SAVONAROLA E PRATO COME PROBLEMA DI STORIA DELLA CULTURA. 1. Il centro della problematica di Gerolamo Savonarola (1452-1498) è costituito dalla città Firenze, dal suo ruolo storico e dal suo possibile ruolo spirituale . Si è ricostruito e si potrà in futuro ricostruire la fisionomia di personaggi e di episodi che legano la sua figura alla storia di Prato , ma non si potrà alterare il dato essenziale che quella di Savonarola fu una teologia del luogo e che essa trovò in Firenze quel simbolo decisivo che sembrava poterla esprimere. Una ragione storica e dottrinale fonda questa condizione del pensiero di Savonarola. Egli ebbe una solida formazione tomista ed in Tommaso d’Aquino vide rappresentato il vero umanesimo di contro all’umanesimo platonizzante che si andava affermando proprio in Firenze. In questo senso egli intuì quello che Firenze sarebbe stata per la modernità e tentò di operare su questo simbolo. Non era del resto una visione pretestuosa, quella che riconosceva in Tommaso il padre dell’umanesimo: la sua antropologia dava in effetti alla persona una centralità argomentata in modo ben articolato e innovativo, a partire dall’idea dell’uomo come infinita finitudine; a partire dall’idea, cioè, del suo essere necessariamente posto nell’orizzonte dell’essere, tra tempo ed eterno, tra finito ed infinito. L’infinita finitudine dell’uomo (un ossimoro che esprimeva un certo tipo di mistica) diveniva lo spazio in cui l’esperienza spirituale della persona si configurava come altissima. L’idea di anima elaborata da Tommaso corrispondeva a queste intuizioni, che davano un volto divino all’uomo: l’anima era la forma nascosta del corpo (non sua prigioniera); invisibile nella sua realtà ma gloriosa nelle sue azioni e funzioni, per questo corporeità e storicità si vedevano a loro volta riconosciuta la realtà di essere lo spazio specifico della creature perfetta. Tutto ciò corrispose ad una parallela consapevolezza teologica secondo la quale l’esperienza di Cristo doveva ritenersi il culmine della conoscenza di Dio e non un momento passaggio verso un’ulteriore conoscenza, come molta della tradizione medievale voleva. L’antropologia di Tommaso si era potuta affermare dopo una lunga preparazione, anche erudita, compiuta nell’Ordine dei Predicatori: culturalmente essa riuniva la tradizione psicologica aristotelica con la tradizione teologica pseudodionigiana (le due grandi raccolte testuali di cui a cominciare da Alberto Magno si iniziò il commento integrale). Si trattava di un’idea, assai innovativa, ed ebbe bisogno di essere difesa dall’Ordine Domenicano fino al Concilio di Vienne, nel 1312, quando fu riconosciuta come unica ortodossa. Noi abbiamo sufficiente documentazione per dire che, durante il secolo XIV, essa divenne la base della formazione teologica e della pastorale . Non si può comprendere Savonarola senza aver presente questa sua fedeltà, tanto più che negli anni del Concilio ecumenico di Firenze e Ferrara (per l’appunto le città madri del Savonarola), tra 1439 e 1445, il ruolo di Tommaso nella costituzione della moderna episteme umanistica era stato messo in discussione, difeso ed attaccato, nel dibattito con i dotti teologi bizantini, nell’ambito della più ampia discussione sulla possibile concordia tra Platone ed Aristotele . Savonarola intuisce dunque che la vocazione di Firenze è l’umanesimo e qui deve porre il suo progetto di umanesimo cristiano. Egli muove il suo primo passo nella verifica storica di come il vero umanesimo non possa esprimersi in quel platonismo ficiniano, che solo gli appariva essere una teologia del tiranno, in concreto la teologia di Cosimo dei Medici.
