Documento ufficiale che si conosca è questo che le allego e che si trova nel sito ufficiale del Vaticano, alla voce Congregazione per la Dottrina della Fede. Altro non saprei dirle, nel mio piccolo posso solo consigliarle di adoperarsi per quelle Apparizioni già ufficiali e riconosciute dalla Chiesa, già con queste c'è molto da lavorare ^__^ e lasciare che la Chiesa faccia il suo corso e percorso.
    Non so se conosce il sito del Movimento Domenicano del Rosario: www.sulrosario.org
     
      qui cerchiamo di lavorare nella Devozione mariana con il supporto magisteriale ecclesiale e, nello specifico, pontificio... lasciamo fare al Papa il suo lavoro, alle Congregazioni il loro, e noi il nostro ^__^
    Quanto ai problemi che mi ha segnalato che dirle?
    Non si scoraggi e preghi molto, nella prova che affronta il suo santificarsi santificherà anche questi gruppi ^__^
    L'importante è che dicano il Rosario, se dovessero fare affermazioni false riguardo alla dottrina, si rammenti che il Parroco è lei.... rifornisca i due gruppi di materiale mariano magisteriale, lasciando cadere nel vuoto il problema delle approvazioni, cioè, parli a loro solo di mariologia contenuta nel Magistero e dica loro di pregare, il resto è nelle mani di Cristo e di Maria Santissima ^__^
    Ricambio di cuore questi Auguri e con gioia prendo umilmente la sua benedizione.
    La ricordo nella Preghiera,
    Caterina

    ecco il Documento, è del 1974, ma ad oggi non se ne conoscono altri, nè nuovi Documenti che abbiano cambiato parere, inoltre c'è un particolare importante, il sito della CdF http://www.doctrinafidei.va/doc_doc_index_it.htm
     

    ha aggiornato di recente l'indice della sua pagina principale e questo con altri Documenti, sono stati inseriti da poco, segno evidente che la CdF lo ritiene ad oggi ancora ufficiale:

    SACRA CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI

     

    NOTIFICAZIONE *

     

    In merito alle pretese apparizioni e rivelazioni della « Signora di tutti i popoli », avvenute ad Amsterdam, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede ritiene opportuno dichiarare quanto segue:

    Il 7 maggio 1956 il Vescovo della diocesi di Haarlem (Olanda), a seguito di un attento esame della causa riguardante le pretese apparizioni e rivelazioni della « Signora di tutti i popoli », dichiarava che « non constava della soprannaturalità delle apparizioni », e, conseguentemente, proibiva la venerazione pubblica dell'immagine della « Signora di tutti i popoli », come pure la divulgazione di scritti che proponevano le suddette apparizioni e rivelazioni come di origine soprannaturale.

    Il 2 marzo 1957 lo stesso Ordinario ribadiva la sopraddetta dichiarazione, ed il Santo Uffizio, con lettera del 13 marzo dello stesso anno, lodava la prudenza e la sollecitudine pastorale dell'Ecc.mo Vescovo approvandone i provvedimenti. Inoltre in risposta ad un ricorso del Vescovo di Haarlem del 29 marzo 1972, la S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 maggio dello stesso anno, confermava la decisione già presa al riguardo.

    Ora, a seguito di ulteriori sviluppi e dopo un nuovo e più approfondito esame del caso, la S. Congregazione per la Dottrina della Fede conferma con la presente notificazione la fondatezza del giudizio già espresso dalla competente autorità ecclesiastica e invita sacerdoti e laici a cessare qualsiasi propaganda circa le pretese apparizioni e rivelazioni della « Signora di tutti i popoli », esortando tutti ad esprimere la loro devozione verso la Vergine Santissima, Regina dell'Universo (cf. Litt. enc. Ad Caeli Reginam, AAS XXX [1954], 625-640), con forme riconosciute e raccomandate dalla Chiesa.

     

    Roma, 25 maggio 1974.

     

    [SM=g1740750] [SM=g1740752] 


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 29/04/2012 14:10

    La devozione a Maria Ss. Madre di Cristo è sempre esistita.

     

    Gianpaolo Barra, direttore de "il Timone"
     
    L'apologetica ha molte cose da dire riguardo la Vergine Maria. Sapete che la dottrina cattolica sulla Madonna, il culto che la Chiesa e i cattolici rendono alla Madre di Dio, le verità dogmatiche che La riguardano e che i cattolici sono tenuti a credere vengono contestate, tutte o in parte, dal mondo protestante e dai Testimoni di Geova.
     
    Secondo costoro, la Chiesa altera la verità del Vangelo quando afferma e insegna che ogni cristiano è chiamato a venerare la Madre di Dio, a pregarla, a crederLa mediatrice tra Dio e gli uomini di tutte le grazie.
     
    Per loro, la venerazione della Madre di Dio nasconde o diminuisce il vero culto che si deve prestare soltanto a Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo (per i protestanti), o che è solo Padre (per i Testimoni di Geova).
     
    Naturalmente, ogni cattolico, e ogni apologeta, trae spunto da queste contestazioni per approfondire le ragioni della sua fede e per rispondere punto per punto alle accuse.
     
    Ci serviremo, per questa esegesi, di un opuscolo di Padre Tornese dedicato alla "Madonna contestata" e integrerò quanto scrive Padre Tornese con informazioni e dati che traggo dalla preziosissima - e ormai quasi introvabile - Enciclopedia Cattolica, che ho esaminato alla voce "Maria". Chiederemo alla storia di indicarci che cosa pensavano i primi cristiani della Madre di Dio. Vogliamo sapere se anch'essi veneravano Maria, come noi cattolici oggi. O se, al contrario, hanno "ragione" protestanti e Testimoni di Geova.
    Il tema di questa conversazione riguarda, dunque, il culto mariano. Sgomberiamo subito il campo da ogni confusione di carattere dottrinale e spieghiamo bene che cosa intende la dottrina cattolica per culto mariano, per culto prestato alla Vergine Maria.
     
    Il culto di Maria viene definito "iperdulia". È un termine che significa prestare un onore speciale, superiore all'onore che si deve ai santi.
     
    Perché un cattolico presta alla Vergine Maria un onore speciale? La risposta è semplice: a causa della sua singolare eccellenza, della sua eccezionale e singolare dignità, perché è la Madre di Dio ed è la Regina di tutti i santi.
     
    Chiarito che cosa si intende per venerazione di Maria, non possiamo più cadere nel tranello che ci tendono i Testimoni di Geova, quando accusano noi cattolici di "adorare" Maria. I cattolici non adorano Maria, adorano solo Dio. I cattolici venerano Maria, che è cosa ben diversa dall'adorare.
     
    Protestanti e Testimoni di Geova contestano il culto a Maria, insegnato dalla Chiesa cattolica. Per la verità, va detto che molti di loro portano un certo rispetto per la Madre di Gesù, ma non comprendono come sia possibile prestarLe culto.
     
    Torniamo alla nostra domanda: per quale ragione noi cattolici prestiamo un culto a Maria, veneriamo la Vergine Madre di Dio. . Rispondiamo brevemente. In primo luogo: la ragione per la quale i cattolici venerano Maria si trova nel Vangelo. Ivi è raccontato, in modo illuminante, che l'angelo Gabriele e santa Elisabetta hanno rivolto a Maria parole piene di venerazione profonda.
     
    L'angelo Gabriele e santa Elisabetta hanno trattato Maria con autentica venerazione. Dunque noi cattolici - lo ricordino Protestanti o Testimoni di Geova - quando veneriamo Maria non facciamo altro che imitare l'angelo Gabriele e santa Elisabetta.
     
    Conosciamo le parole che l'angelo rivolge a Maria, ricordate da san Luca: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" . Dunque, quando noi cattolici veneriamo la Madonna pregando l'Ave Maria, non facciamo altro che ripetere il saluto dell'angelo.
     
    Proseguiamo. Conosciamo le parole che santa Elisabetta rivolge a Maria quando la Madre di Gesù va a trovarla, parole anch' esse riportate dal Vangelo di san Luca: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo" (Lc 1 ,42). Vedete bene che quando veneriamo la Madonna pregando l'Ave Maria, noi cattolici altro non facciamo che aggiungere, al saluto angelico, le parole di santa Elisabetta.
     
    E se ci pensiamo bene! qui delle due; l'una: o queste parole, piene di venerazione, queste affermazioni dell'angelo e di santa Elisabetta erano sbagliate - e allora bisogna concludere che l'angelo inviato da Dio e santa Elisabetta hanno sbagliato, e ha sbagliato anche san Luca, perché non ha contestato quelle parole - oppure quelle parole erano appropriate, erano doverose e allora facciamo bene noi cattolici a ripeterle, a venerare la Madre di Dio pregando l'Ave Maria, imitando l'angelo Gabriele e santa Elisabetta.
     
    In secondo luogo: i cattolici invocano Maria, la credono capace di intercedere presso Dio, le rivolgono preghiere chiedendole di intervenire presso suo Figlio per ottenete i favori di Dio.
     
    Protestanti e Testimoni di Geova contestano questo potere di intercessione della Vergine Maria, contestano che Maria sia Mediatrice tra i cristiani e Dio. Per loro, questa sarebbe una invenzione della Chiesa cattolica e un allontanamento dal Vangelo.
     
    Quali ragioni, quali motivi abbiamo noi cattolici per sostenere, giustificare e difendere dalle contestazioni la verità del potere di intercessione di Maria?
     
    Rispondiamo semplicemente. La prima ragione, come sempre, sta nel Vangelo. Per chi lo sa leggere, l'episodio del primo miracolo di Gesù, compiuto a Cana di Galilea, riportato dal Vangelo di san Giovanni, è illuminante, esemplare e chiarissimo.
     
    Durante il banchetto nuziale, al quale era stato invitato anche Gesù, viene a mancare il vino e Maria interviene, intercede, fa da mediatrice tra gli invitati a nozze e Gesù stesso.
     
    E che cosa succede? Succede che Gesù dice a sua Madre che non è ancora giunta la sua ora, quindi che non aveva in conto di manifestare il suo potere, ma, per l'intercessione di Maria, che si era rivolta a suo Figlio, Gesù rimedia: l'acqua viene trasformata in vino.
     
    Dunque, quando noi cattolici chiediamo l'intercessione di Maria non facciamo altro che chiedere alla Madre di Dio di fare ciò che ha fatto a Cana, è cioè di rivolgersi a suo Figlio per i nostri bisogni.
     
    Qui si potrebbe chiedere a Protestanti e a Testimoni di Geova di spiegarci dove sbagliamo noi cattolici, quando chiediamo a Maria di comportarsi come si è comportata a Cana, ottenendo da suo Figlio Gesù un vero miracolo.
     
    Ma l'apologetica può ricordare anche altre ragioni per giustificare la verità cattolica. Infatti, se passiamo dalla Sacra Scrittura alla storia, vediamo che anche i cristiani dei primi secoli invocavano Maria, La pregavano, consapevoli del suo potere di intercedere presso Dio.
     
    La storia, dunque, conferma la verità cattolica sul culto a Maria.
     
    Pensate che la più antica e famosa preghiera rivolta a Maria, Sub tuum praesidium, è stata trovata in un papiro egiziano, copto, che secondo molti studiosi risale al 111 dopo Cristo, quindi in epoca antichissima. Ed è una preghiera, una richiesta di intercessione rivolta dai primi cristiani alla Vergine Maria.
     
    Ascoltiamo questa preghiera antichissima: "Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio santa Madre di Dio.
     
    Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta".
     
    Dunque, se noi cattolici invochiamo Maria e le chiediamo di intercedere presso Dio, di proteggerci e di liberarci dai pericoli, facciamo quello che hanno sempre fatto i veri cristiani, dalle origini e fino ai nostri giorni.
     
    In terzo luogo, noi cattolici prestiamo culto a Maria cercando di imitarne le virtù. Questo culto è fondato sulla specialissima e singolare santità di Maria, che l'angelo ha chiamato "Piena di Grazia".
     
    La storia offre conferme. Se visitate le catacombe di Priscilla, a Roma, le catacombe dove si radunavano i primi cristiani, troverete una rappresentazione che risale al III secolo dove si vede bene la figura di un vescovo che, nell'atto di imporre il sacro velo ad una vergine cristiana, le addita come modello Maria, che è lì dipinta col bambino Gesù in braccio.
    Come vedete, i primi cristiani erano convinti che la Vergine Maria fosse un esempio da imitare, specialmente da coloro che sceglievano la verginità consacrata come stile di vita al servizio di Dio.
     
    La storia conferma che i cattolici, venerando Maria e cercando di imitarla non inventano niente di nuovo, ma ripetono ciò che i veri cristiani hanno sempre fatto.
     
    Proseguiamo nella nostra riflessione. Nella storia della Chiesa, il Concilio di Efeso dell'anno 431, ricopre una tappa importante. È il Concilio nel quale la Chiesa proclama solennemente Maria come "Madre di Dio".
     
    Il Concilio era stato convocato per contrastare la tesi del Patriarca di Costantinopoli Nestorio, che non riconosceva questo titolo a Maria. Se tuttavia teniamo presente che il Concilio di Efeso venne celebrato in un edificio dedicato a Maria, risulta dimostrato che anche prima di quel Concilio il culto a Maria era praticato nella Chiesa.
     
    Noi cattolici dobbiamo respingere come storicamente infondata la tesi che il culto di Maria sarebbe cominciato proprio con il Concilio di Efeso.
     
    Se torniamo nelle catacombe di Priscilla, sulla via Salaria a Roma, possiamo osservare un epitaffio, cioè un'iscrizione che generalmente si poneva sulla tomba di un defunto, posto davanti al loculo di un morto di nome Vericundus. Il nome di questo defunto è tracciato su due tegole tra loro unite, che chiudono il loculo.
     
    Bene, fra queste due tegole, proprio sulla calce che le unisce, spicca, dipinta probabilmente dalla stessa mano che tracciò il nome del defunto, una "M" e secondo la nota studiosa Margherita Guarducci questa "M" rappresenta Maria.
     
    Il nome di Maria veniva così inserito nel nome di Vericundus per augurare al defunto la protezione della Vergine Maria nel mondo ultraterreno, nell'al di là.
     
    Ora, tenete presente che questo epitaffio risale al Il secolo e ci dimostra come fin dai tempi della Chiesa antica i veri cristiani - come facciamo oggi noi cattolici - affidavano anche a Maria l'anima del defunto. Ma vedete bene, con questo esempio, che 300 anni prima del Concilio di Efeso si invocava Maria a protezione delle anime dei defunti.
    Ma andiamo avanti. Nel famoso "muro G", che conteneva le ossa dell' apostolo Pietro identificate da Margherita Guarducci, sono state trovate molte scritte, databili all'inizio del IV secolo, quindi antichissime.
     
    Ora, tra questi graffiti. che venivano incisi per impetrare ai cristiani defunti la felicità del Paradiso, si trova molte volte una acclamazione di vittoria di Cristo, di sua Madre Maria e dell'apostolo Pietro. Vi è persino un graffito in cui il nome di Maria appare per intero e non abbreviato, come si usava fare in antichità. Questo vuoi dire che i Cristiani dei primi secoli associavano alla vittoria di Cristo la vittoria di Maria e del principe degli apostoli.
     
    Capite bene che attribuendo a Maria la vittoria sul demonio noi cattolici crediamo ciò che i primi cristiani hanno sempre creduto e che ci è testimoniato da preziosissimi documenti storici.
     
