DIFENDERE LA VERA FEDE

Quale Diritto Canonico per la Liturgia Tradizionale? Gli abusi contro la Messa antica

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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 23/11/2011 09:43

    Ancora sulle esequie negate in Diocesi di Bergamo. "Gnocchi racconta il 'caso Gnocchi' - II parte"

    Alessandro Gnocchi, giornalista e scrittore, torna a scrivere per messainlatino.it il diario della crisi del caso "caso Gnocchi". Ricordiamo la vicenda: nella diocesi di Bergamo sono stati vietati i funerali in rito antico al padre del noto giornalista e scrittore cattolico (si legga qui e qui). Il caso, bisogna dire, ha suscitato l'indignazione generale, anche di quei cattolici lontani dalle nostre posizioni e dal tradizionalismo, fra i quali Tornielli. Molti commenti e considerazioni sono stati fatti. Ne aggiungiamo uno. Come mai dopo tante belle parole sull'apertura al mondo e alla modernità, nessuna delle gerarchie ecclesiastiche coinvolte (Vaticano, Ecclesia Dei, curia di Bergamo, vescovo di Bergamo) ha sentito la necessità non diciamo di una parola di conforto, di umanità (lo so che piace questa parola...) e vicinanza alle persone coinvolte, ma semplicemente di replicare in questa infuocata e importante questione? Comunque sappiamo benissimo che neppure questa domanda avrà risposta.
    Alessandro Gnocchi è autore di numerosi libri, scritti con Mario Palmaro, l'ultimo dei quali è il notevole "La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà (Vallecchi). Altri titoli: "L'ultima Messa di padre Pio. L'anima segreta del Santo delle stigmate"(Piemme), "Viva il Papa. Perché lo attaccano. Perché difenderlo" (Vallecchi), "Contro il logorio del laicismo moderno. Manuale di sopravvivenza per cattolici" (Piemme).



    Visto che questo appuntamento periodico minaccia di andare per le lunghe, mi piacerebbe dargli una forma che non permetta di cadere nel lamento. Vorrei raccontare i fatti miei, e nostri, anche dolorosi, con un po’ di leggerezza e brio. E con questo sono sicuro di non fare un torto a mio padre, che per parte sua era un eccellente scrittore di teatro e un altrettanto eccellente attore e capocomico.
    Ecco perché la scrittura di queste note copia in maniera evidente e dichiarata quella che il maestro Giovannino Guareschi impiegava su “Candido” nella rubrica “Giro d’Italia”.
    La pagina guareschiana era un fluire tumultuoso spezzettato da frammenti di frase riportati in neretto al centro della colonna a mo’ di titoletto. Mi rendo che è una tecnica difficile da spiegare teoricamente. Dunque, passiamo alla pratica. Con l’avvertenza che Guareschi la maneggiava da maestro e il sottoscritto la maneggia da allievo.


    MA QUESTA MESSA S’AVRA’ DA FARE - SECONDA PUNTATA
    di Alessandro Gnocchi

    Per mestiere mi occupo di giornali, dunque non leggo l’Avvenire. Però mi dicono che domenica 20 novembre, un certo Pier Giorgio Liverani ha commentato l’articolo con cui Palmaro e io abbiamo raccontato sul Foglio la vicenda del “Funerale latino negato”. Evidentemente, questo Liverani deve essere

    un giovanotto di buona volontà, ma inesperto,

    visto che la sua argomentazione è la seguente: “TRA DAT E DAF Potrebbe anche darsi che abbiano ragione i due buoni cristiani, che su un'intera pagina del Foglio protestano (giovedì 17 novembre) perché, in un paese della bergamasca, il loro parroco non ha concesso al padre di uno di loro la celebrazione del funerale secondo il rito latino nonostante il Motu proprio Summorum Pontificum. Ciò che lascia perplessi è la motivazione della richiesta: il defunto voleva «la sua messa, quella in latino ricamata di oremus, dominusvobiscum e Kyrie eleison splendidi e secolari», insomma come quel funerale che «il Peppone di Guareschi» volle «per la vecchia maestra del paese, nella bara coperta dalla sua bandiera, quella ricamata con lo stemma del re». Con tutta la pietà per il defunto e per suo figlio, va ricordato che il Motu proprio pontificio ha motivazioni più consistenti di un ricamo, anche se di "oremus" in fili d'oro. Né è giustificato il paragone satirico tra Dat e «Daf, le Dichiarazioni anticipate di funerale». Caro Liverani, se “potrebbe darsi che abbiano ragione i due buoni cristiani che scrivono sul Foglio”, a rigor di logica il suo pezzullo avrebbe dovuto fermarsi proprio lì. Non c’era bisogno sciupare con le restante povere considerazioni l’otto per mille con cui tanti buoni cattolici pagano il suo inchiostro. Ma il giovanotto, in barba al principio di non contraddizione, spiega poi che

