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Émilie-Marie Tamisier e i congressi eucaristici

L’intuizione di una donna

Lucetta Scaraffia

Il primo congresso eucaristico si tenne nel 1881 a Lille, con un titolo emblematico: L’Eucaristia salva il mondo. Si dava così inizio alla copiosa serie di congressi eucaristici — nazionali, diocesani, internazionali — che ha costellato il cattolicesimo contemporaneo, fino all’ultimo, ad Ancona. Non molti sanno che l’idea di questi incontri venne a una donna, la francese Émilie-Marie Tamisier, una delle tante laiche che hanno dedicato la loro vita alla difesa della Chiesa in anni in cui le polemiche anticattoliche erano particolarmente aspre. Tamisier, fin da bambina particolarmente devota all’Eucaristia, ebbe l’intuizione di organizzare attività per il risveglio religioso, in un contesto che si stava velocemente secolarizzando, centrandole intorno al culto eucaristico.

Il progetto le venne mentre era alla messa di consacrazione della Francia al Sacro Cuore nella cappella della Visitazione di Paray-le-Monial, lo stesso luogo dove Margherita Maria Alacoque aveva avuto le visioni da cui prese inizio il culto moderno del Sacro Cuore. Il nesso fra queste due devozioni è evidente: sono entrambe legate al Corpo di Cristo, quindi all’Incarnazione, e di conseguenza anche al realizzarsi storico della Chiesa. Ed entrambe propongono un centro sacro verso il quale dirigere la propria fede, in un mondo che si sta sempre più disperdendo fra mille stimoli, proposte, ideologie che tendono a offuscare la ricerca della verità: un simbolo chiaro e comprensibile a tutti, come il Sacro Cuore, al tempo stesso carico di significato teologico e valore spirituale.

Il primo congresso, per desiderio di Tamisier, avrebbe dovuto tenersi a Liegi, patria di Giuliana di Mont-Cornillon, promotrice della festa del Corpus Domini, ma poi per motivi politici si decise per la Francia. Probabilmente, se pure in modo implicito, Tamisier voleva sottolineare come la proposta di nuove devozioni, nuove feste e nuove modalità di incontro con Gesù fosse venuta, per tre volte, da una donna, capace di immaginare quale potesse essere il modello di religiosità atto a riaccendere la fede in momenti di crisi.
L’idea dei congressi è tipicamente ottocentesca, come aveva lucidamente intuito l’arcivescovo di Torino Davide Riccardi che, nel 1894, così la spiegava: «L’età nostra ha le sue speciali costumanze, e private e pubbliche, tra le quali stanno pure i Congressi. In niun altro tempo se ne convocarono tanti di forme e scopi diversissimi. Congressi scientifici, congressi letterari, congressi economici, congressi politici, congressi sociali, congressi di ogni genere»; e così proseguiva: «Fra queste varie forme di adunanze e assemblee figurano pure da qualche tempo quei Congressi che noi non esitiamo a riguardare per i più nobili ed i più importanti di tutti, voglio dire i Congressi a scopi religiosi».
Del resto, ricorda Umberto Dell’Orto nella sua Guida storica ai congressi eucaristici nazionali. Napoli 1891 - Ancona 2011 (Milano, Ancora, 2011), le associazioni cattoliche che in Italia si occupavano di problemi sociali si erano proprio in quegli anni riunite nell’Opera dei Congressi.

I congressi eucaristici sembrano quindi a Tamisier un modo moderno per coinvolgere tante persone, per riportare l’attenzione di un vasto pubblico sulla cultura religiosa e sulle sue proposte di soluzione dei problemi del tempo. Con un aspetto inedito rispetto alle altre assemblee: quello di concentrare l’attenzione dei partecipanti non solo sui discorsi e le relazioni, ma soprattutto intorno al culto eucaristico, celebrato con particolare solennità e intensità.
Ma prima di vedere realizzato questo progetto, Tamisier dovette impegnarsi a lungo, e in una prima fase, durata circa un decennio, si limitò a organizzare in Francia pellegrinaggi a santuari che conservavano tracce di miracoli eucaristici.

Questi prodigi, verificatisi in seguito a profanazione dell’ostia da parte di nemici della religione, ricoprivano un significato speciale in anni in cui la memoria delle violenze profanatrici della Rivoluzione era ancora vicina, e in cui l’anticlericalismo francese assumeva spesso forme molto aggressive.
Solo in una seconda fase, appoggiata e consigliata da alcuni ecclesiastici, Tamisier riuscì a coinvolgere Papa Leone XIII nel suo progetto congressuale: per realizzarlo non risparmiò fatiche, viaggi, raccolte di fondi, dedicando tutta la sua vita alla promozione di quello che vedeva come un nuovo ed efficace metodo di riportare al centro dell’attenzione pubblica la Chiesa. Un lavoro tenace e abile ma nascosto — il suo nome non fu mai fatto ufficialmente — e quindi in gran parte dimenticato. Come spesso è stato il lavoro delle donne nella Chiesa.