    Non solo. A dimostrazione che il culto di Maria è antichissimo nella Chiesa, si può dire che risulta ormai certo che prima del Concilio di Efeso, dell'anno 431, furono istituite varie feste in onore di Maria, a Betlemme, Gerusalemme e a Nazareth.
     
    Una solennità mariana esisteva a Costantinopoli,prima del Concilio di Efeso: sembra autentico un discorso di san Proclo, patriarca di Costantinopoli nell'anno 429, nel quale si fa cenno chiarissimo ad una solennità della Vergine Maria. Dunque, prima del Concilio di Efeso, Maria veniva festeggiata anche liturgicamente.
     
    Troviamo preghiere bellissime rivolte a Maria, di Atanasio, san Giovanni Crisostomo, sant'Ambrogio, san Gerolamo e di sant'Agostino.
     
    Come si vede, la Vergine Maria era venerata, e a Lei si rivolgevano preghiere, fin dall'antichità.
     
    La devozione a Maria non nasce con il Concilio di Efeso dell'anno 431, ma è sempre stata presente nella Chiesa, fin dalle origini, fin dai primi secoli.
     
    Come possiamo dubitare che i cristiani non abbiano messo in pratica quelle parole così profonde, pronunciate da Maria e tramandate dal vangelo di san Luca: "D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
     
    Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente"?
     
    Ecco, noi cattolici pregando e venerando Maria non facciamo altro che obbedire al Vangelo che ci dice di chiamare, di considerare, di credere "beata" Maria, la Madre di Gesù.
     
    Vorrei concludere questa conversazione dedicata alle ragioni e alle prove del culto mariano, praticato fin dai tempi della Chiesa primitiva, rivolgendo l'attenzione proprio a Nazareth, cioè alla località dove l'angelo Gabriele rivolse a Maria il famoso saluto: "Ave piena di Grazia".
     
    Perché rivolgiamo l'attenzione a Nazareth? Perché proprio in questo luogo santo, dove oggi sorge la famosa Basilica dell'Annunciazione, si sono trovate prove antichissime del fatto che i cristiani pregavano la Vergine Maria, proprio come facciamo oggi noi cattolici.
     
    In una colonna. antichissima, forse del II, massimo del III secolo, è stata trovata un’iscrizione in lingua greca, che è stata scritta da una pellegrina la quale, in ginocchio (così scrive), "sotto il luogo sacro di Maria" ha inciso il proprio nome e quello dei suoi cari, per affidarli alla Madonna.
     
    Abbiamo così la prova che a Nazareth, già nel II, massimo nel III secolo, i cristiani affidavano alla protezione di Maria se stessi e i propri cari. In quella iscrizione, oltretutto, la pellegrina dice di avere eseguito i riti e le preghiere prescritte; o di avere ornato religiosamente l'immagine di Maria (qui il testo greco autorizza l'uno e l'altra interpretazione).
     
    Traggo questa informazione preziosissima, grazie alla quale sappiamo che in età antichissima, a Nazareth, i cristiani pregavano Maria con riti e preghiere, da un opuscolo, intitolato:
     
    "La chiesa primitiva nei ricordi di Nazareth", che ho comprato proprio a Nazareth in occasione del mio viaggio di nozze.
     
    E non solo. Contemporaneamente alla scoperta di questa importantissima e antichissima iscrizione, ne veniva trovata un'altra, sempre del II, massimo del III secolo, che porta la testimonianza sicura del culto mariano che i cristiani prestavano a Maria.
     
    In questa iscrizione si può leggere chiaramente il saluto angelico:
     
    "Ave Maria". Immaginatevi la gioia del famoso Padre Bellarmino Bagatti e del suo gruppo di ricercatori quando trovarono questa antichissima incisione, alla base di una colonna: erano di fronte alla preghiera a Maria della Chiesa primitiva, alla traccia dell'Ave Maria che i cristiani recitavano fin dal secondo, terzo secolo proprio sul luogo dell'Annunciazione.
     
    Quindi, già due secoli prima del Concilio di Efeso abbiamo prove certe della devozione dei primi cristiani verso Maria, la Madre di Gesù.
     
    La storia, i documenti, le prove, le testimonianze danno ragione ai cattolici che, venerando Maria, pregandola, chiedendole aiuto e intercessione presso Dio, fanno ciò che hanno sempre fatto tutti i veri cristiani, dalle origini ai nostri giorni.
     
     
    IL TIMONE - Gennaio/Febbraio 2003 (pag.64-65-66)


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    [SM=g1740722]


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    00 03/07/2012 15:15
    da AMICI DOMENICANI:

    Quesito:

    "Vorrei sapere se la Verginità perpetua di Maria sia un dogma della Chiesa cattolica"

    "Gentile Padre Angelo,
    vorrei sapere se la Verginità perpetua è un dogma della Chiesa cattolica, oppure se è una verità espressa semplicemente dal Magistero ordinario. Non riesco a trovare da nessuna parte il testo che dovrebbe di un concilio. Molti anche in parrocchia mi dicono che non è un ancora un dogma, infatti nel catechismo della Chiesa cattolica non se ne parla in questi termini, ma a me pare strano. Mi sa dare qualche certezza. Se è un dogma può essere così gentile da citarmi il pronunciamento infallibile del Papa che lo ha proclamato e in quale documento? Grazie
    Sergio"
    -----------

    Risposta del sacerdote

    "Caro Sergio,
    1. la verità della perenne verginità di Maria è stata affermata sia dal magistero ordinario che da quello straordinario.
    Inoltre la Chiesa nella sua liturgia ha sempre professato la perenne verginità di Maria. La Chiesa non si sbaglia nella sua liturgia perché lex orandi est lex credendi, ossia la legge della preghiera è legge della fede.

    2. Ecco i testi.

    Il Concilio Costantinopolitano II (553) fa riferimento esplicito alla perpetua verginità: “Prese carne dalla gloriosa Theotòkos (Madre di Dio) e sempre vergine Maria”. Tale concilio fu indetto da Giustiniano senza il papa, ma venne poi approvato da papa Vigilio e dichiarato ecumenico dal suo successore Pelagio I († 561).
    La verginità perpetua di Maria venne definita dal concilio Lateranense (649) convocato da papa Martino I. Il terzo canone del concilio si esprime così: “Se qualcuno non confessa secondo i santi padri che la santa e sempre vergine e immacolata Maria... (non abbia) partorito senza corruzione (incorruptibiliter), permanendo anche dopo il parto la sua indissolubile verginità, lo stesso Dio Verbo, nato dal Padre prima di tutti i secoli, sia condannato” (Mansi, 10, 1151-1152).

    Il Concilio lateranense non è stato un concilio ecumenico. Ma Martino I è convinto dell’obbligo di accettare quella che chiama “pia definizione della fede ortodossa” e perciò invia lettere ai vescovi d’oriente e d’occidente perché tutti ne accolgano i canoni. Pertanto, almeno in forza dell’autorità del papa, la perpetua verginità di Maria è verità di fede definita.

    Paolo IV nella costituzione Cum quorundam hominum del 7.8.1555 (contro alcuni errori diffusi dai Protestanti) condanna chi afferma che Gesù “non è stato concepito nell’utero della beatissima e sempre vergine Maria in virtù dello Spirito santo, ma come gli altri uomini dal seme di Giuseppe… o che la stessa beatissima Vergine Maria non è vera Madre di Dio, e che non ha persistito nell’integrità della verginità sempre, vale a dire prima del parto, nel parto e dopo il parto, in perpetuo” (DS 1880).

    Al concilio lateranense rimanda la Lumen Gentium quando afferma che “il Figlio primogenito non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò” (LG 57, nota 10). Paolo VI nell’esortazione Signum Magnum (13.5.1967) dice che Maria è “rimasta Vergine nel parto e dopo il parto, come sempre ha creduto e professato la Chiesa Cattolica” (n. 11) e nella professione di fede del 1968 ribadisce che “Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre Vergine, del Verbo Incarnato, nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo”.
    Alcune antichissime preghiere mariane, accolte dalla liturgia della Chiesa, testimoniano la perenne verginità di Maria.

    Ad esempio: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio, non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci sempre da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.
    Così pure: “Tu che nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, madre sempre vergine, pietà di noi peccatori” (“Alma Redemptoris Mater… Tu quae genuisti natura mirante tuum sanctum genitorem, Virgo prius ac posterius, peccatorum miserere”).

    Come vedi, la fede nella perenne verginità di Maria è ben documentata.
    Ti ringrazio del quesito, ti seguo con la preghiera e ti benedico.
    Padre Angelo

    Pubblicato 13.03.2008

    [SM=g1740733] [SM=g1740750] [SM=g1740752]


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    00 06/11/2012 14:05
    Problemi attuali di mariologia

     
    di GIUSEPPE DAMINELLI, smm

    La Vergine e il discepolo di Cristo
       

    «La Madre di Dio... deve essere molto amata e onorata, ma con una devozione che, per essere autentica, dev’essere ben fondata sulla Scrittura e sulla Tradizione» 
    (Giovanni Paolo II).

     

    La Sacra Scrittura e la Tradizione della Chiesa invitano il discepolo di Cristo ad accogliere Maria tra i suoi beni spirituali e ad affidarsi filialmente a lei, introducendola in tutto lo spazio della propria vita interiore. Sulla via maestra della liturgia egli troverà con ritmo frequente la memoria della Madre del Signore.

    Maria apparirà al discepolo di Cristo quale modello dell’atteggiamento spirituale con il quale deve celebrare, partecipare e vivere i divini misteri: Vergine in ascolto, che insegna ad accogliere con fede la Parola di Dio; Vergine in preghiera, che educa ad effondere lo spirito in espressioni di glorificazione a Dio, di umiltà, di fede, di speranza e di intercessione per i fratelli; Vergine Madre, che aiuta i suoi figli ad essere portatori e testimoni di Cristo nel mondo; Vergine offerente, che ottiene al discepolo di Cristo quella volontà oblativa che lo muove a portare la croce e a seguire Gesù maestro.

    Così, da Maria il discepolo di Cristo imparerà a fare della propria vita un culto a Dio e del proprio culto un impegno di vita; da Maria si sentirà chiamato al Figlio suo, al suo sacrificio e all’amore del Padre.

    Ex voto nel santuario, ritenuto fin dal 1335 dai Mercedari, Nostra Signora di Bonaria (Cagliari).
    Ex voto nel santuario, ritenuto fin dal 1335 dai Mercedari, Nostra Signora di Bonaria (Cagliari – foto Alessia Giuliani).

    A partire dalla fede vera. A questa sapienza pastorale della Marialis cultus lo stesso Paolo VI si era già ispirato, anni prima, nel suo pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Bonaria presso Cagliari. Aveva osservato che «la devozione alla Madonna non trova sempre i nostri animi così disposti, così inclini, così contenti alla sua intima e cordiale professione come era un tempo».

    Si era chiesto se «siamo noi oggi così devoti a Maria come lo era fino a ieri il clero ed il buon popolo cristiano»; se «una mentalità profana, uno spirito critico hanno forse reso meno spontanea, meno convinta, la nostra pietà verso la Madonna». «Dobbiamo soprattutto, a noi pare, cercare di comprendere nuovamente le ragioni della nostra venerazione e della nostra fiducia verso la Madonna. Ne abbiamo bisogno? Sì, tutti ne abbiamo bisogno. Bisogno e dovere. Questo momento prezioso deve segnare un punto di illuminata ripresa, per tutti, della nostra venerazione a Maria, di quella speciale venerazione cattolica alla Madre di Cristo, che a lei è dovuta e che costituisce un presidio speciale, un conforto sincero, una speranza singolare della nostra vita religiosa, morale e cristiana».

    Le ragioni ultime della nostra devozione a Maria – concludeva il Pontefice – procedono dunque dalla fede vera: dal piano redentivo di Dio, dal mistero di Cristo. «Dice l’Apostolo, che ha tracciato la struttura teologica fondamentale del cristianesimo: "Quando arrivò la pienezza del tempo, Dio mandò il Figlio suo, nato di donna..." (Gal 4,4). E "Maria – ci ricorda il Concilio – non fu strumento puramente passivo nelle mani di Dio, ma cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede ed ubbidienza" (LG 56). Questa dunque non è una circostanza occasionale secondaria, trascurabile; essa fa parte essenziale e per noi uomini importantissima, bellissima, dolcissima, del mistero della salvezza: Cristo a noi è venuto da Maria; lo abbiamo ricevuto da lei... Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù e che apre a noi la via che a lui ci conduce».

    Dire che la devozione a Maria scaturisce dalla fede vera è dire che essa è dono di Dio. San Luigi da Montfort invita a chiedere a Dio, in ginocchio, «la grazia di comprendere e gustare il divino mistero di Maria» (Segreto di Maria, 2): «Spirito Santo, pianta in me l’albero della vera vita, che è Maria. Irrigalo e coltivalo perché cresca, fiorisca e produca abbondanti frutti di vita». Lo Spirito Santo aiuta a superare anche quelle «pericolose esitazioni», che generando il timore di dar troppo a Maria, portano, invece, a darle troppo poco. Scrive, a questo proposito, Léon­Joseph Suenens: «Nel Vangelo secondo Matteo, il primo messaggio del cielo alla terra è un invito a ricevere Maria: "Non temere di prendere con te, dice l’Angelo a Giuseppe... perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo" (Mt 1,20). Al di là delle circostanze concrete del momento, questa parola si rivolge a tutte le generazioni cristiane: l’accoglienza della maternità spirituale di Maria è segno sicuro della nostra apertura allo Spirito Santo... Respirare Maria vuol dire inspirare lo Spirito Santo».

    Maria, lettera scritta dal dito del Dio vivente. «Ella è davvero una lettera scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, come l’antica legge, né su pergamena o papiro, ma sulla tavola di carne che è il suo cuore di credente e di madre. Una lettera che tutti possono leggere e capire, dotti e indotti. La Tradizione ha raccolto questo pensiero, parlando di Maria come di "una tavoletta incerata", su cui Dio ha potuto scrivere in libertà tutto ciò che ha voluto (Origene); come di "un libro grande e nuovo", in cui solo lo Spirito Santo ha scritto (sant’Epifanio), o come "il volume, in cui il Padre scrisse il suo Verbo" (Liturgia bizantina)».

    Dovremmo leggere col cuore in festa questa lettera che il Dio vivente ha scritto all’umanità redenta e, quindi, a ciascuno di noi in persona. Il Vaticano II definisce benignissimus e sapientissimus il piano redentivo di Dio che volle e vuole presente e operante Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa e, pertanto, nella storia delle singole anime.

    L’aggettivo qualificativo benignissimus del testo conciliare – abitualmente reso con misericordiosissimo – rimanda alla lettera pastorale di san Paolo a Tito, là dove l’Apostolo esorta i cristiani ad essere mansueti, «mostrando ogni dolcezza verso gli uomini», sull’esempio di Gesù Cristo nostro salvatore. «Quando si sono manifestati la bontà (benignitas) di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia» (Tt 3,4­5).

    La chiesa dell'incarnazione di Avila (Spagna), città natale di santa Teresa.
    La chiesa dell’incarnazione di Avila (Spagna), città natale di santa Teresa (foto Bertotti).

