Il rettore del Santuario di Notre Dame di Lourdes, padre Raymond Zambelli, è di origini italiane, esattamente bergamasche. Discendente di quella nostra gente così numerosamente emigrata in Francia, in passato, non parla l’italiano, ma conserva la cordialità lombarda nei modi. È a Lourdes da dodici mesi. Viene da un altro grande santuario, quello di Teresa di Lisieux. Ma qui la folla di pellegrini è un oceano inarrestabile: oltre sei milioni l’anno. Eppure dal 1987 non si verifica una guarigione miracolosa. Il fiume di sani e malati, di carrozzelle, e giovani e vecchi, e gente di ogni colore, non accenna tuttavia a diminuire.
Padre Zambelli, cosa chiama ancora con tanta forza, a ben 146 anni dalle apparizioni, tanti uomini a Lourdes? Zambelli ha un accenno di sorriso, certo della semplicità delle sua risposta: «La Madonna ha detto un giorno: desidero che veniate qui. E gli uomini, semplicemente, rispondono prima di tutto a questa domanda a questa domanda. Vengono per supplicare, per confidare ciò che di più profondo hanno nel cuore, molto spesso solo per ringraziare di ciò che hanno già ricevuto. Ma la cosa fondamentale è che vanno dalla Madre: tutti abbiamo l’esperienza umana che la madre è colei che comprende, e che si può dire tutto, alla madre. E dunque qui si viene a domandare, a confidare, a supplicare, come alla propria madre, come figli, figli fiduciosi». Ad accogliere i pellegrini malati si alternano ogni anno migliaia di volontari, gli Hospitalier delle diverse Hospitalité di Lourdes, i volontari diocesani, gli scout, le bénévoles, un esercito silenzioso che complessivamente raggiunge le 95 mila persone in un anno. Che accompagna, accudisce, serve, gratuitamente.
Chi sono gli Hospitalier di Notre Dame, l’antica Hospitalitè fondata nel 1885 che accoglie i malati e li accompagna alle piscine? «Sono oltre settemila uomini e donne di ogni parte del mondo e di ogni estrazione sociale, animati da un desiderio profondo di mettersi al servizio dell’altro. So che a volte, segretamente, dietro a questa scelta, c’è un voto: qualcuno in casa era malato ed è guarito, venire qui ad assistere altri malati è un modo di dire grazie».
Fra sacerdoti e religiosi, quante persone vivono stabilmente nel Santuario? E come fate, voi che siete qui sempre, a affrontare ogni giorno la vista di tanta sofferenza, file di uomini in barella, bambini malati, gente venuta qui da lontano in un’ultima speranza? «Siamo in trenta, fra sacerdoti e religiosi, residenti stabilmente nel Santuario, cui si aggiungono 150 ausiliari esterni. Quanto allo stare di fronte alla sofferenza, posso dirle della mia personale reazione, un anno fa: all’inizio, di fronte a tanti malati gravi, viene spontaneo ringraziare Dio di essere in buona salute, e domandarsi come vivresti tu quella prova, e pensare che probabilmente non la vivresti tanto bene. Poi, ti rendi conto che la piena salute, e la forza che Dio ti ha dato, costituiscono un preciso dovere. Come un mettersi sull’attenti: l’ordine di mettersi al servizio dei più deboli».
Lei vede tanta gente che viene qui sperando di guarire. Come guarda alle madri che se ne tornano a casa con il figlio malato? Accanto alla speranza, non c’è la delusione? «Di miracoli, è vero, la Chiesa non ne riconosce da molti anni. Ma a Lourdes, glielo dirà il responsabile del Bureau Medical, si verificano ogni anno guarigioni non riconosciute come miracoli, e però avvenute in seguito al pellegrinaggio. Seimila, queste guarigioni senza timbro di miracolo, a tutt’ oggi. E ancora adesso, numerose. I pellegrini scrivono, mandando cartelle cliniche e lastre. Sono sbalorditi, vorrebbero testimoniare, aprire una causa: mancano però tutti i requisiti severi richiesti dalla Chiesa perché si parli di miracolo.
Ma è importante? Padre Zambelli sorride, ammicca: «Se lei fosse seriamente malata, venisse qui, guarisse, le importerebbe molto di un timbro ufficiale, o non se ne andrebbe piuttosto in giro, ringraziando Dio? C’è un piccolo monumento qui dentro il Santuario, con sopra una scritta: Ritrovare la fede è più che ritrovare la vista. Quel monumento l’ha donato un italiano cieco, che qui ha ritrovato la vista, ma ha scoperto che la fede era più importante. Di Lourdes si parla sempre come luogo di guarigione, ma è, prima di tutto, un luogo di guarigioni spirituali e di conversione. Qui ogni anno si confessano milioni di persone, e molti magari non lo facevano da una vita. Il vero miracolo di Lourdes, è il cuore che cambia. Come ha detto il Papa, Lourdes è una sorgente bevendo alla quale l’anima trova, o ritrova, la sua limpidezza». Una storia che, in quest’anno, le è rimasta in mente. «La storia di mia sorella. Ho un’unica sorella, che non è mai stata praticante. Ammalata di cancro, l’anno scorso ha deciso di venire qui. Io non le ho chiesto niente. Ha scelto lei di partecipare alle funzioni, di fare il bagno alla piscina, di fare il "cammino della fede". È passato un anno, il cancro è sempre lì, stabilizzato. Ma mia sorella è cambiata. È come se le si fosse aperto il cuore, qui, in due giorni. Come se avesse intravisto qualcosa. Io, non le avevo detto proprio niente». Pochi guariscono fisicamente a Lourdes, almeno ufficialmente. Tuttavia, venendo qui e stando in silenzio, smettendo di pensare e di "fare", e lasciando campo libero alla Madonna, pare che qualcosa accada. Non si spiega altrimenti perché le mura della basilica siano completamente coperte di ex voto. Dal pavimento alle volte, uno sbalorditivo, infinito ripetersi di tre sole parole: Je vous remercie. |