2. Prato c’entra poco in questa storia. O meglio ci sarebbe entrata poco se Savonarola non fosse stato ucciso, il giorno 23 del maggio 1498. Il macabro rituale dell'impiccagione e del rogo di fra Gerolamo, di fra Domenico Buonvicini da Pescia e di fra Silvestro Maruffi, culminò nel gesto osceno dello spargimento delle ceneri dei tre giustiziati in Arno. Il fatto provocò grandissima impressione sulla folla e travolse gli amici del Savonarola. Nell'Officio liturgico che ben presto venne composto in memoria dei tre frati e clandestinamente recitato in San Marco a Firenze e in San Vincenzo a Prato, nella ricorrenza della morte, quello spargimente è ricordato due volte . Nella Lectio si dice appunto: "Igne denique corpora consumuntur, cineres in Arnum mittuntur". Si sa che i discepoli cercarono di sottrarre al fuoco e al fiume quello che potevano dei poveri resti del frate e li difesero nei decenni successivi. A loro volta, i Medici fecero di tutto per riappropriarsene e distruggerne il ricordo. La resistenza ebbe successo soprattutto perché le reliquie vennero portate ai margini del margine, cioè nel giovane convento femminile pratese di San Vincenzo, fondato nel 1504 . La vera storia del Savonarola a Prato è perciò la sua storia post mortem. E’ la storia delle reliquie conservate ed obliate nel convento di San Vincenzo. Tre fatti di questa storia sono di rilievo: il primo è che intorno alla difesa delle reliquie costruì la sua esperienza spirituale santa Caterina de’ Ricci (che prese l’abito religioso Domenicano nel 1535), e seppe difenderle meglio di quanto non abbiano saputo e potuto fare i piagnoni fiorentini (ed infatti le reliquie del Savonarola le si possono toccare anche oggi nel convento che a lei si intitola); il secondo è che nel corso di quella lotta, Caterina seppe ottenere per tutte le reliquie custodite nel suo convento (tra cui vi erano quelle savonaroliane), documenti ecclesiastici di protezione, il che può rappresentare una sorta profezia del riconoscimento canonico del culto di Gerolamo; in terzo luogo Caterina compì il gesto rituale di gettare alcune imprecisate reliquie nella fondamenta della nuova chiesa, l’attuale basilica che sarà a lei intitolata, e credo si debba porre l’ipotesi che questa chiesa sia stata fondata anche su reliquie di Savonarola. Ma quale significato storiografico ha parlare del corpo santo di Savonarola a Prato? Ovvero: che cosa mostrano di aver capito Caterina e le altre suore pratesi della profezia del Savonarola? Esse hanno creduto di difendere il vero umanesimo, fedeli all’insegnamento del loro maestro: ma allora quale rapporto c’è tra l’umanesimo e le reliquie? Si sa che il culto delle reliquie nella chiesa cristiana è molto più antico. Ma esso ha una sua storia, in cui aspetti diversi di volta in volta emergono. Il culto pratese delle reliquie di Savonarola si pone in una vicenda culturale e spirituale che va da Caterina da Siena e arriva fino a Filippo Neri. Un secolo prima di Savonarola, Caterina da Siena aveva centrato la sua azione politica e spirituale sull’intuizione dell’avvento di quello che ella chiamava "il tempo dei martiri novelli". Ella pretese allora che il papa tornasse a Roma (da Avignone) perché sentiva in maniera vivissima «l’odore del sangue» dei suoi martiri: per questo Roma è il centro del mondo e deve essere la sede della Chiesa, perché quella città era stata il luogo in cui si era compiuto il massimo scontro tra l’impero e i primi cristiani. Al capo opposto del percorso troviamo Filippo Neri. Lui pure era stato cacciato da Firenze con la sua famiglia, nel 1517, e aveva trovato a Roma il suo luogo. Qui egli riscopre le catacombe e ne fa esplodere un culto popolare che provoca nelle gerarchie anche un certo sospetto. Proprio lui - che aveva dichiarato di avere imparato tutto dai domenicani di San Marco - costringerà poi Cesare Baronio a scrivere gli Annales ecclesiastici che sono uno dei punti di partenza della storiografia erudita. In Filippo vi è ancora un nesso fortissimo tra il culto delle reliquie e il senso della storia: qui si trova per lui il punto di uscita dal fallimento subito da chi, per ragioni politiche e spirituali, si era trovato di nuovo in esilio. La memoria dei corpi santi è il culto santo di una gloria terrena: non è solo la rivincita dei vinti, esso svela il senso alla storia umana, da un lato nella sua incompiutezza, dall’altro nella sua direzione invincibile. La storia è una storia di interruzioni del senso: la modernità ha bisogno di sanare queste ferite e la gloria dei martiri sta lì per questo. L’umanesimo, la possibilità di cogliere un senso specifico della storia umana, aveva incontrato nel Savonarola un primo straordinario fallimento. Egli non era riuscito a far prevalere la centralità dell’uomo di fronte alla tirannia dei Medici, ed aveva giocato tutta la sua partita sulla politica, un punto in effetti difficile del sistema che da Tommaso aveva ereditato. Perciò l’ultimo Savonarola aveva cercato un’altra via per il riscatto dell’umanesimo impossibile. Anch’egli aveva cominciato a dire che "desiderava il cappello rosso", non quello dei cardinali, ma quello dei martiri. Questo linguaggio ha un senso mistico e si innesta in una certa cultura; ha una corrispondenza esatta nel desiderio della mistica domenicana che cominciava in Caterina da Siena, perché ella stessa invocava di "mille volte morire" per l’unità del mondo nel segno cristiano: e a sua volta lo desiderava per raggiungere la "vera gloria". A sua volta Savonarola desiderava una gloria storica, ma una vera gloria, quella necessaria al progresso della storia della chiesa sulla terra.
