00 12/07/2010 08:01

Lei, caro padre, si ricordi di una massima inculcatami dal P. Marani, ed era questa: "Chi confida in se stesso, confida nel più grande asino del mondo"
e soggiungeva: "tutta la nostra confidenza deve essere in Dio".
E in ciò vengono meno molte anime sante che io conosco, e tanti Gesuiti, e frati, e preti pii, e religiosi che si mettono il cilicio, e si battono il petto, e Trappisti e Certosini e anime di grande orazione etc. etc. i quali con una vita santa, e con molta orazione dicono di confidare in Dio (li ho veduti coi miei occhi e sentiti colle mie orecchie, e non solamente religiosi e preti, ma prelati, ve­scovi, e qualche cardinale), dicono Dio può tutto, Dio farà tutto, provvederà a tutto, portiamo la croce umiliamoci, annientiamoci, etc......

Ma quando capita la tempesta, vien meno la speranza umana, non vedono luccicare il denaro, tutto è croce, capita l'umiliazione, sentono che non han credito, etc. etc. allora cadono sotto il peso la fiducia in Dio è zero (confidavano nel più grande asino di questo mondo), e la vera e reale perfezione è andata in fumo.

Tutto questo è toccato a me cento volte, ed ho conchiuso che il P. Marani avea ragione, e che l'unico labaro e rifugio e fortezza è met­tere tutta la propria fiducia in Dio, che è un galantuomo, e l'unico galantuomo, che ha testa, cuore, e coscienza, e che da noi può far far miracoli; ed ho sperimentato che la piena fiducia negli uomini non ci assicura affatto, fossero vescovi, santi (che mangiano) cardinali, principi, re, potenti etc., insomma fiducia piena nell'uomo, va soggetta a disillusione.

(san Daniele Comboni, vescovo, in una lettera a padre Giuseppe Sembianti 16.7.1881)

****************************************************

Possiamo allora dire che, nonostante le alte mura, gli orari di visita determinati, la clausura, il silenzio, le comunità monastiche non sono luoghi inaccessibili e per pochi intimi, ma vere “piazze” dove la vita scorre senza sosta, come la “notte bianca”, veri luoghi d’appuntamento dove gli uomini approdano, in tanti momenti importanti e tragici della loro esistenza, trovando sempre accoglienza ed ascolto, la discrezione della confidenza consegnata e la certezza del ricordo custodito nella preghiera.
Con le alte mura rese di cristallo, correndo continuamente sul filo dell’ortodossia carismatica - la tensione tra contemplazione e azione -, la comunità claustrale esercita le ministerialità della presenza e della consolazione, restando profondamente radicata nel vissuto della sua chiesa e della sua città, fino a sentire l’altro, indipendente dalla sua condizione sociale, come uno che gli abita la vita.
La claustrale non è un mondo a parte, un’egoista, ma è “un’autentica centrale di energia spirituale che si alimenta alla sorgente della contemplazione, sull’esempio della preghiera a cui Gesù si dedicava nella solitudine” (BENEDETTO XVI, Alle Carmelitane Scalze di Villair de Quart –Aosta)
e per questo motivo è in grado di guardare se stessa, gli altri, la storia degli uomini e delle donne con gli occhi compassionevoli di Cristo.
Non abdica al suo modo di vedere, ma impara a vedere veramente passando da una prospettiva soggettiva, il suo stare dirimpetto a Cristo –“davanti a Lui per tutti” (E. Stein) – guardandolo e lasciandosi guardare, ad una prospettiva d’insieme, tentando di vedere quello che vede Cristo, perché amare è guardare nella stessa direzione, è dimorare nello stesso sguardo.
Questo significa entrare nelle coordinate di Cristo, abitare nelle sue viscere di tenerezza (Lc 10,33.37), stare nella stessa lacrima, imparare a vedere nello spirito delle beatitudini (Mt 5,8), contemplare la realtà sospesi fra il cielo e la terra (Preghiera Eucaristica della Riconciliazione I), tornando a vedere, come il buon samaritano, quello che per molti è semplicemente invisibile (Lc 10,31-33).