    i “due buoni cristiani” hanno ragione, ma hanno torto

    perché chissà quali ragioni ci sono dietro la richiesta di una Messa in latino. Insomma tutta robetta inconsistente trita e ritrita, ma scritta con tale livore da far pensare che Liverani sia uno pseudonimo ispirato allo stile. Argomenti e toni a cui si è ormai abituati, ma trovarli sul bollettino dei vescovi italiani fa sempre un certo effetto. Anche perché, alla fine

    nel mirino di Avvenire, finisce il Papa

    che, con il Motu Proprio “Summorum Pontificum”, ha dato la stura a richieste di Messe che chissà quali ragioni avranno. Spieghiamo subito al giovanotto che la ragione è una sola e si chiama fede cattolica. Ma, col tempo, imparerà anche lui. Siamo stati tutti giovani e inesperti. In ogni caso, è tutto regolare: Avvenire ha difeso senza argomenti un rappresentante dell’azionista di riferimento, come fanno anche tanti giornali veri, e tutto dovrebbe essere a posto.

    In realtà non è a posto niente

    perché, la vicenda rimane aperta. Da giorni la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha in mano la relazione dettagliata della vicenda, che è stata spedita per conoscenza anche al vescovo di Bergamo. In calce si chiede che cosa deve fare un cristiano battezzato per avere ciò che il Papa ha stabilito essere un suo diritto, che cosa intende fare Ecclesia Dei per difendere tale diritto dai soprusi di episcopato e clero apertamente in opposizione al Santo Padre, come Ecclesia Dei intende intervenire presso il vescovo di Bergamo per dirgli che così proprio non va. In effetti

    Eccellenza, così proprio non va,

    non può essere vero che un vescovo frapponga tanti ostacoli a chi vuole andare a Messa. Guardi, Eccellenza, che segnaliamo tutto a Pier Giorgio Liverani, così saprà ben lui mettere al suo posto chi non fa il proprio dovere. Racconteremo magari al giovanotto di Avvenire che la sigla BG, oltre che Bergamo, ricorda tanto la Bulgaria dei tempi d’oro. Si deve sapere, per esempio, che a un fedele bergamasco della Messa in rito gregoriano

    è stata proposta la “seconda comunione”

    con rito tradizionale previa Prima Comunione riparatoria in rito nuovo. Se lo è sentito dire un fedele che frequenta abitualmente la Messa antica nella chiesetta della riserva indiana per cattolici tradizionali istituita in città. L’amico Roberto ha chiesto che i figli ricevessero la Prima Comunione durante la cerimonia con Messa antica. In via confidenziale gli è stato detto che sì, si può fare, ma prima i bambini fanno la prima Comunione con rito nuovo nella Comunità-di-appartenenza, poi fanno “un’altra Prima Comunione” nella chiesetta della riserva tradizionale. Ma, come insegna la logica

    dopo la prima, c’è solo la seconda.

    Ecco questa è la non-logica che governa la diocesi di BG (Bergamo, non Bulgaria). L’amico Roberto ha risposto che accetta volentieri se i bambini della Comunità-di-appartenenza che ricevono la Prima Comunione con rito nuovo, poi, si trasferiscono per la “seconda Prima Comunione” nella chiesetta della riserva tradizionale per dimostrare di essere in comunione con quei poveretti della Messa in latino. Risultato, i figli di Roberto riceveranno la Prima Comunione con rito antico a Venezia.