    In Maria, la benignità di Dio nostro salvatore e del suo amore per gli uomini appare sotto forma di amore materno. «Maria è un’esca posta dalla bontà divina per pigliare le creature che hanno in sé ragione» (santa Caterina da Siena in Dialogo, 139). Così «la vera devozione a Maria è una via facile, breve, perfetta e sicura per giungere all’unione con Nostro Signore nella quale consiste la perfezione del cristiano» (san Luigi da Montfort, Trattato della vera devozione a Maria, 152). Il Vaticano II dirà che il salutare influsso della Beata Vergine verso gli uomini «non impedisce minimamente l’immediato contatto dei redenti con Cristo, anzi lo facilita» (LG 60). Per questo, «la Chiesa non dubita di riconoscere apertamente la funzione subordinata di Maria, continuamente la sperimenta e raccomanda all’amore dei fedeli, perché, sostenuti da questo materno aiuto, siano più intimamente congiunti col Mediatore e Salvatore» (LG 62).

    Anche l’aggettivo sapientissimus si addice molto bene al piano redentivo di Dio che include la presenza viva e operante di Maria. «Hai visto l’ammirabile vittoria?», chiede san Giovanni Crisostomo. «Una vergine, un legno e la morte furono i simboli della nostra sconfitta. Ma ecco ancora una vergine, un legno e la morte, già simboli della sconfitta, diventare ora simboli della vittoria. Infatti al posto di Eva c’è Maria, al posto dell’albero della scienza del bene e del male c’è l’albero della croce, al posto della morte di Adamo la morte di Cristo».

    Ma dov’è questa lettera scritta dal dito e dal cuore del Dio vivente? Il Vaticano II ce l’offre, in compendio, in una finissima miniatura (LG 55).

    Volendo dare più rilievo alla presenza di Maria nel Nuovo Testamento, potremmo dire che Maria non è assente in nessuno dei tre momenti costitutivi del mistero cristiano che sono: l’incarnazione, il Mistero pasquale e la Pentecoste. «Ella fu presente nell’incarnazione perché essa è avvenuta in lei; il suo grembo – dicevano i Padri della Chiesa – è stato il "telaio" o il "laboratorio", in cui lo Spirito Santo ha tessuto al Verbo la sua veste umana, il "talamo" in cui Dio si è unito all’uomo.

    Fu presente nel Mistero pasquale, perché è scritto che "presso la croce di Gesù stava Maria sua madre" (cf Gv 19,25). E fu presente nella Pentecoste, perché è scritto che gli apostoli erano "assidui e concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù" (cf At 1,14). Seguendo Maria in ognuna di queste tre tappe fondamentali siamo aiutati a metterci alla sequela di Cristo in modo concreto e risoluto, per vivere tutto il suo mistero».

    Per essere autentica la devozione a Maria deve anche essere ben fondata sulla Tradizione. Data l’abbondante letteratura su tale argomento, sarà facile a ciascuno di attingervi a piene mani. A mo’ di invito riferiamo qui due brevi testi: «Questo è il volere di Dio, il quale ha voluto che noi ricevessimo tutto per mezzo di Maria. Se dunque abbiamo una qualche speranza, una qualche grazia, una qualche salvezza, riconosciamo che tutto ci viene da lei» (san Bernardo). «Essa distribuisce a chi vuole, quando vuole, come vuole e quanto vuole tutti i doni, virtù e grazie dello Spirito Santo» (san Bernardino).

    Giuseppe Daminelli




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 06/11/2012 14:08

    Maria e i sacerdoti
       

    «Sia la Madre di Gesù che il sacerdozio ministeriale portano Cristo nella nostra storia, ma...».
     

    Il prete è uomo dell’essere con Cristo e con i "suoi", avendo Maria come guida e modello.

    Scorrendo i sedici volumi degli Insegnamenti di Paolo VI, si scopre che la tematica Maria e i sacerdoti è molto presente ed articolata, a partire da alcune necessarie chiarificazioni di ordine dottrinale, pastorale, formativo, riguardanti, ad esempio, il rapporto tra Maria e il sacerdozio.

    Nel discorso ai seminaristi romani il Pontefice afferma: «Non già che noi possiamo attribuire alla Madonna le prerogative del sacerdozio, e al sacerdozio quelle proprie della Madonna, ma esistono analogie e rapporti fra l’ineffabile somma di carismi, di cui è ricolma Maria, e l’ufficio sacerdotale, che faremo sempre bene a studiare e a goderne la corrispondenza. È di questa armonia, che può edificarsi la nostra formazione, sempre in via di perfezionamento […]. È questa armonia, innanzitutto, che ci trasporta, per via esistenziale, quasi per incanto, nel quadro evangelico, dove visse la Madonna e da lei Gesù: così ella ci è subito maestra di questo ritorno alle fonti» (8.10.1971).

    Asti, 27.4.2010: 34ª Giornata dei seminaristi del Piemonte e della Valle d'Aosta.
    Asti, 27.4.2010: 34ª Giornata dei seminaristi del Piemonte e della Valle d’Aosta (foto Paolo Siccardi).

    Il Pontefice, approfondendo le relazioni che intercorrono tra la Madre di Gesù e il sacerdozio nella Chiesa, stabilisce un confronto che si giustifica nel fatto che la Vergine è stata da Dio intimamente inserita nel mistero della salvezza, mentre la Chiesa è in Cristo come un sacramento universale di salvezza.

    Infatti il Papa ricerca e segnala «quali relazioni o quali distinzioni vi sono fra la maternità di Maria, resa universale dalla dignità e dalla carità della posizione assegnatale da Dio nel piano della redenzione, e il sacerdozio apostolico, costituito dal Signore per essere strumento di comunicazione salvifica tra Dio e gli uomini» (7.10.1964). Queste relazioni, evidentemente, non sono su un piano di identità, ma di analogia: sia la Madre di Cristo che il sacerdozio ministeriale, nell’economia della salvezza, portano Cristo nella nostra storia, ma diverso è il modo di comunicarlo e di realizzarlo, come diversa è la posizione della Vergine da quella del presbitero nel piano della redenzione.

    Infatti, asserisce Paolo VI: «Maria dà Cristo all’umanità: ed anche il sacerdozio dà Cristo all’umanità, ma in modo diverso, com’è chiaro; Maria mediante l’incarnazione e mediante l’effusione della grazia, di cui Dio l’ha riempita; il sacerdozio mediante i poteri dell’Ordine sacro: ministero che genera Cristo nella carne il primo, e lo comunica poi per le misteriose vie della carità alle anime chiamate alla salvezza; ministero sacramentale il secondo ed esteriore, il quale dispensa quei doni di verità e di grazia, quello Spirito che porta e forma il Cristo mistico nelle anime, che accettano il salutare servizio della gerarchia sacerdotale.

    "Il Sassoferrato", Madonna in preghiera (sec. XVII), Pinacoteca civica, Budrio (Bologna).
    "Il Sassoferrato", Madonna in preghiera (sec. XVII), Pinacoteca civica, Budrio (Bologna – foto Bonotto).

    Maria è, dopo Cristo ed in virtù di Cristo, al vertice di questa economia di salvezza; precede e supera il sacerdozio; ella è ad un piano di eccellenza superiore e di efficacia differente rispetto ad esso; e se il sacerdozio al suo grado sommo possiede le chiavi del Regno dei cieli, la Regina dei cieli è lei, la Madonna, che è perciò, anche rispetto alla gerarchia, la Regina degli apostoli» (ivi).

    Tematica questa che sarà sviluppata ulteriormente dal suo successore Giovanni Paolo II specialmente nella lettera apostolica Mulieris dignitatem, grazie anche agli input teologici di Hans Urs von Balthasar (+1988) col noto tema della dimensione petrino­apostolica e carismatico­mariana dell’unica Chiesa di Cristo.

    Atteggiamento del presbitero nei riguardi di Maria. «Il sacerdote può ricevere molto dal suo contatto con Maria. Non può nemmeno trascurare la risposta alla parola di Gesù che rimane sempre attuale per lui: "Ecco tua madre". Sull’esempio del discepolo prediletto, egli deve prendere Maria con sé, cioè farle un posto nel suo cuore e nella sua esistenza. Pregandola ed offrendole un affetto filiale, egli potrà realizzare maggiormente l’ideale del sacerdozio, essere un sacerdote che assomiglia sempre di più all’unico sommo Sacerdote, nato dalla Vergine Maria» (Jean Galot).

    Salvatore M. Perrella

    Invito all’approfondimento:C.M. Martini­F. Radaelli, Prove e consolazioni del prete, Àncora 2010, pp. 136, € 15,50; A. Amato, Il celibato di Gesù, Lev 2010, pp. 32, €H 5,00; U. Vanni, Il sacerdozio nell’Apocalisse e nella Prima Lettera di Pietro, Adp 2009, pp. 80, € 6,00.
      

    Il sussidio

    UNO SPAZIO PER L’ANIMA. PREGARE
    (V. Morelli, Effatà 2010, pp. 142, € 9,00)
     

    La prima di copertina del volume presentato in questa rubrica.Siamo immersi nel rumore, nel chiasso, nelle parole. Ma nella vita c’è anche bisogno di silenzio. Nel silenzio del cuore che prega o tace, che canta o piange, che teme o spera, puoi incontrare una luce che ti illumina dentro, ti fa capire meglio tante cose, ti fa incontrare Dio.

    È davvero importante per ogni uomo, e ancor più per ogni cristiano, prendersi, di tanto in tanto, un tempo di riflessione, di silenzio e di preghiera. Senza silenzio e senza preghiera è difficile cogliere il senso profondo delle cose, è impossibile scoprire la paternità e bontà di Dio, capire il significato degli eventi della nostra vita.

    Diceva un grande cristiano dei nostri tempi, Giuseppe Lazzati: «Nel mondo della fretta la preghiera esige tempo e calma, nel mondo dei rumori la preghiera domanda silenzio, nel mondo della distrazione la preghiera chiede capacità di raccoglimento».

    «In questo nostro mondo frenetico e liquido – scrive Paolo Curtaz – in cui molte persone consumano tutto il proprio tempo e le proprie energie per sopravvivere, fra lavoro e quotidianità... conservare la fede e la speranza è diventato un compito molto impegnativo e logorante. Eppure il desiderio di Dio rimane, il bisogno di interiorità, di spazi dell’anima si fa impellente» (dalla Presentazione).

    Incisione (di ignoto, sec. XIX) raffigurante Noè inginocchiato in atto di ringraziare Dio, civica raccolta delle stampe Achille Bertarelli, Milano.
    Incisione (di ignoto, sec. XIX) raffigurante Noè inginocchiato in atto di ringraziare Dio,
    civica raccolta delle stampe Achille Bertarelli, Milano (foto Saporetti).

    Sicuramente anche tu cerchi Dio e desideri pregarlo. Chi crede, infatti, sente il bisogno di pregare, sente il desiderio di comunicare con Dio. Ma pochi, oggi, sanno pregare perché nessuno li aiuta a farlo. La preghiera è un dialogo con Dio. L’uomo, per stare bene, ha bisogno di Dio come ha bisogno del calore del sole e del profumo dei fiori, del cibo per vivere e dell’aria per respirare. Pregare fa bene. Pregare è un voler capire qualcosa di più del mistero della vita, è il modo più vero e più profondo di vivere e di rapportarsi con gli altri e con il mondo.

    Questo libretto, piccolo vademecum della preghiera, può rivelarsi un prezioso aiuto per ogni cristiano che sente il bisogno di pregare e desidera comunicare con Dio.

    v.m.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 17/11/2012 15:04

    [SM=g1740758] Un sacerdote risponde

    Non sono iconoclasta, ma le chiedo che senso abbia andare davanti all'immagine di Maria se mezzo metro avanti ho Gesù vivo e vero nelle specie eucaristiche

    Quesito

    Salve,
    la ringrazio per la rubrica che puntualmente cura sul sito.
    Premetto che non sono un iconoclasta... infatti le motivazioni dei sedicenti evangelici fanno acqua da tutte le parti e l'apparente proibizione del decalogo di fare immagini e venerarla (ossia portare rispetto, stima e amore per ciò che essa rappresenta la quale si distingue dall'adorazione che significa riconoscerla un "dio" da cui dipende tutto e tantomeno da una superstizione) si scontra con altrettanti episodi biblici... quindi nel dubbio mi fido della Tradizione!
    Tuttavia appunto perchè mi ritengo cattolico e credo nella Transustanziazione mi scontro con un dubbio forse solo formale. Vivo a Bologna dove appunto si venera la Madonna di S. Luca (peraltro non fatta dall'Evangelista perchè è di diversi secoli dopo... ma si sa gli antichi avevano un criterio di autenticità diverso dal nostro magari era sufficiente appartenere ad una scuola pittorica per attribuire la "firma" ad un autore illustre). Io provo amore e rispetto per tale icona (a cui mi reco spesso e volentieri). Ma che senso ha andare davanti ad un quadro se mezzo metro avanti ho Gesù vivo e vero nelle specie eucaristiche? Ok rivolgersi alla Madonna (altro che le fesserie che dicono i protestanti... io credo nelle intercessioni... anche perchè credo che se anche Dio ci lascia liberi anche di rovinarci con le nostre mani penso che Maria pregherebbe Dio di non farci perdere almeno per non vedere vana la sofferenza che portò suo Figlio sulla croce) ma andare davanti ad un quadro... perchè? Tra le altre cose Maria rappresentata nell'icona "indica la via"... bene, la via dovrebbe essere quella chiusa nel tabernacolo o in un confessionale! (Che peraltro abbastanza frequentati nei santuari).
    Insomma come vede non ci sto capendo niente!
    Se mi fa l'accortezza di rispondermi celermente questa settimana l'Icona è in cattedrale (infatti per il resto dell'anno è su un colle vicino Bologna)... quindi potrei capitalizzare al massimo i suoi consigli.
    Grazie dell'attenzione
    Saluti e che Dio la benedica.
    Gabriele




    Risposta del sacerdote

    Caro Gabriele,
    1. ieri mattina mi sono trovato in una Cappella a pregare e il mio pensiero ricorreva di frequente a te, di cui avevo letto da poco l’email.
    Vedevo il tabernacolo al centro dell’altare. Sono andato lì per adorare il Signore e per stare in comunione con Lui.
    Sulla parete di fondo c’erano immagini di Santi e al centro un grande crocifisso.
    In quella Cappella, prima del presbiterio, di lato c’è una statua della Madonna Immacolata su una colonna. La Madonna sembra guardare verso il basso, tenendo contemporaneamente le mani giunte vero l’alto.
    Nella parete che circonda la zona dove si trova la statua dell’Immacolata si vedono nelle finestrelle degli angeli dipinti.

    2. Nulla mi impediva di tenere il cuore unito al Signore.
    Anzi mi pareva che il Signore mi presentasse tutte quelle figure come se volesse dirmi qualcosa.

    3. Innanzitutto mi diceva che entrare in Comunione con Lui è la stessa cosa che entrare in comunione con tutta la Chiesa del Cielo (i Santi e gli Angeli) e di riflesso anche con tutta la Chiesa della terra.
    Anzi, mi diceva che non c’è vera Comunione con Lui se non c’è contemporaneamente comunione con tutta la Chiesa del Cielo e con tutta la Chiesa della terra, nessuno escluso.
    Pensavo: se ci fosse stato solo il tabernacolo forse non avrei avvertito il richiamo alle altre due comunioni.
    Mi è venuta in mente poi una bella espressione che si usava per ricordare il significato delle icone: sono la Bibbia dei poveri.
    Quando in passato la gente non sapeva leggere e scrivere e pertanto non poteva far uso delle Sacre Scritture, in compenso quando entrava in Chiesa trovava pareti, soffitto e vetrate affrescate.
    La povera gente analfabeta leggeva la Bibbia guardandola.
    Così pure la povera gente richiamava gli eventi centrali del Vangelo e li portava nella propria vita attraverso i misteri di Cristo contemplati nel santo Rosario.

