00 22/04/2010 18:22
Intervento del segretario generale della Cei al convegno sull'uso dei nuovi strumenti tecnologici

Una pastorale ripensata
per la comunicazione digitale


Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento del segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei) in apertura del convegno "Testimoni digitali", che si tiene a Roma fino al 24 aprile 2010, organizzato dalla Commissione episcopale per la Cultura e le Comunicazioni Sociali, dall'Ufficio nazionale per le Comunicazioni Sociali e dal Servizio nazionale per il Progetto culturale.


di mons. Mariano Crociata
 

"La scrittura mi evoca in primo luogo/non i romanzi, la poesia, la tradizione letteraria/ ma l'uomo [...]/ Scrivo perché non posso sopportare la realtà/se non trasformandola [...]./ Scrivo non per raccontare una storia/bensì per costruirla".

Sono, queste, parole pronunciate tre anni fa dallo scrittore turco Orhan Pamuk a Stoccolma, quando gli venne conferito il Premio Nobel per la Letteratura. Vorrei farle mie per darvi il benvenuto più cordiale e per dirvi da subito perché la Chiesa italiana - otto anni dopo "Parabole mediatiche" - ha promosso "Testimoni digitali":  più che le nuove tecnologie, ci sta a cuore l'uomo, la persona umana nella sua interezza e nel dipanarsi della sua storia; e se ci misuriamo con esse, lo facciamo nella consapevolezza di quanto concorrano a tratteggiare le coordinate della storia e della cultura, fino a diventare l'ambiente in cui ci muoviamo e come l'aria che respiriamo.

Ancora una volta - sulla scorta dell'esperienza maturata nel iv Convegno ecclesiale nazionale di Verona - con questo appuntamento intendiamo portare l'attenzione sulla vita quotidiana del nostro popolo, quale "luogo di ascolto, di condivisione, di annuncio, di carità e di servizio" (Cei, Rigenerati per una speranza viva:  testimoni del grande "sì" di Dio all'uomo, 2007, n. 12).

Nell'intervento al quale ho fatto riferimento in apertura, il Premio Nobel racconta di quando suo padre gli affidò una valigetta piena di scritti e taccuini, chiedendogli di leggerli soltanto una volta che lui fosse scomparso, per verificare se vi fosse stato qualcosa degno di essere pubblicato. A quella valigia Pamuk trova con difficoltà un posto nel suo studio:  lo scrittore ammette di aver provato risentimento, invidia e paura davanti all'eventualità che essa avesse potuto realmente contenere qualcosa di buono:  troppa era la distanza che avvertiva tra l'esperienza di navigante e girovago del padre e invece la propria fatica a scrivere, che gli aveva richiesto tante privazioni, a partire dalla solitudine di chi si vede costretto a "restare in disparte e ben lontano da ogni centro", nel chiuso di una stanza, dove i testi nascono dalla ricerca interiore e paziente, pari a quando "si scava un pozzo con un ago".

Mi è piaciuta questa sincerità disarmante. Mi è piaciuta e nel contempo mi ha portato a chiedermi:  come evitare di incappare nello stesso rischio a fronte dei naviganti di oggi, la cui valigetta - dal contenuto ricco e misterioso - è "zippata" in un palmare, in un iPad, in un cellulare che è ormai ben altro da un semplice telefono portatile? Cosa fare, dunque, per capire che non si tratta di demonizzare il nuovo, né al contrario di considerare obsoleto o inutile il patrimonio di cultura che ci portiamo sulle spalle, bensì di valorizzare lo straordinario potenziale costituito dalle nuove tecnologie, impegnandoci a "introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo ed informativo i valori su cui poggia la nostra vita" (Benedetto XVI, Messaggio per la xliii Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2009)?

Nel rispondere a questa sfida è necessario innanzitutto riconoscere quanto è stato fatto nel decennio appena concluso, i cui Orientamenti pastorali - non a caso incentrati sul Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia - sottolineavano proprio le "nuove opportunità di conoscenza, scambio e partecipazione", che "accompagnano le innovazioni tecnologiche nell'ambito delle comunicazioni sociali". La cultura nella quale siamo immersi - osserva il documento, riprendendo l'enciclica Redemptoris missio - "nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare, con nuovi linguaggi, nuove tecniche, nuovi atteggiamenti psicologici" (Cei, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 2001, n. 39).