    [SM=g1740733]

    Caro Alessandro,  
    l'argomento in questione, proprio perchè esiste un senso di giustizia che vogliamo ragionevolmente portare avanti, continuerà a provocare in lei (ed anche in me) amarezza e dolore, persino derisione mascherata da parole dette per l'occasione nel tentativo di giustificare la presa di posizione di un Clero, o di un Vescovo, solo per partito preso!  
     
    Al sig. Pier Giorgio Liverani..... autore dell'articolo di Avvenire, vorrei aggiungere - a quanto da lei detto - che li "due boni cristiani" non sono solo "due", già in questa vicenda siamo in 4, in 6, in 8, in 100..... ma mentre li "due boni cristiani" hanno potuto far uscire allo scoperto certe magagne, gli altri 98 "boni cristiani", gentile Liverani, SUBISCONO senza potersi esprimere perchè il giornale dei Vescovi, Avvenire, non darà mai ad essi lo spazio necessario per rivendicare, con dovizia di termini e con santa ragione, l'abuso di una Messa antica negata....  
     
    Gentile Liverani... come "buona cristiana" non solo mi sono ritrovata 12 anni fa con mia figlia OBBLIGATA a ricevere la sua Prima Comunione nelle mani, e come "buona cristiana" OBBLIGATA a tacere e a sopportare.... ma anche noi ci siamo visti negare una Messa nella Forma Straordinaria per una anziana di 81 anni che ha avuto la malagurata idea di richiedere la sepoltura con tale Rito dopo che ricordava con gioia il periodo giovanile in cui faceva parte del Coro di santa Cecilia a Roma così da ricordare a memoria tutti i canti gregoriani per i quali non si perdeva neppure una Messa (antica), la mente nonostante l'offuscamento della senilità, non le aveva intaccato questi ricordi che, cari alla suo cuore di Cristiana, desiderava fossero ora per lei nell'estremo saluto da questo mondo all'altro mentre, appare evidente, che molti Vescovi l'hanno dimenticato...  
     
    Allora, gentile Liverani,  
    non sono solo "due" li boni cristiani.... non si presti al gioco della politica corretta perchè di tutto dovremmo rendere conto a Dio, di ogni virgola, di ogni parola, di ogni pensiero!  
    Non dipingeteci come un gregge insignificante, nostalgico, che sta appresso ai "fili d'oro" senza motivo o per puntiglio... no Liverani, dietro c'è molto di più: c'è la nostra identità di Cattolici che se è vero come dice il santo Padre essa è in quell'ermeneutica della continuità, a ragion veduta non si comprende perchè, le motivazioni adottate da questi "boni cristiani" debbano essere per forza viziate, maldestre, insignificanti, nostalgiche.... anzichè  adurre, molto più semplicemente, che in voce a quell'ermeneutica della continuità, si desidera cristianamente TRAMANDARE una Tradizione soprattutto VISIVA, visibile nel Forma di una Messa che, al contrario, continua a subire odio mascherato da certe penne del politicamente corretto!  
    No, Liverani! no!  
    Non ci sono altre motivazioni, lo scriva dal suo giornale dei Vescovi! Abbia il coraggio di dire la verità e non di interpretare, distortamente, i sentimenti di "due boni cristiani".... accanto ai quali, se solo lei ci conoscesse meglio, ci sono altri 100 ed altri tanti "boni cristiani" che subiscono, senza alcuna ragionevolezza, questi ed altri abusi, e spesso dando la colpa al Papa che con il suo MP avrebbe scatenato la guerra e la divisione....  
    Ma prima o poi arriverà il giudizio di Dio!  
    Io ci credo, e Lei?  
     
    firmato: un'altra "buona cristiana" che non si accontenta di essere "buona"...  
    LDCaterina63  
    (Dorotea)


    [SM=g1740733] molto interessante la riflessione che segue:

    Gnocchi, la messa negata: 6 riflessioni in margine.

    Pubblicato ilnovembre 21, 2011

    0


    Interrompo la letargite – che in realtà è un silenzio causato dal sormontare di troppi impegni in poco tempo, e dalla forza zero di aggiornare il blog – stimolato dal fatto tristissimo e recente destinato a passare alla storia della Chiesa come il “Caso Gnocchi”: quando un parroco di provincia nega le esequie a un defunto, causa la cattolicità del defunto che eccede gli ideologismi della canonica. La vicenda è nota e per le fonti rimando all’articolo di cronaca pubblicato su Riscossa Cristiana.