****************************************************************

L’amore che salva dice: «Ti amo non perché sei buono, ma perché sei un amico, e ti amo tanto che alla fine sarai buono. Io, per quanto sta in me, voglio aiutarti a far emergere la parte luminosa dite».
Perdonare è l’atto più grande di tutta la creazione: rifare una novità di vita a partire dalle esperienze sbagliate, far rifiorire una creatura spenta. Solo chi è abitato dallo Spirito di Dio, è capace di questo gesto divino: aprire le realtà più chiuse, quali sono la morte e il peccato. Occorre arrivare a vedere la sofferenza più che la colpa. Il peccatore non è un gaudente: è un sofferente.
Le parole che Gesù rivolge a Giuda: «Meglio che non fossi mai nato», vogliono significare: «Infelice amico, perché con un bacio tradisci la più alta amicizia della tua vita? Quanto dolore te ne verrà di conseguenza!». Sono queste parole di pietà e di misericordia.
Anche noi possiamo diventare capaci di pietà e di amore. Là dove facciamo fatica ad amare, dobbiamo imparare a vedere, oltre la colpa, la sofferenza. Dove c’è sofferenza deve esserci, infatti, pietà. Con la fantasia del cuore dobbiamo essere un angelo amico che faccia sentire a chi soffre la nostra pietà e il nostro amore.

Dio ci aiuti ad avere pietà verso ogni creatura, a vedere la pena segreta che c’è nel cuore di ogni uomo, non bloccandoci a considerare la sua colpa. Signore, aiutaci a perdonare, a fare, come te, nuove tutte le cose. Il peccato non è violazione di una norma, non è un fatto giuridico. Per Giovanni, il peccato è il rifiuto di Cristo, è il peccato contro la luce. In questa visione emerge la grandezza sacra di ogni uomo. Siamo icona di Dio e dobbiamo essere fedeli a questa verità divina, altrimenti rischiamo di perdere la vera misura di noi e di tutte le cose. La penitenza è, dunque, il sacramento dell’ascolto, non del giudizio, è un cammino, una progressiva purificazione del nostro modo di sentire, di essere e di pensare. Nel Vangelo, infatti, la penitenza si rivela come beatitudine, festa, buona novella, un ritrovare la bellezza che ci fa nuovi, sotto lo sguardo di chi ci restituisce la vita nella sua pienezza e nella sua gioia.
(Da Vita Pastorale 2, 2009) Don Michele Do (+ 2005)

**********************************************************************


Ma come rendere visibile la presenza permanente del Risorto?
Quando, dopo il crollo del Muro di Berlino, si riunì la Prima Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Europa e si interrogò sulla nuova evangelizzazione del continente, un religioso ungherese sottolineò che l’unica Bibbia che è letta dai cosiddetti «lontani» è la vita dei cristiani. E potremmo aggiungere: siamo noi, è la nostra vita, l’unica eucaristia di cui si ciba il mondo non cristiano.
Per la grazia del battesimo e particolarmente per l’Eucaristia siamo inseriti in Cristo, ma è nella fratellanza vissuta che la presenza di Gesù nella Chiesa si manifesta e diventa operante nell’esistenza quotidiana.
Nel silenzio, due o tre credenti possono testimoniare nell’amore reciproco ciò che costituisce la loro identità profonda: l’essere Chiesa nella cura dei più deboli, nella correzione fraterna, nella preghiera in unità, nel perdono senza limiti. San Paolo dice: «Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5, 2).Ritroviamo questo orientamento nel cosiddetto «mandato missionario del Quarto Vangelo»: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35).
(Card. F.X. NGUYEN VAN THUAN )

*******************************************************************

IL SACERDOTE INDEGNO

Commento a 2 Tm 2

Dimmi: se trovandoti malato, vai dal medico, forse che, finita la cura,vai a chiedere ai medico se ha una malattia o no?
E se lui ce l’ha, te ne prendi cura tu? o perché lui è malato tu trascuri te stesso e dici: bisogna che il medico stia bene, perché lui è il medico; mi tengo il mio guaio?
Così, se un sacerdote è indegno,,che vantaggio ne ha il fedele ? Nulla; ma lui pagherà la sua parte e tu la tua infatti il divino Maestro ha già disposto “Tutti avranno la loro parte da Dio”.
E non diranno: riconosci il Signore, perché tutti mi riconosceranno, dal più grande al più piccolo”.

E
allora tu dirai: perché quel prete presiede i fedeli? perché sta:a quel posto? Ma via non stiamo a prendercela coi maestri, non diciamo male di nessuno. Rispetta quel giorno in cui lui ti ha illuminato. Se uno ha suo padre afflitto da mille mali, li nasconde.
Infatti (dice il Signore:): “Non ti vantare della miseria di tuo padre”, perché non ti è certo di vanto ma di vergogna. Anche se perdesse il cervello, tu lo devi compatire.
Ora se tanto si deve dire dei guai materiali del proprio babbo, tanto più di quelli spirituali. Rispettalo, perché ogni giorno ha cura di te. Si fa premura che tu legga le Scritture, adorna la tua casa per te, veglia per te, prega per te, sta sempre davanti al Signore per te. Abbi presente tutto ciò; pensaci e rivolgiti a lui con filiale pietà.
Ma tu mi dici: è indegno! E che ti importa? Ma forse chi non è indegno ti dà di meglio? Affatto!

