00 18/05/2011 10:31
Salvato dalla Chiesa

di Angelo Busetto
18-05-2011


La vicenda di don Riccardo Seppia, il prete della diocesi di Genova arrestato per abusi sessuali su minori e uso di droga, ha profondamente colpito l'opinione pubblica sia per la gravità dei reati commessi sia per la solitudine e la realtà di disgregazione - comunitaria e sacerdotale - in cui tale doppia vita è maturata. Proprio su quest'ultimo aspetto si era concentrato
l'editoriale di ieri, firmato da Andrea Tornielli, che aveva lasciata aperta una domanda su come è stato possibile che una vita sacerdotale si sviluppasse così, quasi nell'indifferenza generale. Una provocazione a cui risponde oggi un sacerdote - che è anche collaboratore de La Bussola Quotidiana -, presentando la propria esperienza positiva di amicizia nella Chiesa, l'unica possibilità per non perdersi.


Mi sono sentito sempre un poco a disagio di fronte a sacerdoti che raccontavano di essere stati salvati dopo uno sbandamento. Non mi ci ritrovavo in quelle ‘esperienze di salvezza’ eccezionali. La mia vita è trascorsa in modo normale, senza la ferita di vicende così drammatiche. Ma in questi giorni, mentre la cronaca invade la piazza con la notizia di un sacerdote che ‘ha sbagliato’, mi ritrovo a dire a me stesso e ad altri: “Mi ha salvato la Chiesa”.

Volgendo indietro lo sguardo negli anni, posso dire di essere stato ‘salvato in anticipo’, e di aver goduto della grazia di essere stato ‘preservato’. Siamo tutti presi dentro il peccato di Adamo, e subiamo il contraccolpo della tentazione fino a venirne catturati e corrotti. Ma ci è stata data la grazia di nascere dentro una storia di salvezza e di partecipare alla comunità dei discepoli del Signore. La grazia che ha accompagnato la mia vita sacerdotale ha preso il volto e il corpo e l’anima della Chiesa: sono le persone che in questi anni mi sono state appresso, i giovani e le famiglie che ho incontrato, le parrocchie che mi hanno avuto come cappellano e come parroco, i familiari che hanno vissuto con me, le persone che hanno condiviso l’esperienza di fede nel movimento di Comunione e Liberazione, gli impegni pastorali che mi hanno fatto lottare contro il tempo, il fiato delle persone che mi pressavano.

Mi accompagna il richiamo preciso e appassionato di un maestro di vita, don Luigi Giussani: l’incontro con lui ha chiarito e sostenuto la mia decisione di continuare ad essere di Cristo e di servirlo. Sono state e sono per me stimolo e richiamo le persone che domandano Cristo, ponendomi davanti la loro angoscia, il desiderio, l’attesa, la domanda della vita; quale risposta, quale pane si può dare a chi chiede da mangiare? Basta donare se stessi, le proprie parole e prestazioni?

L’urgenza e la domanda sono così imponenti che solo una risposta adeguatamente proporzionata vi può corrispondere: il Signore Gesù, la sua persona incontrata e amata. Sono stato accompagnato a conoscerlo e a seguirlo. Mi è stata donata la ricchezza di poter parlare di Lui, indicarlo, donarlo. Al di fuori di questo, mi trovo a sperimentare desolazione, deserto e vuoto.

Mi accompagna un’esperienza reale di Chiesa, che mi circonda, mi abbraccia, mi condiziona, senza concedermi la possibilità di ‘evasioni’ nelle settimane, nelle giornate, nelle ore, persino nel tempo della vacanza. La familiarità con alcuni amici preti continua ad essere una splendida compagnia nel vivere la bellezza e la fatica del sacerdozio.

Ho potuto constatare che Cristo non è semplicemente un ideale, una presenza interiore, un pensiero o una immaginazione; non è il risultato dello studio, che pure si è intensificato negli anni dell’insegnamento intenso e impegnativo della teologia. Il rapporto con Cristo si svolge incontrando e accogliendo la sua presenza visibile e concreta nel volto, nel corpo, nel cuore della Chiesa. Amare Cristo significa amarlo nell’Eucaristia attorno alla quale Egli ci raduna; donarlo nella misericordia del sacramento della confessione; parlare di Lui, appassionandosi per l’edificazione del suo corpo.

