00 23/03/2010 14:56
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Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.08
L’ispirazione, considerata nel libro ispirato non può ammetter gradazioni diverse. Quindi non c’è qualche libro che sia ispirato più o meno di un altro, e la Chiesa li accoglie e li tratta tutti “con uguale sentimento di pietà e di rispetto”. Perciò è da riprovare la graduatoria ammessa:
a) dagli Ebrei del Medio Evo, i quali ritenevano che la “Legge” fosse dovuta alla bocca di Dio, i “Profeti” allo Spirito profetico, e gli “Scritti” allo Spirito Santo, attribuendo alla prima categoria maggiore autorità che alla seconda e alla seconda più che alla terza;
b) da alcuni protestanti moderni, i quali identificando l’ispirazione con un certo entusiasmo religioso, distinguono un grado di ispirazione supremo (per es. in alcuni salmi), uno medio (per es. nell’Ecclesiaste), uno infimo (per es. nel libro di Ester);
c) da alcuni cattolici, i quali attribuirono minore autorità ai libri deuterocanonici, pur ritenendoli ispirati.
Nella Scrittura tutto è ugualmente ispirato, perché tutto è effetto della cooperazione di Dio con l’uomo, quindi ogni libro della Scrittura è ugualmente ispirato, e in ciascun libro sono ispirati tutti gli elementi che lo compongono.
Il prologo del terzo vangelo (Lc 1,1-4) e del 2 Mac (2,19-32), le finali del 2 Mac (15, 37 ss.) e dell’Eccle. (12,10-12) rivelano che il compito degli agiografi fu tutt’altro che puramente materiale, che essi non si possono immaginare come dei pensatori solitari al tavolo di lavoro, investiti del carisma divino nel momento preciso della composizione del libro e lasciati a se stessi, una volta terminata l’opera. Quando  un autore incomincia a scrivere ha già una dote di conoscenze e di esperienze alle quali la Provvidenza divina non fu assente: da esse infatti dipenderà la redazione del libro.
Se Dio è autore della Scrittura (nel duplice senso di causa e di scrittore), dunque la S. Scrittura è Parola di Dio ed essendo Dio infallibile, anche la sua parola è immune, di diritto e di fatto, da ogni errore.
E’ tuttavia indispensabile rinunciare alla visione semplicista e pericolosa, in quanto espone ad errori, che vorrebbe vedere in ogni enunciazione biblica l’affermazione di verità divine.
L’agiografo non scrive di tutte le cose in modo assoluto, cioè come sono in sé, ma secondo la misura in cui interessano al suo scopo; il suo modo di vedere e di esporre le cose, il suo grado di affermazione è condizionato allo scopo concreto che intende assegnare alla propria opera.
E’ questa un’osservazione di capitale importanza per valutare le tracce divine nei libri ispirati e su di esse si ritornerà in seguito.

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Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.09
Ogni affermazione autentica contenuta nella Scrittura è sempre parola di Dio almeno estrinsecamente, poiché è ispirata, cioè scritta dall’agiografo sotto l’influsso carismatico, per il fatto solo che è contenuta nella Scrittura, che è ispirata in ogni sua parte. Invece le affermazioni (benché autentiche) della Scrittura non sono parola di Dio intrinsecamente (cioè nel loro contenuto) quando riportano parole altrui, non sempre considerate come vere. Per es. in Sal 14,1; 53,1 si legge: “L’empio dice in cuor suo: non esiste Dio”. L’affermazione Dio non esiste è parola di Dio solo estrinsecamente, in quanto mediante l’agiografo Dio attesta che l’empio pensa così; ma il suo contenuto è condannato nella Scrittura come degno dell’empio.
