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La visione africana sulla Chiesa e sull’AIDS


Intervista al fondatore dell’AIDS Network a Nairobi


ROMA, lunedì, 13 dicembre 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa cattolica è la principale organizzazione in Africa nella cura dei malati di AIDS e degli uomini, donne e bambini africani che soffrono di questa malattia. La Chiesa non è vista tanto come un fornitore di servizi, ma come una Madre.

Questa è l’impressione che il gesuita, padre Michael Czerny, fondatore dell’African Jesuit AIDS Network ha voluto condividere.

Il sacerdote canadese ha costituito questo network nel 2002 come uno strumento per aiutare i gesuiti in Africa ad affrontare il problema dell’AIDS. Adesso padre Czerny è a Roma, nel ruolo di assistente di uno dei più eminenti africani in Vaticano: il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, padre Czerny racconta come la Chiesa si prende cura dei malati di AIDS e perché il suo lavoro è così poco riconosciuto.

Cosa l’ha portata inizialmente a lavorare al problema dell’AIDS?

Padre Czerny: Lavoravo come segretario per la giustizia sociale, presso il nostro quartier generale gesuita a Roma. Alcuni gesuiti in Africa avevano lanciato l’allarme sulla pandemia dell’AIDS all’inizio del nuovo millennio. Di conseguenza abbiamo lavorato qui a Roma, nell’arco di due anni, con i nostri colleghi in Africa, per elaborare una strategia. Questa strategia comprendeva una rete di sostegno e incoraggiamento e di comunicazione. È così che nella metà del 2002 è nato l’African Jesuit AIDS network e che io ho lasciato il lavoro a Roma per trasferirmi a Nairobi a dirigere il network.

Chi le viene in mente quando pensa all’AIDS?

Padre Czerny: Talvolta penso alle prime persone che vedevo in Canada soffrire così tanto, afflitte da grandi paure e confusioni, verso la fine degli anni Ottanta e primi Novanta. Ma ora penso alle diverse persone in Africa.

Citerei in particolare Rosanna, una giovane donna sieropositiva, che ha avuto un primo figlio sano e che poi ha dato alla luce una figlia sieropositiva che poi ha perso, che è stata abbandonata dal marito e estromessa dalla propria famiglia e che ora sta lottando per crescere il proprio figlio. Ce la sta mettendo tutta in modo positivo e con l’impegno di vivere quanto più tempo possibile per poter accompagnare suo figlio negli studi e vederlo avviato nella vita. La ammiro molto e penso che sia proprio il tipo di persona che vorremmo – in un certo senso – promuovere. Vorremmo che tutte le persone sieropositive potessero avere l’atteggiamento che Rosanna sta dimostrando.

La Chiesa cattolica è spesso ridicolizzata per la sua posizione sull’AIDS, eppure sono pochi quelli che vedono l’importanza del lavoro della Chiesa cattolica nel prendersi cura dei malati e sieropositivi. Ci può dire qualcosa di più in proposito?

Padre Czerny: Certamente. La Chiesa è, nel mondo, la principale organizzazione nella cura delle persone sieropositive e dei malati di AIDS, nonché delle persone coinvolte, tra cui vedove, orfani e altri che ne sostengono il peso. Il lavoro che la Chiesa svolge è molto ampio e vario.

Dal punto di vista medico, la Chiesa nel mondo offre il 25% dei servizi sull’AIDS. Io credo che, considerando solo l’Africa, il dato arrivi al 40% o anche al 50%. Più ci si allontana dalle grandi città, più il dato si avvicina al 100%. Spesso gli unici servizi sull’AIDS presenti nelle aree più periferiche sono le cliniche cattoliche.

Cosa si intende per assistenza in questo campo?

Padre Czerny: Poiché l’HIV e l’AIDS non è solo un’infezione o una malattia, ma è un enorme problema culturale, personale, familiare, sociale e spirituale, ciò che la Chiesa può fare e ciò di cui credo possiamo andare fieri come Chiesa, è che noi consideriamo la persona nel suo complesso e non solo il problema dell’infezione, non solo la parte medica. Quindi una persona sieropositiva può rivolgersi alla Chiesa per tutta una serie di cure e di sostegno che nell’insieme significano essere accettati come persona e incoraggiati a continuare a vivere il più pienamente possibile, il più a lungo possibile, e a non permettere all’AIDS di essere come una sentenza di morte.

Come vedono, gli africani, questo lavoro di assistenza della Chiesa?

