00 10/11/2009 14:28
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Consiglia  Messaggio 34 di 44 nella discussione 
Da: Soprannome MSNStefanoS79Inviato: 27/11/2002 16.40

LA VITA CONTINUA…


Quanti bei progetti per il futuro continuò ad architettare, nel segreto, la mia testa, durante i successivi due anni che seguirono l’episodio appena descritto!…

È normale, quando si è giovani, pensare al proprio futuro e mettersi d'impegno a costruirselo; ma forse io sognavo un po’ troppo; volevo fare tante di quelle cose!… Sembrava quasi che non volessi perdere l’unica opportunità di questa vita sfruttandola al massimo.

La mia più grande passione, in quel periodo, era uno sport chiamato "karaté"; identificato come un’"arte" di combattimento orientale.

Già da ragazzo coltivavo l’entusiastica idea di frequentare, un giorno, una palestra e diventare come Bruce Lee, il mio eroe preferito. L’occasione si era presentata ed io, naturalmente, non me la feci sfuggire. Incominciai subito a frequentare la palestra dedicandomi, è il caso di dirlo, "anima e corpo" a quest’attività agonistica. Difficilmente mi assentavo dalle lezioni, se non per cause indipendenti dalla mia volontà.

Qualcuno mi diceva continuamente che stavo esagerando. Sembrava, infatti, che stesse diventando l’unico scopo della mia vita. Tutto il resto, come il lavoro, la pittura (che ho sempre esercitato), la musica (con alcuni miei cugini ed amici avevamo formato un complesso) assumeva, sempre più, un’importanza marginale.

Effettivamente, aggiungere un’ora e mezza di palestra, dopo otto ore di lavoro in officina, per me era quasi un gioco. Dico questo, per darti un’idea di quanto la passione per il "karaté" mi fosse entrata nel sangue.


Proseguii in tale modo per quasi tre anni, facendo notevoli progressi. Il mio istruttore, perciò, si dimostrava molto soddisfatto di me; mentre io cominciavo a coltivare l'idea di aprire una palestra giù in Calabria. Non mi rendevo conto, però, che stavo diventando troppo pieno di me stesso. Le mie egocentriche ambizioni creavano una sorta di invisibile recinto attorno a me, chiudendomi notevolmente nei rapporti con gli altri. Questo elemento andava ad aggiungersi alla mia indole, già di per se stessa, piuttosto timida.

D’altro canto, sono stato sempre un tipo sensibile davanti ai colori di un bel tramonto che, talvolta, mi facevano pensare al Grande Artista che stava nascosto in un "imprecisato punto dell’universo".

Diverse volte mi sono soffermato a riflettere, seduto in macchina davanti all’ingresso di un cimitero, sul significato della morte. Mi chiedevo se quelli "là dentro" fossero ancora coscienti di ciò che accade in questo mondo. Se così fosse, immaginavo volessero dirci qualcosa sulla loro condizione e… sulla nostra.

Insomma, non ero affatto indifferente ai problemi di carattere esistenziale; certi interrogativi me li ponevo, eccome! Ma chi avrebbe potuto dare una risposta esauriente a questi ancestrali enigmi che hanno forse tormentato gli uomini di ogni tempo?

"Forse nessuno", pensavo, "…lasciamo che la vita faccia il suo corso; è il solo modo per sapere cosa ci ha riservato".

MIO FRATELLO…


Dopo circa un anno, da quando mi ero stabilito a Concesio, in periferia di Brescia, venne ad abitare con me mio fratello Damiano e, qualche mese dopo, anche mio fratello Rocco.

Damiano, in qualche modo, potevo ancora tenerlo sotto controllo, essendo appena quindicenne; ma Rocco!?… Come avrei fatto? Conoscevo il suo carattere e già prevedevo le delusioni e i dispiaceri a cui sarei andato incontro.

Ricordo, infatti, i primi mesi dal suo arrivo: sempre in giro, in lungo e in largo; non lo si vedeva mai in casa; rientrava quasi sempre a notte inoltrata, o nelle prime ore del mattino, ubriaco. Sentivo dire, infatti, che faceva a gara, con i suoi amici "di ronda", a chi riusciva a bere di più.

Tante volte si era sentito male (fumava tantissimo) vomitando tutto ciò che aveva trangugiato. Dicevo fra me: "Prima o poi temo che finirà per combinare qualche sciocchezza".

Non potevo dirgli niente perché mi trattava da antiquato; come uno, cioè, che su certe cose la pensa all’antica. Non avrei dovuto avere, secondo lui, tante inibizioni e approfittare un po’ di più dei "divertimenti" che la vita offre.

Temevo, fra l’altro, che se si fosse messo in testa di comprarsi la macchina, la frittata sarebbe stata fatta!…

Non ero per niente tranquillo!