    4. Tornando a me, di fronte a quelle immagini che circondavano la parete di fondo (l’abside), ecco che cosa pensavo.
    Vedendo il grande crocifisso ero colpito dal fatto che il Signore morente aveva il volto girato verso l’alto, in atteggiamento di parlare col Padre.
    Ecco, mi dicevo: Gesù nel tabernacolo è qui vicino a me. Tiene il suo cuore vicino al mio e parla al Padre a mio favore e a favore di tutti gli uomini.

    5. A destra del Crocifisso vedevo san Giuseppe, col bambino Gesù in braccio e con un giglio nell’altra mano.
    Questa figura di san Giuseppe non mi distraeva dal tabernacolo e mi diceva: il Signore vuole che tu ti dedichi a Lui come mi sono dedicato io, che tu abbia intimità e familiarità con Lui come l’ho avuta io. Ma perché ci sia vera dedizione, vera intimità e familiarità è necessaria la purezza.
    Dalla parte opposta di San Giuseppe vedevo San Giovanni Battista, nel suo atteggiamento austero. Attraverso quella figura mi pareva che Gesù dicesse: le anime le guadagni solo così, preparando la tua predicazione e la tua preghiera col sacrificio e la penitenza.

    6. Tralascio per brevità le altre immagini per soffermarmi sulla statua della Madonna che guarda verso il basso, quasi alla nostra ricerca della nostra presenza e contemporaneamente tiene le mani congiunte verso l’alto.
    Dal tabernacolo, dove il Signore prolunga il memoriale della sua passione, Gesù mi affidava a Maria. E Lei, attraverso quell’immagine, mi diceva che tiene sempre gli occhi rivolti verso di me e mi assicura la sua preghiera e il suo sostegno.
    Attraverso l’immagine di Maria il Signore mi parlava e mi ricordava le parole dette dalla croce: “Donna ecco tuo figlio”, “figlio ecco tua Madre”. E così il mio dialogo col Signore diventava più ispirato alla Sacra Scrittura e più intenso.

    7. La stessa cosa vale anche per te che in questi giorni ti trovi davanti all’immagine di Maria attribuita a San Luca a mezzo metro di distanza dal tabernacolo.
    Il tuo dialogo è con Gesù, sai di essere alla sua presenza. E lui ti presenta sua Madre, che è lì con Lui. Ma poiché materialmente non la vedi, te la presenta attraverso l’immagine.

    8. Quell’immagine, con la sua sola presenza, è testimone della fede dei tuoi padri, che su quel colle hanno peregrinato a piedi facendo tantissima strada per invocare la sua intercessione in momenti pieni di preoccupazione, di trepidazione e di infermità gravissime.
    Andavano a pregare, ma contenti di unire alla preghiera il sacrificio di camminare a piedi e in salita. Quel sacrificio era il segno del loro affetto, della loro speranza e davanti a tutti rendeva una bella testimonianza di fede.
    Quell’immagine ti ricorda anche la strada fatta dai tuoi stessi padri in ringraziamento per i favori ottenuti.
    Ti ricorda pure i voti e le speranze di tanti giovani come te, contenti di peregrinare al Santuario di Maria, lieti anch’essi di unire il sacrificio alla preghiera. E proprio questo li rendeva ulteriormente fiduciosi.

    9. Venendo adesso all’immagine della Madonna di san Luca: puoi vedere una lunga mano di Maria che ti manda a Gesù, come per ricordarti le sue ultime parole registrate nel Vangelo: “Fate quello che Lui vi dirà”, e cioè vivete secondo i suoi insegnamenti.
    E di rimando vedi Gesù che, anche per l’intercessione di sua Madre, stende tutto il suo braccio per benedire.
    Stende tutto il suo braccio: vi mette tutta la sua onnipotenza divina.
    Per benedire: la benedizione del Signore nella sacra Scrittura non è semplicemente un augurio, ma è un’effusione, una conservazione e una moltiplicazioni di doni.

    10. Gesù dal tabernacolo ti parla attraverso l’immagine della Madonna di San Luca.
    Attraverso l’immagine ti dice parole che da solo non riusciresti a sentire, ravviva sentimenti di serenità e di fiducia che forse rimarrebbero soffocati dalla nostra poca fede.
    E te ne vai consolato.
    Ma è Gesù che fa tutto questo, quasi mettendosi da parte. È lui che ti riscalda il cuore. È lui che ti dice di non temere e che se ti accosti a Lui con i sentimenti di fede e di obbedienza ai suoi divini voleri stende sempre tutta la sua onnipotenza per benedirti.

    11. Allora si capisce come mai quell’immagine sia diventata cara al popolo di Bologna, perché è come una grande e permanente Parola che il Signore dice, una Parola carica di amore, di grazia e di grazie, come lo sono le parole scritte nella Bibbia.
    Vai dunque con fiducia. È il Signore che ti manda da quell’immagine perché tu senta la sua Parola.

    12. Sicché dopo aver adorato il Signore nel Sacramento, dopo aver effuso il tuo animo davanti a quell’immagine e per mezzo di quell’immagine, torni infine, prima di andartene, di nuovo dal Signore nel Sacramento, ti genufletti e lo adori con un animo ancor più ricco di sentimenti, di affetti e di speranze.

    Mi hai chiesto una certa urgenza nel risponderti. L’ho fatto, passando davanti ad altri che dovranno attendere un mese e forse anche due per ricevere da me una risposta.
    Ti chiedo però di portarmi con te nelle varie peregrinazioni che farai presso quella cara immagine, dinanzi alla quale anch’io ho avuto la grazia di effondere il mio cuore e di sentire una presenza particolare.
    A mia volta ti porto con me nella celebrazione della Santa Messa di questi giorni, ti ricordo al Signore e a Maria e di cuore ti benedico.
    Padre Angelo


    Pubblicato 15.08.2012





    [SM=g1740750]


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    00 14/09/2015 19:25

    Corredentrice: un nuovo dogma?


     


    “Corredentrice dell’umanità”: il titolo è legato alle apparizioni di Amsterdam, ma i teologi sono divisi. Deciderà il Papa dopo aver consultato tutti i vescovi del mondo?


     


     


    Il vescovo di Haarlem-Amsterdam, monsignor Joseph Punt, nel maggio 2002, approva ufficialmente le apparizioni di Amsterdam. Nei messaggi affidati alla veggente Ida Peerdeman, la Madonna avrebbe chiesto in maniera esplicita un nuovo dogma, che dovrebbe attribuirle il titolo di Maria Corredentrice, Mediatrice e Avvocata.
    La “Signora di Tutti i Popoli”, come si definisce, promette solennemente che «Ella salverà il mondo sotto questo titolo» (20 marzo 1953). Descrive inoltre cosa accadrà: «Quando il dogma, l’ultimo dogma della storia mariana, sarà proclamato, allora la Signora di Tutti i Popoli donerà la Pace, la vera Pace al mondo» (31 maggio 1954).
    In realtà questo eventuale quinto dogma, su cui si discute da molti anni, suscita le forti critiche di alcuni settori della Chiesa, i quali ritengono la parola “corredenzione” equivoca e poco adatta per descrivere in modo teologicamente corretto la posizione unica di Maria nel piano salvifico, preoccupati che l’incomparabile, unico ruolo di Gesù come divino Redentore possa esserne sminuito; gli stessi critici temono inoltre che possa compromettere il già difficile dialogo ecumenico con le altre denominazioni cristiane. C’è infine da sottolineare che difficilmente un dogma verrà mai proclamato a causa di una rivelazione privata.

     

    Tra i “sostenitori”, Padre Pio e Madre Teresa

    Il termine “corredenzione” esprime la particolare cooperazione della Beata Vergine Maria all’opera di redenzione compiuta da Gesù Cristo. Non è una dottrina ancora compiutamente definita e accettata: è infatti oggetto di dibattito tra i teologi. Alla base della corredenzione di Maria ci sono i punti dottrinali seguenti: Maria, in quanto Madre di Cristo, è partecipe della Sua vita e delle Sue opere; nel disegno di Dio Padre, Maria è associata a Cristo per il trionfo sul peccato così come Eva fu associata ad Adamo nel peccato originale; Maria è stata associata alla Passione e morte di Gesù, partecipandovi con il suo dolore di madre.

    Riguardo all’uso del termine “corredentrice” da parte del Magistero recente, gli oppositori alla definizione del nuovo dogma fanno notare che tale termine è sì presente in alcuni documenti pontifici, ma essi sono marginali e quindi privi di peso dottrinale. Nei documenti fondamentali di carattere mariano di qualche rilievo dottrinale, il termine “corredentrice” è assente. Nella lista dei sostenitori del dogma di Corredentrice, Mediatrice e Avvocata ci sono nomi importanti come Vincenzo Pallotti, Anna Caterina Emmerich, Leopoldo Mandić, Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Padre Pio e Madre Teresa.

    C’è chi fa notare che lo stesso san Giovanni Paolo II ha usato più volte il titolo “corredentrice”, ad esempio durante l’udienza generale dell’8 settembre 1982 («Maria, pur concepita e nata senza macchia di peccato, ha partecipato in maniera mirabile alle sofferenze del suo divin Figlio, per essere Corredentrice dell’umanità»). Ma è anche vero che l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, riferì al giornalista tedesco Peter Seewald, nel libro Dio e il mondo, che la collaborazione di Maria nel piano salvifico «viene meglio espressa tramite altri titoli, mentre la formula “Corredentrice” si allontana troppo dal linguaggio e dagli scritti dei Padri della Chiesa e per questo suscita dei fraintendimenti ». Da notare infine che alcuni mariologi non hanno difficoltà a venerare la Madonna col titolo di “Corredentrice”, ma non vedono la necessità che questa verità sia definita come dogma. Altri invece sono aperti al dogma, ma per l’immediato futuro lo ritengono inopportuno.

    Insomma, la discussione teologica, contraddistinta dal massimo rispetto del Magistero autentico, rimane aperta. Se si spiega in maniera teologicamente corretta il termine di “Corredentrice”, risulta chiaro che la Vergine non è equiparata a Gesù, come se Lei fosse Dio. Anzi, la parola “co-redentrice” significa che Maria, come Immacolata e nuova Eva, in unione perfetta con il suo Figlio divino, in piena dipendenza da Lui e vivendo totalmente di Lui, ha sofferto in modo unico per la nostra redenzione.

    C’è chi ipotizza che il Santo Padre potrebbe chiedere a tutti i vescovi del mondo la loro opinione al riguardo, e poi decidere. Come fece Pio IX per il dogma dell’Immacolata Concezione.

    IL TIMONE – Maggio 2014 (pag. 46)

     
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    00 09/11/2017 23:34

    Una nota di L. M. De Candido in Credere oggi 142(2004) n. 4 - Mariologia e devozione mariana, pp. 77-89

     Manifestazioni straordinarie per il bene del popolo di Dio

    Papa Giovanni Paolo II ha usato l'espressione posta come titolo di questa nota in un discorso durante il giubileo dell'anno 2000, riferendosi alla Beata Vergine che ama non di rado concedersi per il bene del popolo di Dio. Il magistero preferisce qualificare come «rivelazioni private» i fenomeni soprannaturali o fatti trascendentali o appunto - le manifestazioni straordinarie (come i fenomeni apparizionistici, le esperienze di veggenti) che gremiscono storia e attualità della chiesa. Invero, siffatti accadimenti non sono esclusiva del mondo cristiano: ogni religione o forme parareligiose, quali le vie di sapienze soteriologiche, esibiscono testimomanze di rivelazioni e trascendentalismi.

    Senza scendere in dettagli descrittivi e interpretativi, basta rammentare alcuni di simili eventi che coinvolgono la persona umana in relazione con l'ultraterreno. Ci sono le estasi: trasferimento da sensibilità somatica a concentrata assoluta sensibilità psichica-spirituale. Ci sono le bilocazioni, omero la presenza contemporanea della medesima persona in posti differenti. Ci sono le glossolalie, il parlare lingue sconosciute o non familiari o inesistenti financo prive di significato intelligibile al momento dell'audizione. Ci sono le potenzialità terapeutiche mediante ritualità parasacramentali come l'imposizione delle mani o unzioni con oli benedetti talvolta coronate da guarigione. C'è l'esorcismo extraministeriale, banalizzato nella cacciata del malocchio oppure nobilitato nella liberazione o nell'agevolazione di liberazione da presenze o influenze maligne. Ci sono le varie tipologie di sogni, talvolta luogo di relazione con il trascendente. C'è la manifestazione delle locuzioni interiori: è percezione di una voce non articolata con l'organo della fonazione né recepita con l'organo somatico dell'udito, è intuizione del significato di parole nemmeno vergate in iscritto, e percezione di messaggi mediante un'intelligenza interiore, un organo spirituale. Ci sono visioni soggettive (il soggetto vede) e apparizioni oggettive (l'oggetto - per lo più una persona - si fa presente).

    1. Spunti di comprensione

    Le complesse scienze umane hanno a disposizione molteplici metodiche di interpretazione e quant'altro giovi a inquadrare nel contesto situazionale dell'individuo coinvolto in siffatti fenomeni, svelandone le elaborazioni inconsce o subconscie, scardinando impalcature mistificatorie e menzognere, mettendo in luce sublimazioni e suggestioni o autosuggestioni, spegnendo allucinazioni e fantasie, constatandone la veracità o almeno la probabilità e verosimiglianza.
    Nonostante tanta abbondanza di specializzazioni e specialisti, tuttora pullulano i fenomeni trascendentali e non pochi restano nell'indecifrabile. La chiave di lettura in questa nota non può essere che spirituale: detta con un neologismo che se non altro incuriosisce, spirituale come pneumale, ovvero lettura alla presenza dello Spirito Santo. Il Santo Pneuma a volte contesta parvenze e pseudo verità, a volte avvia al discernimento, altre volte conferma veracità e verità.
    Il linguaggio stesso offre utili spunti di comprensione. Così il sostantivo fenomeno richiama il visibile (a differenza del noumeno, che è quanto viene percepito nell'interiorità della mente: in questa materia tale vocabolo non viene utilizzato, il che sarebbe specialistico ma congruo). L'aggettivo trascendentale addita l'oltre, il di là di sopra del terrestre, del creaturale, del consueto; l'aggettivo soprannaturale coglie quanto sfiora il mondo del divino

    Negli spazi del trascendente e tanto più del soprannaturale la fede obbedisce alla parola indiscutibile che «nulla è impossibile a Dio» (cf. Gn 18,14; Gb 42,2; Ger 32,17.27; Lc 1,37) e anzi che «tutto è possibile a Dio» (Mt 19,26 e par.). Nelle orizzontalità dell'immanente, cioè nel mondo culturale dell'umano, tante possibilità sono date all'uomo per interpretare e altresì gestire il trascendente e il soprannaturale che si manifestano nella storia (e nella cronaca), che gravitano sulla terra che è la casa propria dell'uomo vivente. Nella discepolanza dello Spirito all'uomo è possibile scrutare ogni fenomeno trascendentale e soprannaturale. Infatti, «tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23). Ma anche prescindendo dalla fede, alla ragione umana è possibile, secondo le corrette metodologie della cultura creaturale umana, cercar di capire e dare risposte, interpretare e fruire, ogni evento trascendentale.

