Buona giornata ai salvati, a quelli che vogliono salvarsi, a quelli che vorrebbero ma non hanno tempo, agli ottimisti, agli sfiduciati, a coloro che si reputano indegni, a coloro che sono degni per la giustificazione etc. etc.
Come vedete, amici miei, lo spettro di colore che si irradia da queste umane considerazioni è molto ampio. Da un lato, il cristiano riformato fonda il suo ottimismo (giusto, devo dire, perché consono alla sua interpretazione della Scrittura) sulla irrevocabile e totale giustificazione per i meriti di Cristo, dall'altra, il cattolico (che pur gode della medesima giustificazione, giacché noi tutti siamo di Cristo ed Egli è di Dio...) rimane più cauto, quasi a cedere il fianco alle critiche su questa sua cautela, talvolta, più che eccessiva, direi, mesta. E la mestizia non è una cosa brutta, se usata a giuste dosi.
Essendo cattolico, dilettandomi di Teologia, vivendo la mia fede per quello che posso, vale a dire con limiti che non sono né piccoli né pochi, vorrei precisare che la cauta posizione del cattolico verso la sua salvezza si fonda sulla totalità della Rivelazione, non solo sui passi che esprimono l'ottimismo, quella intrinseca realizzazione futura nel seno di Abramo o a suonar il flauto con gli angeli...
Noi cattolici, in genere, consideriamo la tappa finale, escatologica, quella del Paradiso per intenderci, come la realizzazione di quello che la teologia esprime come "fine ultimo". Il fine, per esser tale, non costituisce una monade isolata, una realtà ai limiti del pensabile e del pensato: non è il Regno del Signore degli Anelli, ma la casa del Signore della Vita.
Per arrivare al fine, occorrono dei mezzi: per i cattolici, questi mezzi (che sono la benzina per fare le miglia che ci separano dalla casa definitiva) si chiamano sacramenti. Ora, come cattolico, non mi sentirei di sottovalutare troppo i mezzi che Cristo ci ha dato come supporto al fine. Che poi questi mezzi siano discussi in seno ai nati, ai rinati, ai ri-rinati, ai ri-ri-rinati, ovvero tra le tante confessioni che si appoggiano comunque a Cristo, è problema dialogico, non salvifico. Non è il sì evangelico o il sì cattolico che esprime la salvezza, ma la singolare, personale, umana partecipazione a questa salvezza. Singolare e collettiva insieme nella quale si alternano ansia e speranza, timore e fiducia.
Come vedete, i sentimenti che appartengono all'uomo sono tanti, e noi li sperimentiamo ogni giorno facendo i conti con la vita. Non siamo mai continuamente felici, né mai completamente tristi, né troppo sazi, né sconsolatamente affamati.
Per questo, se leggete il Miserere, il Salmo 51 per capirci, troverete appieno l'ansia generata dalla colpa, il rimorso del peccato, l'indegnità che sale dall'autore ispirato, proprio come goccioline in evaporazione...
Eppure, queste goccioline di umana piccolezza si elevano e si ricondensano in una splendida affermazione di fiduciale abbandono: al verso 14 troviamo la chiave di lettura dei nostri piccoli duelli all'alba, delle nostre scaramucce lontane galassie dall'ecumenismo che tutti vorrebbero senza cedere nulla.
Troviamo, dicevo, questo gioiellino di sei parole:
"Rendimi la gioia di essere salvato...".
A me sembra, che quello che si sia smarrito in questi secoli di separazione in casa, non sia tanto il senso ottimista o pessimista della giustificazione, ma la gustosa, ineffabile gioia di essere salvati.
Forse, recuperando la gioia comune, non dico che le risposte verranno automaticamente, quantomeno cambierà il modo di porre le domande. Non "Chi può dire di essere salvato?" ma : "Ho ancora la gioia battesimale della salvezza?".
La risposta verrà da sé: se ho gioia, nessuno potrà rubarmela, né troni, né potenze, né dominazioni. Perché se perderò la mia gioia, vorrà dire che sono stato io a cederla, non lei ad essersene andata.
Sì perché, nel verso 20, la gioia di una riedificazione collettiva è evidente:
"Nel tuo amore fa' grazia a Sion,
rialza le mura di Gerusalemme."
Vale a dire, che la città dei credenti, ci piaccia o meno, è già nei piani di Dio, messa nelle parole di questa implorazione.
Solo allora, nel senso di una universalità da realizzarsi in pieno "...gradirai i sacrifici prescritti...".
Il che non implica una vittoria "3 a 0", non è un derby di calcio tra il Vatican Football Club e la Selecao Evangelica. Bisognerebbe solo ritrovare il gusto di giocare, anzi la gioia di giocare senza mai perdere di vista che, in qualsiasi squadra si giochi, occorre principalmente riscoprire la "gioia di essere salvato"...
Saluti, Chisolm