UN IMPROVVISO CAMBIAMENTO

 

Dopo qualche mese notai che era successo qualcosa: mio fratello non era più lo stesso!

Infatti, non lo vedevo più fumare, né lo sentivo imprecare; anzi, per casa canticchiava delle strane canzoni nelle quali veniva spesso pronunciato il nome "Gesù"; eccone una, per esempio:

"Se sei stanco di cercare invano, se sei stanco di vagar così, smetti di sognare, esci dall’ombra, lascia tutto ai piedi di Gesù".

Era evidente: stava "lanciandomi" una sorta di messaggio…, messaggio che per me era ancora oscuro, misterioso…

Eppoi, non lo avevo mai visto leggere un libro. Ora, invece, con mia grande meraviglia, si era addirittura messo a leggere la Bibbia!… Proprio lui che, per quanto io possa ricordare, da molti anni ormai, di cose "religiose" non voleva più sentir parlare.

Una cosa, però, era evidente: mio fratello non era più lo stesso. Era successo qualcosa che lo aveva letteralmente trasformato; ma non riuscivo ancora a ben identificare la natura di questo radicale cambiamento e quale "forza" avesse potuto fare ciò (molti suoi vecchi amici, tutt'oggi ne parlano, e stanno ancora chiedendosi cosa gli sia successo).

Inizialmente ero tentato a pensare che fosse uscito "fuor di senno" o che qualcuno gli avesse fatto un "lavaggio del cervello". Non potevo, però, dire che la cosa avesse risvolti negativi per lui, anzi… tutt’altro! La vita, infatti, che conduceva prima, non era per niente invidiabile… "Magari", dicevo in me stesso, "sia qualcosa che duri".


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Consiglia  Messaggio 35 di 44 nella discussione 
Da: Soprannome MSNStefanoS79Inviato: 27/11/2002 16.40

PARLANDO…


Questi avvenimenti, a volte sembrava che mi scuotessero un po’ da una specie di sonnolenza, inducendomi a riflettere seriamente su alcune realtà per me ancora "lontane". A volte, invece, ero confuso, non sapevo nemmeno cosa pensare.

Tuttavia, la mia vita continuava a scorrere tortuosamente fra il "karaté", la pittura, la musica e il lavoro. Lavoro che, in quel momento, non era affatto gratificante (eseguivo, per corrispondenza, delle miniature su vetro).

Qualche volta mio fratello mi invitava, senza assumere (puntualizzo) un atteggiamento insistente, ad andare con lui agli incontri che si svolgevano nella chiesa evangelica che aveva iniziato a frequentare; ma io, con una scusa o con l’altra, non ci andavo mai, convinto che mi sarei annoiato. Non mi andava di sorbirmi delle prediche e perdere del tempo "prezioso" che, pensavo, avrei potuto spendere in maniera più utile.

In questo periodo ebbi modo di parlare, a più riprese, con qualcuno dei nuovi amici di mio fratello.

Nei loro discorsi v’era una tale convinzione intorno alla loro esperienza che io interpretavo come presunzione da parte loro. Essi affermavano, cioè, di essere certi di aver incontrato Gesù e di aver realizzato, perciò, la certezza della salvezza. Era evidente che le loro affermazioni non erano "costruite" o programmate. Intuivo la realtà di un'esperienza alla quale non avrei saputo dare una spiegazione "logica" (era nella mia indole cercar di razionalizzare sempre tutto). L'unica "scappatoia", forse, avrei potuto chiamarla "autosuggestione" (magari aggiungendoci anche la parola "collettiva" per rendere la cosa più dotta).


Fino a quel momento, in effetti, ero sempre stato convinto che nessuno può avere la certezza di essere salvato; che "solo Dio lo sa". Del resto, così mi era stato anche insegnato. Devo ammettere, però, che nei loro discorsi non udii mai frasi di questo genere: "La nostra religione è quella vera"; "Non c'è salvezza fuori della chiesa evangelica"; "Noi siamo perfetti"; "Vieni con noi e non sbaglierai"; eccetera, eccetera…

Le loro argomentazioni erano incentrate sempre e soltanto su Gesù Cristo e sulla sua meravigliosa opera di salvezza per l'umanità.

Perché non mettevano in risalto se stessi? Perché non parlavano delle loro rinunce, dei loro sacrifici, delle loro buone azioni, delle loro nuove regole, dei loro propositi per osservarle, e così via…? E poi, quella loro gioia, quella spontaneità nel trasmettere ciò che provavano, credo che avesse suscitato in me un certo "non so che" di invidia, perché io, al contrario, possedevo un carattere alquanto introverso.

