00 04/04/2011 08:50

Nozioni fondamentali di teodicea.



Quante parole, nel lessico cattolico, sono diventate antiquate, obsolete, addirittura irritanti? Termini come indulgenza, giaculatoria, peccato veniale e mortale, virtù, vizio, battaglia per la Fede, Purgatorio, Inferno, colpa, giudizio, penitenza, sacrificio, timore di Dio, castigo… urticano e “ledendo” le diverse sensibilità e la “dignità” psicologica di ciascuno vanno per ciò stesso bandite, allontanate come la peste, benché, in realtà, questi termini continuino a far  parte del Credo della Chiesa.

Ultimamente a fare scandalo è stato il termine «castigo» utilizzato dal professor de Mattei durante una trasmissione a Radio Maria del 16 marzo u.s., durante la quale ha svolto una riflessione sul mistero del male a partire da due episodi di attualità: il terremoto del Giappone e l’uccisione del ministro pachistano Shahbaz Bhatti. In questo contesto il professor de Mattei ha spiegato, in maniera cattolica, la permissione divina alle catastrofi naturali; ha spiegato, alla luce della teologia e della filosofia cristiana, che in entrambi i casi ci si trova di fronte al problema del dolore e del male; ne è nata non una sana polemica volta al confronto delle idee, ma una vera e propria aggressione morale contro il professore “politicamente scorretto”, poiché aveva messo il dito su una realtà “passata di moda”: il castigo di Dio. Riflettere sulle realtà metafisiche è diventato un’attività praticata da uno sparuto numero di persone… e tutte le voci mediatiche, comprese quelle di coloro che si dichiarano cattolici, si accodano alle indignazioni dell’UARR, ovvero dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, che tanto ricorda la «Lega dei senza Dio militanti» di sovietica memoria; Associazione che chiede, come pure la Federazione Lavoratori della Conoscenza (FLC-GGL) e a gran voce (aprendo addirittura una petizione) le dimissioni del professor de Mattei da vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

Insomma, il cattolico autentico, quello che parla chiaro, senza diaframmi farisaici e subdoli, deve essere imbavagliato, perché non credibile, perché non “scientifico”. Il positivismo ha invaso così prepotentemente la mentalità corrente da infettare ogni settore, ogni scomparto del sapere (in realtà, come afferma lo scienziato Zichichi, esso è completo solo se tiene in considerazione anche il lato del mistero) e della religione cristiana.

De Mattei ha semplicemente ricordato ciò che le Sacre Scritture e la Chiesa hanno sempre detto, ma scrive il professore sul quotidiano Libero del 31 marzo, per «comprendere l’azione della Provvidenza, che dà una ragione a tutto ciò che avviene, anche alle tragedie, come i terremoti, bisogna però avere una prospettiva soprannaturale: la prospettiva di chi crede nell’esistenza di un Dio creatore e rimuneratore della vita eterna.

Per meglio spiegare questi concetti, ho citato un libricino pubblicato all’indomani del terremoto di Messina da mons. Orazio Mazzella, (1860-1939), arcivescovo di Rossano Calabro, dal titolo La provvidenza di Dio, l’efficacia della preghiera, la carità cattolica ed il terremoto del 28 di Dicembre 1908: cenni apologetici (Desclée e C., Roma 1909). In questo scritto mons. Mazzella scrive che varie sono le ragioni per cui Dio può permettere le catastrofi. In primo luogo esse ci distaccano dalla vita terrena e ci richiamano col pensiero al fine ultimo della nostra vita, che è immortale.

In secondo luogo esse possono essere un castigo che ci purifica dalle nostre colpe individuali o collettive. Fu il terremoto di Messina un castigo di Dio? “Chi potrebbe dirlo? – commenta mons. Mazzella – È possibile fare delle congetture, non è possibile affermare alcuna cosa con certezza. Intanto per noi, al nostro scopo, basta la sicurezza, che le catastrofi possono essere, e talora sono esigenza della giustizia di Dio”.

