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Durante e dopo la seconda guerra mondiale, le foibe divennero quindi grandi fosse comuni

per esecuzioni sommarie collettive.

Gettare un uomo in foiba significa considerarlo alla stregua di un rifiuto, gettarlo là

dove da sempre la gente istriana getta ciò che non serve più (…) La vittima,

sprofondata nell’antro, viene cancellata nell’esistenza fisica, ma anche nell’identità

nel nome nella memoria. Uccidere chi è considerato nemico non basta: occorre

andare oltre, occultarne il corpo e la vita, eliminarne ogni traccia, come se non fosse

mai vissuto.

La maggior parte degli infoibamenti ebbe luogo in due periodi distinti:

8 settembre 1943 – 13 ottobre 1943

Nei quaranta giorni successivi all’armistizio firmato da Badoglio l’8 settembre 1943 la

Venezia Giulia, lasciata indifesa dai soldati italiani allo sbando e non ancora sotto il

controllo dei tedeschi, divenne facile preda dei partigiani slavi.

1 maggio 1945 – 10 giugno 1945

Nei quaranta giorni di occupazione titina (nella primavera del 1945), nella zona di Trieste e

Gorizia il fenomeno degli infoibamenti segnò il suo apice.

L’ingresso di Tito in Trieste il 1 maggio, mentre i partigiani garibaldini venivano dirottati

verso Lubiana, significò l’inizio per gli abitanti del capoluogo giuliano di un vero e proprio

periodo di terrore.

Gli ordini impartiti da Tito e dal suo ministro degli esteri Edvard Kardelj erano chiari e non si

prestavano a equivoci: Epurare subito, Punire con severità tutti i fomentatori dello

sciovinismo e dell’odio nazionale.

Fu una carneficina, che non risparmiò nemmeno gli antifascisti, membri del Comitato di

liberazione nazionale, che avevano fatto la Resistenza al fianco dei loro assassini, o

esponenti della Resistenza liberaldemocratica e del movimento autonomistico di Fiume.

Militari e civili italiani, ma anche civili sloveni

e croati, furono vittime di arresti, processi

fittizi, deportazioni, torture e fucilazioni.

A pagare non furono infatti solo i fascisti, ma chiunque si opponesse all'annessione della

Venezia Giulia alla Jugoslavia.

Iniziò una vera e propria caccia all'italiano, con esecuzioni sommarie, deportazioni,

infoibamenti.24 Rischiava la vita chiunque fosse italiano e non volesse rinunciare alla sua

italianità.

Questa tesi è stata sostenuta anche dallo storico Giovanni Berardelli

La loro principale colpa era quella di essere, per la loro nazionalità, un ostacolo da

rimuovere al programma di Tito di annessione del Friuli e della Venezia Giulia. Da cui

l'odierna accusa di genocidio o di pulizia etnica.25

ma anche dallo storico triestino Roberto Spazzali che definì le foibe

(…) il prodotto di odi diversi: etnico, nazionale e ideologico. Furono la risoluzione

brutale di un tentativo rivoluzionario di annessione territoriale. Chi non ci stava, veniva

eliminato.

La mattanza fu devastante e si protrasse per settimane, nonostante l’arrivo, a Trieste e a

Gorizia fra il 2 e il 3 maggio, della seconda divisione neozelandese del generale Bernard

Freyberg, inquadrata nell’VIII armata britannica.

A questo periodo fa riferimento un documento dello Stato firmato da due Presidenti della

Repubblica, Luigi Einaudi e Giovanni Gronchi, in cui si riconosce che Trieste(…) nuovamente sottoposta a durissima occupazione straniera, subiva con fierezza il

martirio delle stragi e delle foibe, non rinunciando a manifestare attivamente il suo

attaccamento alla Patria.26

La persecuzione degli italiani durò almeno fino al '47, soprattutto nella parte dell'Istria

vicina al confine e sottoposta all'amministrazione provvisoria jugoslava.



In questo periodo solo a Trieste furono prelevate circa OTTOMILA PERSONE delle quali solo una parte di esse ritornò a casa!

LE MODALITA’ DEGLI INFOIBAMENTI

La caratteristica comune di tutte le uccisioni fu l’assenza pressoché totale di notizie sulla

sparizione di migliaia di persone. Un mistero che alimentò notevolmente il clima di terrore

nel quale viveva la popolazione.

Una morte oscura, segno di una volontà di cancellazione totale, resa ancor più aspra

dalla negazione della pietà, visto che la scomparsa dei corpi prolungò nei congiunti

l’incertezza angosciosa sulla sorte dei loro cari e rese impossibile, in molti casi fino ai

giorni nostri, la celebrazione pacificante della sepoltura27.