    A me piacerebbe fare 6 brevi appunti in margine al “Caso” e all’articolo, per vedere se siamo già arrivati al tragico “in Ecclesia nulla salus” o se facciamo in tempo a scamparlo.

    *

    Ma, prima di tutto, per i meno aggiornati dobbiamo fare un salto indietro di qualche anno, fino a quel fatidico 7 luglio 2007  in cui

    il Papa felicemente e faticosamente regnante ha scritto di sua iniziativa, in totale libertà e in pieno possesso delle sue facoltà mentali, che un cattolico può eccome chiedere e ottenere un rito funebre che è ancora pienamente legittimo nella Chiesa, e che nella Chiesa è stato utilizzato per accompagnare al camposanto milioni di fedeli per centinaia di anni. Il Motu Proprio Summorum Pontificum non lascia scampo ad alcuna interpretazione di segno opposto.

    Meglio, il papa ha scritto che qualsiasi prete può celebrare nel rito tradizionale (tecnicamente: nella forma extraordinaria dell’unico rito latino), e che gruppi di almeno 30 fedeli possono richiedere una messa stabile nella medesima forma del rito, etc. Per i dettagli rimando direttamente al Summorum Pontificum, e al successivo Universae Ecclesiae – 30 aprile 2011 – che ne precisa le condizioni di attuazione.

    Da allora si è smascherata una falla di sistema nel mondo cattolico, per cui è stato facile vedere chi fosse realmente fedele al papa e al cattolicesimo, e chi invece ritenesse, e ritenga, di poterne realizzare una versione fai-da-te, basata su disinformazione e pressing psicologico, prima sui preti e poi sui laici. Il tutto in nome dell’ideologia vaticanosecondista brillantemente burlata proprio da Gnocchi&Palmaro nel recente La bella addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà, Editore Vallecchi  2011.

    La situazione francamente imbarazzante dell’era post-motu-proprio (anno V del Summorum) si tocca con mano leggendo che

    il parroco non poteva essere toccato dal documento del Santo Padre dato che, candidamente, ha confessato di non conoscerlo. Così come non era al corrente del fatto che il testo applicativo del Motu proprio, l’istruzione Universae Ecclesiae, in simili casi invita il parroco a lasciarsi «guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza».

    Chiaramente dell’ignoranza del clero dovremmo chieder conto ai debiti formatori, e il cerchio è presto chiuso. Però su questo non mi dilungo.

    Veniamo ai 6 brevi appunti, emersi dalla lettura dell’articolo: 6 agghiaccianti strabismi.

    Primo strabismo: l’ideale soppianta il reale

    Il primo conflitto a emergere dalla cronaca è uno sguaiato cambio di prospettive. Se di regola la realtà si offre come base a partire dalla quale proporre con sobrietà ideali di miglioramento e perfezionamento, dalla testimonianza del don Abbondio bergamasco scopriamo che oggi le cose viaggiano alla rovescia. La realtà sparisce dall’orizzonte mentre ci viene propinato con insistenza un nuovo mondo virtuale, un mondo fatto di ideali partoriti da non-si-sa-bene-chi, il quale così – fieramente sprezzanti delle più banali regole di logica minor – pretende di edificare le uniche nuove verità in cui incubare i docili christifideles laici, o almeno i pochi rimasti. Stalin prenda nota:

    Ma, quando i problemi si sono manifestati in tutta la loro evidenza, ha tentato di dare veste teologica al sopruso con quanto gli hanno messo in testa in seminario sostenendo testualmente la seguente tesi: “Se ci fosse stata la richiesta, per esempio, di un rito bizantino, allora, in virtù dell’ecumenismo, si sarebbe fatto. Perché, in quel caso, io con il mio rito incontro te con il tuo rito e ci arricchiamo a vicenda. Ma voi chiedete un rito della Chiesa cattolica e siccome non concorda con lo stile celebrativo della comunità si può dire di no”. A questo proposito, va detto che lo “stile celebrativo” della comunità in oggetto, in materia di funerali, ha toccato uno dei suoi vertici con l’esecuzione di “C’è un grande prato verde dove nascono speranze” accompagnata dalle chitarre.

