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Don AUGUSTO TINO NEGRI, I cristiani e l'islam in Italia. Conoscere, capire, accogliere i musulmani, Elledici, Leumann (Torino) 2000(circa 10 E), pp.140

I musulmani sono oggi la più numerosa comunità religiosa presente in Italia dopo quella cattolica. Con più di 600.000 fedeli hanno superato di molto i Testimoni di Geova (400.000) che sono in ribasso, presenti sul nostro territorio nazionale da ormai un secolo poi, i protestanti di varie denominazioni (in aumento le Assemblee minori) e gli ebrei (stabili) da sempre facenti parte del nostro panorama religioso.

L'Italia è abituata a movimenti religiosi minoritari ed ha una plurisecolare attitudine alla convivenza pacifica, contrariamente alle accuse rivolte di poca ospitalità che poi, essendo l'Italia il centro del Cattolicesimo con la sede papale, si può dire tranquillamente che la stessa Chiesa ha accettato sempre la convivenza. Oggi invece dell'islam si parla sempre più spesso e sempre in modo problematico. Perché questa nuova realtà crea tante incertezze, tanti dubbi, tante domande? I musulmani portano una realtà culturale molto lontana da quella che l'Occidente e l'Italia in particolare, hanno costruito nei millenni. Ecco che lo Stato e la società italiana devono risolvere non solo problemi di accoglienza di stranieri ma un confronto di culture, uno scontro fra visioni della vita e della persona umana talora molto lontane. Se lo Stato deve dare risposte nuove, anche i cristiani si trovano di fronte a problemi importanti: come "accogliere" i musulmani? È giusto dar loro le chiese per pregare? Cos'è il dialogo interreligioso, cos'è la missione verso i musulmani? È opportuno celebrare i matrimoni misti? Perché un cristiano si converte all'islam e un musulmano al cristianesimo?…

A queste domande cerca di rispondere il recente volume di don Tino Negri I cristiani e l'Islam in Italia. Conoscere, capire, accogliere i musulmani.

Il testo cerca di esaminare molti temi con sintesi ma non per questo in modo superficiale. Può essere diviso idealmente in due parti: la prima dedicata all'informazione sull'islam e la seconda al rapporto di questo col cristianesimo.

Dopo una brevissima introduzione (p. 5), utile ad inquadrare lo scopo del saggio, l'autore cerca di individuare i motivi e le diverse tipologie della presenza musulmana in Italia (pp. 7-9) per poi passare a dare una veloce informazione sull'islam (pp. 9-24), elencando anche vari organismi e movimenti di carattere internazionale (pp. 24-28) da cui dipendono le realtà italiane (pp. 31-35).

Il secondo capitolo (pp.36-43) informa il lettore su alcune caratteristiche della vita del fedele muslim. Alcune precisazioni concernono i cibi e le bevande, il divertimento, l'abbigliamento e il calendario delle festività, per concludersi con le letture e quindi gli sforzi editoriali ad intra e ad extra intrapresi dagli organismi musulmani in Italia.

Il capitolo terzo informa sul culto e sulla dottrina musulmana (pp. 44-51) mentre il quarto (pp. 52-60) presenta il Corano prima come scrittura sacra poi come testo verso cui si è rivolto lo sforzo esegetico sia nella sua forma classica sia secondo la moderna ermeneutica.

La presentazione dell'islam si conclude nel capitolo quinto (pp. 61-70) con un esame della figura di Dio e un'indagine sull'immagine che Gesù Cristo assume nelle varie sure coraniche e nella tradizione islamica.

Questi ultimi tre capitoli fanno da ponte per la seconda parte del testo dove ci si avvicina allo spinoso problema del confronto fra cristianesimo e islam. Nel capitolo sesto (pp. 71-75) vengono esaminati con assoluta schematicità i punti di contatto fra le due fedi e subito dopo gli elementi di dissenso.