Padre Czerny: Credo che molti africani direbbero: “La Chiesa è stata con noi prima dell’AIDS. La Chiesa sta ora generosamente con noi durante l’AIDS e la Chiesa starà con noi dopo l’AIDS”. In questo senso la Chiesa non è vista tanto come un fornitore progetti o di servizi, ma come quella realtà che chiamiamo “Madre”: la madre che era presente, che è presente e che ci sarà sempre finché ce ne sarà bisogno.

Come saprà, la Chiesa in Africa si definisce la famiglia di Dio in Africa. Questa è la definizione data dal primo Sinodo sull’Africa e quindi direi che la Chiesa affronta l’HIV e l’AIDS come in una famiglia. Cerchiamo di far sentire tutti come parte della famiglia, sia che abbiano bisogno di cure, sia che possano dare il loro apporto di assistenza.

Una volta lei ha ricordato il versetto di Matteo 8,3 – E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: "Lo voglio, sii sanato". E subito la sua lebbra scomparve – come esempio dell’approccio della Chiesa verso i sieropositivi. Ci può spiegare perché ha voluto richiamare questo brano?

Padre Czerny: Volentieri. Il racconto parla di questo lebbroso che anzitutto osò avvicinarsi a Gesù – cosa che era contraria alla legge – e che poi lo sfidò dicendogli “se vuoi, tu puoi sanarmi”. E Gesù fece due cose: gli disse “lo voglio” e poi stese la mano per toccarlo e guarirlo.

In questa scena molto breve abbiamo molte dimensioni dell’assistenza ai malati di AIDS, del vero ministero pastorale. La prima è questo “certo che lo voglio”, questa prontezza all’aiuto. Chi si trova in profonde difficoltà, chi è molto arrabbiato o magari crudelmente abbandonato da tutti coloro su cui faceva affidamento, può rivolgersi alla Chiesa sapendo che riceverà una risposta positiva, che nessuno lo giudicherà, che nessuno farà calcoli di sorta, e che la risposta sarà “certo che lo vogliamo”. In secondo luogo, cerchiamo di stendere la mano e di toccare. Credo che questo sia il gesto più essenziale nella risposta all’AIDS.

Quindi Cristo, attraverso la Chiesa, arriva a toccare le persone?

Padre Czerny: Uno che ha saputo, magari da poco, di essere sieropositivo si sente come morto, privato della sua umanità, e purtroppo la società, la cultura e talvolta persino la famiglia, trattano queste persone come se fossero già morte: “per noi non esisti più, sei morto, vai via, non farti più vedere”. Così la persona si sente morta e disumanizzata e nulla potrà convincerlo del contrario in quella situazione. Si pensi alla sofferenza di un bambino che si trova in difficoltà e all’effetto sulla sua umanità, sul suo apprezzamento e la sua dignità che deriva dall’essere toccato, dall’essere abbracciato. Inoltre, esisteva un forte tabù culturale e medico che riguardava il toccare i lebbrosi. Gesù rompe questo tabù, preoccupandosi meno del pericolo del contagio e più di raggiungere la persona e di toccarla, di guarirla.

Questo è ciò che le persone dicono: “quando ho scoperto di essere siero positivo ero morto, ma ora mi sento vivo”. E alcuni arrivano a dire: “prima di essere sieropositivo sprecavo la mia vita, gettavo via la mia vita comportandomi male. Ora, purtroppo sono sieropositivo, ma vivo davvero e sto dando la mia vita in modo responsabile per la mia famiglia e per gli altri”.

Papa Benedetto XVI ha innescato una polemica quando ha detto che il preservativo non rappresenta la soluzione del problema dell’AIDS in Africa. Perché tanta polemica? Cosa è successo?

Padre Czerny: Esiste effettivamente una “verità” a cui la gente si aggrappa: che se una coppia decide di usare il preservativo perché uno dei due è sieropositivo e se viene usato sempre e in modo corretto, ciò riduce il rischio di contagio. E questo è vero, nell’ambito di una coppia. Ma poi la gente pensa: “se il preservativo funziona per una coppia, allora la diffusione del preservativo potrà funzionare per la popolazione di un paese o di una città”, ma questo non è vero.

Le statistiche dimostrano che la grande distribuzione di preservativi, come strategia di prevenzione, non raggiunge il risultato, non riduce i tassi. E questo è ciò che ha detto il Santo Padre. Non ha negato che il preservativo possa essere utile in alcuni casi. Ciò che ha negato è che la promozione del preservativo come principale strategia preventiva non serve, non raggiunge il risultato, non fa diminuire i tassi medi di HIV nella popolazione.

La gente si è scaldata sulla questione, perché non ha ascoltato attentamente ciò che aveva detto, perché non aveva studiato e non si era informata bene, e perché esistono grandi pressioni ideologiche e emotive, e interessi che stanno dietro la questione. Per questo si è scatenata la polemica.