Pochissime volte cedetti all'invito cordiale, sia di mio fratello che di altri evangelici, a partecipare ai loro culti e incontri che si tenevano in una piccola sala con una cinquantina di posti a sedere. Non sono mai stato un tipo molto socievole, io; comunque, la maggior parte di quella gente mi era simpatica. Si…, simpatizzavo per quella gente; ma io non ero come loro. Di conseguenza, al loro fianco, mi sentivo un po' "fuori posto".

UN RADUNO EVANGELICO

 

In quei giorni avevo trovato un altro lavoro in una cartiera proprio vicino alla nostra abitazione. Dovevo presentarmi sul posto una mattina che il ragioniere della ditta aveva fissato per farmi iniziare. Quando mi presentai nel suo ufficio, mi fu detto che avrei dovuto attendere ancora due o tre giorni, prima di poter incominciare a lavorare, a motivo di alcune pratiche che ancora non erano pronte.

Qualche giorno prima di questo fatto, mio fratello e un suo "fratello", mi avevano invitato ad andare con loro ad un raduno evangelico che si sarebbe tenuto nella città di Asti, ma avevo detto loro che non potevo andarci a causa del nuovo lavoro che dovevo iniziare.

"E se non lavorassi?", mi avevano chiesto.

"Certamente ci verrei", avevo risposto (forse distrattamente).

Dovetti mantenere la mia promessa e, non avendo iniziato il lavoro, come ho già detto, ero libero e ci andai.

Prima di partire seppi che avevano pregato affinché il Signore facesse in modo che io potessi andare con loro. E infatti…

Ci recammo ad Asti in autobus. Lungo il viaggio non si fece altro che cantare allegramente.

Insieme a noi raggiungevano quel luogo molti altri autobus pieni di gente. E pensare che mi avevano dato ad intendere, parlandone con tono sprezzante, che gli evangelici erano solo "quattro gatti"!…


La riunione si svolse in un grande locale, un cinema-teatro, affollatissimo.

Ricordo perfettamente il messaggio che un uomo di Dio, in quel giorno, predicò. Riassumo qui di seguito, per linee generali, l'essenza di quella predicazione che lasciò un segno indelebile in me:

"Durante i primi tre secoli che seguirono la venuta di Gesù Cristo, i cristiani erano veri cristiani. Cristo (da cui deriva la parola 'cristiani') era al centro della loro vita, sull'"Altare (metaforicamente parlando) della Chiesa". Ovunque ci si sedeva, Lo si poteva vedere benissimo. Ma avvenne che ben presto Lo spostarono facendolo sedere al primo banco. Purtroppo, con l'andare del tempo, Lo spostarono ancora, facendolo sedere al secondo banco. Non rimase nemmeno lì perché, dopo un po', Lo rimossero per metterLo al terzo banco. E così via… fino all'ultimo banco. Se fosse rimasto lì, qualcuno, almeno, avrebbe potuto vederLo. Ma adesso non è più nemmeno lì: è fuori della porta, sbarrata, di quella che comunemente si chiama "chiesa", e sta bussando fortemente affinché qualcuno Lo faccia entrare!".

Solo in seguito scoprii che nella Bibbia c'è un verso in cui Gesù dice: "Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me" (Apocalisse 3:20).

Stranamente, percepivo la verità e l'attualità di quel messaggio predicato con piena convinzione.

Quel giorno, però, il sermone non fu l'unica cosa che mi colpì; c'era dell'altro…

Accennavo, poc'anzi, al fatto che eravamo in tanti. Quel luogo era affollatissimo. C'erano credenti evangelici provenienti da tante e diverse comunità, ma tutti avevano qualcosa in comune fra loro che io non riuscivo a comprendere (e questo continuava a creare in me un certo senso di disagio, quando ero in mezzo a loro).

Forse la cosa che risaltava maggiormente era la loro, direi, semplicità. Lo si intravedeva dagli atteggiamenti che assumevano. Durante i momenti di preghiera, molti alzavano le mani al cielo esclamando: "Gloria a Dio!", "Alleleuia!", "Grazie, Signore!", e altre frasi di questo genere, in maniera, era evidente, molto spontanea e intensa.

Altri pronunciavano, a bassa voce, delle parole che non riuscivo a comprendere. Pensavo si trattasse dei vari dialetti delle zone di provenienza di quella gente.

Mi fu poi spiegato (avevo chiesto chiarimenti) che si trattava, invece, di una manifestazione dello Spirito Santo. Durante i culti degli evangelici di fede pentecostale, queste manifestazioni sono, infatti, frequenti.

Intorno a queste cose lessi, in seguito, nella Bibbia: " Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno lo capisce, ma in spirito dice cose misteriose" (1Corinzi 14:2).

Anche nel giorno della Pentecoste, com'è scritto negli Atti degli Apostoli al capitolo 2, si verificò un fenomeno di questo genere: "Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo. Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempí tutta la casa dov'essi erano seduti. Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi" (Atti 2:1-4).