Le affermazioni contenute nella Scrittura sono parole di Dio estrinsecamente e intrinsecamente:
a) quando sono affermazioni dell’agiografo in quanto tale, ossia in quanto ispirato. – Tutto ciò che l’agiografo asserisce, enunzia, insinua, va ritenuto come asserito, enunziato, insinuato dallo Spirito Santo -;
b) quando sono messe in bocca a Dio stesso o a Cristo, persona divina, o a persone che rappresentano Dio (angeli, profeti, apostoli presentati come organi della rivelazione), o che da Dio sono mosse a parlare (Maria SS., Elisabetta, il vecchio Simeone, il pontefice Caifa, il profeta Balaam);
c) quando sono approvate dall’agiografo esplicitamente o in modo equivalente.
Pur degnando di abbassarsi, per così dire, al livello dell’uomo prendendone in conto proprio i pensieri, i lavori e il libro che ne risulta, Dio sorpassa però in modo infinito lo strumento umano: questa trascendenza dell’azione divina non manca di farsi sentire nei Libri Sacri. Se, infatti, il senso primario delle parole è quello concepito e voluto dall’agiografo, Dio  – autore di tutta la Sacra Scrittura – ha potuto preparare alle parole dell’agiografo delle applicazioni e degli sviluppi che sfuggivano alla sua coscienza umana; Dio ha potuto fargli scegliere quelle determinate parole, fargli raccontare quei dati avvenimenti ai quali egli si riservava di dare risonanze nuove sotto la penna di altri agiografi per ulteriori tappe della rivelazione, ad esempio nelle sue lettere Paolo spesso spiega il significato di alcuni passi del V.T. alla luce del Nuovo.
I Padri insegnano che tutto nella Scrittura ha origine dallo Spirito Santo; ed in pratica ricavano significati profondi da qualunque particolare, anche a prima vista insignificante.
In ogni caso non bisogna esagerare nel studiare il significato di ogni singola parola, ma  è più importante capire il concetto delle frasi, cioè è più importante capire l’insegnamento che Dio ci dà.
Se l’agiografo non avesse nessun ruolo attivo (cultura personale, esperienze ecc.) nella stesura del libro, allora tutti i libri sacri dovrebbero presentare uno stile unico; viceversa ogni libro rivela lo stile dell’autore umano. Inoltre è impensabile che le differenze e le imperfezioni di stile e di lingua dovrebbero attribuirsi a Dio.

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Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.11
Ci aspetteremmo un unico stile qualora l’ispirazione verbale consistesse nella rivelazione, in una dettatura di ciascuna parola da parte di Dio. Invece l’ispirazione verbale consiste in questo: l’agiografo sceglie liberamente la parola sotto l’influsso divino.
La varietà di stile propria di ciascun agiografo attesta che egli esercita liberamente la sua attività propria, benché sotto l’azione efficace dell’ispirazione.
Se ogni singola parola fosse ispirata non si spiegherebbero le divergenze nei passi paralleli, specialmente nei punti più importanti, come nelle parole della consacrazione e nel Pater nostro, che certo furono pronunziate dal Signore in un solo modo, oppure i diversi modi di raccontare ciò che c’era scritto nella parte superiore delle croce nel momento della crocifissione.
Anche fra i cattolici vi furono alcuni che deviarono il giusto concetto di ispirazione, tra questi  ci fu Sisto da Siena (1529 d.C.) Leonardo Lessio (1623 d.C.)  Giacomo Bonfrère, suo discepolo (1642 d.C.) e anche il benedettino D. Haneberg, ma il magistero della Chiesa non diede seguito e credito alle loro tesi.
L’enciclica Providentissimus Deus così descrive l’ispirazione: “Lo Spirito Santo con un’azione soprannaturale eccitò e mosse gli agiografi a scrivere e li assistette mentre scrivevano in modo tale che essi concepissero rettamente con la loro intelligenza tutte le cose che Egli voleva, si proponessero di scriverle fedelmente e le esponessero in forma conveniente, secondo verità infallibile; altrimenti Egli non sarebbe più autore di tutta quanta la Scrittura”. 
