La Bibbia ebraica fu tradotta in greco nel III secolo a.C. per poter essere capita dagli ebrei residenti fuori della Palestina, i quali non conoscevano l'ebraico, ma parlavano il greco, diffuso in tutti i paesi del Mediterraneo orientale. La versione fu compiuta ad Alessandria e fu detta dei Settanta, perché si credette compiuta da settanta dotti ebrei, e rappresenta il canone alessandrino. Dopo la versione dei Settanta si ebbero quelle, pure greche, di Aquila, Simmaco e Teodozione, che Origene nel III sec. riunì in una grande opera chiamata Esala (Sestupla), perché in sei colonne parallele dava il testo ebraico, lo stesso trascritto in lettere greche, poi le altre versioni greche citate. Di quest'opera esistono esigui frammenti. Dell'Antico Testamento esistono anche versioni aramaiche, o targumim. Dell'intera Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) esistono antiche versioni in lingue orientali: in lingua siriaca (la più nota è la Peshitta [Pešitta', usuale, semplice]), in lingua copta, armena, etiopica, georgiana, araba. Le antiche versioni in lingue occidentali sono: la gotica, la paleoslava e la latina. In quest'ultima lingua esistettero dapprima due o tre versioni: l'africana e l'itala (II sec.) e, forse, l'europea (II-III sec.). Nel IV sec. san Girolamo tradusse l'intera Bibbia in gran parte dai testi originali; è questa la versione detta Vulgata che per la Chiesa cattolica è autentica, come ha definito il concilio di Trento, cioè fa testo in materia di fede e di costumi. (cf, Enc. Rizzoli 2002). Esamineremo ora, nelle linee generali, il lento processo di “canonizzazione”, o formazione del canone, dei libri ispirati, dopo aver premesse alcune necessarie nozioni. Presso gli scrittori profani canone indicò primitivamente il fusto di una canna e per estensione ogni bastone diritto e lungo. Ora siccome gli antichi per misurare si servivano di una canna, questo termine assunse presto il senso derivato di misura, regolo, anche in senso metaforico, e quindi regola, norma, modello, con applicazioni persino alla grammatica e all’arte. Presso gli scrittori ecclesiastici il termine canone conservò il significato di norma, regola, e venne usato in rapporto alla fede e ai costumi, alla disciplina (specialmente del clero), alla liturgia, e soprattutto alla Sacra Scrittura, considerata come regola suprema di fede e di vita. L’espressione “canone biblico” indica fin dal sec. III il catalogo ufficiale dei libri ispirati, i quali, per la loro divina origine, costituiscono la regola della fede e dei costumi. |