Nel quadro di questa rinnovata attenzione formativa ha trovato collocazione la stessa pubblicazione del Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa. Fin dalle prime righe, il direttorio si proponeva di "aiutare le comunità ecclesiali a prendere coscienza del ruolo dei media nella nostra società; far maturare una competenza relativa alla conoscenza, al giudizio, alla utilizzazione dei media per la missione della Chiesa; sviluppare alcune idee circa i punti nevralgici della pastorale delle comunicazioni sociali (comprensione dei media come cultura e non solo come mezzi, ecc.); offrire una piattaforma comune per i piani pastorali che ciascuna diocesi è chiamata a realizzare".

Quelle intenzioni hanno saputo declinarsi in scelte precise. Il decennio che ci lasciamo alle spalle, infatti, è stato per la Chiesa italiana il primo del circuito radiofonico "InBlu", pensato nella prospettiva di garantire sul territorio una voce di ispirazione cattolica, che abbia la forza e la visibilità del nazionale, senza dissipare la vitalità e le risorse delle comunità locali. È un ambito che chiede di attuare una sinergia sempre più concreta "per una maggiore qualità dei programmi e con una consistente economia di scala" (ivi). Accanto all'esperienza radiofonica, si colloca quella dell'emittente televisiva "TV2000", oggi così denominata con il passaggio al digitale terrestre, svolta che tra l'altro porta il segnale nelle case di tutti gli italiani.

Ancora, è stato il decennio che ha visto il quotidiano "Avvenire" compiere quarant'anni e consolidarsi quale strumento culturale decisivo per i cattolici e punto di riferimento nel panorama informativo del Paese. Discorso analogo può essere fatto per il Sir, l'agenzia di Servizio informativo religioso, che non solo ha tagliato in buona salute i suoi primi vent'anni - gli ultimi quindici dei quali on line - ma ha saputo evolversi, affiancando alle notizie nazionali una duplice attenzione:  per la realtà regionale e per quella europea.

È il decennio che - pur in mezzo alle crescenti difficoltà che hanno colpito il mondo dell'editoria (l'ultima delle quali conseguente al decreto ministeriale che ha abolito le tariffe postali agevolate) - ha visto la Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici (Fisc) superare le 180 testate aderenti:  circa un milione di copie entrano, così, ogni sette giorni nelle nostre famiglie, con la cronaca del territorio letta ed approfondita alla luce dell'appartenenza ecclesiale. Molti di questi giornali hanno sviluppato anche una versione online, quale logico e coerente sviluppo del giornale cartaceo:  l'edizione web consente loro di raggiungere nuovi lettori, di offrire materiali di documentazione e di avere maggiore rilevanza nel panorama mediatico.

Questo è stato anche il decennio delle migliaia di siti internet di ispirazione cattolica, che costituiscono ormai una presenza qualificata e matura:  penso a tutti i sussidi pastorali che veicolano, ma anche alla forza propositiva che esprimono, a partire dalla loro capacità di intessere nuove relazioni. Va qui riconosciuta la lungimiranza con la quale la Chiesa italiana ha saputo offrire alle diocesi un servizio di gestione dei contenuti web, mettendole in condizione di realizzare e di amministrare il proprio sito (è l'esperienza assicurata dal servizio internet della Cei). Va quindi incoraggiato il ruolo svolto dall'associazione dei Webmaster cattolici italiani (WeCa) quale punto di riferimento di chi opera nel web con ispirazione cattolica.

Alla preziosa azione formativa assicurata dalle università cattoliche e pontificie, si è aggiunta quella del progetto Anicec, specifico per animatori della cultura e della comunicazione, dove i percorsi di e-learning si completano con momenti residenziali. L'animazione della comunicazione in chiave di evangelizzazione e di dialogo con la cultura ha trovato inoltre espressione - oltre che nel lavoro svolto dalle associazioni e dalle aggregazioni cattoliche - anche nei forum e nei convegni promossi dal Servizio per il progetto culturale:  basti qui ricordare l'ultimo evento internazionale, "Dio Oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto", svoltosi lo scorso dicembre, come anche proposte quali la Settimana interdisciplinare su Bibbia e comunicazione o la Settimana della comunicazione, nata dall'impegno della famiglia Paolina, che rinnova il suo appuntamento a metà del prossimo mese di maggio.