    In questo modo guastiamo in principio quanto di buono si potrebbe trovare nell’ideale, che non ha mai alcun senso al di fuori di un regime di realtà. Vale anche per la delicata faccenda dell’ecumenismo, quel poco di buono che esso aveva da darci sprofonda nell’assenza di ogni fondamento valido: come a dire, non per nulla viviamo nel cosiddetto “inverno ecumenico” (Kasper) – cosa che può rallegrare parecchi vecchio-realisti.

    Ma soprattutto qui perdiamo il reale in se stesso, e allora non veniamo poi a stupirci se la gente dotata più di buon senso che di spirito di sacrificio diserta messe e dintorni – e questo nonostante l’allettante offerta di brani da Top Ten che i liturgisti alla moda sbandierano. Procedamus.

    Secondo strabismo: l’opinione zittisce il Magistero

    La seconda freddura potrebbe intitolarsi: il tracollo della verità. In questo caso non si invertono reale e ideale, bensì si commuta l’ordine degli asserti. Ora, se è vero che mutando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, è più vero che qui non si tratta di somme ma di ragionamenti logici, appunto quei ragionamenti che ci portano dalla conoscenza meno nota a quella più nota e così via fino alla verità. Ma forse il pretame medio preferisce dedicarsi a forme di conoscenza – come dire? – sommaria (peraltro in perfetto disdegno della Summa Th). In questa zuppa la verità fa la fine dell’ospite indesiderato, e il suo posto viene subito riempito da una pletora di qualunquismi subito dogmatizzati. È così che al fedele dabbene – quello cui piace Mario Monti, se tanto mi dà tanto –  capita di vedersi pressoché imposti dalle bianche agenzie di informazione a senso unico opinionismi patenti travestiti da neo-dogmi vincolanti.

    In questa tristissima storia c’è un lato grottesco e insieme paradossale: il dispregio dimostrato dal clero interpellato nei confronti dell’autonomia del singolo. A partire dal 2008,la Conferenza EpiscopaleItaliana ha “aperto” la strada – per voce del suo autorevole presidente – alle cosiddette “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento”, le ormai famose DAT: un documento scritto nel quale la persone dice quali trattamenti sanitari intende o non intende ricevere, qualora cada in stato di incoscienza. A noi (e anche al direttore di questo giornale) queste DAT non piacciono, perché offrono un comodo scivolo alla cultura eutanasica. Ma ai fini del nostro ragionamento, la “svolta” della Cei sulle DAT serve a dimostrare che nella cultura contemporanea tutti – ela Chiesastessa – riconoscono un valore molto importante alla volontà espressa da ogni singola persona. Questa volontà non può essere arbitraria, ma se è conforme al bene deve essere assecondata.

    Ora, il paradosso del “caso Gnocchi” sta in questo fatto: se un fedele chiede, attraverso la voce di suo figlio, un funerale secondo il rito tridentino, non viene esaudito. Se invece redige le DAT rifiutando magari certe cure, agisce in conformità alla Conferenza Episcopale Italiana. Che cosa deve fare, allora, un cattolico, per ottenere quello che il Papa ha stabilito come suo pieno diritto? Forse deve chiedere le esequie in forma antica redigendo le DAT e consegnandole al parroco finché è in grado di farlo.

    Per carità, l’aggancio è letterario, se si vuole, ma il messaggio di fondo passa lo stesso: dove l’opinione è sovrana, la verità ha già fatto le valigie da un pezzo.

    Terzo strabismo: l’indefinito offusca le certezze

    Il processo di cappottamento esistenziale – una volta de-ontologicizzato il reale e  de-razionalizzata la verità – non può se non precipitare nello schiavismo dei proclama. E, si noti bene, sono tutti proclama mendicati fuori dal suolo cattolico. “Libertà”, “autonomia”, “dialogo”, “uguaglianza”, “accoglienza”, “straniero” e chi più ne ha più ne metta (e chi non ne ha più si rivolga a Fratelenzo Bose che ne ha magazzini e magazzini stipati). Ora, già è difficile uscire indenni dagli eccessi germinati in casa propria, figuriamoci che ne viene quando si corre alla cieca dietro gli errori altrui. Appunto, che ne viene? Il minimo è che non sappiamo neppure cosa fare di certi slogan. Il peggio è che li usiamo a beneficio sempre e solo degli altri – di quegli “altri” che li coniarono a loro pro. In mezzo ci finiscono i “nostri”, a patire tutte le contraddizioni e le ingiustizie della situazione.