Dunque l’ispirazione nell’agiografo è luce alla mente, mozione alla volontà, assistenza alle facoltà esecutive.
Di ogni libro della Scrittura è ispirato direttamente solo il testo originale, anzi a rigore solo l’autografo (cioè il manoscritto originale) dell’autore ispirato. Le copie sono ispirate equivalentemente cioè se ed in quanto trascrivono fedelmente l’autografo. Le traduzioni in altre lingue sono da considerarsi ispirate equivalentemente, se ed in quanto riproducono fedelmente i pensieri e, fin che è possibile anche la forma letteraria dell’originale.
L’enciclica Divino afflante Spiritu invita gli esegeti a indagare “le condizioni di vita” e “in qual tempo sia vissuto” l’agiografo; la stessa enciclica, facendo sue le parole di S. Atanasio, ed estendendole a tutti i libri della S. Scrittura avverte: “Qui, come in ogni altro luogo della Scrittura si ha da fare, deve osservarsi in qual occasione abbia parlato l’Apostolo, chi sia la persona a cui scrive, per quale motivo le scriva; a tutto ciò si deve attentamente e imparzialmente badare, perché non ci accada, ignorando tali cose o fraintendendo l’una o l’altra, di andare lontano dal vero pensiero dell’autore”.

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Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.15
Inoltre alcune volte lo scrittore descrive i fenomeni della natura con linguaggio figurato, specialmente nei libri e brani poetici. Perciò, quando dice, per es., che le stelle “si rallegrano e rispondono all’appello divino”, sarebbe errato concludere da questo e simili testi che la Scrittura concepisce la natura come animata: è solo un linguaggio poetico che, attraverso un’ardita ma bellissima metafora, vuole esprimere una realtà più elevata: l’onnipotenza divina, al cui comando gli astri sono perfettamente soggetti.
Ecco quindi che Giosuè dicendo: “fermati o sole, fermati o luna” non ha voluto dettare formule fisiche, matematiche e astronomiche, ma usando un linguaggio poetico ha voluto sottolineare l’onnipotenza di Dio che domina tutto l’universo e qualsiasi prodigio gli è possibile, infatti lo scorrere del tempo si fermò per un po’ ad opera di Dio.
S. Agostino a chi voleva indagare che cosa la Scrittura insegnasse intorno alla configurazione del cielo, rispondeva che “lo Spirito Santo non volle insegnare agli uomini cose che non hanno alcuna utilità per la salvezza eterna… Il Signore non promise lo Spirito Santo per istruirci intorno al corso del sole e della luna: Egli voleva fare dei cristiani, non dei matematici”.
Anche ai nostri giorni gli stessi scienziati nella conversazione corrente usano lo stesso linguaggio e dicono: “il sole sorge, il sole tramonta” pur sapendo benissimo che la realtà è diversa. Tuttavia ai sensi sembra che sia il sole, e non la terra, a muoversi, e ciò basta a giustificare il linguaggio corrente, come anche il linguaggio biblico (Eccl 1,5 s.).
Galileo nella sua lettera a Madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana, partendo dal presupposto che la Scrittura non può mai mentire, sottolinea che la Scrittura non ha uno scopo scientifico ma religioso, e cita ripetutamente un detto del Baronio, cioè “che è intenzione dello Spirito Santo d’insegnarci (nella Scrittura) come si va in cielo, non come va il cielo.
