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Padre Sebastian Englert visse per oltre trent'anni nell'isola di Pasqua

Il missionario che investigò
gli enigmi di Rapa-Nui



di Egidio Picucci


La piccola isola che il capitano olandese Jakob Roggeween scoprì il giorno di Pasqua del 1722 in pieno Oceano Pacifico - e che per questo chiamò col nome solenne di quella ricorrenza - oggi sulle prime pagine dei giornali per il terremoto che l'ha colpita, non avrebbe interessato tanto gli scienziati e l'opinione pubblica se la civiltà che vi fiorì non fosse stata così indecifrabile. Nonostante le ricerche di molti studiosi, primo fra tutti il norvegese Thor Heverdhal che nell'isola si fermò per qualche anno, il mistero ancora rimane. L'interrogativo è fermo soprattutto sulle 400 statue colossali che giacciono nella voragine del vulcano Rano-Raraku e su quelle che, isolate o a gruppi, abbelliscono l'isola e sembrano giganti scolpiti dal vento.

Si tratta di statue alte dai cinque ai dodici metri, rappresentanti figure umane, affondate nel terreno fino al petto, alcune con i lineamenti piatti, altre con il volto e il cranio appuntiti e il lobo delle orecchie smisuratamente grande. Alcune furono trasportate in riva all'oceano, quasi per frenare l'impeto quotidiano del vento, dove vennero innalzate con un sistema sconosciuto e sorprendente, se si pensa che i colossali monoliti pesano fino a 50 tonnellate l'uno.

Cosa rappresentino questi giganti pietrificati - chiamati moai e molto somiglianti a consimili espressioni scultoree polinesiane - non si sa, e forse non si saprà mai esattamente.

La supposizione più fondata le crede una materializzazione degli spiriti degli antenati. Ugualmente misteriose sono le "tavolette" scoperte nel 1861 dal primo missionario sbarcato nell'isola, padre Eugène Eyraud, e decifrate dal dotto Werner che vi ha ricavato la protostoria dell'ambiente.

Molti studi sulla civiltà e sulla lingua dell'isola si debbono al missionario cappuccino Sebastian Englert da Dillingen (Baviera), il quale vi passò trentatré anni in una solitudine assoluta. Arrivato nei primi anni trenta, quando le comunicazioni con il Cile - da cui l'isola dipende - erano quasi inesistenti e la gente non tanto "indietro" quanto "ferma" nel tempo, padre Sebastian ebbe modo di studiare a fondo la civiltà e la lingua locale. Giungendo a felicissime soluzioni che illustrò in varie opere. Tra l'altro egli afferma che i moai erano stati lavorati in poco tempo - quelli visibili oggi furono scolpiti in una cinquantina d'anni - e che furono trasportati nelle varie parti dell'isola rotolandoli su cilindri colossali.

Primo di 17 figli, Sebastian nacque a Dillingen il 17 novembre 1888. Suo padre era rettore del ginnasio di Eistatt, e probabilmente egli ereditò da lui il singolare amore per la cultura che caratterizzò la sua vita, abbinato a una naturale inclinazione per le lingue:  ne parlava correntemente sette, compreso il greco.

Dopo dieci anni di ministero in Baviera - fu ordinato sacerdote il 25 luglio 1912 - nel 1922 partì per il Cile, dove lavorò per qualche tempo a Puerto Saavedra, Villarica e Pucón. Imparato facilmente l'araucano - la difficile lingua degli indios più bellicosi del Cile, i mapuches, gli unici a non essersi mai sottomessi ai conquistatori spagnoli - si attirò la simpatia della gente e la stima degli studiosi, soprattutto dopo un famoso discorso per la prima messa del primo sacerdote locale, don Pasquale Alcapang, tenuto in perfetta lingua indigena.