    Tra tali fenomeni «caso serio» sono visioni e apparizioni mariane. Questa formulazione è adeguata: l'aggettivo allude, più che alla persona o oltre la persona (che verrebbe richiamata nella formulazione «visioni» o «apparizioni di Maria»), al contesto, a dettagli di contorno, a completamenti simbolici, a gestualità cangiante. Un'interrogazione funzionale al linguaggio e un utilizzo sintetico di conclusioni concernenti i menzionati fenomeni offrono uno strumento interpretativo illuminante. La visione consiste in un'azione che parte dal soggetto personale: è elaborazione neurologica, è interpretazione psicologica, è interiorizzazione spirituale, è elevazione mistica, è astanza a un segno. La visione storicamente è documentabile, teologicamente possibile. L'apparizione è presenza reale della persona (nonché di segni), è relazione verace, è astanza oggettiva. Visione e apparizione coincidono nella tipologia dell'incontro: incontro del sensibile con l'insensibile, del visibile con l'invisibile, del naturale con il soprannaturale, dell'umano con il divino.
    Le condizioni contestuali in cui si verificano visioni e apparizioni mariane nonché le risultanze degli eventi si ripetono alquanto uniformi e perfino rigide. Tra esse sono evidentissime la fede e la credenza (non credulità o creduloneria); l'ambiente marcatamente cristiano, segnatamente cattolico; normalità generale e vocazionale dei fruitori degli eventi antecedente al loro verificarsi; finalità promozionale in direzione dell'etica, dell'eucologia, della catechesi; supporto pedagogico in vista d'una crescita esperienziale; non di rado sussistenza di difficoltà sociali e apertura di svolte epocali.
    La sociologia entra in azione interpretando dati statistici, quali quelli nello schema seguente, dedotti dai repertori: Tutte le apparizioni della Madonna in 2000 anni di storia di Gottfried Hierzenberger e Otto Nedomansky (Piemme, Casale M. 1996); Apparizioni mariane nel corso di due millenni di Marino Gamba (Ed. Segno, Tavagnacco 1999).

    I veggenti sarebbero in totale 405 uomini, 322 donne, 266 ragazze, 181. Nella settantina di paesi visitati dall'alto contano maggiore frequenza l'Italia con 390 manifestazioni (Roma tiene il primato con 24 fenomeni apparizionistici), la Francia con 180 (Parigi 14), la Germania con 67, la Spagna con 58, il Belgio con 40, gli Stati Uniti d'America con 24, l'Austria con 21, la Svizzera con 19, la Polonia con 17, l'Ungheria con 11, la Gran Bretagna con 10, il Canada con 9, Grecia, Irlanda e Olanda con 8; l'Asia con 38,1'Africa con 20, l'Oceania con 3. Le «apparizioni» sarebbero in totale oltre mille, contate in vorticoso crescendo: 168 nei primi 14 secoli, 209 nei secoli XV-XVI, 131 nei secoli XVII-XVIII (il «secolo dei lumi» registra una contrazione), 105 nella prima metà del secolo XX, 288 nella seconda metà di esso. Anche ai primordi del terzo millennio proseguono numerose le relazioni tra cielo e terra. Il calcolo ha bisogno di venire aggiornato sino a incontrollabile miriade in quanto taluni sono ritorni costanti e continuità anche quotidiana: la documentazione più vistosa dell'incessanza è fornita dai fenomeni apparizionistici di Medjugorje: con varie modalità, dal 24 giugno 1981 «appare» Maria «regina della pace» e di Poleo di Schio: dal 25 marzo 1985 «appare» Maria «regina dell'amore» [Il veggente è deceduto da qualche anno]. Altrettanto inconsueta è l'eco ultratrentennale delle «locuzioni interiori» che il sacerdote don Stefano Gobbi veicola ai presbiteri «figli prediletti della Madonna». Tali fenomeni, oltre che la figura mariana, sopportano anche messaggi e segreti profferti nelle visioni nonché in abbondanza segni contestuali palesemente simbolici e completivi dell'evento, come l'apparato coreografico, movimentazioni e lacrimazioni iconografiche, grazie e miracoli.

    Tanta abbondanza, mai accaduta nei secoli passati, può essere un dono, ma di certo è anche una sfida.

    2. Ascolto della Bibbia

    I percorsi per comprendere il dono e sostenere la sfida sono molteplici. In primo luogo l'ascolto della parola di Dio nella Bibbia. Essa custodisce le mediazioni tra Dio e il popolo, tra il mondo del divino e il mondo dell'umano. Nell'Antico Testamento mediazione sono le teofanie e le voci dei profeti, omero visioni e audizioni. Nel Nuovo Testamento è presente il mediatore Gesù il Cristo, figlio di Dio per opera dello Spirito Santo incarnato nel grembo della Vergine Maria: egli concreta nella storia l'apparizione della grazia (Tt 2,11); il Cristo risorto è l'autentica apparizione, la vera epifania, la definitiva teofania, dove egli è personalmente presente, storicamente sperimentabile nella propria identità visibile, nella consistenza umana e nei segni somatici. 
    Il linguaggio biblico conosce la distinzione fra visione e apparizione. Visione equivale a esperienza soggettiva, proiezione di un'immagine, interpretazione di segni, elaborazione di un concetto o di un messaggio mediante propria marcatissima sensibilità, immersione nella mistica. Apparizione equivale a presenza reale della persona vivente nel mondo del divino che si affaccia temporaneamente davanti al veggente o che lui percepisce nella fede. Qualche citazione documenta questa sintesi. In Gn 12,1-4.7 Abramo - nostro padre nella fede - intuisce la voce del Signore che gli addita un percorso: è un'apparizione interlocutoria, ossia è presente una voce. In Gn 18,1-16 e 22,11-12 il medesimo patriarca vede figure umane e angeliche: è apparizione iconica perché interviene la mediazione di un'immagine. In Gn 28,10-22 Giacobbe vede la scala bidirezionale: è apparizione onirica perché avviene nel sogno. In Es 3,1-6 Mosè scorge un inconsueto roveto ardente: è apparizione allegorica perché allude al divino mediante il simbolo.
    Nel Nuovo Testamento non mancano utilizzi di analogo linguaggio per mediare relazioni tra il divino e l'umano.

    Il vertice sul quale si è stabilita l'esperienza dei discepoli nella relazione con Gesù, l'atteso Messia Salvatore e Signore, è rivelato dall'illuminazione di Gv 1,14: «Il Verbo si è fatto carne e noi vedemmo la sua gloria come unigenito del Padre pieno di grazia e di verità». Il verbo greco etheasámetha (e la traduzione in latino vidimus) allude all'azione dell'organo oculare, ossia il semplice vedere quasi fotografico, ma apre spazi verso azioni dell'osservare attivando l'attenzione riflessiva, dell'assistere quale partecipe a un evento in atto, dello scoprire una novità, dell'apprendere un messaggio, soprattutto del contemplare.
    La consapevolezza biblica della relazione tra la persona umana e il Signore, l'esperienza degli incontri possibili dal mondo della storia terrestre con il mondo del soprannaturale di Dio vennero scultoreamente delineate dall'apostolo Paolo, veggente del Cristo glorioso (At 9,3-4; 22,6-7; 26,18; Gal 1,15-16; lCor 15,8), con le seguenti solenni, consolanti parole, che acquietano (o forse acuiscono) nostalgie di vedere: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente (lCor 13,12).
    Anzi nell'escatologia l'evento sarà ben più che visione di Dio: Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore (2Cor 3,18).

    3. Servizio del magistero

    Il secondo percorso per comprendere il dono e sostenere la sfida rappresentati dai fenomeni trascendentali è l'ascolto del magistero gerarchico della chiesa. Tale magistero si esterna in pluralità di maniere: c'è la forma solenne del pronunciamento conciliare o pontificio ex cathedra e c'è la catechesi ordinaria; c'è un livello impegnativo sopportato dal linguaggio o dalla provenienza e c'è il livello feriale e confidenziale. E noto: non ogni parola della gerarchia assume identico valore magisteriale né proietta vincoli uniformi. Il magistero custodisce le certezze della fede contenute nella rivelazione pubblica; accompagna nel discernimento delle probabilità interpretative e applicative proposte nelle rivelazioni private. Di fronte alle rivelazioni private la gerarchia asseconda il criterio della cautela al fine di evitare il sopravvenire di magisteri alternativi al proprio.

    Sono alquanto tardivi gli interventi della gerarchia relativi a rivelazioni private. La prima presa di posizione citabile risale al concilio Lateranense V: detta un abbozzo di regolamento per la divulgazione di rivelazioni private, affidando alla gerarchia diocesana discernimento e consenso (19 dicembre 1516). Il concilio di Trento legifera intorno a fenomeni soprannaturali e nuove forme devozionali, anch'esso affidando al vescovo il giudizio conclusivo (3-4 dicembre 1563). Il papa Urbano VIII fissa norme dettagliate nel settore della devozione a immagini sacre differenti da quelle tradizionali (15 marzo 1642), iniziando la serie di interventi proprio per regolamentare le nov^1ta iconografiche - prevalentemente mariane - che non concerne solo la devozione ma lambisce la tradizione.

    Prospero Lambertini - dapprima cardinale a Bologna poi papa Benedetto XIV (1740-1758) - pone una pietra miliare sulla via del discernimento delle rivelazioni private nel voluminoso Opus de servorum Dei beatificazione et de beatorum canonizatione. In esso si dilunga a sondare eventi come le visioni, le rivelazioni, le profezie; sorvola l'evento delle apparizioni, che tuttavia nomina. Davanti alla «sfida» di siffatti fenomeni l'Opus de servorum Dei detta il seguente criterio definitivo, sebbene non immobile:  Imbastendo il discorso circa la loro [visioni, rivelazioni, profezie] approvazione, bisogna sapere che siffatta approvazione nient'altro concerne che il permesso di dare alle stampe [i loro contenuti] in vista della formazione e per utilità dei fedeli dopo maturo esame: se pure a queste rivelazioni in tal senso approvate non sia dovuto né si possa attribuire l'assenso della fede cattolica [dovuto alle verità di fede], tuttavia è dovuto l'assenso della fede umana secondo le regole della prudenza, in base alle quali certamente tali rivelazioni sono probabili e piamente credibili.

    Si tratta del criterio basilare della libertà consapevole, del discernimento intelligente.
    La posizione attuale della gerarchia, assediata - per così dire - da eventi ammantati di trascendenza, resta sostanzialmente identica, enucleata nella formulazione seguente assiomatizzata nella solennità del linguaggio curiale:
    a) constat de supernaturalitate, ossia risulta che l'evento è soprannaturale;
    b) non constat de supernaturalitate, ossia non risultano elementi sopranIiaturali;
    c) constat de non supernaturalitate, ossia risulta che non vi sono elementi soprannaturali.
    Si tratta di posizioni permissiva (a), attendista (b), negativa (c).
    La gerarchia non intende impegnare il proprio magistero nel definire la natura di fenomeni trascendentali e soprannaturali, segnatamente apparizioni e visioni, anche se utilizza nel proprio linguaggio questi vocaboli. Con quella formula essa:
    a) garantisce eventualmente la validità di messaggi e la bontà delle conseguenze: non si impegna a confermare che nell'evento è presente la persona percepita dal veggente (il Cristo, Maria, santi...);
    b) avverte che l'evento resta nel confine di normale, ordinario fenomeno umano e terreno, anche se evoluzioni verso la soprannaturalità potrebbero sopravvenire;
    c) ammonisce che l'evento è privo di alcunché di soprannaturale o ha evidenze tutt'altro che soprannaturali, ossia ne denuncia la falsità soprannaturale non solo l'assenza di essa. 
    Il magistero contemporaneo, ai vari livelli (dall'omileta al vescovo, dal saggista al docente, dal messaggio pontificio all'intervento delle congregazioni romane), abbonda di interessamenti verso i fenomeni apparizionistici. E giocoforza riportare almeno qualche brano. 

    Concilio Vaticano II: I fedeli si ricordino che la vera devozione [alla Madonna] non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né in una vana credulità, bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio e siamo spinti a un amore filiale verso la madre nostra e all'imitazione delle virtù (LG 67).

    Giovanni Paolo II: Innumeri sono le testimonianze del suo magistero mariano nonché quelle concernenti la propria devozione verso la Madre del Signore siglata nel motto episcopale totus tuus. Il suo vocabolario adopera, ma non abbonda, di termini come «visione» e «apparizione» né si dilunga a decodificarne la sostanza. I1 29 ottobre 1997 affermava che «nessuna delle immagini conosciute riproduce il volto autentico di Maria, come già riconosceva Sant'Agostino (De Trinitate 8,7)».

    Nel Discorso per il giubileo dei santuari mariani, il 24 settembre 2000, disse tra l'altro: C'è da augurarsi che tra i frutti di questo anno di grazia, accanto a quello di un più forte amore per Cristo, ci sia anche quello di una rinnovata pietà mariana. Sì, Maria dov'essere molto amata e onorata, ma con una devozione che per essere autentica: deve essere ben fondata sulla Scrittura e sulla tradizione, valorizzando anzitutto la liturgia e traendo da essa sicuro orientamento per le manifestazioni più spontanee della religiosità popolare; deve esprimersi nello sforzo di imitare la Tuttasanta in un cammino di perfezione personale; dov'essere lontana da ogni forma di superstizione e vana credulità, accogliendo nel giusto senso, in sintonia con il discernimento ecclesiale, le manifestazioni straordinarie con cui la Beata Vergine ama non di rado concedersi per il bene del popolo di Dio; dov'essere capace di risalire sempre alla sorgente della grandezza di Maria, facendosi incessante magnificat di lode al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo

    Il cardinale J. Ratzinger [Papa Benedetto XVI], firmando il «commento teologico al messaggio di Fatima» (disvelamento freneticamente atteso del terzo segreto), precisa la natura della «visione» mantenendo la classica suddivisione di visio sensibilis, imaginativa, intellectualis. Il documento non adopera il vocabolo «apparizione» né afferma la presenza personale di Maria nell'evento di Fatima sebbene nemmeno la neghi. È basilare il brano sul fattore soggettivo della visione: Già nella visione esteriore è sempre coinvolto anche il fattore soggettivo: non vediamo l'oggetto puro, ma esso giunge a noi attraverso il filtro dei nostri sensi, che devono compiere un processo di traduzione. Ciò è ancora più evidente nella visione interiore, soprattutto allorché si tratta di realtà, che oltrepassano in se stesse il nostro orizzonte. Il soggetto, il veggente, è coinvolto in modo ancora pii forte. Egli vede con le sue possibilità concrete, con le modalità a lui accessibili di rappresentazione e di conoscenza. Nella visione interiore si tratta in modo ancora più ampio che in quella esteriore di un processo di traduzione, così che il soggetto è essenzialmente compartecipe del formarsi, come immagine, di ciò che appare. L'immagine può arrivare solo secondo le sue misure e le sue possibilità. Tali visioni pertanto non sono mai semplici «fotografie» dell'aldilà, ma portano in se anche le possibilità e i limiti del soggetto che percepisce.

