L'esperienza monastica agostiniana a Sant'Amico, - racconta madre Gabriella - ha sfidato i secoli (1375-2009) e continua a vivere attraverso noi che seguiamo le orme di sant'Agostino osservando la regola da lui tracciata: vita comune, rapporti d'amicizia sincera, condivisione dei beni, lavoro, il tutto racchiuso nell'unità di mente e di cuore in un impegno di vita protesa verso Dio.
Con questa tensione spirituale ci stavamo preparando a vivere la settimana santa anche con un ritiro spirituale che ci avrebbe meglio introdotto a riflettere sulla passione del Signore Gesù. La domenica delle Palme era stata celebrata insieme al popolo. Ma la notte tra domenica e lunedì un violento terremoto ha scosso L'Aquila e dintorni causando distruzione e morte.
Il nostro monastero è stato gravemente danneggiato, sono crollati tanti tramezzi, alcune colonne portanti si sono incrinate, la chiesa ha subito danni, ma la comunità insieme al padre venuto per il ritiro spirituale si è salvata.
Lo smarrimento durante la notte del sisma ci ha colte in modo diverso e le continue scosse ci hanno tenute sveglie, perché alcune sorelle non erano in grado di muoversi e, dato che era buio e freddo, abbiamo atteso l'alba recitando il rosario prima di prendere decisioni.
Nel frattempo la madre preside ha contattato per noi la Protezione civile che ci ha consigliato di trasferire almeno le monache malate e anziane, così verso la sera di quel giorno, otto sorelle, con l'aiuto dei mezzi della Misericordia di Firenze, sono partite per il monastero agostiniano di Cascia.
La terra continuava a tremare e noi ci siamo chieste se fosse prudente restare.
E così altre quattro sorelle vennero ospitate dal monastero dei Santi Quattro Coronati a Roma, mentre la madre e una sorella sono rimaste all'Aquila, ospiti della tendopoli di Piazza D'Armi, vegliando come hanno potuto sul monastero, situato nella zona rossa della città. Ogni tanto, accompagnate dai vigili, rientravano nel monastero per recuperare indumenti per le sorelle. Abbiamo cercato di proseguire la vita di preghiera in modo normale. Per questo si è provveduto a sistemare un piccolo locale presso il monastero come cappella dove si svolgono gli atti comuni, la preghiera e si celebra la santa messa. Questa situazione è andata avanti per quasi due mesi, poi, grazie all'interessamento di un nostro padre agostiniano e dell'associazione Amici di Sant'Agostino, è stata costruita una casa di legno nel giardino e così, prima in tre, poi in cinque, ci siamo sistemate dentro le mura del monastero provvisorio.
È da sottolineare l'atmosfera che regnava nella casa specialmente alla sera: per il fatto che eravamo le uniche che dormivano nella zona rossa, ci circondava un silenzio completo. Noi tre ci sentivamo un po' timorose, ma siamo rimaste contente di questa nuova esperienza: potevamo di nuovo chiudere una porta e avere dei servizi. Le altre sorelle sono ancora ospiti dei monasteri che le hanno accolte e vi resteranno finché non verranno fatti i lavori che ci permetteranno di ricomporre la comunità in Sant'Amico.
Per noi, accampate nella casa di legno, sono cominciate giornate pesanti, per sgombrare i luoghi disastrati. In questo lavoro, iniziato da sole, ci sono stati di valido aiuto gli scout, venuti da varie parti d'Italia, e un gruppo di seminaristi guidati dal loro sacerdote. Con tutti gli operai in casa, è certamente difficile conservare il raccoglimento della clausura. Anche se noi cerchiamo di farlo nel miglior modo possibile, dobbiamo lasciare spesso aperte le porte ai lavoratori e accettare la presenza dei giovani, che ci aiutano a portare e spostare dei pesi. Anche i giorni di ritiro non si potranno fare in modo pienamente soddisfacente.
Da tutte queste difficoltà abbiamo tirato fuori un insegnamento spirituale: in quella notte in cui è successo il terremoto, si è spezzata una colonna in tre pezzi, il tabernacolo è andato a sbattere contro la porta d'ingresso della cappellina e la statua della Madonna di Fátima, pervenuta proprio da Fátima, è andata in frantumi e la madre stessa si è salvata a stento. Però in quel momento in cui è successo di tutto, il nostro sentimento è stato di abbandono al Signore e ora siamo grate che, nonostante la distruzione, siamo salve tutte quante. E poi abbiamo pensato "abbiamo perduto tutto, ma il Signore ci ha dato tutto, persino ci ha salvato la vita".
