00 21/12/2009 23:24
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 Vorrei leggerle una frase di Paolo VI. Era il 1968. Anche nella Chiesa c’era aria di bufera. Papa Montini va in visita al Seminario lombardo, e dice: «Tanti si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a qualunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta». Non si tratta, aggiunge più avanti, «di un’attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione, che Gesù stesso ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza».

      DANNEELS: Potrei averla scritta io stesso. È vero che il Papa con cui ho sentito personalmente più affinità è Paolo VI. Lui mi ha nominato vescovo. Con Paolo VI mi sento a casa.

      L’ha citata anche Benedetto XVI, nella sua visita a Brescia.
 
      DANNEELS: Anche Benedetto XVI ha la stessa attitudine a non gridare, a dire le cose proponendole con un po’ di fiducia. Non è il modello atletico di Giovanni Paolo II, che è stato un altro tipo di Papa. Importante, anche lui. Ma diverso da Paolo VI.
      Benedetto XVI negli ultimi tempi sembra insistere su questo punto. Aprendo il Sinodo africano, citando gli apostoli, ha ricordato che anche loro hanno aspettato l’azione dello Spirito Santo, perché sapevano che «la Chiesa non si può fare, non è il prodotto della nostra organizzazione». La Chiesa, adesso, ha bisogno di essere richiamata a questa realtà?

      DANNEELS: La Chiesa ha bisogno di sant’Agostino. Che dice che la grazia fa tutto. Anche noi dobbiamo collaborare. Ma è Dio che opera, e noi cooperiamo. Invece ci siamo votati troppo a un certo pelagianesimo, pensiamo che le cose in fondo dipendono da noi, e che ci basta solo un piccolo aiuto da parte di Dio. E così neghiamo l’onnipotenza della grazia. Proprio come succedeva ai tempi di Agostino.

      Questa tentazione dove l’ha vista affiorare, nella Chiesa?
 
      DANNEELS: Negli anni Sessanta e Settanta, questa tendenza ha assunto un colore più politico. Molti avevano in mente di realizzare il Regno di Dio inteso come rivoluzione sociale. Adesso, alcuni della Teologia della liberazione sono passati a fare l’ecologia. Sono gli stessi combattenti, hanno solo cambiato armamentario… Poi, negli anni Ottanta e Novanta, è prevalso un certo modo di interpretare l’evangelizzazione come impresa della Chiesa, come frutto del suo protagonismo nella società. Oggi la stessa tendenza un po’ pelagiana ha assunto forme più restauratrici. Ci sono quelli che dicono: dopo il Concilio c’è stato un certo smarrimento, si sono dissipate tante cose buone, ma adesso ci pensiamo noi a rimettere a posto le cose, a raddrizzare il cammino. Chiamano sempre in causa cose essenziali: la liturgia, la dottrina, l’adorazione eucaristica… Ma a volte, nei loro discorsi, queste cose sembrano solo parole d’ordine di un nuovo corso, usate come bandiere. Cambiano gli slogan, ma la linea di fondo rimane sempre la stessa.

      Quale?

      DANNEELS: Siamo sempre tentati di fare da noi stessi. Prima nell’Azione cattolica, e dopo nei movimenti. Prima nel rinnovamento conciliare, e adesso nella restaurazione. Gli attori siamo sempre noi. Rimandiamo sempre a noi stessi: guardate me, come faccio bene le cose. Invece non serve a niente essere un grande predicatore, se l’attenzione del mondo si ferma sul predicatore. Vedere l’uomo di Chiesa non conta nulla, anzi, quell’uomo di Chiesa fa da schermo se dietro di lui non s’intravvede Gesù. San Paolo dice: potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri. Ecco, questo è un tempo in cui ci sono tanti pedagoghi che parlano a nome di Cristo, danno lezioni a tutti nel nome di Cristo, ma non danno la loro vita. Non sono padri in Cristo, perché non sono figli.
 
      Vorrei farle qualche domanda su questioni specifiche. Come ha vissuto dal Belgio la liberalizzazione dell’uso del Messale di san Pio V?

      DANNEELS: Tutti i riti sono buoni quando sono riti cattolici. Ho sempre pensato che attraverso le disposizioni di tolleranza liturgica contenute nel motu proprio Summorum pontificum, il Papa abbia voluto mostrare la sua disponibilità affinché tutti i tradizionalisti rientrino nel seno della Chiesa cattolica. Non sono sicuro che sia sufficiente a risolvere la questione, perché il problema coi lefebvriani non è il rito, il problema è il Concilio Vaticano II. La questione della liturgia è come la locomotiva. Bisogna vedere cosa c’è dentro i vagoni che essa trasporta.