Egli non è soltanto il Signore del cielo e il Cristo della teologia, ma il Gesù della Chiesa. Il bisogno affettivo non patisce un vuoto, ma si realizza in un amore vissuto, in un attaccamento e una vibrazione per Lui presente e vivo. Il cuore non viene indotto a disseccarsi, alienarsi, ripiegarsi su di sé, spegnendosi nell’aridità e mortificandosi nella solitudine; si può amare ed essere amati, coinvolgendosi in affetti e legami veri, vissuti con passione.

Chi insiste a dire che il prete deve essere staccato da tutti, ha già cominciato a tracciare la strada della sua perdizione. E’ una grazia l’attaccamento alle persone come segno di Cristo, l’amore a una sposa concreta e non ideale, la sposa che è la Chiesa, non generica o astratta, ma reale nel volto di uomini e donne e bambini per la cui felicità preghi e speri e soffri e lotti, amando con affetto di fratello, di padre, di sposo. Il prete non è chiamato a vivere staccato dagli altri, ma ad affezionarsi a Cristo che opera in un avvenimento presente.

La disciplina dei sentimenti non conduce a non amare, ma ad amare e accettare di essere amato senza possedere ed essere posseduto perché già si appartiene; amare ed essere amato nella fedeltà alla propria vocazione e nel rispetto della vocazione degli altri. Quest’esperienza non introduce a un di meno, ma un di più. Avete presente la passione di san Paolo, la intensità della sua dedizione, l’irruenza del suo affetto, lui che considerava ‘fidanzata’ la comunità di Corinto, lui che è diventato padre e generatore di persone e comunità?

Se la verginità conducesse a un cuore vuoto, diventerebbe un’alienazione che va poi a cercare da qualche altra parte la sua compensazione. La verginità è un modo diverso e intenso di amare e di essere amati. Gesù è riconosciuto, amato e servito nei fratelli e nelle sorelle, in una dinamica affettiva che entra in gioco non solo nel contatto con persone sconosciute, povere e derelitte, ma assai di più nel rapporto quotidiano con le persone per le quali e con le quali si vive e si lavora. A questa Chiesa, alla quale domando di accompagnarmi nella storia di ogni giorno, continuo ad affidarmi per il presente e per il futuro.



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Mons. Crociata al convegno «Cattolici a confronto» presso la Camera dei Deputati. Il nostro padrone è uno solo (O.R.)

Il segretario generale della Conferenza episcopale italiana al convegno «Cattolici a confronto» presso la Camera dei Deputati

Il nostro padrone è uno solo

Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento pronunciato questa mattina, lunedì 30 maggio, dal vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana, in occasione del convegno «Cattolici a confronto. Incontro con parlamentari cattolici di diversi schieramenti politici», che si è tenuto presso la Camera dei deputati italiana, nella Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto a Roma.

di Mariano Crociata

Il credente vive sotto la chiamata di Dio e assume le sue scelte e decisioni in risposta a tale chiamata. Non ci sono aspetti dell'esistenza e della storia esterni alla relazione con Dio, e se ve ne fossero o qualcuno ne restasse fuori, vorrebbe dire la fragilità o l'inconsistenza, e quindi la non verità, della fede di chi dice di credere. Il compito decisivo e assolutamente prioritario di ogni credente è allora coltivare la propria fede e curare la sua espressione e coerenza in tutti gli ambiti dell'esistenza, primi fra tutti quelli in cui si esplica la dimensione vocazionale della sua identità personale. Tale impegno trova espressione nell'ascolto della Parola, nella preghiera, nella vita sacramentale, e poi nello sforzo di tradurre negli ambiti della vita sociale le esigenze della vocazione cristiana con coerenza di giudizio, di atteggiamenti, di scelte e di comportamenti. Perciò è un errore interpretare la tensione vitale tra fede e scelte con le categorie di privato e pubblico, come se la fede non incidesse su tutti i tipi di scelta o lo facesse solo su alcuni di essi.