Tutto avviene a misura della tua fede: non ti giova il giusto se tu non sei fedele,e non ti nuoce il cattivo se tu sei fedele. Dio ha operato prodigi anche con le vacche dell’Arca,quando volle salvare il suo popolo. Forse la vita o la virtù d’un sacerdote ha fatto altrettanto? Dio non fa tali cose in grazia della virtù d’un sacerdote. E’ già tutto grazia di Dio che ne apra la bocca; è Dio che opera tutto, lui, il sacerdote adempie solo il Credo. Pensa un po’ quanta differenza c’era Giovanni e Gesù. Senti Giovanni che dice:”Io devo essere battezzato da Te”, e “ non son degno di sciogliergli i calzari”,  Eppure, con tanta differenza, lo Spirito discese su Gesù non su Giovanni. Dice infatti (l’altro Giovanni): “Della pienezza di lui noi tutti abbiamo avuto e grazia su grazia”. Però lo Spirito non discese prima che Gesù fosse battezzato da Giovanni! Giovanni aveva il potere di farlo discendere. Allora come è avvenuto ciò? Perché tu intenda che il sacerdote non fa che applicare il Credo. Nessun uomo dista da un altro quanto Giovanni da Gesù, eppure lo Spirito è disceso, perché tu intenda che Dio può fare e compiere tutto.. Voglio aggiungere qualcosa d’altro, stupendo! Non vi stupite, non vi turbate E che è ?
L’offerta eucaristica è la stessa, che la faccia Pietro o la faccia Paolo, perché è la stessa che Cristo ha da dato da fare ai Discepoli, come quella che fa ora il sacerdote, perché non sono gli uomini che consacrano ma Colui stesso che per primo la consacrò. Come infatti le parole che il Cristo pronunziò sono quelle stesse che il sacerdote pronunzia, così medesima è l’offerta, come lo stesso è il battesimo conferito, e che Gesù istituì. E’ tutto questione di fede.
Lo Spirito investì il centurione Cornelio, perché lo Spirito ha fatto il Suo e Cornelio la sua parte con la fede. Dunque, questo pane è il Corpo di Cristo come quello. Chi invece pensa che quello sia meno di questo, ignora che Cristo ha fatto questo e quello. Sapendo ciò, poiché non invano l’abbiamo affermato, correggiamo le nostre menti, siamo più cauti per l’avvenire, vigiliamo su quanto diciamo. Se stiamo solo ad ascoltare, non profitteremo di quanto abbiamo detto.

                                                                                                        san Giovanni Crisostomo


***************************************************************************
Omelia (41) di sant'Agostino Vescovo circa la santità del presbitero.

[Al servizio di Dio, nella libertà di Cristo.]