 
      Proprio qui a Malines, negli anni Venti, erano iniziati i primi contatti ecumenici tra cattolici e anglicani, favoriti dal cardinale Joseph Mercier, suo predecessore. Come giudica la recente istituzione di ordinariati per accogliere comunità anglicane che vogliono stabilire la piena comunione col vescovo di Roma?

      DANNEELS: Anche questo è stato un segno di disponibilità del Papa, per ricevere quelli che vogliono venire nella Chiesa cattolica. E anche su questo, bisognerà aspettare qualche anno per vedere se quella presa sarà stata la soluzione migliore. Vedremo dai risultati. In generale, mi sembra che nelle relazioni tra cattolicesimo e anglicani si registri una certa sfiducia. La visita di Rowan Williams al Papa è stata importante, ma ho letto il discorso di Rowan alla Gregoriana, e ci ho trovato una certa nota di disillusione. Non era certamente entusiasta.

      Lo scorso 15 novembre, al Te Deum per la festa del re, lei ha rinnovato l’invito a pregare per i governanti. Una cosa insolita, in tempi in cui tanti vescovi si applicano a tenere lontani i politici dall’eucaristia.

      DANNEELS: Ho ricordato che di tempo in tempo è cosa buona ringraziare quelli che si prendono la responsabilità della politica, perché stiamo sempre a criticare, ma ci sono anche dei politici che si sono dedicati al proprio lavoro con grande senso di gratuità. San Paolo dice: anche se i nostri governanti sono contro di noi, bisogna pregare per loro. A quel tempo i governi non garantivano certo privilegi per i cristiani, anzi avveniva piuttosto il contrario. Ma san Paolo dice lo stesso: pregate e rendete grazie per i magistrati e per tutti quelli che stanno al potere, affinché possiamo vivere una vita calma e tranquilla. Perché il potere dipende da Dio e sorpassa l’individualità di colui che ne porta la responsabilità. La responsabilità è molto più grande dell’uomo che la porta.

      A proposito, lei conosce bene Herman Van Rompuy, e si è congratulato pubblicamente per la sua nomina a presidente del Consiglio europeo…

      DANNEELS: È un uomo molto capace. Uno che non ha mai fatto manovre per arrivare fin dove è arrivato. E questa è una posizione di forza. Alcune settimane fa ha parlato a Liegi sull’enciclica sociale Caritas in veritate, e ha detto esplicitamente che quella è la dottrina cui si ispira nella sua attività politica. È un onore per lui e per noi che sia stato chiamato alla carica di presidente del Consiglio europeo. Ma per il Belgio è anche un problema. Lui, come primo ministro, aveva dato prova di saper condurre i rapporti tra nord e sud del Paese con competenza e conoscenza storica. Adesso si deve ricominciare tutto con qualcun altro.

      Nelle ultime settimane lei si è molto coinvolto nelle celebrazioni per la canonizzazione di padre Damien de Veuster. È volato perfino nell’isola di Molokai, nelle Hawaii, dove padre Damien visse e morì curando i lebbrosi. Cosa ha riportato con sé da quel posto così lontano?

      DANNEELS: Damien è un santo della mia diocesi. Il primo dopo quattro secoli, dopo il gesuita san Giovanni Berchmans, vissuto all’inizio del XVII secolo. La cosa che mi ha più impressionato a Molokai era la natura così rigogliosa, coi fiori, gli alberi, il sole, l’oceano, tutto quell’azzurro, tutto così bello, e proprio quello era lo scenario dove vivevano i lebbrosi, gli uomini più sfigurati. Un contrasto paradossale tra la bellezza e la miseria umana. In quell’isola tra le più belle del mondo c’erano gli uomini più ributtanti. Si passeggia nell’isola, e ci sono tombe dappertutto, più di ottomila. In un luogo dove la vita appare così esuberante, regna la morte. E proprio in quel posto faceva impressione immaginarsi padre Damien, e la fede immensa che ha avuto, vivendo e testimoniando la speranza in quella situazione.

      Eppure lei ha detto che non bisogna guardarlo come un eroe.
 