    La sacra liturgia, quale lex orandi che forgia anche la lex credendi, costituendo pertanto una forma di «magistero celebrato», si eleva pur essa come fonte di interpretazione delle manifestazioni straordinarie. Il rigore anche teologico e mariologico della liturgia di quest'ultimo secolo vigila sulla titolazione dei formulari delle «messe in memoria di Maria». Il titolo originario del formulario per la festa dell'11 febbraio affermava: In apparitione Beate Marine Virginis Immaculatae non menzionava il luogo ovvero Lourdes. La colletta pregava con queste parole: Deus, qui per immaculatam Virginis conceptionem dignum Filio tuo habitaculum preparasti: supplices a te qua sumus, ut ejusdem Virginis apparitionem celebrantes, salutem mentis et corporis consequamur. La riforma liturgica dopo il concilio Vaticano II ha mutato quel titolo nell'attuale: Beata Maria Vergine di Lourdes (nell'originale: Beate Marin Virginis de Lourdes), disimpegnando dunque il proprio magistero da funzioni di disamina dell'evento (non si parla più di apparizione), concentrando piuttosto l'attenzione - come sostanzialmente nel formulario precedente - sul messaggio mariologico peculiare dell'immacolata. L'editio typica tertia (2002) del Messale Romano (la traduzione italiana non è ancora ufficiale) ha rifinito altresì la colletta in questa formulazione: Concede, misericors Deus, fragilitate nostrae praesidium, ut, qui immaculatae Dei Genitricis memoriam agimus, intercessionis eius auxilio, a nostris iniquitatibus resurgamus.

    La menzionata nuova edizione del Messale introduce il 13 maggio la memoria della Beata Maria Vergine di Fatima (nell'originale: Beatae Mariae Virginis de Fatima): intenti e metodologia sono con tutta evidenza i medesimi che per la memoria precedente, riscontro all'eccezionale risonanza che l'evento apparizionistico lusitano ha inciso sul pontificato di Giovanni Paolo II. La colletta prega con queste parole, rammentando gli insistiti appelli a penitenza e preghiera: Deus, qui Genitricem Filii tui matrem quoque nostram costituisti, concede nobis, ut, in paenitentia et oratione pro mundi salute perseverantes, in dies valeamus regnum Christi efficacius promovere. Nel santuario di Fatima già veniva celebrata la messa votiva con il titolo al nominativo: Beata Maria Virgo de Fatima, nella quale la prima preghiera anticipava le intenzioni accolte nel Messale universale: Deus, qui Genitricem dilecti Filii tui nobis matrem dedisti: concede, quaesumus, ut, eiusdem monitis edocti, et spirito verae paenitentiae et oratione repleti, regno Christi dilatando pro mundi renovatione in dies valeamus ferventius inserire.

    Accanto alla luce della Bibbia e oltre la vigilanza del magistero, alcuni criteri di credibilità - utili e financo indispensabili - forniscono elementi di valutazione intorno ai fenomeni apparizionistici compresi quelli mariani, nonché valutazioni sulla veracità del fenomeno e altresì sulla qualità di esso. Tra questi vanno elencati i seguenti: consonanza o risonanza biblica, correttezza teologica e mariologica, rettitudine del messaggio, conformità eucologica, povertà preferenziale, disponibilità obbedienziale (del veggente ma altresì della gerarchia), comunione ecclesiale, attualità realista, trainanza profetica.

    4. Visibilità di comunione

    Alcune conclusioni si impongono. I fenomeni apparizionistici mariani si collocano nell'ambito della visione, ossia dell'esperienza soggettiva di un evento inconsueto e singolare: sono numerose e facili le giustificazioni di siffatta collocazione. Densa di obiezioni dal punto di vista della razionalità e delle posizioni culturali, comprese quelle teologiche, è la collocazione di tali fenomeni nell'ambito delle apparizioni, ossia come si avverasse la presenza reale, diretta e vivente di Maria che scende dall'attualità della presenza nel mondo di Dio. 
    A un'interpretazione o tentativo di spiegazione delle apparizioni o visioni potrebbe giovare come metodo il genere letterario: il pittore, lo scultore, il poeta, lo scrittore, l'omileta, il teologo e il mariologo, il mistico «vedono» Maria tramite il genere letterario della loro propria competenza; il veggente «vede» Maria tramite il genere letterario della visione (non è gioco di parole) o apparizione. L'apparizione/visione è iconica quando la figura di Maria si presenta tramite l'immagine di un corpo (sovente somigliante ma mai identico in una e altra apparizione/visione), è interlocutoria quando interviene il tramite della parola e del dialogo (l'abbondanza di messaggi e segreti), è onirica quando l'incontro si situa nel sonno o nelle varietà del sogno, è allegorica quando si configura un contorno di simboli e segni; molto spesso è evento con simultanea molteplicità di quelle categorie.

    La condizione soggettiva degli astanti ai fenomeni apparizionistici (veggenti) agevola talune spiegazioni. Ad esempio, l'evidenza constata che nei paesi in cui la teologia, la mariologia, la devozione, la cultura mariana o devozionale sono più ampie e diffuse e coltivate, le apparizioni sono più numerose. Questa è un'interpretazione, nonché una verosimile spiegazione, del perché di tali fenomeni in un luogo anziché in un altro. Verosimilmente il patrimonio ancestrale, una discendenza genetica, una plasmazione culturale tramite fede e religione o religiosità e nella fattispecie l'eredità di devozione e catechesi mariane, favoriscono l'accadere dei fenomeni apparizionistici.

    Nel di qua razionale si può ipotizzare come fonte soggettiva di siffatti fenomeni apparizionistici la sussistenza di una configurazione dei DNA individuale nutrito da una cultura specifica qual è (anche) quella mariana; di una metabolizzazione da parte di facoltà recettive interiori spirituali dei contenuti della fede costantemente attivi nei contesti esistenziali delle generazioni; di rielaborazione o riemersione talvolta inconsapevole o semicosciente, talvolta cosciente e consapevole, del retaggio incorporato nella propria memore identità, attivata da acutizzazione di sensibilità o intensità di attese o intuizione di avvenimenti inconsueti. Tuttavia, restano margini di insondabilità nonché le spiegazioni facilissime di fede o fideismo o entusiasmi- e addirittura fanatismo - che ripetono: «Tutto è possibile a Dio, qui davvero c'è (o c'era) la Madonna».

    Nemmeno nel di qua razionale le posizioni pregiudizialmente negazioniste sono corrette: o non prendi in considerazione siffatti fenomeni e dunque ti disinteressi deliberatamente, oppure accetti la sfida e abbozzi una risposta attendibile o almeno passabile. La risposta possibilista resta quella più facile, perché basata sul criterio di probabilità o verosimiglianza. Una risposta corrispondente a esperienza e linguaggio conclude che l'apparizione è un segno non una realtà personale, una mediazione non una presenza; che la visione è soggettiva esperienza autobiografica anche documentabile: e questa posizione non corrisponde a rifiuto delle possibilità di relazione tra mondo del divino e mondo dell'umano, la quale viene interpretata alla stregua di un genere letterario, d'una modalità di descrivere il coinvolgimento del veggente.

    La ricerca delle motivazioni all'avverarsi di quei fenomeni e alla divulgazione delle modalità spazia nella quantificazione delle utilità: tutto può servire alla crescita della fede, al potenziamento della carità, all'incoraggiamento della speranza, alla maturazione della personalità umana ed evangelica, alla conversione; e tuttavia siffatti benefici - molto opportuni e ricercabili - non dimostrano apoditticamente la veracità storica dell'evento (anche una sciagura, un trauma, un'esperienza negativa possono favorire i medesimi benefici).

    L'uso del linguaggio adeguato alla cultura corrente e generalmente recepita sceglierebbe una correttezza nei confronti dei contenuti e dei messaggi del fenomeno apparizionistico: ad esempio, espressioni quali «la Madonna dice», «la Madonna piange», «la Madonna muove gli occhi» non sono altro che metafora o immagine: è il veggente a percepire messaggi che possono pure equivalere a ispirazione mariana, è il simulacro mariano che gronda lacrime o sangue, è nell'icona che si intravedono movimentazioni della raffigurazione.

    In conclusione ultima, l'utilizzo di ogni evento apparizionistico è lasciato alla libertà di ciascuno che ad esso voglia accostarsi con criterio. Il criterio ottimale attinge alla parola santa: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (lTs 5,19-21).
    Innumeri sono nella storia della chiesa i fatti trascendentali e i fenomeni soprannaturali. Tra essi sono rilevanti visioni e apparizioni mariane, inventariate sino oltre mille in venti secoli. Esse sono dono e sfida. Il linguaggio biblico conosce la distinzione tra visione, esperienza soggettiva, e apparizione, evento oggettivo. Il magistero davanti a fenomeni apparizionistici e «rivelazioni private» segue il criterio positivo: «Consta la trascendenza»; attendista: «Non consta la trascendenza»; negativo: «Consta la non trascendenza». Verificate anche tramite i criteri di credibilità, le manifestazioni straordinarie consentono libertà di adesione.

    Nota bibliografica

    S. DE FLORES, Veggente, in S. DE FIORES - T. GOFFI (edd.), Nuovo dizionario di spiritualità, Paoline, Roma 1979, pp. 1662-1677; 
    R. LAURENTO, Apparizioni, in S. DE FIORES - S. MEO (edd.), Nuovo dizionario di mariologia, San Paolo, Cinisello B. 1986, pp. 125-137; 
    R. LAURENTIN, Le apparizioni della Vergine si moltiplicano. È lei? Cosa vuole dirci? Piemme, Casale M. 1989; 
    G.P. PAOLUCCI, Apparizioni, in L. BORRIELLO - E. CARUANA - M.R. DEE GENIO - N. SUFFI (edd.), Dizionario di mistica, LEV, Città del Vaticano 1998, pp. 146-147; 
    L. DE CANDIDO, Le apparizioni della Madonna, in «Monte Senario. Quaderni di spiritualità» VII/20 (2003) 31-37; 
    ID., Il Risorto: il volto, un fascino, in «Il Volto dei Volti» II/2 (1999) 13-56.



         
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 09/11/2017 23:40

    Lettura teologica delle mariofanie


    da Salvatore Maria Perrella, Le mariofanie, presenza e segno della mediazione materna della Madre del Signore, in Pontificia Academia Mariana Internationalis", Apparitiones Beatae Mariae Virginis in Historia, Fide, Teologia.Acta Congressus marioligici-mariani internationalis in Civitate Lourdes Anno 2008 celebrati. Studia in sessionibus plenaria exhibita, vol 1, PAMI, Città del Vaticano 2010, pp.183-194.



    Se la glorificata Vergine appare, ciò è dovuto dal beneplacito divino-trinitario che continua a inviare la Madre e Serva del Signore nei vari interstizi della storia umana ed ecclesiale. Riguardo al fondamento teologico delle apparizioni mariane, per mezzo di esse la Vergine Maria conferma il suo incessante ruolo di "Serva del Signore" (doúlç Kyríou),246 dimostrando che, in e per Cristo Risorto - Asceso e nello Spirito Santo, la sua persona e il suo ministero materno - messianico sono ancora e per sempre rivolti al Regno e all'umanità non solo redenta.247 Santa Maria di Nazaret, terminato il suo servizio e la sua testimonianza umana, teologale, materna e messianico - soteriologica alla persona e all'opera del Redentore, dopo essere stata nella Chiesa degli Apostoli e dei discepoli membro esemplare e discreto, fonte sicura e autorevole d'informazione sulle origini e sui momenti domestici e di infanzia di Gesù per la stessa comunità che l'ha ricevuta in dono dal Signore stesso (cf. Gv 19, 25-27),248 ha concluso la sua vita terrena nella comunione ecclesiale che l'aveva vista sin dagli inizi orante nel Cenacolo in attesa dello Spirito (cf. At 1,14);249 glorificata dall'Unitrino col singolare dono dell'assunzione in anima e corpo, nella communio Sanctorum non ha deposto la sua missione salvifica, subordinata e dipendente, per i figli e le figlie di Dio, bisognosi sempre di misericordia, perdono, provvidenza e accoglienza eterna da parte del buon Dio (cf. Lumen gentium 62; Redemptoris Mater 38-50).250

    È ormai convinzione e prassi abbastanza consolidata nella teologia post-Vaticano II, che quando nella riflessione e proposta intellettuale della fede viene a mancare il necessario riferimento trinitario, è sempre grave il danno che vi si produce, dal momento che la gerarchia dei misteri-verità della fede (cf. Unitatis redintegratio 11)251 non solo fa avvertire il suo benefico effetto quando viene assunto, ma anche le sue devastanti conseguenze quando viene ignorato o, peggio ancora, contraddetto.252 La mariologia postconciliare, sulla scia del Vaticano II, è dello stesso avviso!253 Maria, come tutti gli uomini e le donne,254 è creatura Trinitatis.255 Per cui è dall'ambito del Dio Tre volte Santo, in vista dell'incarnazione redentrice del Verbo256 e della costituzione del popolo dell'Alleanza dei crismati,257 che è sgorgato l'evento Maria di Nazaret.258 Dal cuore cordialissimo della Trinità sgorgano, si giustificano e trovano vigore la vocazione, la missione, I'indissolubile aderenza a Cristo, la destinazione gloriosa di Santa Maria nella comunione dei santi, il suo incidere secondo il volere di Dio nella storia degli uomini, quale segno della prossimità di Dio amante della vita verso l'umanità e le sue vicende. Non è un caso, osserva la lettera della Pontificia Accademia Mariana Internazionale, che nel solco della rivalutazione trinitaria della dottrina mariana della Chiesa, «Giovanni Paolo II ha ampiamente considerato la cooperazione della Vergine all'opera trinitaria della salvezza sotto le categorie di "mediazione in Cristo" e di "mediazione materna", cioè come una funzione particolare della maternità universale di Maria nell'ordine della grazia».259

    Assunta e Glorificata in corpo ed anima nella gloria della Trinità, è in questa sua eterna condizione che la Semprevergine Madre del Signore è presente nel cosmo, nel mondo, nella storia, nella Chiesa del tempo e nell'esperienza credente, cultuale, spirituale ed esemplare del cristiano, come e a motivo della perfetta salvezza realizzata in lei dal Dio Uno e Trino. Santa Maria, dunque, è, con Cristo, per Cristo e in Cristo, sotto l'egida dello Spirito, sempre pronta a intercedere presso il Padre a nostro favore (cf. Eb 7,25), come orante e potente Mater viventium (cf. Gn 3,20).260 L'esercizio in actu della maternità spirituale della Vergine Maria è realtà e servizio che la Chiesa confessa, celebra ed esperisce particolarmente nelle celebrazioni liturgiche, e che il popolo cristiano fortemente avverte e ritiene nel quotidiano dell'esistenza.261 La consapevolezza della materna intercessione di Maria, insegna il magistero in profonda consonanza con la plurisecolare e genuina tradizione della Chiesa, suscita nei fedeli due caratteristici atteggiamenti cultuali: l'invocazione fiduciosa e l'abbandono filiale.262 La maternità salvifica, o mediazione materna esercitata dalla Madre del Signore,263 si iscrive nella cooperazione sostanziale e imprescindibile che lo Spirito attua, portando a pienezza l'opera messianica del Cristo nel tempo e nella storia, negli uomini e nelle donne, nonché nella Chiesa, sacramento universale di salvezza e madre universale.264

    Prima e dopo il Concilio Vaticano II si riteneva che Maria e la mariologia avessero in un certo modo oscurato il ruolo proprio dello Spirito Santo nella salvezza di Cristo.265 Infatti, alcuni teologi non cattolici hanno fanno notare come nella prassi teologica e pastorale la missione di Consolatore e di Avvocato, accompagnata da un aiuto costante, è affidata a Maria, mentre il Nuovo Testamento la riserva a Cristo e allo Spirito Santo;266 si parla di "maternità di Maria", ma dopo l'Ascensione di Gesù, è per lo Spirito che i discepoli non sono lasciati orfani (cf. Gv 16,7); si attribuisce a Maria il titolo di "Consolatrice degli afflitti", ma è il Paraclito che svolge il ruolo assegnatogli da Cristo stesso di "Consolatore" (cf. Gv 15,26); si dice, comunemente, che la Vergine Maria rivela e conduce a Cristo, ma, a onor del vero, solo lo Spirito conduce alla pienezza della verità (cf. Gv 16,13).
    La cooperazione o mediazione (evidentemente emendata da ogni fraintendimento, da ogni linguaggio e da ogni indebita appropriazione mariocentrica) in Cristo267 della Vergine,268 è prototipo e paradigma per la Chiesa, chiamata, come Maria, a cooperare all'opera del Figlio di Dio guidata e sostenuta dall'opera sanificante e salvifica dello Spirito Santo.

