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Di questa guerra che freme al di fuori, mossa da nemici esterni, per la quale o ad oste schierata e con aperte battaglie, o con arte subdola e coperte insidie, dappertutto scorgiamo la Chiesa pigliata d’assalto, abbiamo più volte premunito la vostra vigilanza, venerabili fratelli, e ancora nella Nostra allocuzione pronunziata in Concistoro il 16 dicembre 1907.

Ma con non minore severità e dolore abbiamo dovuto denunziare e reprimere un altro genere di guerra, intestina bensì e domestica, ma quanto meno palese ai più, tanto maggiormente pericolosa. Mossa da figli snaturati, che si annidano nel seno stesso della Chiesa per lacerarlo silenziosamente; questa guerra mira più direttamente alla radice, all’anima della Chiesa: mira ad intorbidare le sorgenti tutte della pietà e della vita cristiana, ad avvelenare le fonti della dottrina, a disperderne il deposito sacro della fede, a sconvolgere i fondamenti della costituzione divina: volta in dileggio ogni autorità così dei romani pontefici come dei vescovi a dare nuova forma alla Chiesa, nuove leggi, nuovi diritti, secondo i placiti di mostruosi sistemi; insomma tutta deformare la bellezza della sposa di Cristo, per il vano bagliore di una nuova cultura, che è scienza di falso nome, da cui l’apostolo ci mette in guardia ripetutamente: Badate che nessuno vi raggiri per mezzo di una filosofia vuota e ingannatrice, secondo la tradizione degli uomini, secondo i principi del mondo e non secondo Cristo [18].

Da questa falsa filosofia e da questa mostra di vuota e fallace erudizione, congiunta ad una somma audacia di critica, sedotti alcuni svanirono nei loro pensieri [19], e, rigettata la buona coscienza, fecero naufragio intorno alla fede [20]; altri si vanno dibattendo miseramente tra i flutti del dubbio, né sanno essi medesimi a qual lido approdare; altri, sprecando tempo e studi, si perdono dietro a ciance astruse, onde poi si alienano dallo studio delle cose divine e dalle sincere fonti della dottrina. Né, sebbene denunziato già più volte e smascheratosi infine per gli eccessi medesimi dei suoi fautori, questo semenzaio di errori e di perdizione (che ebbe volgarmente dalla sua smania di malsana novità il nome di modernismo) cessa di essere male gravissimo e profondo. Esso cova latente, come veleno, nelle viscere della società moderna, alienatasi da Dio e dalla sua Chiesa, e massimamente serpeggia come cancro in mezzo alle giovani generazioni, naturalmente più inesperte e spensierate. Non è esso infatti una conseguenza di studi seri e di scienza vera, giacché non vi può essere dissenso vero tra la ragione e la fede [21]; ma è effetto dell’orgoglio intellettuale e dell’aria pestifera che si respira, di ignoranza o cognizione tumultuaria delle cose di religione, mista alla stolta presunzione di parlarne e discuterne. E tale infezione malefica è poi fomentata dallo spirito dell’incredulità e della ribellione a Dio; onde chiunque è preso da questa cieca frenesia di novità pretende bastare a sé stesso, scuotere da sé palesemente o ipocritamente ogni giogo di autorità divina, foggiandosi poi a capriccio una sua religiosità vaga, naturalistica, individuale, che del cristianesimo simuli il nome e la parvenza, non ne abbia punto la verità e la vita.

Ora in tutto ciò non è difficile ravvisare una delle tante forme della guerra eterna che si combatte contro la verità divina, e che ora si muove tanto più pericolosamente, quanto più insidiose sono le armi palliate di religiosità nuova, di sentimento religioso, di sincerità, di coscienza, onde uomini ciarlieri si affannano a cercare conciliazione tra le cose più disparate, come tra il delirare della scienza umana e la fede divina, tra l’ondeggiare frivolo del mondo e la dignitosa costanza della Chiesa.

Ma se tutto ciò voi vedete e con Noi deplorate amaramente, venerabili fratelli, non però ne cadete di animo, o v’indebolite di speranza. Voi non ignorate quanto gravi lotte abbiano recato al popolo cristiano altri tempi, benché diversi certamente dai nostri. Basta che ritorniamo per poco col pensiero all’età in cui visse Anselmo, così piena di difficoltà, come appare dagli annali della Chiesa. Vi fu allora veramente da lottare per la religione e la patria, cioè a dire per la santità del diritto pubblico, per la libertà, la civiltà, la dottrina, di cui la Chiesa sola era maestra e vindice alle nazioni; vi fu da rintuzzare la violenza di prìncipi, che si arrogavano di conculcare i diritti più sacri; da sradicare i vizi, l’ignoranza, la rozzezza del popolo stesso, non ancora spogliato in tutto dell’antica barbarie e ricalcitrante bene spesso all’opera educatrice della Chiesa; infine da rialzare una parte del clero, o fiacco o sregolato nella sua condotta, siccome quello che non di rado era scelto a capriccio e con perversa elezione da prìncipi, da essi dominato e ad essi ligio in ogni cosa.

Tale era lo stato delle cose segnatamente in quei paesi, a cui benefizio spese Anselmo l’opera sua in modo più speciale, sia con l’insegnamento del maestro, sia con l’esempio del religioso, sia con la vigilanza assidua e la molteplice industria dell’Arcivescovo e del Primate. Poiché sopra tutto sperimentarono i singolari benefizi di lui le province della Gallia, che erano cadute da pochi secoli in potere dei Normanni, e le isole Britanniche, da pochi secoli venute alla Chiesa. Le une e le altre, state già tanto sconvolte da rivoluzioni interne e da guerre esterne, dettero occasione a rilassatezza nei regnanti e nei sudditi, nel clero e nel popolo.

Di simili abusi del loro secolo fortemente si lamentavano gli uomini insigni di quell’età, come Lanfranco, già maestro e poi Predecessore di Anselmo nella sede di Cantauriense; e più ancora i Pontefici Romani, fra i quali basti ricordare l’invitto Gregorio VII, campione intrepido della giustizia nella difesa della libertà della Chiesa e della santità del clero. Forte del loro esempio ed emulo del loro zelo, se ne doleva pure energicamente Anselmo, così scrivendo ad un principe sovrano della sua gente, e che godeva dirsi a lui congiunto per consanguineità e affetto: Vedete, mio carissimo signore, in qual modo la Chiesa di Dio, nostra madre, che Iddio chiama sua bella amica e sposa diletta, è calpestata dai prìncipi malvagi; in qual modo è tribolata per loro dannazione eterna da quelli ai quali fu raccomandata da Dio come a protettori che la difendessero; con quale presunzione questi medesimi usurparono ai loro propri usi le cose di lei; con quale crudeltà riducono a schiavitù la libertà di lei, con quale empietà sprezzano e disperdono la legge e la religione di lei. Ma essi, sdegnando di essere ubbidienti ai decreti dell’Apostolico, fatti a difesa della religione cristiana, si convincono certo disubbidienti a Pietro apostolo, del quale egli tiene le veci, anzi a Cristo, il quale a Pietro raccomandò la sua Chiesa. ... Perché quelli che non vogliono essere soggetti alla legge di Dio, senza dubbio sono riputati nemici di Dio [22]. Così egli, e così l’avessero ascoltato sempre i successori e nepoti di quel fortissimo principe, l’avessero ascoltato altri sovrani e popoli da lui tanto amati, premuniti, beneficati.