Il testo pare idealmente rivolto ad un lettore cristiano e quindi il settimo capitolo (pp. 76-78) propone una presentazione (forse un po' troppo sintetica) della teologia delle religioni cattolica a cui fa seguito una breve storia delle relazioni fra cristiani e musulmani (pp. 79-98). Largo spazio è dedicato alla condizione, spesso non felice, dei cristiani in terra musulmana sia nella sua dimensione attuale che in quella storica.

Nel capitolo nono (pp. 99-128) si arriva al vero motivo che ha spinto l'autore a scrivere il testo, ovvero al tema pastorale. Don Negri sviluppa i problemi più direttamente legati alla dimensione familiare: la scuola, l'inserimento sociale, i matrimoni misti ed il delicatissimo aspetto delle conversioni dei musulmani al cristianesimo.

Il testo si conclude con una breve presentazione delle dichiarazioni sui diritti dell'uomo e la loro parziale accettazione nei paesi islamici (pp. 129-131) per passare al non risolto problema dell'Intesa fra stato italiano e organismi islamici (pp. 132-133).

Le ultime pagine sono occupate da un elenco di organizzazioni islamiche presenti in Europa e in Italia (pp. 134-135) e da una indicazione bibliografica di base per una consapevolezza pastorale del problema che si va ad affrontare (pp. 136-137).

Il testo di don Negri risulta essere unico nel suo genere in lingua italiana. Le informazioni che fornisce sono importanti per chiunque voglia conoscere il suo interlocutore prima di iniziare qualsiasi forma di dialogo.

Le modalità con cui affronta i vari temi (sintesi e schematismo) tengono presente il poco tempo e la poca disponibilità che clero ed operatori pastorali hanno verso lo studio dei problemi prima di affrontarli. Ci auguriamo che l'autore abbia agio di sviluppare questa riflessione in una prossima opera di maggiore impegno.

Silvia Introvigne


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Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 09/11/2003 15.36
Esce il nuovo libro del priore di Bose: non si può ridurre la storia delle tre grandi religioni a violenze e conflitti (3.5.2002)

Monoteisti, politeisti ...e tanta intolleranza

«Intellettuali come De Benoist e Hillman auspicano un ritorno al paganesimo. Ma non è vero che la religione antica sia stata più pacifica»

Di Enzo Bianchi

Secondo la Bibbia, il primo omicidio è avvenuto nei pressi di un altare e dopo un sacrificio offerto a Dio (cfr. Gen 4,3-8). Ed è innegabile che nella storia il monoteismo sia divenuto motivo di violenze e guerre. Soprattutto quando il singolare «monoteismo» è stato declinato al plurale come «monoteismi», indicando con ciò le tre grandi religioni: ebraica, cristiana e islamica. Possiamo, a mio parere, distinguere tre ambiti in cui si è manifestata l'intolleranza:

a) dei monoteismi fra di loro;

b) di ciascun monoteismo al proprio interno;