Nell’antichità (tanti secoli prima di Galileo) infatti il cielo era descritto come un’immensa volta solida, poggiata su colonne; esso divide le acque in due parti: quelle al di sopra e quelle al di sotto del cielo. Le acque superiori formano un gran serbatoio che Dio apre quando vuol mandare la pioggia; le acque inferiori formano l’oceano, nel quale si trovano le fondamenta della terra. Anche la neve e la grandine si trovano in grandi serbatoi collocati al di sopra della volta del cielo; i venti pure sono tenuti come in grandi serbatoi. Sulla volta del cielo sono infissi gli astri, dei quali i maggiori sono il sole e la luna; la terra poi è supposta immobile mentre il sole le gira intorno (Gen 1,6-8; 16; 7,1 ss. Giob. 26,11; 37,18; 38,22 ecc.). Questa descrizione, corrispondente alla concezione non solo degli Ebrei, ma di tutta l’antichità, non è scientifica, ma è fatta secondo ciò che appare ai sensi. Come anche in Isaia 40,22 si legge: “Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette”. Alcune traduzioni come la Diodati traducono “Egli siede sopra il globo del mondo…” oppure in Pr 8,22 leggiamo: “dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo.”

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Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.17
In ogni caso bisogna sempre comprendere ed accettare il concetto del messaggio divino, le singole parole possono riferirsi a fatti o cose che i sensi umani percepiscono, ma non necessariamente debbono corrispondere alla realtà scientifica.
Bisogna stare sempre attenti nel valutare i contenuti biblici, altrimenti si va a cozzare contro alcune apparenti contraddizioni che troviamo nella Bibbia. In realtà la Bibbia non si contraddice mai, e in nessun versetto, basta solo saper riconoscere lo scopo dei messaggi divini.
Ad esempio nelle S. Scritture troviamo diverse imprecazioni, per imprecazioni s’intendono le espressioni che augurano del male. Le imprecazioni che si trovano nella Bibbia hanno per oggetto svariati mali e castighi temporali, e persino la morte; sono contenute soprattutto nei salmi così detti “imprecatori”.
Queste imprecazioni sembrano espressioni di odio personale contro il nemico e contrarie alla virtù della carità. Per risolvere tale difficoltà bisogna esaminare caso per caso, tenendo presenti i principi che seguono.
Nell’A.T. vigeva la legge del taglione legge dura ma in sé giusta, perché basata sul principio, moralmente onesto, che la colpa deve essere adeguatamente punita. Questa legge era largamente diffusa nel mondo semitico e Dio l’aveva approvata anche per il suo popolo.
Non va giudicata in base al precetto evangelico del perdono, anzi dell’amore verso i nemici
(Mt 5,43-48); rispetto ad esso è certamente imperfetta, ma in sé non si può dire disonesta.
Le imprecazioni si presentano generalmente non come sfoghi di odio personale, ma come invocazioni a Dio perché compia la giusta vendetta secondo la legge del taglione o portando ad esecuzione le sue minacce di maledizione contro i trasgressori della Legge (Lev 26, Dt 28).
Il motivo per cui l’imprecante è perseguitato è il suo attaccamento alla legge di Dio; così la causa personale diventa la causa stessa di Dio che ha promesso le sue benedizioni ai fedeli.

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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.27

Egli è mosso dunque dal sentimento della giustizia (caratteristica dell’A.T.), meno perfetto del sentimento della carità (caratteristica del N.T.). Che questi appelli alla giustizia di Dio, affinché vendichi il diritto violato, contengano anche una parte di risentimento personale degli autori umani, è comprensibile; “i cristiani che seguono (e che seguiamo) così male gli esempi e insegnamenti del Cristo, non hanno diritto di scandalizzarsi; farebbero meglio ad attingere da essi uno zelo più ardente per l’avvento del Regno di Dio che deve stabilire la giustizia definitiva.
Ecco perché nella dottrina cattolica troviamo che il N.T. contiene alcune cose caduche e imperfette, queste cose temporanee vengono adempite e completate nel Nuovo Testamento, in quest’ultimo non vige più ad esempio la legge del taglione, ma la frase “porgi l’altra guancia”, che deriva dalla carità predicata da Gesù.
Certe imprecazioni sono da considerarsi piuttosto profezie. Così S. Pietro ha applicato il Salmo 109,8 (contro un traditore) a Giuda, traditore di Gesù.