Il dr. Edward Green, direttore dell’AIDS Prevention Research Project presso il Harvard Center for Population and Development Studies, ha affermato che, come scienziato, è rimasto sorpreso per la somiglianza tra ciò che il Papa ha detto in Cameroon e i risultati delle più recenti scoperte scientifiche. Ha affermato che il preservativo non previene l’AIDS e che solo il comportamento sessuale responsabile è in grado di incidere sulla pandemia. Lei ha accennato alla questione dell’ideologia. Si tratta di una discrepanza di valori tra il nostro stile sessuale occidentale e la cultura di altri continenti come quello africano? É in atto lì un disallineamento culturale?

Padre Czerny: Sì, esiste un disallineamento rispetto a ciò che oggi la cultura globale considera normale o accettabile: la cultura dei media, della pubblicità, del marketing. Questi valori si pongono in forte tensione con i valori tradizionali cattolici e con i valori tradizionali africani.

Forse potremmo definire il valore della cultura globale sulla sessualità come quello dell’affidamento – e direi anche della promozione – dell’idea del reciproco consenso. In altre parole, la norma del comportamento sessuale è il consenso dei due soggetti e, se gli interessati sono maggiorenni e acconsentono liberamente, non esiste altra norma da applicare. Questa credo che sia la forza della cultura globale sulla sessualità. Quindi, finché l’uno e l’altra sono d’accordo va bene e nessuno può metterlo in dubbio.

L’idea che abbiamo nella Chiesa e l’idea che abbiamo in Africa è che esistono altre norme e che queste non dipendono solo da te e da me: dipendono dalla famiglia, dalla comunità, dalla parrocchia, da nazione o dalla tribù. Questa idea è contestata perché in Africa e nella tradizione morale cattolica, non è solo la decisione degli interessati che giustifica un certo comportamento, esistono altre norme e quelle norme sono intese ad orientare ciò che tu e io dovremmo fare o non fare in certi momenti della nostra vita. Quindi la differenza è molto netta.

Questo discorso non è emerso nella polemica, ma sono convinto sia questa la vera questione: che il Papa rappresenta una serie di norme sulla sessualità che non vogliamo accettare perché sono più impegnative. Ma sono anche più in grado di dare vita e felicità, anche se a prima vista sembrano essere più impegnative della semplice regola dell’accordo reciproco su ciò che si vuole fare.

Quindi, l’astinenza. La fedeltà. Sonno queste, infatti, le cose evocate dai vescovi africani. È questa la strada verso una maggiore felicità, verso un maggior bene?

Padre Czerny: È così. Noi diciamo questo non perché l’abbiamo scoperto ieri, ma perché deriva dalla nostra esperienza, un’esperienza che è propria di ogni cultura seria: che la sessualità è un grande dono, una cosa meravigliosa, che per essere apprezzata e usata bene richiede disciplina, richiede norme, richiede di riconoscere che non tutto è sempre possibile. È una considerazione di antica saggezza che va contro i principi del divertimento e del marketing. Per questo si crea il contrasto.

Si trova mai a provare rabbia o frustrazione per ciò che considera un approccio sbagliato? Sappiamo che l’approccio basato sul preservativo non è la soluzione, mentre tanti soldi, tanto tempo e tanto impegno sono spesi in una direzione che non è in grado di dare risposte al problema.

Padre Czerny: Questo è vero. Purtroppo è così, ma non è qualcosa su cui doversi veramente arrabbiare. Il fatto è che l’HIV è una sfida per tutti e in Africa tocca praticamente ogni comunità, e in certi casi ogni famiglia. Credo che ci vorrà del tempo perché se ne prenda atto. Certamente la promozione massiccia del preservativo è distruttiva. Non risolve il problema e non aiuta, ma purtroppo non è l’unico esempio di politiche sbagliate imposte all’Africa. L’Africa è sopravvissuta ad altre politiche sbagliate e sopravviverà anche a questa.

La mia speranza è che con il tipo di insegnamento che sta dando il Santo Padre, si possano compiere dei passi in avanti. Passi in avanti che consistono secondariamente nel miglioramento delle statistiche, mentre il vero successo è che i giovani imparino a vivere la loro sessualità in modo più responsabile. Quando si vedono coppie sposate che vivono la loro vita sessuale in modo più responsabile, e quando – come ho detto prima – la famiglia di Dio affronta l’AIDS come una famiglia, allora questo diventa, credo, il segno che Dio è al lavoro in Africa.


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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.


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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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