In terzo luogo le grandi catastrofi sono spesso una manifestazione non della giustizia di Dio, ma del suo amore misericordioso. Mons. Mazzella scrive che il terremoto può essere stato un battesimo di sofferenza che ha toccato il cuore di molte vittime, unendole a Dio. Non c’è compiacimento per le sofferenze in queste parole, ma desiderio, al contrario, di consolarle. Sapere che i miei dolori sono ordinati ad un fine superiore è certamente più consolante di sapere che sono frutto delle cieche forze del caso».


Il significato di castigo

Il termine castigo deriva dal latino Castum agere, ovvero «rendere puro, casto, purificare». Il castigo ha assunto, nella lingua parlata, dei significati diversi da quello originario.

La disobbedienza all'ammonimento del Signore nell'Eden, circa il divieto di mangiare dell'albero proibito, aveva come conseguenza il castigo della morte dell'uomo: egli  si è trovato di fronte alle conseguenze delle sue scelte. La morte che derivava dalla disobbedienza originale non era il castigo di Dio per il peccato, dunque, ma la libera conseguenza dell'uso della libertà dell'uomo. Così è sempre da leggersi il castigo. Perciò esso è una permissione divina di un male che è frutto delle scelte libere dell'uomo e, al tempo stesso, un mezzo di purificazione e redenzione che Dio, sommo Bene e sommo Amore, usa per convertire l'uomo, che Egli vuole salvare, tanto da aver mandato sulla terra il Suo Figlio unigenito, Agnello sacrificato sul quale ricaddero tutti i peccati del mondo e della storia per salvare chi vuole essere salvato.

La parola castigo nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, appare in 73 versetti e, al plurale, in 18 versetti, per un totale di 91 volte: Dio purifica o "castiga" l'uomo, come avvenne con le dieci piaghe d’Egitto oppure a Sodoma e Gomorra, attraverso le conseguenze funeste del peccato.
Affermò Gesù: «Se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3), tale ammonimento non è una minaccia per l'uomo che non crede, ma profezie di eventi che accadranno sicuramente a coloro che non si convertiranno, perché andranno incontro volontariamente alla morte della loro anima. Leggiamo infatti:
«In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,1-5).

L'Inferno è una scelta dell'uomo, non un castigo di Dio, ma è al tempo stesso il Giudizio di Dio verso il peccatore impenitente, o meglio la conseguenza del suo determinato rifiuto all'amore e alla misericordia di Dio. D’altro canto nello stesso Atto di dolore si afferma: «Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i Vostri castighi…».

L'aspetto misericordioso di Dio, non si scontra minimamente con quello di Giustizia, anzi, il castigo è un atto di misericordia di Dio che vuole la nostra salvezza, a tutti i costi, non una vendetta per il nostro comportamento.

«Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di Lui, per le Sue piaghe siamo stati guariti» dice Isaia (53,5) riferito al Servo di Javhé che sarà prostrato con dolori al nostro posto. Il castigo dà salvezza, perché purifica e monda dai peccati.

Come la Passione di Cristo e la sua morte hanno purificato e redento il mondo, così anche la nostra partecipazione alle Sue sofferenze, contribuisce, nell'economia della Salvezza, alla redenzione e purificazione delle anime.

Dopo il peccato originale è avvenuto uno sconvolgimento totale della creazione, per cui tutto ciò che accade attraverso calamità naturali ha origine da questo sconvolgimento originario, leggiamo, a questo proposito nella lettera ai Romani:
«La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,19-23).

Dire che tutti i disastri naturali hanno origine dal male e vedere in ciò solo il "male" è un'affermazione incompleta, perché Dio ha l'assoluto controllo degli avvenimenti, e tutto ordina per la realizzazione del Suo progetto di Salvezza. Ben esposto è nell’Apocalisse di Giovanni il concetto della permissione, da parte Dio, delle catastrofi. Il grave rischio è di non comprendere gli avvenimenti secondo la Sapienza di Dio, ma secondo la presunta e immensa vanagloria e presunzione dell’uomo, che è in realtà polvere, come il sacerdote un tempo affermava quando imponeva le ceneri: «Ricordati che sei polvere e in povere ritornerai» (Sostituito con: «Convertiti e credi nel Vangelo»).