    In questo senso bisogna affermare che la Madre del Signore personifica la collaborazione della Chiesa, essendo la prima di coloro che Paolo chiama "collaboratori" o "cooperatori di Dio" (cf. 1 Cor 3,9), e che quindi non ledono il primato assiologico assoluto non esclusivo ma inclusivo del Mediatore Cristo e dello Spirito Santo, come ingiustificatamente si teme in diverse comunità cristiane.269 Ilmunus salutiferum della Vergine si è concretato progressivamente a partire dall'evento dell'incarnazione redentrice, sia per volontà del Figlio che per l'azione particolare dello Spirito, per cui ora nella comunione dei santi la Madre di Gesù «segue sempre l'opera del suo Figlio», andando incontro a «tutti coloro, che Cristo ha abbracciato e abbraccia continuamente nel suo inesauribile amore».270 Questo amore materno della Madre di Cristo, suscitato e perfezionato dallo Spirito ed impensabile al di fuori di Lui, possiede inoltre delle caratteristiche peculiarmente antropologiche con inevitabili connessioni ecclesiologiche poiché trova la sua espressione «nella sua singolare vicinanza all'uomo ed a tutte le sue vicende. In questo consiste il mistero della Madre. La Chiesa, che la guarda con amore e speranza tutta particolare, desidera appropriarsi di questo mistero in maniera più profonda. In ciò, infatti, la Chiesa riconosce anche la via della sua vita quotidiana, che è in ogni uomo».271 

    Nell'enciclica sullo Spirito Santo del 1986, la Dominum et vivificantem,272 inoltre, Giovanni Paolo II, attingendo 
    al magistero conciliare del Vaticano II, richiama la cooperazione che la Madre e Serva del Signore offre alla rigenerazione e formazione dei fedeli, ribadendone la paradigmaticità in rapporto alla Chiesa, invitata a sua volta a vivere la sua funzione materna nel tempo della storia, sotto la guida di quello stesso Spirito che continuamente ha accompagnato la Madre di Gesù nel corso della sua esistenza. Nel pensiero di Giovanni Paolo II (così come nella bimillenario confessio fidei della Chiesa), la Vergine non prende mai il posto dello Spirito e, tuttavia, rimane l'evidenza di un evento salvifico nel quale Maria è associata da una parte all'opera del Figlio e, dall'altra, all'azione interiorizzante e universalizzante che il Paraclito compie sovranamente di tale opera (è questa una vera e propria mediazione che la Vergine può esercitare solo "nello" Spirito e grazie a Lui)273 che, senza coartare o diminuire la libertà umana274 - condizione indispensabile perché si possa declinare una corretta grammatica dell'antropologia della relazione - ne consente piuttosto una piena realizzazione nell'obbedienza della fede, arrivando alla cristiformità del credente, anch'essa vera sua opera come Spirito del Padre e del Figlio, meta e garanzia di salvezza per la quale la stessa Maria di Nazaret performata dalla Grazia, prega e si industria in qualità di materna mediatrice celeste.

    Nella sequela e nel ministero storico e materno nei riguardi di Cristo e della sua opera messianica, Maria ha svolto il singolare ed impegnativo ruolo di Serva del Signore (cf. Lc 1,38), ruolo che nella Chiesa degli Apostoli e della prima ora si è impreziosito della caratura testimoniale: ella è la madre e la testimone per eccellenza del "Mistero nascosto nei secoli" (cf. Col 1,26-29, Rm 16,25-27)275 da lei svelato in concorso con lo Spirito Santo mediante la prodigiosa diaconia della maternità messianica che lei ha tramandato alla comunità delle origini.276 Assunta alla gloria del cielo la sua "maternità nell'economia della grazia", ossia il suo ministero materno, continua senza soste fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti (cf. Lumen gentium 62). in pratica la Vergine continua ad esercitare, seppur con caratteristiche e modalità differenti dal sacerdozio comune dei giustificati-crismati e dei sacerdoti ordinati, il suo ministero materno a nostro vantaggio offrendo nella communio sanctorum "vittime spirituali", gradite a Dio, per mezzo del suo Figlio e Signore Gesù Cristo (cf. I Pt 2,4-5).

    Maria, ancilla Domini, ministra pietatis, prima sulla terra e poi ora in cielo, svolge il compito (munus) che Dio nella sua pietà e carità verso tutti noi le ha assegnato in Cristo per lui e sotto di lui, nello Spirito Santo, nella Chiesa, anch'essa partecipe del munus salvifico per via della Parola e dei Sacramenti.277 Tale diaconia della Vergine, dei santi e della Chiesa, che congiunge nell'Agape divina tutti gli eletti in Cristo, porta e unisce solidarmente tutti i membri della communio sanctorum storica ed escatologica;278 cioè unisce la famiglia dei redenti ancora pellegrinanti sulla terra, coloro che sono passati da questa vita al Padre e vengono purificati nel sangue dell'Agnello e, infine, gli altri che già godono della visione di Dio nella sua maestà infinita: tutti, però, sebbene in grado e modo diverso, comunicano nella stessa Agápe di Dio e del prossimo esprimendo il loro grazie a gloria all'Altissimo (cf. Lumen gentium 49).279 

    Così la comunione dei santi di Dio, suscitata e sostenuta dallo Spirito del Padre e del Figlio ed espressa nella verace carità e solidarietà tra i membri, viene a congiungersi con i giusti impegnati a escatologizzare la storia dell'umanità e con quelli che hanno già, per sola Gratia, compiuto il loro esodo senza ritorno e vivono ora nella preghiera e nella gioia eterna. Possiamo perciò ben dire che la cooperazione della Madre del Signore è primizia di quella della Chiesa madre; munus, servizio, diaconia, ministero, che hanno però aspetti assolutamente singolari280 e universali.281 Anche in questo caso, la Chiesa dei redenti e dei cercatori della grazia divina impara dalla Serva del Signore, la cooperatrice del Salvatore, a cooperare affinché l'universale munus salvifico di Cristo sia riconosciuto, accolto e richiesto.282

    Dal punto di vista ecumenico, seppur con accorte distinzioni teologiche e, inevitabilmente, con qualche reticenza o con qualche distanza ancora da colmare si è affrontato la questione spinosa e per alcune Chiese e confessioni cristiane controversa, della cooperazione salvifica di Maria. Il lungo ed elaborato documento L'unico Mediatore i santi e Maria (1990), frutto del dialogo fra luterani e cattolici degli Stati Uniti, al numero 209 afferma e riconosce che la mediazione di Maria «in quanto partecipa della mediazione di Cristo, è una dimostrazione del potere di Cristo».283 La proposta di mariologia ecumenica del Gruppo di Dombes del 1998, esorta le Chiese cristiane a non esagerare o minimizzare pregiudizialmente la cooperazione di Maria intesa come servizio reso per il compimento della salvezza, indicando come tale tematica teologica riguarda e va congiunta a quella della cooperazione della Chiesa.284 

    La dichiarazione comune tra Anglicani e Cattolici del 2004 su Maria. grazia e speranza in Cristo,285 che dopo aver riconosciuto nel n. 71 il ruolo materno di Maria in rapporto a Cristo e ai suoi discepoli mediante «un ministero proprio di assistenza attraverso la sua attiva preghiera»,286 al n. 72 afferma, fatto salvo e ribadito il primato assiologico di Cristo unico mediatore (cf. 1 Tim 2,5), senza forzature e ambiguità, che i credenti in Cristo «possono giungere a vedere in Maria la madre della nuova umanità, attiva nel suo ministero di orientare tutti a Cristo, in vista del bene di tutti i viventi. Siamo d'accordo che, sebbene sia necessario usare cautela allorché si attinge a queste rappresentazioni, è appropriato applicarle a Maria, in quanto è un modo in cui onorare il rapporto proprio che ella ha con suo Figlio, e l'efficacia in lei dell'opera della redenzione».287

    Lo stesso documento anglicano-cattolico nel paragrafo conclusivo dedicato a rimarcare e presentare i Progressi nell'accordo, al n. 78 attesta e riconosce all'interno del cristianesimo, diversamente dalla tradizione protestante, l'intercessione celeste di Maria e dei santi, arrivando ad affermare che «Maria ha un permanente ministero a servizio del ministero di Cristo, nostro unico mediatore, che Maria e i santi pregano per tutta la Chiesa e che la prassi di chiedere a Maria e ai santi di pregare per noi non è divisiva della comunione (nn. 64-75)».288