Stupìta per la competenza linguistica del giovane missionario, l'università di Santiago gli propose di studiare la lingua di Rapa-Nui (grande roccia, nome indigeno dell'isola di Pasqua) misteriosa più dei moai che ne hanno portato il nome per il mondo. Padre Sebastian accettò, e nel novembre del 1935 sbarcò sull'isola, cominciando subito un severissimo studio. L'interesse per la scienza non gli fece tuttavia dimenticare d'essere innanzitutto sacerdote - riuscì a far partecipare alla messa domenicale il 90 per cento della gente - per cui si preoccupò di raccogliere l'eredità di padre Eugène Eyraud, della congregazione dei Sacri Cuori, al quale dedicò il primo libro che scrisse sulla storia dell'isola in occasione del centenario della sua evangelizzazione.

Cominciò con una grammatica, cui seguì una voluminosa raccolta di miti e leggende tribali, redatta con l'aiuto e la consulenza degli anziani. Ormai pronto al lavoro più impegnativo, si mise a studiare a fondo i caratteristici moai, soffermandosi particolarmente sul significato, sul trasporto, sulla localizzazione, facendone una catalogazione completa e mettendo insieme dati interessantissimi, illustrati in conferenze tenute in Cile e in molte nazioni d'Europa e d'America.

Pian piano egli divenne un punto di riferimento per gli abitanti dell'isola - ai suoi tempi con non più di un migliaio - che credettero con lui di uscire dalla solitudine millenaria in cui erano rimasti. Coinvolto fino in fondo nel quotidiano degli isolani, egli ebbe una vita per ogni attività:  fu maestro, medico, carpentiere, falegname, agricoltore, volendosi immedesimare con ciascuno anche nelle professioni più semplici e più umili che non avrebbero sfamato nessuno se non fossero state integrate da una comune attività di completamento:  la pesca.

Pasqua ha un bellissimo cielo, è vero, ma la bellezza di un paese non è data dal suo cielo, piuttosto dalla terra. E la terra è arida, monotona e talora anche paurosa per via di quelle statue che ti spiano come per sorprenderti e trattenerti per sempre in una terra in cui la geografia dovrebbe aprire un capitolo nuovo e diventare romanzo.

Da uomo intelligente e sensibile, padre Sebastian non ebbe mai la presunzione d'insegnare, ma fu sempre consapevole di dover innanzitutto apprendere, non solo scientificamente, ma anche umanamente. In apparenza si adattò al ritmo della sua gente, non accomodandosi però a tradizionali stanchezze, né rinunciando a far pazientemente capire la necessità di avvicinarsi al Vangelo, mettendo da parte sia il culto del sole che quello del Tangata-Manu, l'uomo uccello.
 
Forse per questo riuscì a radicare convinzioni che durano ancora:  dai suoi tempi a oggi la percentuale degli isolani che frequentano la messa domenicale è tra le più alte del mondo. In quegli anni l'isola era collegata al continente - da cui dista 3.700 km - una volta l'anno da una nave che si fermava solo qualche giorno. Nel 1951, commosso per lo stato pietoso in cui si trovavano i lebbrosi, padre Sebastian costruì un lebbrosario e vi trasferì la propria residenza, curando gli ammalati con tale amorevolezza e competenza che dopo la sua morte non s'è trovato chi abbia voluto sostituirlo, tanto che da allora gli ammalati sono accompagnati in Brasile.

Senza volerlo, il missionario fece notizia e storia, e questo non gli permise di morire a Rapa-Nui e fra i lebbrosi, come avrebbe voluto. Gli scienziati, che lo invitavano qua e là per il mondo a comunicare i risultati dei suoi studi, lo chiamarono un giorno a New Orleans, dove morì quasi improvvisamente l'8 gennaio 1969, a ottant'anni. Appena la notizia della sua morte arrivò in Cile, il presidente mise a disposizione un aereo speciale per il trasporto della salma a Santiago, dove si celebrarono esequie solenni, con la partecipazione delle più alte autorità, ma soprattutto di un'enorme folla, fra cui primeggiava una rappresentanza venuta appositamente dall'isola di Pasqua che rivendicò l'onore di avere il missionario nel proprio cimitero. Padre Sebastian riposa, così, a Hanga Roa, il capoluogo, vicino a padre Eugène Eyraud. Sulla sua tomba gli indigeni hanno scritto tre parole significative:  "Habló nuestra lengua".


(©L'Osservatore Romano - 5 marzo 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)