c) dei monoteismi nei confronti degli altri uomini, i «pagani», i «non credenti», gli «infedeli».
a) Se ebraismo, cristianesimo e islam si rifanno all'unico Dio e si riconoscono discendenti di Abramo, padre di tutti i credenti nel Dio unico, questa comune eredità è divenuta, come spesso nelle famiglie, motivo di gelosia, di opposizione e perfino di violenza. Ciascuno dei tre monoteismi è stato persecutore e perseguitato nei confronti dell'altro monoteismo, certamente in misure molto diverse e da valutarsi storicamente in maniere differenziate (si pensi al rapporto ebraico-cristiano, in cui non vi è la ben che minima comparabilità tra le persecuzioni ebraiche contro i primi cristiani e l'antigiudaismo cristiano la cui influenza non è stata estranea alla Shoah), o comunque è stato in rapporto conflittuale e di rivalità con esso.
b) Molti periodi storici mostrano che le tre religioni hanno saputo convivere pacificamente tra loro e hanno invece rivolto al loro interno l'atteggiamento inquisitorio e persecutorio. Mostrando così che il rapporto del monoteismo con la tolleranza non è solo il problema dell'altro, ma anzitutto il problema del medesimo. Si può pensare, in campo cristiano, alle cruente repressioni degli eretici e alle lotte fra cattolici e protestanti e, in campo islamico, alle violente repressioni dell'ortodossia islamica n ei co nfronti di sette eretiche, ad esempio, durante l'impero ottomano. Nell'ambito ebraico, così pluralista e tollerante al proprio interno, si può pensare alla questione delle sette giudaiche all'epoca del secondo Tempio, alle opposizioni e agli ostracismi conosciuti dal movimento chassidico al suo sorgere o ai difficili rapporti tra ortodossi, riformati e conservatori in epoca moderna e contemporanea.
c) Il problema dell'intolleranza verso «gli altri» riguarda essenzialmente il cristianesimo e l'islam, in quanto l'ebraismo, pur avendo conosciuto qualche sussulto di proselitismo, non ha sostanzialmente mai interpretato la propria vocazione a essere «luce delle genti» nel senso di quello zelo missionario che ha suscitato in cristiani e musulmani la volontà di «rendere gli altri uguali a sé» convertendo l'umanità alla propria fede.
Detto questo, pare francamente poco fondato tacciare la forma monoteista in quanto tale di autoritarismo, violenza, fanatismo, integrismo, int olleranza. Questo è certamente uno dei rimproveri che i contemporanei propugnatori di una rinascita del politeismo pagano (Alain de Benoist, Louis Pauwels, David L. Miller eccetera) rivolgono al monoteismo. Il monoteismo, secondo questi autori, vorrebbe imporre un solo cammino di verità alla molteplicità della vita, rifiutando le differenze e imponendo il proprio punto di vista come l'unico «vero» ed esercitando così una tirannia sulle coscienze. Esso - dicono ancora questi autori - veicola l'ossessione dell'unico e dell'omogeneo, conduce alla svalutazione dell'altro, genera società totalitarie, si fa garante di un modello politico e si pone come ideologia a servizio di un potere politico. Al contrario, il politeismo rifletterebbe la molteplicità di popoli, culture e valori e perfino della mente umana. James Hillman propugna il politeismo come modello adeguato a una psicologia che sottolinei la pluralità degli archetipi.
In realtà risulta difficile non notare la funziona lità pol itica del politeismo alla religione imperiale romana e l'intolleranza mostrata nella reazione persecutoria contro i cristiani. «Quando la Roma pagana condannava a morte i cristiani per il loro rifiuto di professare il politeismo, era forse più umana dei monoteisti che hanno obbligato chi ancora restava pagano a rinnegare la propria fede?», chiede André Dumas.
Attenendomi al mio ambito religioso, il cristianesimo, si può affermare che il monoteismo politico è stato elaborato dal teologo di corte Eusebio di Cesarea, nel IV secolo. Fino ad allora il cristianesimo era stato essenzialmente religione di martiri e confessori della fede. L'alleanza fra religione e potere politico ha segnato l'epoca della cristianità ed è stata all'origine di intolleranza, violenze, guerre. Ma è anche vero che non questa è la verità del cristianesimo, bensì una sua forma di realizzazione storica che oggi molti cristiani sono pronti a dichiarare indebita.
Anche teologi cristiani, tr a cui è famoso Erik Peterson (in particolare nell'opera Il monoteismo come problema politico), hanno mosso aspre critiche al legame tra religione e potere addebitando al monoteismo la responsabilità del connubio tra fede in Dio e potere politico. Tuttavia questa tesi ha ormai mostrato la sua totale inconsistenza dal punto di vista storiografico. In linea generalissima si può vedere nell'Occidente segnato dal monoteismo una tendenza all'intolleranza, mentre l'Oriente, dominato da una visione «plurale» e «diffusa» del divino, sembra più tollerante e possibilista verso altre espressioni religiose. Tuttavia il problema non risiede nel monoteismo in quanto tale, ma nel suo uso: è questo che lo può rendere funzionale a un regime politico e dunque fattore di inimicizia e divisione tra gli uomini.