La Madonna a La Salette (1846) e a Fatima (1917) ha ampiamente parlato di castighi che si sarebbero verificati se non ci fosse stata conversione… la seconda guerra mondiale è lì a ricordarcelo. È ciò che accade all'uomo lontano dall’Onnipotente, padrone della vita e della morte: il castigo appunto, cioè quel sistema pedagogico di Dio finalizzato alla conversione e alla consapevolezza, da parte dell'uomo, di quanto il peccato possa produrre effetti devastanti e distruttivi.

Le benedizioni

Il venerabile don Luigi Balbiano (1812–1884) allontanava le ribellioni della natura (le carestie causate, per esempio, dalla siccità) e i drammi  prodotti dalle conseguenze atmosferiche (per esempio le grandinate) benedicendo campi e bestiame; una consuetudine che con il Concilio Vaticano II è stata abbandonata ed oggi pressoché dimenticata, tanto che è diventato assai difficile trovare sacerdoti disponibili persino a benedire le case: sono in molti a non credere più in queste “superstizioni”.

Ed ecco don Balbiano, come Gesù e tanti altri santi, rompere le regole della natura. La sua mano casta e penitente era sempre pronta a levarsi nel segno della benedizione, come una carezza dal parte del Signore. Scriveva monsignor José Cottino il 5 settembre 1973, nella commemorazione tenuta sul viceparroco di Avigliana: «L’efficacia delle benedizioni di don Balbiano derivava dal significato biblico di quei gesti che erano anzitutto di adorazione e di lode al Signore […]. Con leggerezza noi pensiamo che gli aspetti “medioevali” del miracolo e della santità non siano più onorifici nel secolo del progresso. Ma nella santità non dobbiamo pretendere di dettare noi le norme. Proprio contro la superbia del pensiero muove la santità regolata da Dio». Don Luigi Balbiano, con le sue benedizioni straordinarie, domava le forze della natura, come sempre era avvenuto. Quando, nella storia, accadevano disgrazie, guerre, pestilenze, carestie, terremoti, maremoti… preti e fedeli pregavano, facevano voti, promettevano, compivano penitenze e digiuni, confidando nell’aiuto divino, perché nella sua onnipotenza e onniscienza credevano… e molte volte ottenevano grazie e miracoli. Ma la Fede, oggi, che cos’è e dov’è? Si crede più nella scienza e nelle risoluzioni umane che nell’intervento di Dio. E le calamità naturali se non sono castighi, che cosa sono? Forse benedizioni? Oppure è il caso? Ma per chi ha Fede, e non è apostata, il caso non esiste…

Nostro Signore spiega in maniera mirabile il senso cristiano del castigo, quando dice: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15, 1-2). Le disgrazie materiali che colpiscono ciascuno di noi, sia individualmente che collettivamente, sono occasioni per migliorare la nostra condizione spirituale ed avvicinarci all’unica vera meta: il Paradiso. Nella misura in cui siamo colpevoli, esse sono punizione per le nostre colpe e, come tali, ci permettono di scontare già su questa terra parte o tutte le nostre colpe, liberandoci da patimenti infinitamente più gravosi nell’altra vita. Nella misura in cui siamo innocenti o le disgrazie travalicano le nostre colpe, esse sono occasione di affinamento spirituale: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).  Questo permette alle anime più elevate,  in virtù della comunione dei Santi, di contribuire non solo alla salvezza propria, ma anche a quella di altri, arricchendo il tesoro di grazia della Chiesa.

Lex credendi e lex loquendi

- Professor de Mattei perché la semantica della Fede fa paura?