Non ero ancora "convertito" (una parola, questa, che non avevo mai ben pesato), ma quel raduno, son certo, ebbe un'influenza notevole per quel che sarebbe successo nella mia vita di lì a qualche giorno.

UN INCONTRO GIOVANILE


Il sabato successivo accettai un altro invito. Questa volta si trattava di un semplice incontro giovanile nel locale di culto di Verona. Queste riunioni, mi si era detto, si svolgevano una volta al mese. I giovani della comunità evangelica di Verona e quelli di Brescia si incontravano per lodare Dio insieme. Durante questi incontri si cantavano bellissimi canti, accompagnati da una o più chitarre; si raccontavano le proprie esperienze con Gesù; si leggeva la Bibbia e la si meditava insieme e si pregava (con preghiere spontanee; non si recitava). Il tutto in una meravigliosa atmosfera piena di gioia, di pace e, soprattutto, di semplicità.

Percepivo l'ardente desiderio che quei giovani avevano di comunicare ad altri l'esperienza della propria conversione. Quasi tutti parlavano di un "incontro personale con Gesù". Un incontro che li aveva totalmente cambiati. Si parlava, addirittura, di una "Nuova Nascita".

In effetti, dovevo onestamente ammettere, per me mio fratello era come se fosse davvero nato di nuovo: non lo si riconosceva più.

"E se tutto quello che costoro dicono fosse vero?", "Se è veramente Gesù che li ha cambiati, o "salvati", come affermano con tanta sicurezza?", "Questo significherebbe che Gesù è una persona reale, viva, e non soltanto un personaggio del passato o una parola scritta su un libro di teologia".

Questi e altri pensieri mi passavano per la testa. Così, mentre tutti si inginocchiavano per trascorrere qualche momento in preghiera, anch'io mi inginocchiai.

Il mio gesto fu forse dettato da una questione di "estetica". Voglio dire che, essendo le sedie poste tutt'intorno, lungo la parete di quel locale, se io fossi rimasto seduto avrei "interrotto" quel cerchio.


Mentre ero in ginocchio, presi la decisione di credere! Proprio così!... Credere veramente, con tutto il cuore. Credere che Gesù era realmente morto sulla croce per salvare i peccatori, di cui io ne ero un "rappresentante".

"Signore, se tu davvero esisti…", (nel mio modo di credere c'era anche il dubbio sulla Sua esistenza), "…allora ti chiedo di entrare nella mia vita, voglio conoscerti anch'io. Se è vero che sei morto sulla croce per i peccatori, io sono uno di questi; anch'io voglio sentire la Tua presenza dentro di me!…".

Piangevo!… Volevo "sentire" Gesù entrare nel mio cuore. I minuti passavano, ma il sottoscritto non sentiva niente di tutto ciò che quei giovani manifestavano.

Cosa c'era che non "funzionava"? Dove stavo sbagliando?

Mentre gli altri si alzavano, io rimasi in ginocchio; continuavo a piangere e a chiedere a Gesù di entrare in me.

"Fratelli", sentii dire in quel momento, "inginocchiamoci nuovamente e preghiamo per il nostro amico Franco".


Udii più volte pronunciare il mio nome, durante quei momenti, nelle loro preghiere.

Ma chi ero io per loro perché pregassero con tanto ardore affinché il Signore mi "salvasse"? La maggior parte di quei giovani era la prima volta che li vedevo. Però, per me, era un po' come aver a che fare con degli "sconosciuti" che mi "conoscevano". Sembrava che sapessero meglio di me stesso qual era la mia realtà interiore, il mio vero bisogno.

A questo punto, che senso avrebbe avuto cercare di continuare a "nascondersi"? Perché in fondo di questo si trattava; avevo sempre nascosto, a me stesso e agli altri, per chissà quale ottusa ragione, il vero bisogno della mia anima: conoscere Dio. Ecco perché, in ultima analisi, non avevo una pace vera; perché quella, e l'avrei presto scoperto personalmente, solo Dio poteva darla; Gesù infatti dice:

"Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti" (Giov.14:27).

Quella sera non successe niente di eccezionale; perlomeno così mi era sembrato. Nessuna particolare emozione mi colse. A tal punto che mi rattristai, pensando che Dio non avesse ascoltato la mia preghiera.

Alla fine dell'incontro qualcuno di quei giovani mi porse una Bibbia, con tanto di dediche, rivolgendomi parole d'incoraggiamento e assicurandomi che Dio aveva udito la mia preghiera; dovevo semplicemente credere che Egli mi aveva risposto: l'avrei realizzato per esperienza personale; che Dio, cioè, è vivente e si stava interessando, per farmi del bene, di ogni particolare della mia vita.