 


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Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 09/11/2003 16.06
Che cosa possiamo ricavare dalla storia?
 

La storia è segnata anche da periodi di rapporti molto stretti tra i due "mondi" (l'Islam della prima ora e l'Occidente di allora presentato dal Cattolicesimo) e da influenze reciproche talora assai feconde. Le pieghe "oggettive" della storia ci informano inoltre di compromessi di ordine politico ed economico che attraversarono i due campi: la religione passava spesse volte nettamente in secondo piano rispetto a interessi di potere e di denaro. Ma, a partire soprattutto dall’epoca ottomana, il pericolo principale per Europa cristiana è stato individuato nei Turchi musulmani. Non è facile sciogliere l’intrico inestricabile tra religione, affari e politica. Ma l’immaginario tende a demonizzare l’avversario e a santificare la difesa. Così è facile passare alla benedizione delle armi, che in realtà difendono soprattutto la cultura o l’egemonia politica, giustificandola in funzione della difesa della religione "vera" contro le contaminazioni e l’invasione da parte di una religione "falsa" e bugiarda.

Un esempio molto chiaro di questo atteggiamento ambiguo lungo la storia è vicino a noi. Basti pensare alla potenza della Repubblica marinara di Venezia, costituitasi di fatto su continui traffici ora in sintonia con i sultani del dâr al-islâm ora in lotta contro di essi. Venezia (ma Genova non era di meno) trafficò sempre con tutti, a prescindere da questioni religiose, mettendo in primo piano sempre e comunque il proprio interesse commerciale. Che cosa c’era, in realtà, dietro i suoi appelli al Papa o ai governi cristiani d’Europa per organizzare crociate contro il Turco? Veneziani e genovesi, in lotta tra loro per il possesso di concessioni e fòndachi in Costantinopoli, erano il nerbo principale delle truppe che dovevano difendere la capitale dell’impero bizantino nel 1453 dalle truppe di Maometto II; a loro volta ambedue erano fieramente odiati dai cristiani greci ortodossi di Costantinopoli, che preferivano la sottomissione al turbante musulmano che chinarsi alla tiara pontificia del Papa di Roma (e questo la dice lunga sui rapporti tra i cristiani anche in funzione antiislamica. Notiamo che l’imperatore bizantino e un riottoso patriarca avevano appena firmato, con il cappio la collo della necessità assoluta di aiuto da parte dell’occidente, l’unione delle due confessioni cristiane a Firenze, sconfessati subito dopo dai loro sudditi. Il tasso di gelosia era altissimo).