Abbiamo capito che la sicurezza della vita non è per le cose che si possiedono, ma la sicurezza è Dio. Quindi il primo valore è Dio. Può darsi che noi, durante la nostra vita, non abbiamo messo Dio sempre al primo posto. Il Signore adesso ci ha fatto capire, che Lui deve stare al primo posto e tutte le cose sono relative.
Le monache benedettine di Rosano
Un modo particolare di essere Chiesa
Siamo grate a Benedetto XVI per aver indetto l'Anno sacerdotale, in occasione del centenario della morte del santo curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, proclamato speciale patrono, non solo dei parroci, ma di tutti i sacerdoti della Chiesa, quale modello e sostegno del rinnovamento e della santificazione della vita ecclesiale in genere e, in particolare, di quella presbiterale.
Sempre, fin da cardinale, il nostro Papa Benedetto XVI ha additato i santi come modello e specchio luminoso di autentica vita cristiana.
L'invito rivolto a tutti i cristiani a vivere questo anno con particolari preghiere e sacrifici, lo sentiamo rivolto anche a tutte noi che abbiamo ricevuto il dono inestimabile della vocazione contemplativa e claustrale, poiché siamo anche noi nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa, impegnate a promuovere, secondo la nostra specifica vocazione e le sue particolari esigenze, il rinnovamento di una gioiosa vita di fede in Cristo Gesù Divin Salvatore.
Ma come potremo esercitare in concreto il nostro "sacerdozio battesimale" rafforzato dalla grazia della professione monastica, a fraterno sostegno del "sacerdozio ministeriale" dei presbiteri tutti?
Siamo umilmente ma fermamente convinte che la nostra vera maternità spirituale si attuerà soprattutto nel dono totale di noi stesse a Dio, fatto per amore e con amore, nel diventare un sacrificio vivente di lode a Lui, di impetrazione e di offerta della nostra vita per il bene della Chiesa universale, per la salvezza di tutti i fratelli e le sorelle che nel mondo soffrono non solo per mancanza di cibo, di vestiti, di casa, ma specialmente di pace, di unità, di amore, di Dio soprattutto, poiché questa è la più grave povertà.
Il nostro impegno, umile ma generoso, consisterà dunque, non solo nel pregare più insistentemente per la Chiesa, il Papa e i sacerdoti, ma anche e in special modo nel rinnovare e santificare la nostra vita consacrata pro mundi vita. Offriremo il nostro contributo, insieme e accanto agli altri membri della Chiesa, vivendo con verità, generosità e gioia i perenni e ancor oggi validi valori interiori del silenzio, dell'ascolto, della solitudine claustrale, del distacco dal mondo e soprattutto da noi stesse, dell'umiltà, dell'obbedienza libera e filiale, della fraternità semplice e sincera, della preghiera liturgica e personale, del lavoro.
Siamo anche tutte noi chiamate a riamare l'Amore, il Signore nostro Dio che per primo ci ha amate. I nostri monasteri sono, e devono diventarlo sempre di più, una risposta concreta al primo e più grande comandamento dell'amore di Dio, una testimonianza viva del primato di Dio-Amore, dell'essere sul fare, sull'efficienza pragmatica oggi imperante. Dio sopra tutte le creature, e tutte le creature in e per Dio: questo ci sembra il programma di ogni monaca di clausura che, animata dallo Spirito Santo, dilata il suo cuore nella carità di Cristo, e con l'ascesi monastica e la preghiera ininterrotta si sforza di rendere il suo piccolo cuore conforme a quello di Gesù, il suo Tutto, abbracciando tutti i fratelli per i quali è disposta a rivivere con Lui la sua passione, morte e risurrezione redentrice.
Perciò la vita contemplativa lietamente e generosamente vissuta da noi claustrali è il primo e fondamentale apostolato, perché è il nostro tipico e caratteristico modo, secondo uno speciale disegno e dono di Dio, di essere Chiesa.