«Perché durante il Concilio Vaticano II e nel post Concilio si è abbandonato il linguaggio tradizionale della Chiesa, per sostituirlo con un nuovo linguaggio mutuato dal mondo. È stata questa una delle prime conseguenze del conclamato primato della pastorale sulla dottrina. Questa vera e propria rivoluzione del linguaggio ha inciso sullo stesso contenuto della fede. Se è vero che c’è un rapporto tra la lex orandi e la lex credendi, dobbiamo dire che esiste un’analoga relazione tra la lex loquendi e la lex credendi, tra la forma e il contenuto della nostra fede. Non qualsiasi abito è adatto alla vocazione religiosa, così come non qualsiasi linguaggio è idoneo alla formulazione della dottrina della Chiesa. Le verità della Fede erano proclamate, prima del Concilio, in maniera chiara e categorica e gli errori definiti e condannati con altrettanta fermezza; oggi invece, la rivoluzione semantica sta trasformando o relativizzando ogni verità, senza che questo porti ad alcun risultato in termini di dialogo o di ecumenismo. Siamo anzi giunti al paradosso che, mentre i nemici della Chiesa continuano ad esprimersi con un linguaggio chiaro e netto  nella lotta contro di essa, la Chiesa non ha più gli anticorpi necessari per difendersi, come aveva intuito il Cardinale Biffi, quando, con una formula brillante e provocatoria disse: “La Chiesa ha l’Aids”. La trasformazione del linguaggio cattolico è diventata cambiamento profondo della mentalità.
Questa vera e propria rivoluzione delle tendenze è, sotto certi aspetti, più pericolosa di quella dottrinale, perché mentre un errore si può facilmente individuare e colpire, la guerra psicologica è la più difficile da combattere. La Chiesa, custode del Deposito della Fede, dove neppure uno iota può essere perso, è stata mutilata della sua anima militante. Oggi siamo immersi nel continuo peccato di omissione: non si deve più proclamare, dai tetti, la verità; e, in questa verità, è contenuto, tra l’altro, il concetto di Dio provvidente e rimuneratore: come Dio è carità infinita, così è anche giustizia  infinita.

Non ho la certezza che il terremoto in Giappone sia un castigo, ma ho la certezza che Dio castiga non solo le singole anime, ma anche le nazioni, come sempre è stato insegnato. Sant’Agostino ne La città di Dio, scritta come meditazione sul terribile sacco di Roma del 410, ci ricorda che, mentre gli uomini ricevono il loro premio o il loro castigo nell’eternità, le nazioni, che non hanno un orizzonte ultraterreno, sono premiate o punite nel tempo. La Scrittura ci dice anche che si è puniti attraverso ciò in cui si pecca. In questo senso, il maggior castigo che oggi conosciamo non sono i terremoti e le sciagure naturali, ma l’autodistruzione della fede e della morale in cui siamo immersi.
Che poi ad essa si accompagnino grandi catastrofi, permesse da Dio, attraverso le cause seconde che regolano l’universo, è possibile, e talvolta preannunciato. Se l’uomo si ribella a Dio, anche la natura si ribella all’uomo. Mi colpì quanto un giorno mi disse un contadino: l’uomo ha cambiato la Messa e Dio ha cambiato il corso delle stagioni. Ecco che la scienza può spiegare come succede un dato fenomeno, ma non potrà mai spiegare perché succede. Soltanto la Fede offre le ragioni ultime ed escatologiche».


Non dimentichiamo che ad ogni uomo viene dato un Angelo custode così come ai Principati vengono assegnate le nazioni. Quanti hanno dimenticato i precisi compiti assegnati da Dio ai Cherubini, Serafini, Arcangeli, Troni e Dominazioni? Sono i cosiddetti cori angelici della Tradizione cristiana che, però, non rientrano più nella semantica della Chiesa conciliare e postconciliare e dunque sono come stati esautorati e inghiottiti in quel processo di «autodemolizione» di cui tragicamente parlò Paolo VI.