Per non parlare delle innumerevoli alleanze tra principi e re cristiani con capi musulmani per dirimere questioni e dissidi tra potentati cristiani stessi. Le medesime ambiguità ebbero naturalmente luogo anche nel campo avversario: principi musulmani stabilivano tranquillamente alleanze con i corrispondenti cristiani per questioni economiche o di potere. Ambedue le entità poi, lungo il corso dei secoli, si servirono ampiamente di organici militari o amministrativi o intellettuali del campo avverso. La storia della Spagna, con la sua splendida e tormentata presenza dell’Andalusia musulmana fino alla definitiva riconquista sotto i "re cattolici", è lì a testimoniare che la religione era spesso un palliativo, una foglia di fico per nascondere inconfessabili vergogne. La splendida e intricata storia di Federico II nell’Italia del sud, con la sua meravigliosa e illuminata corte di Palermo, è un altro esempio di collaborazione tra le tre religioni in vista di un progetto culturale e politico comune, che rimase però a livello di utopia per il prevalere di altri interessi. La storia è maestra, anche se inascoltata. Ed è piena di ambiguità e di ipocrisie, spesso farisaicamente velate dietro i paraventi della religione, un punto a favore di alcuni Pontefici di quell'epoca espanzionistica occorre darlo: più di uno impartiva ordini volti a non coinvolgere "la sede di Pietro" per questioni "di mercantinaggio", ribadendo che tale Sede aveva solo il compito di sorvegliare che la fede cristiana non subisse decapitazioni ed in questo, benchè non si dica troppo, accordi venivano conclusi per "il quieto vivere". Prima di indire le famose crociate è indiscutibile che fu proprio l'opera diplomatica di alcuni Pontefici, a partire da papa Gregorio ad evitare sanguinose guerre. La vera ambiguità ha inizio con i rapporti sempre più disastrosi con la relatà Bizantina la quale aveva capito il pericolo musulmano, e tuttavia chiusa nel suo orgoglio, non ritiene salutare alcuna alleanza per non dover scendere a compromessi con Roma, tale risoluzione sappiamo bene a cosa porterà e sarà l'inizio di tutto.

Non mi sogno nemmeno di sminuire i problemi, anche religiosi, che si pongono davanti a noi. Invito solo a non essere troppo faciloni, precipitosi, massimalisti in un senso o nell’altro. Distinguere il grano dalla zizzania è difficile sempre e per tutti. E nel breve periodo non è mai appagante.

La storia comunque, imperterrita, si ripete, con poche varianti, fino ai giorni nostri a partire dalla tormentata propaggine europea dei Balcani per allargarsi a livello planetario: definizioni di stati e di regimi musulmani come "moderati", "progressisti" o "fondamentalisti" sono spesso funzionali non a una realtà religiosa ma a rapporti di altro tipo.

Se volessimo indicare delle date che segnano altrettante fasi simboliche dei rapporti tra Islam e Cristianesimo, dovremmo indicare degli eventi che sono stampati nella memoria collettiva dell’Europa:

732: la battaglia di Poitiers segnò la fine (simbolica) della conquista araba musulmana proveniente dalla Spagna.

1099: conquista di Gerusalemme da parte delle truppe crociate. 1187: battaglia di Hattin. Saladino sconfigge le truppe cristiane e termina praticamente il Regno latino di Gerusalemme. L’atto finale è rappresentato dalla caduta in mano musulmana della roccaforte di S. Giovanni d’Acri nel 1291.

1453: caduta di Costantinopoli e fine dell’impero romano d’oriente a opera dei Turchi.

1492: conquista di Granada, con espulsione dalla Spagna di musulmani ed ebrei.

1571, 7 ottobre: battaglia di Lepanto. Vittoria non sfruttata da parte cristiana ma altamente simbolica per l’unione della cristianità e per i riflessi psicologici e soprattutto commerciali che ebbe in tutta l’area del Mediterraneo orientale. Questa vittoria fu ed è tutt'oggi il simbolo della spiritualità di Roma perchè unica nel suo genere la risoluzione dei fatti che non cercò alcun profitto, ma che si "chiuse" in una Lode e Preghiera di ringraziamento che ancora oggi ne commemora i fatti il 7 Ottobre.

1683: battaglia di Vienna e sconfitta dei Turchi. Segna la fine della grande paura da parte dei governi cristiani europei, che vedevano minacciata l’Europa centrale. Anche questa Battaglia che si ha nei periodi in cui una fascia di protestantesimo combatteva i cattolici con le armi, passerà quasi inosservata nei libri di storia di oggi. Eppure anche questa battaglia, con quella di Lepanto, assumono i medesimi contorni ed un finale risolutivo con la preghiera del Rosario che veniva in contemporanea combattuto dalla Riforma. Un paradosso, eppure una realtà ignobilmente messa da parte.

Le immagini negative dell’altro in quanto "musulmano", cosa dire oggi?