3. Il convento di Santa Caterina de’ Ricci sarà una grande fabbrica delle reliquie. Questo corrisponde ad un’esigenza di senso e quindi ad una nuova figura dell’uomo. Ma corrisponde anche ad una nuova figura divina. Il momento più alto della conoscenza di Dio è divenuto Cristo, ma qui tale cristocentrismo ottiene una qualificazione ulteriore. Le reliquie hanno un volto nella storia e uno nella metastoria: esse parlano il linguaggio del giudizio ultimo, uno dei temi essenziali della profezia savonaroliana, che certo comprende la storia con la ragione, ma anche la volge all’attesa del giudizio. Anche in questo Savonarola vive una grande esperienza personale, ma all’interno della teologia della gloria di tradizione domenicana. Questa teologia si era chiesta perché Dio, dopo il primo giudizio generale e definitivo sull’anima, ricorresse ad un secondo giudizio e da Tommaso d’Aquino in poi (e molte volte dai pulpiti dei Predicatori ciò viene ricordato) si dirà che Dio aspetta il compimento della storia umana per dare alla buona fama il tempo di operare altro bene a vantaggio dei giusti: le reliquie sono apparecchiate per produrre nella storia questo bene e per essere infine per Cristo giudice documento ulteriore. Il tema dell’affidamento a Cristo del giudizio finale fa parte della dottrina originaria della Chiesa, ma ora esso è affiancato ad una teologia dell’uomo e dell’uomo-Dio. Il Cristo sostenuto dal ricordo del dolore della propria sofferenza e da quello del dolore dei suoi martiri, giudicherà la storia. Nella predicazione del giudizio come la vediamo nel Trecento, il giudizio è divenuto un teatro mnemotecnico dove gli angeli porgono a Gesù gli attrezzi che sono intervenuti nella sua passione, a ricordo di un dolore che molto bene ha compiuto nella storia: con questo carico, il Cristo può giudicare il mondo una seconda volta. Le reliquie dei santi vengono conservate perché la loro fama operatrice di bene valga in un secondo e finale giudizio, dove un Dio molto umano ha lungamente atteso. Con questa figura divina l’articolazione dell’episteme moderna ha un secondo pilastro. Essa rivivrà molte volte, in formulazioni anche profane, il tema del martirio e della reliquia, per giustificare una razionalità che altrimenti non trovava verifica. Ancora una volta si deve notare che sebbene le reliquie raccolte in San Vincenzo siano spesso antiche, le poche legate al Savonarola, il santo contemporaneo, danno un senso compiuto, una personalità storica evidente a tutte le altre.