    Questi sacerdoti si riempiono il cervello e la bocca di parole come “libertà” e come “autonomia”, e poi non sono in grado di opporsi al palese sopruso ordinato dall’alto perché “in curia mi hanno detto…”. Si riempiono il cervello e la bocca di parole come “libertà” e “autonomia”, denigrano un passato a loro dire prepotente e clericale e poi si prestano a calpestare la volontà di un morto e della sua famiglia, quella della Chiesa e del Santo Padre perché “in curia mi hanno detto…”.

    E buona notte a qualsiasi certezza. Perché quando si costruisce su principi non ben definiti, in odio alle definizioni del cattolicesimo classico, e in vagheggiamento di qualsiasi vento di dottrina un poco nuovo, tutto si fa opaco e non si capisce più che strada prendere. Generalmente a questo punto si va per la tangente.

    Quarto strabismo: il buonismo vanifica la carità

    Se i primi tre strabismi hanno toccato la parte teorica del credere, gli ultimi tre ne mostrano gli effetti pratici. Il primo è l’intorbidamento della carità. Fuori da criteri certi, ben ordinati, e saldamenti ancorati al reale, qualsiasi desiderio di fare del bene è costretto presto o tardi ad arenarsi su sterili manifesti di buonismo. Ma al nostro prossimo non serve buonismo di sorta, gli serve la carità di Cristo, che si trova pienamente nel cattolicesimo di sempre. Punto. Ah, dimenticavo: il buonismo non è mai un bene in sé.

    Eppure don Diego, al primo incontro, aveva espresso una considerazione di assoluto buon senso e di naturale umanità: “Credo che davanti alla morte e per un funerale non ci siano problemi”. Ma, quando i problemi si sono manifestati in tutta la loro evidenza…

    Così, anche nella bianca terra bergamasca, il parroco raccoglie una richiesta dei suoi fedeli, la trasmette al vicario generale, il vicario generale si confronta con chi ritiene opportuno, poi, in nome e per conto del vescovo decide come agire e il parroco esegue. E, se si fa notare all’esecutore materiale la palese ingiustizia a cui si sta prestando, rispunta la solita spiegazione: “In curia mi hanno detto…”.

    Quinto strabismo: il servo al potere tradisce il padrone in servizio

    A livello un po’ più alto scatta il patatrac. Volta la carta e scopri il puzzo di interessi che forse era meglio ignorare. Scopri cioè che il fallimento di tanti ideali, buonismi, slogan e quant’altro non è nemmeno dovuto a un inceppo logico nascosto chissà dove, ma piuttosto nasce da una malizia depositata alla radice della pianta. Scopri che è in atto uno scontro di potere tra fazioni dalla tempra più federalista di quella bossiana, roba che il senatùr c’avrebbe solo da imparare come si fa. Se per secoli la dottrina politica della Chiesa ha sviluppato l’idea di un potere e di una autorità che agisse sì con forza, ma al solo scopo di salvaguardare la sana unità dei cattolici in Cristo; ecco che ora s’innalza lo spettro di una ben diversa moda. Le diocesi rivendicano autonomia e potere, e sentono Roma come minaccia.

    Da troppo tempo, nella diocesi di Bergamo, come in grandissima parte delle diocesi dell’Orbe cattolico, comanda dispoticamente l’autorità più prossima, quella che mette paura perché minaccia di intervenire direttamente sulle persone. Roma, che sarebbe l’autorità suprema, non conta nulla.

    Nel “caso-Gnocchi”, il parroco è stato raggiunto tempestivamente da una telefonata dell’ Ecclesia Dei, organismo istituito in Vaticano per occuparsi della spinosa materia. Una volta di diceva: Roma locuta, causa soluta. E invece non è bastato l’intervento telefonico dal Vaticano a sgomberare il campo dagli ostacoli opposti alla celebrazione del funerale vecchio stampo: i motivi pastorali, la volontà del vicario episcopale, e via cavillando in un crescendo ben più intricato del latinorum di don Abbondio. Dove si vede un ulteriore paradosso della Chiesa post conciliare: le diocesi agiscono in una sorta di semifederalismo dottrinale e gerarchico, nel quale Roma non comanda più. E dove un qualunque prete di provincia conta di più della Commissione Pontificia Ecclesia Dei.