Nella genesi si parla chiaramente di castigo divino nei confronti di Adamo ed Eva, un castigo che non riguardò soltanto i due progenitori, ma tutte le generazioni a seguire, fino alla fine dei tempi, quando si avvereranno le profezie dell’Apocalisse e si verificherà il Giudizio universale. Il castigo, nell’Apocalisse, è rappresentato dai sette flagelli (cap.16), ma è sempre una reazione di amore, è l’estremo tentativo pedagogico per portare l’uomo al ravvedimento: («Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti», Ap. 3,19). È l’uomo a decidere la sua sorte definitiva, così come la rovina di Babilonia (cap. 17) è scaturita dalla pretesa di voler costruire la Città dell’uomo al di fuori e contro Dio; è la «casa costruita sulla sabbia».

Anni fa anche il Cardinale Siri venne accusato e attaccato, pure da parte di Civiltà cattolica, perché “osò” affermare che l’Aids era un castigo divino, proprio come accade oggi a de Mattei, il quale ha spiegato su Libero: «Morte, malattie, sofferenze, angosce di ogni tipo, tutto è frutto del peccato e tutto può essere vinto dalla vita della Grazia che, morendo sulla Croce, Gesù Cristo ha portato agli uomini spalancando loro le porte della vita eterna, della eterna felicità. Sono questi i pensieri a cui ci dovrebbero richiamare le tragedie collettive, come i terremoti, permessi da Dio per ottenere beni spirituali più alti della vita materiale, perché le sofferenze materiali non sono il male supremo e Dio le permette, come castighi o come purificazioni, e comunque, sempre, come strumenti di meditazione, per aprire il nostro cuore a beni più alti di quelli materiali».
Insomma «non ho fatto che esprimere la dottrina cattolica tradizionale, secondo il Magistero dei Padri, dei dottori della Chiesa, dei Pontefici. Il fatto è che, accanto ai teo-evoluzionisti esistono oggi i catto-ateisti, che sono quei cattolici che pur professando verbalmente di credere in Dio, di fatto vivono immersi nell’ateismo pratico. Essi spogliano Dio di tutti i suoi attributi, riducendolo a puro “essere”, cioè a nulla. Credono, e talvolta dicono apertamente, che Dio, dopo aver creato il mondo, lo abbandona a se stesso. Tutto ciò che accade è per essi frutto della natura, emancipata dal suo autore, e solo la scienza, non la Chiesa, è in grado di decifrarne le leggi.

Non si capisce, a questo punto, neppure l’utilità della preghiera. Chi prega, infatti, chiede a Dio di intervenire nella propria vita, e quindi nelle cose del mondo, per essere protetto dal male, e per ottenere beni spirituali e materiali.
Ma perché mai Dio dovrebbe ascoltare le nostre preghiere se si disinteressa dell’universo da Lui creato? Se, al contrario, Dio può, con i miracoli, cambiare le leggi della natura, evitando le sofferenze e la morte di un uomo, o l’ecatombe di una città, può anche decidere che sia meglio, che un uomo o una città perisca come insegnano, in innumerevoli passi, le Sacre Scritture.

E poi: se chi ricopre una carica pubblica, non può ricordare le verità perenni della fede cattolica, dovrebbero allora essere radiati dalle università e dalle scuole tutti i docenti che credono nei dogmi “anti-scientifici” dell’Immacolata Concezione o della transustanziazione, anche se ne parlano da privati cittadini, come io ho fatto ricordando, in una radio cattolica, l’esistenza della Divina Provvidenza. Il fatto è che il mondo cattolico ha perso il senso cristiano della storia e muore d’inedia spirituale e culturale mentre l’Islam e altre religioni avanzano alla conquista dell’Occidente. Chi crede ancora in Dio, chieda oggi con forza il suo aiuto!».

Un nuovo paganesimo è di fronte a noi, molto forte, molto feroce perché subdolo e millantatore, imbevuto di miele e moine, il quale con le armi del potere cerca di piegare o tacitare chi resta incollato alla Fede; ma sappiamo che Maria Santissima intercede presso Dio, non abbandonando i perseveranti e sappiamo anche che Golia venne vinto da Davide con una semplice fionda, perché Dio era con lui.

Cristina Siccardi



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)