12. Ma se quanto alla carne sei soggetto alla legge del peccato, fa' quanto dice l'Apostolo: Il peccato, dunque, non regni più nel vostro corpo mortale sì da piegarvi alle sue voglie, né vogliate offrire le vostre membra quali armi di iniquità al servizio del peccato (Rm 6, 12-13). Non ha detto: non ci sia, ma non regni.
E' inevitabile che il peccato perduri nelle tue membra; gli si tolga almeno il regno, non si faccia ciò che comanda. Insorge l'ira? non concedere all'ira la lingua per maledire, non offrire all'ira la mano o il piede per colpire.
Non insorgerebbe questa ira irragionevole se nelle tue membra non esistesse il peccato; però privala del potere, sicché non possa disporre di armi per combattere contro di te; quando non troverà più armi, cesserà d'insorgere. Non vogliate offrire le vostre membra quali armi di iniquità al servizio del peccato; altrimenti sarete del tutto schiavi e non potrete dire con la mente servo alla legge di Dio.
 Se la mente infatti controlla le armi, le membra non potranno muoversi al servizio delle voglie insane del peccato. Il comandante interiore occupi la fortezza, perché il subalterno si muova agli ordini del comandante superiore; freni l'ira, reprima la concupiscenza.
Sempre vi è qualcosa da frenare, qualcosa da reprimere, qualcosa da dominare. Che altro voleva quel giusto, che con la mente serviva alla legge di Dio, se non che non ci fosse assolutamente nulla da frenare? E questo deve sforzarsi di ottenere chiunque tende alla perfezione, che la concupiscenza, privata di membra obbedienti, diminuisca via via che uno progredisce. Sono in grado di volere il bene, - dice ancora l'Apostolo - ma non di portarlo a compimento (Rm 7, 18). Ha forse detto che non è in grado di fare il bene? Se avesse detto questo, non rimarrebbe alcuna speranza. Ha detto che non è in suo potere non il "fare", ma il portare a compimento.
E in che consiste la perfetta attuazione del bene, se non nella distruzione e nella radicale eliminazione del male? E in che consiste la eliminazione del male se non in ciò che dice la legge: Non aver concupiscenze (Es 20, 17)? La perfezione del bene consiste nell'essere totalmente liberi dalla concupiscenza, perché in ciò consiste la eliminazione del male.
Questo è ciò che afferma l'Apostolo: L'attuazione perfetta del bene non è in mio potere. Non era in suo potere non sentire la concupiscenza: era in suo potere frenare la concupiscenza per non assecondarla, e rifiutarsi di offrire le sue membra al servizio della concupiscenza. Compiere perfettamente il bene, non è in mio potere, dato che mi è impossibile adempiere il comandamento: Non aver concupiscenze. Che cosa è dunque necessario?
 Che tu metta in pratica il precetto: Non seguire le tue concupiscenze (Sir 18, 30). Fa' così finché nella tua carne permangono le concupiscenze illecite: Non seguire le tue concupiscenze. Rimani fedele nel servizio di Dio, permani nella libertà di Cristo; assoggettati con la mente alla legge del tuo Dio. Non seguire le tue concupiscenze: seguendole, le rinforzi; e se le rinforzi come potrai vincerle? Come potrai vincere i tuoi nemici, se li nutri contro di te con le stesse tue forze?

***************************************************************************

Omelia sui vangeli ( I, XVII) di san Gregorio Magno


 Per il nostro ministero in verità, i fedeli ricevono il santo battesimo, sono benedetti dalle preghiere che noi pronunciamo, e ricevono da Dio lo Spirito santo per l’imposizione delle nostre mani; essi giungono al regno dei cieli, e noi ne siamo deviati a motivo della nostra negligenza.
Gli eletti sono ammessi alla patria celeste, purificati dal ministero dei sacerdoti, mentre questi precipitano verso i supplizi dell’inferno a motivo della loro vita riprovevole. A che cosa dunque paragonerò sacerdoti indegni se non all’acqua del battesimo che, cancella i peccati dei battezzati, li introduce al regno dei cieli, ma poi deve essere posta tra i rifiuti?
Temiamo, fratelli, che il nostro ministero incorra in una vicenda simile. Facciamo di tutto ogni giorno per essere purificati dalle nostre colpe, perché non ne resti incatenata la vita, mediante la quale Dio onnipotente purifica ogni giorno gli altri dal male. Riflettiamo senza tregua a ciò che siamo, meditiamo sul nostro ministero e rendiamoci conto delle responsabilità assunte. Rivolgiamo ogni giorno a noi stessi gli interrogativi ai quali dovremo rispondere di fronte al Giudice.
Dobbiamo anche aver cura di noi, così da non trascurare il prossimo, in modo che chiunque ci accosti venga condito dal sale della nostra parola. Quando vediamo qualcuno libero e dissoluto, esortiamolo a riscattare nella condizione coniugale la sua condotta scorretta, per poter sconfiggere con ciò che è lecito i comportamenti difformi dall’onestà.
Quando incontriamo una persona  sposata esortiamola ad impegnarsi negli affari del secolo in modo da non staccarsi dall’amore di Dio, e aderire alla volontà del coniuge senza contrastare il Creatore. Se accostiamo un chierico, sia da  noi ammonito in modo da offrire ai laici un esempio di vita, perché non  si riscontri in lui qualcosa di riprovevole da cui verrebbero motivi di disistima per la nostra religione. Incontrando un monaco, esortiamolo a portare rispetto al proprio abito nel comportamento ,nella parola e nei pensieri, così da staccarsi totalmente da ciò che appartiene al mondo e da offrire al cospetto di Dio, con il comportamento i valori che indica agli uomini col proprio abito.
Se uno ha già raggiunto la santità, sia incitato perché cresca in essa; chi è ancora nel peccato sia esortato a correggersi, in modo che chi accosta in sacerdote possa partire da lui come condito con il sale della sua parola.
Riflettete con sollecitudine a tutto questo nel vostro intimo, e attuatelo al cospetto del vostro prossimo, rendendovi, così pronti a presentare a Dio onnipotente i frutti del ministero che vi è stato affidato. A queste mete, di cui si è detto, si arriverà più con la preghiera che con la parola.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)