4. La crisi dell’umanesimo in Savonarola (forse la sua prima grande crisi) era legata al fatto che già di fronte a Cosimo, la ragione non riusciva a dominare gli avvenimenti, a dare un senso alla vita civile, che solo nella forza risolveva i suoi conflitti. Eppure Savonarola non riesce a rinunciare a questo senso storico, che la tradizione tomista aveva più che mai fondato. Cerca per questo una via alternativa: la giustizia può essere vinta sì, ma non avrà solo un riscatto in cielo, ne ha uno anche sulla terra, nella vera gloria, nella santa memoria, che la Chiesa deve coltivare. Questo primo punto recepiscono le suore di Caterina de’Ricci: apparentemente la vicenda del Savonarola non ha senso, egli è stato sconfitto, ma la storia ha invece senso nella memoria; egli nella memoria terrena è un vincitore. Se la ragione non controlla la politica (e i Medici vincono) la ragione controlla la memoria (e le suore di Prato vincono sui Medici, che avevano fatto di tutto, ma invano, per soffocare il culto del corpo santo del Savonarola). Senza una teologia moderna delle reliquie l’umanesimo non sarebbe stato pensabile. I conventi di San Vincenzo, in senso diverso di San Clemente e di San Niccolò a Prato possono vantare un interesse che supera quello della storia locale perché questa teologia ha in essi un luogo importante e precoce. Il nesso tra Savonarola e Prato può svelare molte cose della storia dell’umanesimo, che è tutt’uno con l’affermazione della mentalità storiografica dell’uomo occidentale.
Francesco Santi (Via L. Bartolini, 27 - 50047 Prato) (tel. 0574/605.888 frsanti@conmet.it)
NOTE
1 Su questo punto mi pare che vi sia un accordo tra gli studiosi, anche se poi diversi sono stati i pareri sui contenuti di questa città simbolo. Per uno status quaestionis si vedano ora gli Studi savonaroliani. Verso il V centenario. Atti del I seminario di studi. Firenze, 14-15 gennaio 1995, cur. G. Garfagnini, Firenze, 1996; Savonarola e la politica. Atti del II seminario. Firenze, 19-20 ottobre 1996, c. G. Garfagnini, Firenze, 1997 e l’introduzione di C. Leonardi, all’ed. critica del De veritate prophetica, di Gerolamo Savonarola, Firenze, 1997 (Per Verba. Testi mediolatini con traduzione). Per una panoramica sulla letteratura precedente cfr. M. Ferrara, Nuova bibliografia savonaroliana, Vaduz, 1981, con bibliografia commentata.
2. Per questa ricerca, si avrà ancora come punto di partenza la documentazione raccolta da C. Guasti, Savonarola e i Pratesi, in Scritti Storici, Opere di Cesare Guasti, Prato, 1894, pp. 142-82 (su C. Guasti studioso di Savonarola si veda ora anche F. De Feo, "Girolamo Savonarola nel pensiero del venerabile C. Guasti" in Savonarola. Quaderni del quinto centenario, I,1-2 (1997), pp. 95-150, 61-138) e da Alessandro Gherardi, Il Savonarola e i Pratesi in Nuovi documenti e studi intorno a Girolamo Savonarola, Firenze, 1887, pp. 69-108. Più di recente si vedano i volumi di S. Bardazzi e E. Castellani su San Vincenzo a Prato, Prato, 19** e su San Clemente, Prato, 19**. Per un tema specifico ricordo che mostra ancora un certo interesse il codice Roncioniano Q II 18 (107). Il mss. databile all’inizio del secolo XVI, tramanda due sermoni del Savonarola; già segnalato da P. O. Kristeller, Iter Italicum, London-Leiden, 1977, II, 80 è stato di recente descritto dalla dott. S. Bianchi, nell’ambito del censimento dei manoscritti della Biblioteca Roncioniana a cura della Regione Toscana (Progetto Codex).
3. P. O. Kristeller, Medieval Aspects of Renaissance Learning, New York, 1974, in part. pp. 29-94 e 165-178.
4. Su questo tema si attendono ora a cura di M. Cortesi, gli atti del convegno fiorentino, tenuto presso la Biblioteca Medicea Laurenziana, nel febbraio 1997 su I Padri nell’Umanesimo, Firenze, Edizioni del Galluzzo, in c.s.
5. Non abbiamo menzione degli Offici propri dedicati al Savonarola fino ad una lettera di Alessandro de' Medici del 26 agosto del 1583, ma siccome molto precocemente si iniziò a ricordare l'anniversario della morte nei conventi legati a San Marco, si è legittimamente presupposto che già nel 1499 secolo fosse stato composto un primo Officio. Sappiamo che tre ne furono composti tra 1597 e 1598 (uno fu dato alle stampe nel XVI secolo e poi da Cesare Guasti, nel 1863) un quarto fu pubblicato da A.Gherardi, Nuovi documenti, cit., pp. 358-64; forse ne è esistito un quinto.
6. D. Di Agresti, Sviluppi della Riforma monastica savonaroliana, Firenze, 1980, pp. 53-102