00 18/03/2010 19:35

Per la festa di san Giuseppe





Nella festa di san Giuseppe, onomastico del Papa, come ogni anno "L'Osservatore Romano", sicuro di interpretare tutti i suoi lettori, si unisce a quanti - e sono tantissimi, nella Chiesa cattolica e al di fuori dei suoi confini visibili - sono vicini con affetto e simpatia a Benedetto XVI, e a chi prega per lui l'unico Signore, come al giornale quotidianamente siamo soliti fare all'Angelus con le parole semplici e solenni dell'Oremus pro pontifice nostro.

Non è un caso che il nome di battesimo del Papa sia quello dell'uomo giusto e umile che custodì la piccola famiglia vissuta nel villaggio di Nazaret, del santo caro alla devozione cristiana che Pio IX volle proclamare patrono della Chiesa universale. Come ogni nome, anche quello di Benedetto XVI racchiude in sé un disegno provvidenziale, che esprime il senso di una testimonianza e di un servizio insostituibili alla Chiesa e alla famiglia umana.
 

g. m. v.







Un concerto con musiche di Haydn per l'onomastico del Papa

Sette adagi
per sette parole



In occasione della solennità di san Giuseppe, il 19 marzo nella Sala Clementina in Vaticano si tiene un concerto che vede in programma Le sette ultime parole di Cristo sulla croce di Joseph Haydn nella versione curata da José Peris Lacasa ed eseguita dal quartetto d'archi Henschel e dal mezzosoprano Susann Kelling.

L'opera musicale Le sette ultime parole di Cristo sulla croce, di Joseph Haydn, è una delle più rappresentative del secolo dei Lumi.

Più di duecento anni ci separano da quell'epoca e, nonostante questo, il suo messaggio spirituale e il suo potenziale espressivo conservano tutta la loro attualità e il loro potere di suggestione. La meravigliosa luce che emana da ciascuna di queste pagine si è mantenuta intatta grazie al genio creativo, alla ricchezza interiore e alla capacità di simbolismo poetico/musicale del maestro di Esterházy.

Sette movimenti lenti - otto se contiamo l'Introduzione - realizzati con una tale varietà di soluzioni nell'invenzione musicale, nei ritmi, nella dinamica, nelle tonalità, nella scelta dei temi, e in un quadro sonoro ed espressivo eccezionale, che si perde totalmente coscienza della successione di brani di aspetto e dimensione molto simili.

Ma soprattutto va segnalato il fattore essenziale che dà un valore assolutamente speciale a questo ciclo:  il clima espressivo è sempre di un'intensità e di un fervore immensamente emozionanti. Haydn così lo intendeva, quando egli stesso ci espose la sua idea:  "Ogni sonata, o ogni testo, è espresso con i soli mezzi della musica strumentale, in modo tale che esso susciterà necessariamente l'impressione più profonda nell'anima dell'ascoltatore, anche il meno avvertito". (Lettera dell'8 aprile 1787 al suo editore londinese William Forster).

Nel momento in cui ricevette questo speciale incarico, all'inizio del 1786, Haydn era già un maestro famoso, conosciuto in tutto il mondo musicale, ma subito si sentì affascinato dalla particolare difficoltà del progetto. Nella sua autobiografia, il canonico Maximilian Stadlér (1748-1833) ci spiega che si trovava in casa di Haydn quando ne arrivò la richiesta:  "Domandò anche a me che cosa ne pensassi. Risposi che la cosa migliore mi sembrava, per cominciare, l'adattare alle parole una melodia appropriata, e ripeterla poi con i soli strumenti. È quello che fece, ma ignoro se ne avesse anche lui avuto l'intenzione".


Nel 1801, al momento della pubblicazione da parte di Breitkopf & Härtel della versione vocale dell'opera, fu pubblicato un testo esplicativo e abbastanza plausibile, redatto da Georg August Griesinger (1769-1845), prossimo biografo di Haydn, nel quale ci vengono descritti il contesto e le circostanze di questa creazione, secondo le precise parole dell'autore:  "Circa quindici anni fa, un canonico di Cadice mi ha chiesto di comporre una musica strumentale sulle Sette Ultime Parole di Cristo in Croce. C'era allora l'usanza, nella cattedrale di Cadice, di eseguire ogni anno, durante la Quaresima, un oratorio il cui effetto era singolarmente rinforzato dalle circostanze seguenti. Muri, finestre e pilastri della chiesa erano rivestiti di tela nera; solo una grande lampada appesa al centro rompeva questa sacra oscurità.

A mezzogiorno si chiudevano tutte le porte, e allora cominciava la musica. Dopo un preludio appropriato, il vescovo saliva in cattedra, pronunciava una delle sette Parole e la commentava. Quindi discendeva dalla cattedra e si prosternava davanti all'altare. Questo intervallo di tempo era riempito dalla musica. Il vescovo saliva in cattedra e ne discendeva una seconda, una terza volta, e così via, e ogni volta l'orchestra interveniva alla fine del sermone. Io ho dovuto tenere conto, nella mia opera, di questa situazione. Il compito, che consisteva nel produrre una successione di sette Adagi, ciascuno della durata di circa dieci minuti, che mantenessero in raccoglimento gli ascoltatori, non era dei più facili".

Ci si è posto un dilemma fondamentale:  possiamo oggi cogliere pienamente il messaggio che Haydn ci vuole trasmettere con la sua musica, ignorando il contesto della sua gestazione e della sua funzione originaria? In altre parole:  come adattare a questo secolo ventunesimo un rituale così particolare, senza tradire il suo senso profondo e senza cadere in una riduzione estetica di un'opera eminentemente spirituale? Più di duecento anni sono passati dalla sua creazione, due secoli tra i più intensi e drammatici di tutta la storia dell'uomo.

Due secoli cruciali, che sono stati testimoni della dura lotta dell'uomo per una lenta e difficile conquista d'ideali di giustizia e libertà, tolleranza e solidarietà. Due secoli che, nonostante questo e l'enorme progresso scientifico e tecnologico, sono anche stati, e sono ancora oggi, testimoni di terribili atti di crudeltà e fanatismo, di barbarie e disumanità. Diceva Miguel de Cervantes, per bocca di Don Chisciotte, che "dove c'è musica non ci può essere del male". Ma possiamo, dopo Auschwitz, credere ancora nella capacità della musica e della bellezza di farci più sensibili e più umani? Certamente no, se riusciamo a cogliere e apprezzare soltanto la sua dimensione estetica. Senza dubbio sì, se siamo capaci di percepire pienamente anche la sua dimensione spirituale.







(©L'Osservatore Romano - 19 marzo 2010)




[Modificato da Caterina63 18/03/2010 19:39]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)