    NOTE

    246 Il termine doúlç Kyríou ricorre unicamente nell'opera di Luca ben tre volte (di cui due applicate ala Madre di Gesù): Lc 1,38.48; At 2,18 (cf E. PERETTO, Serva, in S. DE FIORES - S. MEO [EDD], Nuovo Dizionario di Mariologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1986, pp. 1285-1293); non bisogna sottacere la grande valenza neotestamentaria, cristologica e soteriologica di Cristo "servo" e di Maria "serva" dell'Alleanza (cf AA. Vv., Gesù Servo di Dio e degli uomini, Herder-Miscellanea Francescana, Roma 1998); dal punto di vista teologico tale connessione è stupendamente sintetizzata da Giovanni Paolo II nel n. 41 dell'enciclica Redemptoris Mater.
    247 Cf. A. STAGLIANÒ, Serva della Parola: Maria di Nazareth nel suo mistero, in Miles Immaculatae 44 (2008) pp. 491 -511. 
    248 Su questo argomento cf A. SERRA, Bibbia e spintualità mariana. Alcuni principi ed applicazioni, in AA. Vv., La spiritualità mariana. legittimità. natura, articolazione, Marianum, Roma 1994, pp. 83-112: l'evangelista Luca attesta che «Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose, ponendole a confronto nel suo cuore [...]. E sua madre conservava tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,19.5 lb). Fra le cose che Maria serbava nel cuore e che molto probabilmente comunicò agli Apostoli e ai discepoli, osserva il biblista servitano, vi era sicuramente anche la genesi umana del Figlio di Dio: un gesto prodigioso del Padre eterno e del suo eterno consustanziale Pneuma che toccò intimamente la corporeità della madre. Sulla questione della concezione verginale nei Vangeli, si veda R. E. BROWN, La nascita del Messia secondo Matteo e Luca, Cittadella, Assisi 20022, pp. 961 -981.
    249 Cf. A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture. Figlia di Sion e Madre del Signore, EDB, Bologna 2007, pp. 359-415; S. M. PERRELLA, Ecco tua madre (Gv 19,27). La Madre di Gesù nel magistero di Giovanni Paolo II e nell'oggi della Chiesa e del mondo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, pp. 246-264.
    250 Cf. S. M. PERRELLA, Maria cooperatrice di salvezza nel Concilio Vaticano II e nella «Redemptoris Mater» di Giovanni Paolo II, in AA. Vv., In Cristo unico Mediatore Maria cooperatrice di salvezza, AMI, Roma 2008, pp. 101-162.
    251 Tale principio conciliare, riprende l'idea di una pluralità di 'verità" già presente nel Concilio Vaticano I (1869-1870); ma stabilisce pure un ordine gerarchico, precisandone il "criterio", già discretamente presente nella Dei Filius (cap. IV), che parla dei «legami che collegano i misteri tra di loro e con il fine ultimo dell'uomo». Il principio conciliare, inoltre, indica il fatto che tutti i dogmi sono si ugualmente vincolanti e tutte le affermazioni di fede sono si vere, ma, quanto al loro contenuto, sono di diverso peso, a seconda della loro prossimità trinitaria e cristologica (cf C. THEOBALD, Il Concilio e la forma "pastorale" della dottrina, in AA. Vv., Storia dei Dogmi, Piemme, Casale Monferrato 1998, vol. 4, pp. 436-440). Gerarchia delle verità significa, quindi, un "principio strutturale organico", da non confondersi con i "gradi di certezza". Tale principio afferma, inoltre, che le diverse verità di fede sono ordinate a e in funzione di un centro, un nucleo centrale, ma non però che le verità non poste al centro siano, per ciò stesso, meno vere (cf a livello di dottrina cattolica: Vaticano II: Lumen gentium 25; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 90; dal punto di vista ecumenico: GRUPPO MISTO Dl LAVORO TRA LA CHIESA CATTOLICA ROMANA E IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE, La nozione di gerarchia delle verità. interpretazione ecumenica, in Enchiridion Oecumenicum, EDB, Bologna 1995, vol. 3, nn. 897-937, pp. 419-432).
    252 Cf G. M. SALVATI, La dottrina trinitaria nella teologia cattolica postconciliare, in AA.VV., Trinità in contesto, LAS, Roma 1994, pp. 9-24; N. CIOLA, Teologia trinitaria. Storia - Metodo - Prospettive, EDB, Bologna 2000, pp. 11-41.
    253 Cf. B. FORTE, Maria, la donna icona del Mistero. Saggio di teologia simbolico - narrativa, Paoline, Cinisello Balsamo 1989, pp. 153-168; S. M. PERRELLA, La Madre di Gesù nella coscienza ecclesiale contemporanea. Saggi di teologia, PAMI, Città del Vaticano 2005, pp. 89-105; S. DE FIORES, Trinità, in IDEM, Maria. Nuovissimo Dizionario, EDB, Bologna 2006-2008, vol. 2, pp. 717-745.
    254 «Per noi cristiani, poi, l'imago Dei è imago Triitatis, ossia imago Patris, imago Filii, imago Spiritus Sancti. Evoca, dunque, il mistero delle divine Persone, il loro rivelarsi ad entra nel segno di una personale creatività-libertà, dialogia-servizio, esuberanza-gratuita, in qualche modo fondata nel mistero stesso del loro sussistere ad intra» (C. MILITELLO, La Chiesa «il Corpo crismato». Trattato di ecclesiologia, EDB, Bologna 2003, p. 642; cf anche F. G. BRAMBILLA, Antropologia teologica, in AA. Vv., Teologia. I Dizionari, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, pp. 72-108; I. SIVIGLIA, Antropologia teologica in dialogo, EDB, Bologna 2007).
    255 Si veda l'intero assunto del Masciarelli che in definitiva si lascia ispirare in tal senso dall'abbozzo di dottrina mariologica enucleata da San Massimiliano M. Kolbe (cf M. G. MASCIARELLI, Maria, creatura Trinitaris . Spunti kolbiani, in Miles Immaculatae 44 [2008] pp. 609-640).
    256 Cf PONTIFICIA ACADEMIA MARLANA INTERNATIoNALIS, La Madre del Signore. Memoria Presenza Speranza, Città del Vaticano 2000, nn. 39-45, pp. 49-61.
    257 Cf C. MILITELLO, La Chiesa «il Corpo crismato», cit., pp. 633-638; S. DIANICH, Chiesa, in AA. Vv., Teologia. I Dizionari, cit., pp. 199-234.
    258 Cf GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione ai fedeli per l'udienza generale del 10 gennaio 1996, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, LEV, Città del Vaticano 1998, vol. XIX11, pp. 46-49: «Maria in prospettiva trinitaria»; PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS, La Madre del Signore. Memoria Presenza Speranza, cit., n. 42, pp. 56-58.
    259 PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS, La Madre del Signore. Memoria Presenza Speranza, cit., n. 52, p. 80; S. M. PERRELLA, Ecco tua Madre (Gv 19,27). La Madre di Gesù nel magistero di Giovanni Paolo II e nell'oggi della Chiesa e del mondo, cit., pp. 156-164. Non bisogna, inoltre, misconoscere l'importanza ma anche la difficoltà oggi di comprendere ed accogliere la grande categoria biblico-teologica della "mediazione", come ha mostrato A. GRILLO, La categoria di «mediazione». usi e abusi filosofico-teologici, in AA. Vv., Gesù Cristo e l'unicità della mediazione, Paoline, Milano 2000, pp. 73-105; spiace che al pur bravo teologo sia sfuggita la destinazione ed utilizzazione mariologica di tale categoria (egli è peraltro noto per una complessa sua tesi di laurea in teologia sull'argomento), come appare, ad esempio, anche in altri suoi contributi specifici a finalità teologico-liturgica: Dal Cristo mediatore unico alle mediazioni ecclesialiIl concetto di «mediazione» nel rapporto fra fondamento e culto, in Rivista Liturgica 83 (1996) pp. 9-28; L 'idea di mediazione e differenza nel rapporto rito-ordine. Sacerdozio, gerarchia e rito a trent'anni dal Vaticano II, in AA. Vv., Le liturgie di ordinazione, CLV Edizioni Liturgiche, Roma 1996, pp. 121-176. 
    260 Sulla valenza biblica, teologica, liturgica e soteriologica del titolo di Gen 3,20, la cui valenza mariologica si disvela nell'ambito del parallelismo antitetico Eva-Maria, alla luce di Giovanni 19,25-27 e di Apocalisse 12,1-12 (titolo sottovalutato sia dai testi magisteriali precedenti il Vaticano II che dai libri liturgici preconciliari, ma valorizzato dal Concilio e dal magistero e dalla liturgia contemporanea) cf. I. M. CALABUIG, Il culto alla Beata Vergine. fondamenti teologici e collocazione nell'ambito del culto cristiano, in AA. Vv., Aspetti della presenza di Maria nella Chiesa in cammino verso il Duemila, Marianum, Roma 1989, pp. 230-234.
    261 Cf Ibidem, pp. 235-242: «Supplex Mater».
    262 Cf. Lumen gentium 66; Marialis cultus 56; Redemptoris Mater 40; Collectio Missarum de Beata Maria Virgine, 7. 19. 22. 30; S. ROSSO, Atteggiamenti cultuali verso la beata Vergine nell'eucologia mariana del Messale romano, Messaggero, Parova 1995, pp. 353-385; S. M. PERRELLA, Maria, Madre di Gesù nel servizio al compimento del Regno. Una questione attuale, in AA. Vv., Maria nel mistero di Cristo pienezza del tempo e compimento del Regno. XI Simposio Internazionale Mariologico, Roma, 7-10 ottobre 1997. A cura di Elio Peretto, Marianum, 1999, pp. 561-616.
    263 Cf S. MEO, Mediatrice, in S. DE FIORES - S. MEO (EDD), Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., pp. 920-935; R. LAURENTIN - S. MEO, Nuova Eva, ibidem, pp. 1017-1029.
    264 Cf J. M. ALONSO, Mediación de Maria - Mediación de la Iglesia, in Ephemerides Máriologicae 25 (1975) pp. 23-50; C. R. GARCIA PAREDES, La mediación de Maria en perspectiva pneumatológica y ecclesiológica, in Ephemerides Mariologicae 40 (1989) pp. 205-221; M. WSZOLEK, La Beata Vergine Maria al servizio dell'unico Mediatore della salvezza, in AA. Vv., Gesù servo di Dio e degli uomini, cit., pp. 157-189, specialmente le pp. 186-188; G. ZIVIANI, La Chiesa Madre nel Concilio Vaticano II, Pontificia Università Gregoriana, Roma 2001. 
    265 Il teologo cattolico Mühlen faceva osservare come la teologia della Chiesa cattolica, specialmente prima del Concilio Vaticano II, non avesse sviluppato una sufficiente dottrina sullo Spirito Santo e sulla cooperazione della terza Persona divina alla redenzione di Cristo (cf H. MÜHLEN, Una mystica persona. La Chiesa come il Mistero dello Spirito Santo in Cristo e nei Cristiani: una persona in molte persone, Città Nuova, Roma 1968, p. 575); sul Mühlen e sulla questione della carenza della pneumatologia nella mariologia, si veda S. DE FLORES, Maria nella teologia contemporanea, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 19913, pp. 258-290.
    266 Cf J. MOLTMANN, Lo Spirito della vita. Per una pneumatologia integrale, Queriniana, Brescia 1994; IDEM, La fonte della vita. Lo Spirito Santo e la teologia della vita, Queriniana, Brescia 1998; M. WELKER, Lo Spirito di Dio. Teologia dello Spirito Santo, Queriniana, Brescia 1995).
    267 Su questo aspetto, che ha dei delicati risvolti teologici, pastorali ed ecumenici, cf GRUPPO Dl DIALOGO FRA CATTOLICI ROMANI E LUTERANI NEGLI USA, The One Mediator, the Saints, and Mary, in Enchiridion Oecumenicum, EDB, Bologna 1996, vol. 4, nn. 3083-3360, pp. 1111-1263; GRUPPO DI DOMBES, Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi, Qiqajon, Magnano 1998, nn. 204-227, pp. 103-116; COMMISSfONE INTERNAZIONALE ANGLICANA-CATTOLICO ROMANA (= ARCIC) Maria: grazia e speranza in Cristo, del 2 febbraio 2004, in Il Regno-Documenti 50 (2005) n. 11, pp. 257-270: per la questione della mediazione mariana, si vedano i nn. 67-75, pp. 268-269; S. M. PERRELLA, Quanta est nobis via? Maria Madre di Gesù e la ricerca dell'unità perduta. Per una lettura del Documento «des Dombes», in Mananum 64 (2002) pp. l 90-203. 
    268 Cf AA.VV., La cooperación de Maria a la salvación, in Ephemerides Mariologicae 55 (2005), pp. 365-498; A. VILLAHORITA MONTELEONE, Alma Redemptoris Socia. Maria e la redenzione nella teologia contemporanea, Eupress, Lugano 2010.
    269 Su questa delicata e importante tematica, che interessa da vicino anche le Chiese cristiane, cf S. M. PERRELLA, «Non temere di prendere con te Maria» (Matteo 1,20). Maria e l'ecumenismo nel postmoderno, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, pp. 103-119; pp. 171-202.
    270 GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis 22, lettera enciclica del 4 marzo 1979, in Enchiridion Vaticanum, cit., vol. 6, n. 1265, p 883.
    271 GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis 22, in Enchiridion Vaticanum, cit., vol. 6, n. 1265, pp. 383 e 885. 
    272 Cf  L. DI GIROLAMO, Lo Spirito Santo come persona-dono nel magistero di Giovanni Paolo II, in Rassegna di Teologia 49 (2008) pp. 197-225.
    273 Sulla base della pneumatologia di H. Muhlen (El Espiritu Santo en la Iglesia, Secretariado Trinitario, Salamanca 1974, pp. 566-605) si può asserire che la mediazione in Cristo di Maria va declinata anche nello Spirito Santo, nel senso che «allo stesso modo, l'intercessione di Maria per noi è intellegibile soltanto nella vasta prospettiva della mediazione che tutto unisce, mediazione che è lo stesso Spinto di Cristo come persona". Ancor più, "la cooperazione di Maria con il Figlio suo ha avuto luogo attraverso la mediazione previa dello Spirito Santo, mediazione che si comunica anche a lei"» (A. M. CALERO, La Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. Saggio di mariologia, Elle Di Ci, Tonno 1995, p. 331; si vedano anche le pp. 328-342, ove l'autore oltre alla dimensione pneumatologica segnala quella ecclesiologica della mediazione mariana). Si veda anche G. BARTOSIK, Modelli interpretativi della partecipazione di Maria SS alla missione mediatrice dello Spirito Santo, in Miles Immaculatae 43 (2007) pp. 461-513; dello stesso autore non possiamo tralasciare il suo poderoso e informato testo di ben 582 pagine: «Mediatrix in Spintu Mediatore. La mediazione della Beata Vergine Maria come partecipazione alla funzione mediatrice dello Spinto Santo alla luce della teologia contemporanea», Niepokalanow 2006: il volume è stato però scritto in lingua polacca, quindi inaccessibile ai più. Bartosik, tra l'altro, in questa sua importante opera ha il merito di aver risposto, con l'ausilio del pensiero teologico contemporaneo, all'importante quesito: come la Vergine glorificata esercita la sua mediazione "nello" Spirito? Il teologo distingue ed esamina quattro modi di tale partecipazione: mediazione dell'esempio; mediazione d'intercessione; cooperazione con lo Spirito nella "distribuzione delle grazie"; maternità spirituale come partecipazione alla maternità della Terza Persona: cf  ibidem, pp. 433-496; una recensione in lingua italiana dell'opera in questione è stata approntata da B. KOCHANIEWICZ in Miles Immaculatae 43 (2007) pp. 747-754.
    274 Cf  G. ROVIRA, Las relaciones de Maria con la Santisima Trinidad y su libertad, in Scripta Theologica 19 (1987) pp. 729-749.
    275 Scrive il biblista Romano Penna: «Una cosa è certa: la natura del Mistero è percepibile solo nell'ambito della fede biblica neotestamentaria, cui esso appartiene. Ciò significa, per via di esclusione, che le sue componenti non sono collocabili nell'ambito di una normale speculazione filosofica su Dio, sull'uomo, sul mondo. Perciò l'atteggiamento umano di fronte ad esso non può essere comandato dalla semplice curiosità intellettuale (poiché il Mistero cristiano "supera ogni conoscenza": Ef 3,19) o peggio dall'ansia psicologica di chi si sente soccombere di fronte al buio dell'ignoto; anche qui la fede è l'alternativa della paura (cf Ef 3,17)» ( R. PENNA, Il «mysterion» Paolino. Traiettoria e costituzione, Paideia, Brescia 1978, p. 51).
    276 A partire dalla fine del secolo II, Padri e Scrittori ecclesiastici additano in Maria la fonte cui attinse la primitiva comunità cristiana per le notizie relative alla genesi umana e ai primi anni di Gesù. Per stabilire su basi bibliche la loro argomentazione, molti di essi fanno riferimento a Lc 2,19, oppure 2,51b; di qui il quesito: questa dottrina ha un reale fondamento nel celebre "ritornello" mariano di Lc 2,19.51b? Non pochi biblisti lo negano. Aristide Serra, biblista del "Marianum" lo afferma invece con congrue riflessioni esegetiche e storiche: cf A. SERRA, Bibbia e spiritualità mariana. Alcuni principi ed applicazioni, cit., pp. 83-112; IDEM, «Maria conservava tutte queste cose» (Lc 2,19: cf 2,51b). La Madre di Gesù, fonte di informazione per l'Evangelo dell'infanzia? Scrittura e tradizione a confronto, in AA. Vv., San Luca Evangelista testimone della fede che unisce. L'unità letteraria e teologica dell'opera di Luca (Vangelo e Atti degli Apostoli), Istituto per la Storia Ecclesiastica Padovana, Padova 2002, vol. 1, pp. 425-438.
    277 Cf C. MILITELLO, La Chiesa «il corpo crismato», cit., pp. 82-89: «La Chiesa è il luogo, in cui la salvezza, che Cristo ha per noi acquistato, viene additata e annunciata a ogni essere umano. In senso proprio la Chiesa è manifestazione, annuncio, mediazione efficace del disegno primordiale del Padre di ricapitolare in Cristo il cosmo e ogni realtà in esso contenuta» (ibidem, p. 88).
    278 Si vedano B. FORTE, La Chiesa della Trinità. Saggio sul mistero della Chiesa comunione e missione, San Paolo, Cinisello Balsamo 20033, pp. 198-200; C. MILITELLO, La Chiesa «il Corpo crismato», cit., pp. 362-372.
    279 Sui Novissimi, talvolta sottoposti a negazione o a sottovalutazione, cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1020-1060: «Credo la vita eterna»; Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, nn. 207-216; G. ANCONA, Escatologia cristiana, Queriniana, Brescia 2007, pp. 288-338. 
    280 Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Lumen gentium 61; I. M. CALABIG, Riflessione sulla richiesta della definizione dogmatica di «Maria corredentrice, mediatrice, avvocata», in Marianum 61 (1999), p. 155.
    281 Cf GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater 40: «La cooperazione di Maria partecipa, nel suo carattere subordinato, all'universalità della mediazione del Redentore, unico mediatore» in Enchiridion Vaticanum, cit.. vol. 10. n. 1381, pp. 1008-1009).
    282 Cf. S. M. PERRELLA, Maria cooperatrice di salvezza nel Concilio Vaticano II e nella "Redemptoris Mater" di Giovanni Paolo II, in AA. VV., In Cristo unico Mediatore Maria cooperatrice di salvezza, cit., pp. 102-162, specialmente le pp. 127-162.
    283 Enchiridion Oecumenicum, vol. 4, n. 3305, p. 1239. 
    284 Cf GRUPPO Dl DOMBES, Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi, cit., n. 295, p. 148; nn. 323-324, pp. 161-162; S. M. PERRELLA, Quanta est nobis via? Maria Madre di Gesù e la ricerca dell'unità perduta. Per una lettura del Documento «Des Dombes», in Marianum 64 (2002) pp. 190-203.
    285 Cf ARCIC, Maria: grazia e speranza in Cristo, in Enchiridion Oecumenicum, cit., vol. 7, nn 176-260. pp. 100-152.
    286 ARCIC, Maria: grazia e speranza in Cristoibidem, vol. 7, n. 251, p. 145.
    287 ARCIC, Maria. grazia e speranza in Cristoibidem, vol. 7, n. 252, p. i 46.
    288 ARCIC, Maria: grazia e speranza in Cristo, ibidem, vol. 7, n. 258, p. 150; cf S. M. PERRELLA, Dialogo cattolico-anglicano: «Maria: grazia e speranza in Cristo»: quale ricezione cattolica?, in AA. VV., Maria nel dialogo ecumenico in Occidente, Marianum, Roma 2008, pp. 327-368.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)