Se queste iniziative sono rilevanti, l'ambito che ci sta maggiormente a cuore rimane comunque quello locale. È sul territorio che le nostre comunità si sono attivate - e voi ne siete espressione viva - per valorizzare la figura dell'animatore della cultura e della comunicazione, chiamato a muoversi da un lato verso chi è già impegnato nella pastorale, al fine di aiutarlo ad inquadrare meglio il suo operato nel nuovo contesto socio-culturale dominato dai media, dall'altro nell'aprire nuovi percorsi, attraverso i quali raggiungere persone ed ambiti spesso periferici, quando non addirittura estranei alla vita della Chiesa e alla sua missione. La presenza di mezzi di comunicazione promossi esplicitamente dalla comunità ecclesiale non deve, infatti, essere intesa in alternativa ad un impegno negli altri media, con i quali, anzi, si avverte l'esigenza di intensificare il dialogo e la collaborazione.

È proprio su quest'ultimo versante che le tecnologie digitali rappresentano una nuova opportunità, che intendiamo abitare con la nostra testimonianza.
"Conoscevo dalla mia infanzia quella valigetta di pelle nera - riconosce Pamuk, quasi con nostalgia -, la sua serratura, i suoi rinforzi ammaccati... Quella valigetta rappresentava per me molte cose familiari o affascinanti". E se a volte stentiamo ad aprirla, questa valigetta, se a nostra volta l'avvertiamo anche "pesante ed ingombrante" e quindi, con lo scrittore, ci ritroviamo tentati di metterla "con discrezione, senza far rumore, in un angolo", è a causa di alcuni ritardi che ci proponiamo di superare insieme. In conclusione voglio, allora, accennare emblematicamente a un paio di essi.

Il primo ritardo è legato a un linguaggio che a volte rimane ancora autoreferenziale, quasi di nicchia, in un contesto culturale che nel frattempo è cambiato profondamente e che ci porta a confrontarci con una generazione che - quanto a formazione religiosa - non possiede ormai più il nostro vocabolario:  "Una generazione che non si pone contro Dio o contro la Chiesa, ma una generazione che sta imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa" (A. Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010, 16).

I "nativi digitali" - ossia le generazioni cresciute connesse alle nuove tecnologie - ne hanno assunto il linguaggio veloce, essenziale e pervasivo; nuotano in una comunicazione orizzontale, decentrata e interattiva; si muovono in una geografia che conosce la trasversalità dei saperi ed espone a una pluralità di prospettive. L'ambiente digitale - con il suo linguaggio ludico, fatto di suoni, immagini e interattività - è emotivamente e affettivamente coinvolgente.

A tale riguardo, il nostro impegno di coltivare una nuova alfabetizzazione va portato avanti di pari passo con la consapevolezza che non si tratta semplicemente di sviluppare una vicinanza empatica alle tecnologie digitali, quanto di essere presenti anche in questo ambiente con modalità che non disperdano l'identità cristiana, l'eccedenza rappresentata dal Vangelo.

Accanto ai problemi di linguaggio e di identità, l'altro punto al quale volevo accennare riguarda la difficoltà di mettere a fuoco, all'interno dei piani pastorali delle nostre diocesi, un progetto organico per le comunicazioni sociali, che integri queste ultime negli altri ambiti. Dobbiamo smetterla di considerare la comunicazione come "un ulteriore segmento della pastorale o un settore dedicato ai media", per intenderla invece come "lo sfondo per una pastorale interamente e integralmente ripensata a partire da ciò che la cultura mediale è e determina nelle coscienze e nella società" (Benedetto XVI, Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale).

Si tratta, dunque, di "scongelare" veramente la figura dell'animatore della cultura e della comunicazione, figura sulla quale finora si è investito ancora troppo poco o comunque con scarsa convinzione.

In sintesi:  un linguaggio credente ed un progetto organico per le comunicazioni sociali sono "il compito per casa" sul quale applicarsi fin dal nostro ritorno; sono le condizioni per elaborare una strategia comunicativa missionaria, che sia capace di coinvolgere tutti gli ambiti pastorali e di incidere sulla cultura della società. Sarà la sfida del decennio che inauguriamo, non a caso incentrato sull'educazione.


(©L'Osservatore Romano - 23 aprile 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)