La storia del dialogo tra cristiani e musulmani è stato un lungo susseguirsi di scontri politici, culturali e religiosi, in cui le dispute polemiche hanno generato malintesi e pregiudizi che si sono rafforzati con passare del tempo.

Quali sono i pregiudizi che popolano l’immaginario collettivo a proposito dei musulmani? Provo ad accennarne alcuni tra i più comuni, sia nella storia che nell’attualità.

Anzitutto, per l’Europa e in particolare per l’Italia funziona ancora un "corto circuito", che identifica il musulmano con l’arabo o con il turco, mescolando categorie etniche con categorie religiose. Abbiamo già visto che questo assunto è vero solo in parte, anche se gli Arabi e i Turchi sono i popoli a maggioranza musulmana che circondano il mar Mediterraneo.  Il Corano invita, d’altra parte, a essere fedeli alle alleanze e accusa i non musulmani esattamente della stessa cosa che i cristiani addebitano ai musulmani. Resta per l’appunto una tradizione cavalleresca cristiana parallela che attribuisce una qualifica di lealtà ai musulmani e di slealtà ai cristiani. Passerà alla storia la recriminazione del Papa Pio II Enea Silvio Piccolomini, che suona come una terribile accusa ai principi cristiani di essere sleali e attenti solamente ai loro interessi e non alle sorti della cristianità. E parallelamente la sua lode nei confronti dei sultani musulmani, fedeli alle loro consegne. Forse non sarebbe male passare da una anonima accusa generica a rapporti più stretti con le singole persone: ci si accorgerebbe immediatamente che gli stereotipi cadono da soli. Altro aspetto del cristianesimo odierno sono i Movimenti Evangelici di matrice Protestante che pur di non prendere accordi ecumenici con la Chiesa Cattolica, stanno diventando quella fascia di cristiani fondamentalista della nostra Europa, rischiando di danneggiare i lavori di dialogo, confronto, rispetto e reciprocità finora raggiunti con molti gruppi musulmani.

Un secondo "corto circuito" è quello che identifica i musulmani con i "fondamentalisti". A parte il fatto che la terminologia stessa è nata in ambiente cristiano per qualificare gruppi di cristiani, sètte protestanti del 1600 accusavano Roma di fondamentalismo, non dimentichiamo che il fenomeno del fondamentalismo islamico è molto recente e amplificato dai mezzi di comunicazione. I corrispondenti dai paesi musulmani hanno preso l’abitudine di semplificare paurosamente i movimenti musulmani, facendo corrispondere le qualifiche all’atteggiamento dimostrato superficialmente nei confronti della cosiddetta civiltà occidentale. Le notizie che arrivano dal tanto demonizzato Iran sciita proprio in questi giorni stanno dimostrando che il processo in atto in quel paese è molto più significativo e aperto alla libertà e alla democrazia della "moderata" Arabia Saudita. I movimenti cosiddetti "fondamentalisti" o "integristi" o "integralisti" nella loro espressione violenta, armata e terroristica rappresentano una realtà, certamente, ma raggruppano di fatto una minoranza ristretta della popolazione musulmana. Tale minoranza, che ha caratteristiche di indottrinamento e di organizzazione ferrea e strutturata, riceve spesso legittimazione proprio dall’enfatizzazione che ne fanno i mezzi di comunicazione. Essa rappresenta un momento dialettico e senz’altro pericoloso nei paesi musulmani, che stanno cercando faticosamente di trovare una loro via autonoma di presenza nel mondo e una loro visibilità sullo scacchiere internazionale. L’adesione che ricevono talora dalla popolazione locale è spesso fondata sull’ignoranza e sull’unica reazione possibile a governi corrotti e despoti. L’Algeria insegna. Molti di questi movimenti, inoltre, non sono diretti contro l’esterno, ma contro la corruzione e il "paganesimo" interno. La cautela è d’obbligo anche nell’attuale situazione degli immigrati musulmani in Italia.