A chiedere con insistenza e con sofferenza che si trovino punti d'incontro sono soprattutto le coppie miste, che vivono sulla propria pelle queste lacerazioni e sono perciò una sfida permanente alle nostre divisioni. Nel recente accordo, ormai definitivo, tra cattolici e valdo-metodisti italiani, l'argomento è stato tenuto presente, ma si è potuto solo prendere atto dell'esistenza del problema senza risolverlo.<?XML:NAMESPACE PREFIX = O /><O:P></O:P> Diversa è la situazione tra cattolici e ortodossi, con i quali, a giudizio dei cattolici, non ci sono gravi difficoltà ecclesiologiche per la reciproca ospitalità eucaristica, trattandosi di “chiese sorelle” con identica visione sacramentale. I cattolici prevedono nella loro disciplina la possibilità di accogliere ai sacramenti dell'eucaristia, della penitenza e dell'unzione degli infermi i cristiani delle chiese orientali che, in caso di necessità, ne facessero richiesta liberamente e fossero preparati (cf. can. 844,3; Direttorio Ecumenico, 122); non altrettanto è previsto da parte ortodossa verso i cattolici: gli ortodossi non ammettono la reciprocità ed anzi criticano la scelta cattolica, mancando ancora, a loro giudizio, una identica visione di Chiesa. La questione è stata oggetto di un ampio e sofferto dibattito anche nell'incontro di Bari (1986-1987), che aveva come tema “Fede, sacramenti e unità della Chiesa”.<O:P></O:P>
Com'è noto, il rinnovamento della teologia sacramentale ed eucaristica, pienamente accolto dal Vaticano II, ha spiegato i sacramenti proprio a partire dall'identità e dall'agire ecclesiale; la celebrazione eucaristica è la principale manifestazione del mistero della Chiesa (SC 41). Anche il recupero, sul piano rituale, della doppia epiclesi, sul pane e il vino, perché siano segno del corpo sacramentale del Cristo, e sull'assemblea, perché sia segno dell'unico corpo ecclesiale del Cristo glorioso, ci documenta questo intreccio connaturale di valori e di significati.<O:P></O:P>
Si comprendono allora le parole di Paolo ai Corinzi, così drastiche verso i ricchi, i quali, mangiando per conto proprio e ignorando i poveri, davano scandalo e, celebrando poi l'eucaristia, finivano per mangiare e bere la propria condanna non discernendo più il corpo del Signore, sia quello sacramentale che quello ecclesiale. Per questo, Paolo non condannò soltanto gli abusi dell'agape, ma l'agape stessa, che si prestava a quegli abusi, dicendo: “Se qualcuno ha fame, mangi a casa...” (1Cor 11,35). Anzi sono proprio i peccati di divisione a renderci indegni di celebrare l'eucaristia, e per essi vale il monito di Gesù: “Va' prima a riconciliarti con tuo fratello, poi torna...” (Mt 5,23). L'eucaristia è un atto costituzionalmente ecclesiale in tutti i suoi aspetti; non esiste senza Chiesa e ha come finalità l'unità e l'edificazione della Chiesa.<O:P></O:P>
Come si vede, le ragioni che sconsigliano la communicatio in sacris sono molto serie, e non possono bastare argomenti emotivi a dirimerle: occorre affrontare seriamente il nodo dei nodi, l'ecclesiologia, e, nell'ecclesiologia, il sacramento e il ministero. Se “il sacramento è un'azione di Cristo e della Chiesa per mezzo dello Spirito, allora la sua celebrazione in una comunità concreta è il segno della realtà della sua unità nella fede, nel culto e nella vita comunitaria... Di conseguenza la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile”. Così dice il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo al n. 129, che, dopo aver ricordato l'ammissibilità ai sacramenti “esclusivamente di coloro che sono nella sua unità di fede, di culto e di vita ecclesiale” e a determinate condizioni, afferma che l'ammissione a questi sacramenti “può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre chiese e comunità ecclesiali”. Non c'è, quindi, un veto assoluto per l'ammissione dei non cattolici al sacramento, ma solo un veto con delle eccezioni. La valutazione delle diverse situazioni va ponderata caso per caso, d'accordo con il Vescovo, chiedendo a chi desidera il sacramento la fede nella Chiesa di Cristo ed evitando facilonerie o concessioni generalizzate.<O:P></O:P>
Non si dà, però, il caso inverso, e cioè d'un cattolico che chiede i sacramenti ad un ministro non validamente ordinato. Dice il Direttorio al n. 132: “Rifacendosi alla dottrina cattolica dei sacramenti e della loro validità, un cattolico non può chiedere i suddetti sacramenti che a un ministro di una Chiesa i cui sacramenti sono validi, oppure a un ministro che, secondo la dottrina cattolica dell'ordinazione, è riconosciuto come validamente ordinato”.<O:P></O:P>
Diverso è il caso del battesimo, che inserisce i battezzati nel corpo di Cristo che è la Chiesa, sia pure attraverso la mediazione d'una chiesa o comunità storica, cattolica, ortodossa o riformata che sia. Però neppure questo riconoscimento esplicito c'è ancora tra tutte le chiese e le comunità cristiane. I cattolici l'hanno proposto più volte e senza incertezza alcuna, a condizione che sia un battesimo fatto con intenzione di fare ciò che vuole Cristo e la sua Chiesa. La richiesta di questo riconoscimento fu fatta anche nell'assemblea ecumenica di Graz (1998), purtroppo però, taluni protestanti impediscono che questa opportunità diventi una realtà.<O:P></O:P>
Giovanni Paolo II non ha mancato di toccare la questione della mutua ospitalità eucaristica, a cominciare dall'enciclica Ut unum sint, dove al n. 45 dice: “A causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile celebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l'unica eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più con un cuore solo”. Anche durante la celebrazione conclusiva della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, tenutasi il 25 gennaio 2001 nella basilica di San Paolo a Roma insieme a 23 delegazioni ecumeniche di ortodossi, anglicani e riformati, ha detto il Papa con estrema chiarezza e lucidità: “Non si possono e non si debbono sminuire le differenze tuttora esistenti tra noi. Il vero impegno ecumenico non ricerca compromessi e non fa concessioni per quanto attiene la Verità... Le questioni ancora aperte non devono essere sentite come un ostacolo al dialogo, ma come un invito al confronto franco e caritatevole. Ritorna la domanda: Quanta est nobis via?. Non ci è dato saperlo, ma ci anima la speranza di essere guidati dalla presenza del Risorto, capace di sorprese sempre nuove. Dobbiamo vivere nel concreto la comunione che, quantunque non piena, già esiste tra noi... Il dialogo della carità, tuttavia, non sarebbe sincero senza il dialogo della verità. Il superamento delle nostre differenze comporta una seria ricerca teologica. Non possiamo scavalcare le differenze; non possiamo modificare il deposito della fede. Ma possiamo cercare di approfondire la dottrina della Chiesa alla luce della S. Scrittura e dei Padri, e spiegarla in modo che essa sia comprensibile oggi”.<O:P></O:P>
È apparso sull'Osservatore Romano (25/3/2001) un pronunciamento autorevole sull'argomento dal titolo: Riflessioni in merito alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione.
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