Anche quando nella Bibbia troviamo lodi verso qualcuno, sarebbe opportuno saper discernere correttamente, infatti la lode generica di un personaggio, non implica affatto l’approvazione di tutte le sue azioni. Così il lettore può facilmente notare il contrasto fra la poligamia di Lamec (Gen 4,19) e l’unità del matrimonio come fu inizialmente istituito da Dio stesso (Gen 2,23). “Se la Scrittura narra certi fatti non è perché li imitiamo ma perché ce ne guardiamo” (S. Agostino).
Così l’elogio delle due levatrici in Es 1,19 s. non implica l’approvazione della loro bugia, né l’elogio di Giuditta comporta l’approvazione del suo inganno (Giudit. 10,11 ss.).
Tenendo presenti i suddetti principi si può apprezzare rettamente ciò che la Scrittura dice intorno alla guerra. Vi sono però casi in cui Dio stesso dà ordine di distruggere città, di sterminare popoli (Num 21,2 s.; Dt 7,1-6; anzi la riprovazione di Saul ebbe inizio dalla trasgressione di un ordine simile: I Sam 15). Bisogna allora notare che tali ordini avevano lo scopo di prevenire il pericolo che gli Israeliti si lasciassero trascinare all’idolatria e alla corruzione dei costumi: nel conflitto tra il bene materiale altrui e il bene spirituale proprio, a quello fu preferito quest’ultimo. Inoltre Dio, padrone della vita e della morte, si servì del popolo eletto per punire le popolazioni cananee delle loro gravi perversioni morali (Gen 15,16; Dt 9,4 s.; 18,9-12; Sap 12,1-7)
Malgrado l’altezza dei principi morali che contiene, l’A.T. non è un codice morale: esso testimonia l’attività di un Dio condiscendente che volle adeguare la propria azione alla debolezza umana
(Mt 19,8). Questa è in ultima analisi la spiegazione delle imperfezioni morali che si riscontrano negli eroi biblici. La Bibbia testimonia una pedagogia divina e una pedagogia progressiva.
Presi gli uomini in uno stato morale e intellettuale inferiore, Dio li ha condotti fino al vangelo;
ma solo a poco a poco ha rivelato il loro ideale, e non fa meraviglia se alle prime tappe della storia sacra non si manifesta la conoscenza di quelle leggi divine che sono al livello del Discorso della montagna.
Ecco quindi ancora che non sono importanti le singole parole ma il concetto dell’insegnamento.
Tradurre la Bibbia in più lingue sicuramente aiuta a meglio capire, oggi ogni popolo può studiare la Bibbia tradotta nel proprio linguaggio.


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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.30
La Bibbia ebraica fu tradotta in greco nel III secolo a.C. per poter essere capita dagli ebrei residenti fuori della Palestina, i quali non conoscevano l'ebraico, ma parlavano il greco, diffuso in tutti i paesi del Mediterraneo orientale. La versione fu compiuta ad Alessandria e fu detta dei Settanta, perché si credette compiuta da settanta dotti ebrei, e rappresenta il canone alessandrino.
Dopo la versione dei Settanta si ebbero quelle, pure greche, di Aquila, Simmaco e Teodozione, che  Origene nel III sec. riunì in una grande opera chiamata Esala (Sestupla), perché in sei colonne parallele dava il testo ebraico, lo stesso trascritto in lettere greche, poi le altre versioni greche citate. Di quest'opera esistono esigui frammenti.
Dell'Antico Testamento esistono anche versioni aramaiche, o targumim. Dell'intera Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) esistono antiche versioni in lingue orientali: in lingua siriaca (la più nota è la Peshitta [Pešitta', usuale, semplice]), in lingua copta, armena, etiopica, georgiana, araba.
Le antiche versioni in lingue occidentali sono: la gotica, la paleoslava e la latina.