Estetica eucaristica tra San Vitale a Ravenna e San Pietro in Vaticano

L'arte e l'Uomo
che si è dato nel pane

di TIMOTHY VERDON

Di loro stessa natura, l'architettura e l'arte della Chiesa hanno un rapporto privilegiato con l'Eucaristia, nascendo e sviluppandosi al servizio di comunità che celebrano i sacramenti cristiani, di cui il principale - fons et culmen di tutta la vita ecclesiale - è quello del corpo e sangue di Cristo.
Gli edifici di culto costruiti da queste comunità servono in primo luogo ad accogliere assemblee eucaristiche, e gli arredi interni similmente rimandano all'Eucaristia, con programmi d'immagini concentrati nelle aree celebrative, che non di rado esplicitano il rapporto col sacramento mediante soggetti quali l'Ultima Cena o la Cena d'Emmaus, chiaramente allusivi all'Eucaristia.

Ma l'impatto visivo dello stesso sacramento è forte - nelle messe di rito latino il pane e il vino consacrati vengono "mostrati" ai credenti, "innalzati" perché tutti li possano "vedere" - così che, avvicinato all'altare dove si celebra, quasi ogni soggetto sacro assume connotati eucaristici: la Madonna col Bambino, che invita a meditare la corporeità assunta da Dio all'interno della relazionalità umana; i santi cristiani, la cui rappresentazione evoca la comunione tra persone creata dal sacrificio del corpo di Cristo e che diventa suo "corpo mistico"; e eventi dell'antica historia salutis quali il sacrificio d'Isacco o la manna scesa per il popolo d'Israele nel deserto, che la Chiesa "rilegge" alla luce dell'Eucaristia.

La centrale importanza della celebrazione eucaristica nella vita della primitiva comunità cristiana, testimoniata da Giustino Martire già nel II secolo, trova eloquenti riflessi nell'arte catacombale del III secolo in scene agapiche e in codificate formulazioni simboliche come Il pesce eucaristico con una cesta di pani nelle catacombe di San Callisto, a Roma. Simili immagini alludono al mistero senza però tentarne l'esegesi, ed è solo nei secoli successivi - nei secoli dei concili cristologici e della mistagogia patristica - che l'arte cristiana inventa meccanismi atti a introdurre nel mistero del sacramento del corpus Christi. La più esplicita "esegesi eucaristica" dei primi secoli cristiani è offerta dal programma realizzato in un'altra chiesa ravennate, San Vitale, dove nella profondità dell'abside due mosaici raffigurano un'ideale processione offertoriale, con gli uomini da una parte, le donne dall'altra: l'imperatore Giustiniano e l'imperatrice Teodora con le rispettive scorte di dignitari tra cui, alla sinistra di lui, il vescovo che ultimò San Vitale nel 547, Massimiano.

Questi personaggi contemporanei dovevano essere visti (come i ministri sacri che si sarebbero seduti sotto i mosaici) in rapporto al principale segno dell'area liturgica, l'altare, collocato in un alto vano antistante l'abside, così che i doni che Giustiniano e Teodora portano su grandi vassoi sono chiaramente da intendere come quelli per il sacrificio celebrato all'altare, l'Eucaristia. Nel vano dell'altare stesso, nei timpani degli archi a destra e sinistra della mensa, troviamo sacrifici veterotestamentari che collegano il "presente" di Giustiniano e Teodora al "passato" della storia della salvezza. Dalla parte di Giustiniano (a sinistra per chi entra, ma alla destra del celebrante quando questi è alla sedia), vediamo l'incontro di Abramo con tre misteriosi viaggiatori a Mamre, quando gli venne promessa la nascita di Isacco, e poi il suo sacrificio dello stesso Isacco su Monte Moria. Dalla parte opposta, sono raffigurati i rispettivi sacrifici di Abele e Melchisedek. Così la liturgia in cui l'imperatore e l'imperatrice recano doni all'altare è rivelata come continuazione nel presente di un lontano passato in cui le offerte di alcuni uomini erano graditi a Dio, il quale, proprio nel contesto liturgico-sacrificale, benedice e dà la vita.