      DANNEELS: È un eroe, tanto che gli hanno anche dedicato una statua al Campidoglio di Washington. Ma è anche molto di più. È un santo. E questo l’avevamo quasi scordato. Tanti mi chiedono perché mai Damien ha aspettato un secolo per fare il primo miracolo. La mia risposta è sempre la stessa: è colpa nostra, perché noi non abbiamo domandato la sua intercessione. L’abbiamo ammirato, ma non ci siamo rivolti a lui nella preghiera. Lui, da noi, non ha avuto lavoro, non ha avuto niente da fare. Avrà pensato: se voi non chiedete niente, io non faccio niente.
 
      Riguardo ai processi di beatificazione, cosa pensa della velocità con cui va avanti la causa di Giovanni Paolo II?

      DANNEELS: Io penso che si doveva rispettare la procedura normale. Se il processo di per sé avanza velocemente, va bene. Ma la santità non ha bisogno di passare per corsie preferenziali. Il processo si deve prendere tutto il tempo che serve, senza fare eccezioni. Il Papa è un battezzato come tutti gli altri. Dunque la procedura di beatificazione dovrebbe essere la stessa prevista per tutti i battezzati. Certamente non mi è piaciuto il grido «santo subito!» che si è sentito ai funerali, in piazza San Pietro. Non si fa così. Qualche tempo fa hanno anche detto che si trattava di una iniziativa organizzata, e questo è inaccettabile. Creare una beatificazione per acclamazione, ma non spontanea, è una cosa inaccettabile.

      Ha qualche preoccupazione riguardo alla sua successione alla guida della diocesi? Teme che possano fare una scelta sbagliata?
 
      DANNEELS: Penso che chiunque verrà nominato, quello sarà il pastore della diocesi. E basta. Non penso mai a chi sarà. Sarà quello che sarà. Probabilmente, e fortunatamente, sarà diverso da me. Non c’è bisogno di fare il clone del proprio predecessore. Non lo sono stato nemmeno io. Se dovessi dare un consiglio, gli direi: rimani quello che sei. Non si può fare un buon lavoro quando si ha il problema di paragonarsi e di assomigliare a qualcun altro. Bisogna essere quello che siamo, e lavorare coi carismi che abbiamo, che non sono quelli che hanno gli altri, perché ognuno ha i propri». E poi è una cosa buona che di tempo in tempo si cambi il temperamento di colui che ha la responsabilità della diocesi. Se rimanesse in vigore sempre lo stesso stile, la cosa diventerebbe anche noiosa.
 
      Cosa farà, dopo?

      DANNEELS: Spero di riuscire a fare quello che non ho avuto il tempo di fare negli ultimi anni di episcopato. Per esempio, la preghiera, ché quando sei vescovo è davvero un combattimento quotidiano riuscire a trovare il tempo per pregare. Poi vorrei riprendere a studiare un po’ la Bibbia. Con un’esegesi non troppo scientifica, ma piuttosto spirituale. Alla Gregoriana ricordo che abbiamo avuto un buon corso di Esegesi del Nuovo Testamento… E poi, anche riposarmi un poco. Avere il tempo di guardare gli alberi, i fiori, la natura. E di ascoltare un po’ di musica. Mi piace tutto quello che comincia con la b: Bach, Beethoven, e i Beatles.

      Venendo qui, ho visto che stanno ristrutturando la Cattedrale. Vuole lasciare le cose a posto.

      DANNEELS: Ma no, la Cattedrale è sotto la sovrintendenza dello Stato. E la Cattedrale è sempre in costruzione, da secoli... Ci saranno sempre lavori da fare, magari ancora per trent’anni. Probabilmente, nemmeno il mio successore ne vedrà la fine.


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Biografia breve:

Riceve l' ordine sacro il 17 agosto 1957, successivamente insegna e diviene poi professore di Teologia e Direttore spirituale del Seminario.

Il 4 novembre 1977 venne nominato da papa Paolo VI vescovo di Antwerpen, Anversa e viene consacrato il 18 dicembre 1977.

Creato cardinale da papa Giovanni Paolo II nel concistoro del 2 febbraio 1983, è arcivescovo di Malines-Bruxelles, Primate e ordinario militare per il Belgio. Dal 1980 è anche Presidente della Conferenza Episcopale Belga. È inoltre membro del Consiglio della II Sezione della Segreteria di Stato, della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, della Congregazione per l' Evangelizzazione dei Popoli, della Congregazione per l' Educazione Cattolica e della Congregazione per le Chiese Orientali.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)