La dottrina sociale della Chiesa oggi costituisce un punto di riferimento imprescindibile nel giudizio sulla realtà sociale e nella prassi che vi si riferisce, sia sul piano personale che su quello pubblico e istituzionale
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Per chi è impegnato in tali ambiti, la dottrina sociale costituisce una preziosa piattaforma di orientamenti e di criteri condivisi sulla base dell'unica fede e del giudizio credente via via maturato sulla realtà sociale sotto la guida del magistero. Anche la dottrina sociale si è avvalsa di un magistero puntuale che ha accompagnato gli sviluppi storico-sociali fino alla più recente enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate. La peculiarità della dottrina sociale della Chiesa corrisponde al carattere contingente di molteplici aspetti della realtà sociale, nella quale pure sono implicati aspetti intangibili della persona umana e della sua vita, la cui integrità rischia di essere irreversibilmente compromessa quando si tenda a manipolare la vita nel suo sorgere e nel suo declinare, a disconoscere e alterare la figura naturale di famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, a comprimere la libertà religiosa e la libertà di educazione; e rischia di essere gravemente ostacolata quando vengano garantite le esigenze fondamentali per una vita dignitosa mediante il lavoro, la casa, la tutela della salute.

Questo plesso di valori e di beni, che si ordinano secondo una interna gerarchia e si condensano nel concetto di bene comune, rappresenta una piattaforma suscettibile di essere condivisa da tutti sulla base della ragione e del retto giudizio; ancor di più essa deve costituire la base di un comune sentire e agire da parte dei credenti, in particolare dei cattolici impegnati in politica e nelle pubbliche istituzioni.
Ciò non toglie lo spazio per una differenziazione delle sensibilità e per una ponderata considerazione del carattere contingente delle situazioni e delle conoscenze nello spazio della vita sociale e politica. Ma dovrebbe trattarsi di differenziazioni che fanno spazio ad un pluralismo legittimo all'interno di un quadro che ci è consegnato da una comunità ecclesiale di cui siamo parte. Di un diverso ordine e su un altro piano si colloca la scelta che porta un cattolico a impegnarsi in politica nell'uno o nell'altro schieramento. Su questo vanno tenuti fermi alcuni punti chiave.

Il primo riguarda il carattere contingente della scelta politica di schieramento. Contingente vuol dire che nessuna scelta politica può tradurre compiutamente la visione cristiana e farlo in una forma sociale definita perfettamente corrispondente ad essa. Nella scelta politica entra in gioco il discernimento personale e di gruppo nell'esercizio concreto della responsabilità vocazionale in ambito socio-politico alle determinate condizioni di tempo e di luogo. Ma la comunità ecclesiale non ha il compito di assumere un impegno politico diretto o di dare indicazioni circa il progetto politico di volta in volta e di luogo in luogo da realizzare.
A questo riguardo, la stessa scelta di esprimere l'impegno dei cattolici in una qualche forma di unità politica o in una pluralità di formazioni partitiche o simili, ha un carattere discrezionale dettato da un prudente giudizio sulle circostanze storiche; come del resto risulta avvenuto, anche gettando solo uno sguardo sommario alla situazione di tanti Paesi negli ultimi decenni fino ad oggi. È certo che ci si aspetta che ogni scelta sia dettata da un discernimento che abbia una continuità e una coerenza con quella visione d'insieme che l'insegnamento sociale della Chiesa prepara e rende possibile.

Su queste premesse può prendere avvio una riflessione sul confronto da politici cattolici militanti in diversi schieramenti. Qui la sfida più grande è non farsi fagocitare dalle logiche conflittuali interpartitiche, ma far agire la logica del confronto costruttivo. La cosa più triste sarebbe vedere cattolici per i quali è maggiore la forza conflittuale dell'appartenenza partitica piuttosto che la capacità di dialogo che scaturisce dalla fondante comunione ecclesiale.

C'è bisogno di trovare forme e percorsi di trasformazione della politica.
Alla fine vorrei tornare a far mie le parole di Benedetto XVI, che vorrei lasciarvi come segno di stima e come augurio d'incoraggiamento fraterno. Il Papa, affidando «tutto il popolo italiano» alla protezione di Maria, Mater unitatis, chiedeva che il Signore «aiuti le forze politiche a vivere anche l'anniversario dell'Unità come occasione per rinsaldare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizione: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possano ricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che veramente giova al bene del Paese».

Ma forse, in ultimo, bisognerebbe non dimenticare mai che la politica non è un assoluto, che la politica non è tutto e non tutto dipende da essa , già soltanto in un'ottica sociale e antropologica, ma soprattutto in una prospettiva escatologica, che ci fa confessare fin d'ora che il nostro padrone è uno solo, il Figlio di Dio e Signore Cristo Gesù.

(©L'Osservatore Romano 30-31 maggio 2011)


[Modificato da Caterina63 31/05/2011 09:55]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)