In quest'ultima lingua esistettero dapprima due o tre versioni: l'africana e l'itala (II sec.) e, forse, l'europea (II-III sec.). Nel IV sec. san Girolamo tradusse l'intera Bibbia in gran parte dai testi originali; è questa la versione detta Vulgata che per la Chiesa cattolica è autentica, come ha definito il concilio di Trento, cioè fa testo in materia di fede e di costumi. (cf, Enc. Rizzoli 2002).
Esamineremo ora, nelle linee generali, il lento processo di “canonizzazione”, o formazione del canone, dei libri ispirati, dopo aver premesse alcune necessarie nozioni.
Presso gli scrittori profani canone indicò primitivamente il fusto di una canna e per estensione ogni bastone diritto e lungo. Ora siccome gli antichi per misurare si servivano di una canna, questo termine assunse presto il senso derivato di misura, regolo, anche in senso metaforico, e quindi regola, norma, modello, con applicazioni persino alla grammatica e all’arte.
Presso gli scrittori ecclesiastici il termine canone conservò il significato di norma, regola, e venne usato in rapporto alla fede e ai costumi, alla disciplina (specialmente del clero), alla liturgia,
e soprattutto alla Sacra Scrittura, considerata come regola suprema di fede e di vita.
L’espressione “canone biblico” indica fin dal sec. III il catalogo ufficiale dei libri ispirati, i quali, per la loro divina origine, costituiscono la regola della fede e dei costumi.

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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.34
La distinzione dei libri ispirati in proto- e deuterocanonici non intende introdurre una gradazione nella dignità e nell’autorità dei libri sacri, ma solo indica il tempo della loro accettazione ufficiale nel canone: i deuterocanonici furono riconosciuti dalla Chiesa universale come ispirati solo più tardi, per dubbi sorti intorno alla loro divina origine in alcune chiese particolari; mentre i protocanonici furono dalla Chiesa universale riconosciuti come ispirati fin dall’inizio, senza che vi sia mai stata alcuna incertezza.
I deuterocanonici sono sette nell’A.T., e altrettanti nel N.T. e cioè: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, 1-2 Maccabei, nell’A.T.; l’epistola agli Ebrei, l’epistola di Giacomo, la seconda epistola di Pietro, la seconda e la terza epistola di Giovanni, l’epistola di Giuda, l’Apocalisse, nel N.T. A questi libri vanno aggiunti tre brani dell’A.T.: Est. 10,4 – 16,24 (Vg) e Dan 3,24-90; 13 -14.
Comunemente si aggiungono anche tre brani del N.T. (la finale del secondo vangelo: Mc 16,9-20; la descrizione del sudore di sangue di Gesù: Lc 22,43 ss; l’episodio della donna adultera: Gv 7,53 -8,11). Ma è da osservare che l’antichità generalmente non ebbe incertezze sull’ispirazione di questi brani. Solo ai nostri giorni i critici ne hanno dubitato, perché essi mancano in alcuni codici e versioni.
I protestanti chiamano come i cattolici i deuterocanonici del N.T., che nelle loro Bibbie stampate si trovano insieme con i protocanonici nell’ordine del canone; invece i deuterocanonici dell’A.T. li chiamano apocrifi, non li riconoscono come ispirati, e generalmente non si trovano nelle loro edizioni della Bibbia; gli apocrifi dell’A.T. essi li chiamano comunemente pseudepigrafi (libri dal falso titolo), mentre denominano come i cattolici gli apocrifi del N.T.
Il criterio delle canonicità è il medesimo che per l’ispirazione, con la sola differenza che, mentre il criterio per l’ispirazione è applicato a tutti i libri sacri in generale, il criterio per la canonicità è applicato a ciascun libro in particolare. Tale criterio è la tradizione apostolica della Chiesa.
Questa tradizione apostolica si manifestò fin dagli inizi della Chiesa, attraverso varie forme concrete: testimonianze dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, citazioni di brani dell’A. e N.T. attribuiti a Dio, decisioni sinodali, lettura liturgica.