    Adesso si capisce come mai il fallimento di idee quali “servizio”, “comunità”, “conciliarità”, “accoglienza” e simili panettoni, perché essi han solo fatto da maschera a desideri più profondi e inconfessati: “indipendenza”, “autogestione”, “controllo”, etc. Insomma, una volta congedato il potere a beneficio dei molti e a tutela dei più deboli, spalanchiamo le porte ai servetti che amano spadroneggiare in nome della diaconia. Si dice: “Quando il gatto non c’è…”, ma appunto qui sta il misfatto: il gatto c’è e fa quel che può. Ma è chiaro che i motu proprio felini non piacciono nella terra del papa buono e oltre.

    Sesto strabismo: il paternalismo ha cacciato il Padre

    Infine restiamo noi. Detronizzate la realtà, la logica e la verità. Deposte la carità e la legittima autorità. Restiamo noi in balìa degli omini di burro delle curie. Parroci sorridenti che si trasformano in arpie se gli tocchi i loro miti (tra i quali a volte non figura nemmanco il Cristo – almeno non quello dei Concili e dei dogmi cattolici). Macchiette del perfetto post-bolscevismo le quali sanno cosa è bene per te, prima ancora che te ne sorga il bisogno. Per te è bene il vaticanosecondismo.

    Naturalmente, su tutti i colloqui con il parroco aleggiava lo spirito del Vaticano II e la consegna di difenderlo a oltranza inculcata nell’animo dei poveri sacerdoti formati in questi decenni: “Perché voi dovete sapere che il Vaticano II…”, “Non vorrete mettere in dubbio il Vaticano II…”, “Dovete capire chela Chiesa, a partire dal Vaticano II…”, eccetera, eccetera.

    E allora perché stupirsi dell’apostasia mica tanto silenziosa della Chiesa post-conciliare? La gente chiede il Padre, e gli propinano i paternalismi delle ideologie conciliari. Una super carità, però non tanto caritatevole con la tradizione; un super servizio, però non tanto docile al papa; un super dialogo, però non tanto chiaro con i riti di sempre. E la solfa continua, tutta uguale. E poi coinvolgimento dei laici, sì, ma solo dopo avergli ostruito tutta una serie di esperienze ed occasioni.

    Perché la vera ragione pastorale del divieto l’ha spiegata bene don Diego: “Sela Messaviene concessa qui, poi bisogna concederla anche dalle altre parti”. Insomma, bisogna evitare il contagio. Ma mio padre, anche se non ha compiuto l’ultimo viaggio con la sua Messa, continua a essere contagioso: si chiama Vittorino Gnocchi e sono orgoglioso di lui.

    Orwell sorride, ma anche Chiappino. Perché poi la gente si stufa di ricevere carezzine e mezze-verità; e purtroppo spesso preferisce andarsene altrove; e buona notte alla salus animarum prima preoccupazione della Chiesa.

    Conclusione

    “In Ecclesia nulla salus?” È la nuova domanda che mi porto appresso, chiaramente in modo retorico, essendo egualmente allergico ai due termini allitteranti “sedevacantismo” e “vaticanosecondismo”.

    Una domanda cui si affiancano le scene dei funerali del Sic, dove la dottrina lascia spazio a possibili fenomeni di channelling, con le moto da corsa a surrogare la vita dello sportivo, «una alla destra e una alla sinistra» del feretro mondanizzato; il prete accondiscendente in nome del “dialogo” e della “accoglienza”; la curia agiata nelle sue bambagie; e migliaia di fedeli a salutare il transito della morte in ottemperanza a loro più prossimo maestro, Steve Jobs probabilmente.

     

    Caro Gnocchi, lei si consoli, papà certo ora vive la gloria del Paradiso, e quella non c’è ideologia né diocesi che possa cambiarla. Intanto preghiamo perché Qualcuno cambi le ideologie e le diocesi, e chissà che proprio papà non interceda meglio da lassù.





    [Modificato da Caterina63 23/11/2011 20:22]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)