e croati, furono vittime di arresti, processi
fittizi, deportazioni, torture e fucilazioni.
A pagare non furono infatti solo i fascisti, ma chiunque si opponesse all'annessione della
Venezia Giulia alla Jugoslavia.
Iniziò una vera e propria caccia all'italiano, con esecuzioni sommarie, deportazioni,
infoibamenti.24 Rischiava la vita chiunque fosse italiano e non volesse rinunciare alla sua
italianità.
Questa tesi è stata sostenuta anche dallo storico Giovanni Berardelli
La loro principale colpa era quella di essere, per la loro nazionalità, un ostacolo da
rimuovere al programma di Tito di annessione del Friuli e della Venezia Giulia. Da cui
l'odierna accusa di genocidio o di pulizia etnica.25
ma anche dallo storico triestino Roberto Spazzali che definì le foibe
(…) il prodotto di odi diversi: etnico, nazionale e ideologico. Furono la risoluzione
brutale di un tentativo rivoluzionario di annessione territoriale. Chi non ci stava, veniva
eliminato.
La mattanza fu devastante e si protrasse per settimane, nonostante l’arrivo, a Trieste e a
Gorizia fra il 2 e il 3 maggio, della seconda divisione neozelandese del generale Bernard
Freyberg, inquadrata nell’VIII armata britannica.
A questo periodo fa riferimento un documento dello Stato firmato da due Presidenti della
Repubblica, Luigi Einaudi e Giovanni Gronchi, in cui si riconosce che Trieste(…) nuovamente sottoposta a durissima occupazione straniera, subiva con fierezza il
martirio delle stragi e delle foibe, non rinunciando a manifestare attivamente il suo
attaccamento alla Patria.26
La persecuzione degli italiani durò almeno fino al '47, soprattutto nella parte dell'Istria
vicina al confine e sottoposta all'amministrazione provvisoria jugoslava.
In questo periodo solo a Trieste furono prelevate circa OTTOMILA PERSONE delle quali solo una parte di esse ritornò a casa!
LE MODALITA’ DEGLI INFOIBAMENTI
La caratteristica comune di tutte le uccisioni fu l’assenza pressoché totale di notizie sulla
sparizione di migliaia di persone. Un mistero che alimentò notevolmente il clima di terrore
nel quale viveva la popolazione.
Una morte oscura, segno di una volontà di cancellazione totale, resa ancor più aspra
dalla negazione della pietà, visto che la scomparsa dei corpi prolungò nei congiunti
l’incertezza angosciosa sulla sorte dei loro cari e rese impossibile, in molti casi fino ai
giorni nostri, la celebrazione pacificante della sepoltura27.
Tra gli arrestati vi furono numerosi casi di vendette personali, vittime di delatori che
sfruttarono il cambiamento di bandiera per risolvere ogni divergenza con le proprie vittime.
Sulla sorte degli arrestati non trapelarono notizie, soprattutto per la ferrea osservanza del
silenzio da parte dei funzionari della polizia segreta jugoslava (O.Z.N.A.) e per la totale
mancanza di verbali d’arresto o di atti processuali che avrebbero dovuto documentare la
sorte di migliaia di disgraziati. La procedura era sempre la medesima:
sconosciuti bussavano alla porta di casa e invitavano, più o meno gentilmente, la
persona indicata a seguirli per un controllo al Comando partigiano (…). Talvolta la
scusa era quella di dover firmare un documento presso il Comando partigiano. Il tempo
passava e ai famigliari del fermato, che cercavano di portare aiuto e conforto ai propri
cari, veniva risposto di aver pazienza, che si sarebbe dovuto aspettare qualche giorno
per le indispensabili questioni procedurali.28
Gli arrestati dell'Istria vennero concentrati in tre località: nel castello Montecuccoli di Pisino,
a Pinguente e a Barbana.
I Tribunali del Popolo istituirono un gran numero di processi con procedure spicce e
particolari. Agli imputati non venne concessa alcuna grazia di tutela dei propri diritti,
non furono nominati in alcun caso avvocati difensori, né si poterono chiamare testimoni
a proprio favore per cui, dopo brevi istruttorie, gli accusati vennero portati al cospetto
dei giudici che, con qualche parvenza di legalità, emisero immediatamente le sentenze
sulla base di sentenze stereotipate. 29
Tali sentenze, quasi sempre di colpevolezza, erano senza possibilità di appello e nella
gran parte dei casi prevedevano per i malcapitati la pena capitale.30
Le modalità di uccisione e di eliminazione fisica dei condannati furono molteplici, a
seconda sia del luogo geografico che delle particolari condizioni del momento. Sovente
gli arrestati prima di morire dovettero spogliarsi di tutti i loro vestiti e delle loro calzature,
ambite dai sicari che poi le indossarono personalmente; altre volte i carnefici
scambiarono i propri abiti logori con quelli più nuovi dei deportati. (…) Molte persone
furono fucilate, o comunque uccise in modo violento, ed i loro corpi vennero sepolti nelle
fosse comuni, nelle cave e nei pozzi artesiani e minerari. Altre furono gettate in mare e
vennero ritrovate solo in pochi casi. Altre ancora furono buttate nelle foibe.
La maggior parte dei prigionieri rimasti in Istria, invece, subirono il martirio della foiba.
Dopo la sentenza di morte le vittime venivano portate sul luogo dell’esecuzione, con i polsi
legati dietro la schiena con filo di ferro.
Il trasporto avveniva a bordo di autobus con i vetri oscurati da vernice bianca. Quei mezzi
divennero tristemente famosi in Istria come le “corriere della morte”. Dove la carreggiata
finiva i prigionieri procedevano a piedi fino alla foiba. Giunti sull’orlo dell’abisso, i
carnefici davano inizio all’esecuzione sparando un colpo di pistola o di fucile alla testa della
vittima, facendola all’interno della voragine nella quale trascinava con sé il compagno
ancora vivo a cui era legata.
A qualcuno veniva promessa la libertà se fosse riuscito a saltare da una parte all’altra
dell’apertura, ma i pochi che riuscirono nell’impresa furono comunque gettati nell’orrido.
L'agonia di questi sventurati poteva durare giorni interi e le loro grida ed invocazioni di
aiuto venivano udite dagli abitanti della zona, ma la paura ed il terrore che regnava
ovunque impediva di avvicinarsi alle foibe.
Nessuno si sentiva al sicuro perché chiunque poteva accusare ed essere accusato di
essere “nemico del popolo”, con totale discrezionalità.
Un gioco al massacro diabolico, per il quale nessuno si sentiva più al sicuro nemmeno in
casa propria.
Durante l’occupazione slava la crudeltà e la barbarie degli infoibatori oltrepassò l'orrore dei
crimini e in diversi casi sconfinò nella superstizione. Al termine delle esecuzioni, nelle foibe
venivano gettati dei cani neri vivi, i quali, secondo un’antica superstizione slava, avrebbero
dovuto impedire alle anime dei morti di uscire dalle cavità per trovare, insieme ad una
cristiana sepoltura, anche la pace eterna.