Tra gli arrestati vi furono numerosi casi di vendette personali, vittime di delatori che

sfruttarono il cambiamento di bandiera per risolvere ogni divergenza con le proprie vittime.

Sulla sorte degli arrestati non trapelarono notizie, soprattutto per la ferrea osservanza del

silenzio da parte dei funzionari della polizia segreta jugoslava (O.Z.N.A.) e per la totale

mancanza di verbali d’arresto o di atti processuali che avrebbero dovuto documentare la

sorte di migliaia di disgraziati. La procedura era sempre la medesima:

sconosciuti bussavano alla porta di casa e invitavano, più o meno gentilmente, la

persona indicata a seguirli per un controllo al Comando partigiano (…). Talvolta la

scusa era quella di dover firmare un documento presso il Comando partigiano. Il tempo

passava e ai famigliari del fermato, che cercavano di portare aiuto e conforto ai propri

cari, veniva risposto di aver pazienza, che si sarebbe dovuto aspettare qualche giorno

per le indispensabili questioni procedurali.28

Gli arrestati dell'Istria vennero concentrati in tre località: nel castello Montecuccoli di Pisino,

a Pinguente e a Barbana.

I Tribunali del Popolo istituirono un gran numero di processi con procedure spicce e

particolari. Agli imputati non venne concessa alcuna grazia di tutela dei propri diritti,

non furono nominati in alcun caso avvocati difensori, né si poterono chiamare testimoni

a proprio favore per cui, dopo brevi istruttorie, gli accusati vennero portati al cospetto

dei giudici che, con qualche parvenza di legalità, emisero immediatamente le sentenze

sulla base di sentenze stereotipate. 29

Tali sentenze, quasi sempre di colpevolezza, erano senza possibilità di appello e nella

gran parte dei casi prevedevano per i malcapitati la pena capitale.30

Le modalità di uccisione e di eliminazione fisica dei condannati furono molteplici, a

seconda sia del luogo geografico che delle particolari condizioni del momento. Sovente

gli arrestati prima di morire dovettero spogliarsi di tutti i loro vestiti e delle loro calzature,

ambite dai sicari che poi le indossarono personalmente; altre volte i carnefici

scambiarono i propri abiti logori con quelli più nuovi dei deportati. (…) Molte persone

furono fucilate, o comunque uccise in modo violento, ed i loro corpi vennero sepolti nelle

fosse comuni, nelle cave e nei pozzi artesiani e minerari. Altre furono gettate in mare e

vennero ritrovate solo in pochi casi. Altre ancora furono buttate nelle foibe.

La maggior parte dei prigionieri rimasti in Istria, invece, subirono il martirio della foiba.

Dopo la sentenza di morte le vittime venivano portate sul luogo dell’esecuzione, con i polsi

legati dietro la schiena con filo di ferro.

Il trasporto avveniva a bordo di autobus con i vetri oscurati da vernice bianca. Quei mezzi

divennero tristemente famosi in Istria come le “corriere della morte”. Dove la carreggiata

finiva i prigionieri procedevano a piedi fino alla foiba. Giunti sull’orlo dell’abisso, i

carnefici davano inizio all’esecuzione sparando un colpo di pistola o di fucile alla testa della

vittima, facendola all’interno della voragine nella quale trascinava con sé il compagno

ancora vivo a cui era legata.

A qualcuno veniva promessa la libertà se fosse riuscito a saltare da una parte all’altra

dell’apertura, ma i pochi che riuscirono nell’impresa furono comunque gettati nell’orrido.

L'agonia di questi sventurati poteva durare giorni interi e le loro grida ed invocazioni di

aiuto venivano udite dagli abitanti della zona, ma la paura ed il terrore che regnava

ovunque impediva di avvicinarsi alle foibe.

Nessuno si sentiva al sicuro perché chiunque poteva accusare ed essere accusato di

essere “nemico del popolo”, con totale discrezionalità.

Un gioco al massacro diabolico, per il quale nessuno si sentiva più al sicuro nemmeno in

casa propria.

Durante l’occupazione slava la crudeltà e la barbarie degli infoibatori oltrepassò l'orrore dei

crimini e in diversi casi sconfinò nella superstizione. Al termine delle esecuzioni, nelle foibe

venivano gettati dei cani neri vivi, i quali, secondo un’antica superstizione slava, avrebbero

dovuto impedire alle anime dei morti di uscire dalle cavità per trovare, insieme ad una

cristiana sepoltura, anche la pace eterna.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)