Abramo che, servendo Dio a tavola a Mamre ricevette la promessa di un figlio, e che, pronto ad offrire quel figlio sull'altare, si sentì dire "perché tu hai fatto questo (...) io ti benedirò"; Abele che, offrendo un agnello diventa figura della Chiesa che offre l'Agnello Cristo; e Melchisedek che offriva pane e vino: sono tutti personaggi ed eventi "segnici" riferiti all'Eucaristia. Non è perciò un caso che in ambo questi mosaici troviamo anche mense che sembrano altari eucaristici: il tavolo di Mamre imbandito con tre pani segnati dalla croce, e l'altare splendidamente rivestito su cui Melchisedek praticamente "canta Messa", con l'ostia grande e il calice.

Il vero soggetto dell'intero programma, in un certo senso, è la liturgia eucaristica celebrata all'altare posto tra i due mosaici, ed è altamente significativo che, in questo periodo che vide la redazione quasi definitiva di molti testi liturgici, troviamo qui raffigurati precisamente i personaggi biblici ricordati nel Canone Romano, quando la Chiesa chiede al Padre di volgere "sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno, come hai voluto accettare i doni di Abele il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l'oblazione pura e santa di Melchisedek, tuo sommo sacerdote". Nel Canone Romano, questa preghiera segue immediatamente una descrizione dell'azione liturgica stessa - "In questo sacrificio, o Padre, noi tuoi ministri e il tuo popolo santo offriamo alla tua maestà divina (...) la vittima pura, santa e immacolata, pane santo della vita eterna e calice dell'eterna salvezza" - e quindi, oltre a collocare la comunità che prega in rapporto ai personaggi veterotestamentari, la colloca, soprattutto, in rapporto a Cristo.

Non sorprende perciò vedere a San Vitale, nel catino dell'abside, in linea con l'altare e sopra la sedia del vescovo, l'immagine del Salvatore risorto, vestito della porpora imperiale e assiso su una sfera celeste, che porge una corona gemmata al martire Vitale. Visto nel contesto della messa, nella prospettiva del passato (Abele, Abramo e Melchisedek) e del presente (Giustiniano e Teodora), questa immagine rivela il futuro, il ritorno alla fine dei tempi di Colui che, nell'Eucaristia, è già in mezzo alla sua Chiesa. Sopra l'ostia innalzata all'altare di San Vitale come pignus futurae gloriae, contempliamo precisamente quella gloria, Cristo che "porta con sé il premio".
Cinquant'anni dopo i mosaici di San Vitale a Ravenna, a Roma viene operato un significativo cambiamento architettonico in una delle maggiori chiese della Cristianità, la basilica di San Pietro in Vaticano, eretta dall'imperatore Costantino nel primo IV secolo e quindi già vecchia di duecento anni all'epoca che c'interessa.

L'intervento, voluto dal Papa a cui la tradizione attribuisce una prima riforma del canto ecclesiastico, nonché il riordino e la codificazione dei riti, san Gregorio Magno (590-604), conferma la tendenza a drammatizzare l'esperienza visiva della Messa, ingrandendo il presbiterio di San Pietro e innalzandolo di un metro e quarantacinque centimetri. Laddove il presbiterio originale non invadeva il transetto, ad eccezione del ciborio della Memoria di Pietro, ora l'intera area celebrativa fu portata avanti di quattro metri, creando uno spazio rituale molto più ampio; e mentre prima la visuale era dominata dalla Memoria nel suo casamento marmoreo, ora emergevano solo i novanta centimetri superiori della Memoria, trasformati in altare.

Lo scopo dell'intervento, infatti, era di permettere al Papa di celebrare la messa direttamente sulla Memoria, sulla tomba di Pietro, nella logica devozionale più tardi espresso da san Massimo di Torino: "Giustamente e per una certa somiglianza è stato stabilito di collocare il sepolcro dei martiri nel luogo dove si celebra la morte del Signore (...); coloro che sono morti a causa della sua morte riposano nel suo sacramento" (Sermones, 77). La sola differenza era che, a San Pietro, non fu il sepolcro ma l'altare a essere collocato in posizione sin dal I secolo.

Questo intervento, pensato certamente in funzione della nuova articolazione rituale della liturgia eucaristica, ebbe anche l'effetto di creare un nuovo clima di mistero intorno all'altare papale e alla tomba dell'Apostolo, ormai praticamente assorbito dall'altare. Nel medesimo spirito era poi la sistemazione di colonne vitinee di marmo - quelle successivamente replicate in bronzo e in grande scala dal Bernini - davanti alla piattaforma presbiteriale, dove, distanziate dall'altare, con la loro trabeazione configuravano un divisorio successivamente chiamata perghula che teneva i fedeli lontani dall'altare. Quando poi, a metà VIII secolo, Gregorio III collocò altre sei colonne vitinee davanti all'altare (regalo dall'esarca di Ravenna Eutichio), l'effetto barriera era completo, grazie anche all'aggiunta di alti cancelli.

Gregorio III, intrepido difensore dell'arte al servizio della fede, inviò un rappresentante a Costantinopoli nel 731 con lettere per l'imperatore, per indurlo a revocare l'ingiurioso editto contro le sacre immagini, e nel novembre di quell'anno convocò a San Pietro un sinodo per condannare il movimento iconoclasta. Nella logica di questa sua presa di posizione, poi, abbellì la perghula davanti all'altare papale con icone, trasformandola in vera e propria iconostasi bizantina e, in quel modo, esaltando il ruolo delle immagini nell'esperienza percettiva dei fedeli che partecipavano alla liturgia eucaristica.

Fu l'inizio di un graduale processo di ierofanizzazione dell'area presbiteriale in occidente: un processo che, in San Pietro, riceverà nuovo impulso mezzo secolo dopo, sotto Adriano I (772-795), il quale fa ricoprire il pavimento dell'area celebrativa con lastre d'argento del peso di centocinquanta libbre, ne riveste le pareti con lastre d'oro e cinge il tutto con una balaustra d'oro del peso di 1328 libbre. Adriano I rifà anche i cancelli del presbiterio in argento, appendendo al loro esterno sei nuove immagini d'argento raffigurando Cristo, Maria, gli arcangeli Gabriele e Michele, i santi Andrea e Giovanni. Inoltre, perché tanto splendore fosse pienamente visibile, donò un candelabro cruciforme capace di portare 1365 candele: prima indicazione di una passione per effetti d'illuminotecnica che sarà caratteristica delle celebrazioni vaticanensi nei secoli successivi.

Tutte queste opere d'oreficeria massiccia - la balaustra, le lastre parietali e pavimentali, il candelabro - finirono in mano ai saraceni che invasero Roma nel 846, e non sono più. Ma l'immagine che la sola loro catalogazione proietta, dal sapore decisamente orientale, suggerisce una "estetica eucaristica" destinata a durare in occidente fino al medioevo avanzato, di cui l'opera superstite esemplare è la Pala d'Oro della basilica marciana di Venezia, il cui nucleo più antico risale al "dogado" di Pietro Orseolo negli anni 976-78, anche se verrà ultimata solo nel 1345.

Larga tre metri e quarantotto e alta un metro e quaranta, è un assemblaggio di ottantatre lastre d'oro con immagini in smalto cloisonné e trentotto piccoli tondi in smalto raffiguranti angeli. La superficie è tempestata di 1300 perle, 400 granati, 300 smeraldi, 90 ametiste, 15 rubini e 4 topazi.
Vista alla luce delle lampade nella luminosità diffusa dell'interno mosaicato di San Marco, la Pala d'Oro "sfavilla di miriadi di scintille, ora qui ora là, facendo presentire altre luci non terrestri che riempiono lo spazio celeste", per usare una frase di Pavel Florenskij. È un effetto, questo, vicino alla spiritualità esicasta: la corrente mistica ed estatica che si sviluppa nel mondo bizantino dal XI al XIV secolo e che riceve eloquente articolazione negli scritti di Gregorio Palamas. Tra gli obiettivi dell'esicasmo c'era quello di contemplare l'increata, eterna luce di Dio, accecante per occhi mortali - traguardo, questo, che entrerà a far parte della spiritualità eucaristica occidentale dal medioevo in avanti. Alla messa celebrata davanti alla Pala d'Oro, come nell'esposizione del Santissimo in ostensori gemmati nei secoli successivi, i fedeli vedevano l'ostia avvicinata a materiali preziosi e a brillanti colori cavati dai luoghi segreti della terra.

Il Dio che si è fatto uomo, l'Uomo che si è dato nel pane, il pane fatto di chicchi germogliati nella terra da cui nascono oro e gemme, sono contemplate nell'inebriante varietà di un creato che rivela il Creatore, e che viene così ricapitolato, unificato, esaltato. Il cosmo intero in un disco di pane, vino che riflette lo sfavillio di rari metalli e gemme, il tutto nella luce di mille candele: ecco al servizio dell'Eucaristia materiali e forme d'arte che proiettano l'attenzione verso l'al di là di Dio.



L'Osservatore Romano 7 settembre 2011


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)