00 07/01/2011 10:54

Dall'Amico "Thunder" del sito Anime Fiammeggianti.... mi è indispensabile condividervi i "suoi" Auguri speciali....


EDITORIALE GENNAIO 2011

TRASFIGURARE IL DOLORE

 

L'operoso San Giovanni Bosco soleva ripetere ai suoi allievi: "il demonio ha paura della gente allegra".

Il suo insegnamento non faceva altro che riprendere l'antica tradizione della Chiesa, in cui troviamo scritto che "la tristezza è la più malvagia di tutte le passioni, dannosissima ai servi di Dio, perché rovina l'uomo e scaccia da lui lo Spirito Santo" (Il Pastore di Erma, 140 d.C. circa).

A volte la tristezza, intesa come sfiducia, noia, indifferenza, vuoto interiore, veniva identificata con il demonio del mezzogiorno, annidato nel tempo della vita che avrebbe dovuto essere il più consapevole ed il più creativo.

Al contrario la gioia, secondo San Tommaso d'Aquino, "è la forza che muove la vita, l'anima del dinamismo: dilata lo spirito, moltiplica le energie, sostiene l'entusiasmo, fa operare con diligenza e attenzione".

Eppure la gioia cristiana, la gioia interiore che la promessa di vita eterna porta con sé, spesso è proprio l'ultimo dei nostri sentimenti.

"Il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste, un popolo di vecchi" constata lo scrittore cattolico francese George Bernanos.

Forse, pur portando questo nome, non siamo abbastanza cristiani o non riusciamo a comprendere sino in fondo che cosa tutto questo comporti. Oppure semplicemente non sappiamo che fare della nostra tristezza e del nostro dolore e lasciamo che restino lì, a gravare sulle nostre anime, distruggendoci.

Se il demonio ha paura della gente allegra, chissà come gode della gente triste, della gente che soffre, ben sapendo che il dolore allontana da Dio ben più facilmente di quanto non avvicini a Lui. Pensate alla perfida soddisfazione di Satana, quando chiede a Dio il permesso di tormentare Giobbe nella carne, pregustando la ribellione dell'innocente contro l'ingiustificata punizione: «Pelle per pelle; tutto quanto ha, l'uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e toccalo nell'osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia!». (Giobbe 2, 4-5)

Noi non possiamo evitare il dolore e la sofferenza, né Dio ci preserva da questi mali quando, attraverso vie tortuose e imperscrutabili ai nostri occhi, Egli trae da essi un bene maggiore dei mali stessi. Dio ci chiede di aver pazienza, di confidare in lui, di attendere che il dolore sofferto porti i suoi frutti, che raccoglieremo nella vita eterna.

Quando Gesù, nel discorso della montagna, proclama: "Beati gli afflitti, perché saranno consolati", intende chiaramente che il motivo della gioia non è l'afflizione in se stessa, bensì la consolazione che seguirà. Dio ha ben chiaro quanto possano essere terribili il dolore e la sofferenza.

L'uomo, quando incontra la propria Croce personale, non ha che due scelte: tentare di fuggire, ritrovandocisi inchiodato sopra sempre più a fondo, oppure caricarsela da solo sulle spalle e seguire l'unico che può rendere leggero questo giogo: il Cristo che mostra la via della Resurrezione.

"E’ dai segni delle sue sofferenze che Cristo ha voluto farsi riconoscere dai suoi discepoli, ed è per mezzo delle sofferenze, che riconosce coloro che sono i suoi discepoli." (Pascal): è questo il vero significato della frase di Gesù, quando afferma: " chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me" (Matteo 10,38).

Accettare il dolore non significa arrendersi ad esso ed alle cause che lo hanno provocato, bensì reagire, non lasciarsi schiacciare, impossessarsene e trasfigurarlo in un'arma di salvezza.

Quando della sofferenza e del dolore non sappiamo più cosa farcene, non lasciamo che vadano sprecati, strappiamole alla soddisfazione diabolica ed offriamole direttamente a Dio. Poche cose, tra quelle che possiamo prendere dalla nostra vita e donare a Dio, hanno così grande valore come il nostro dolore, liberamente offerto a sconto dei peccati nostri e dei nostri cari. In questo modo, neppure una lacrima andrà sprecata.

 

“Se altro non hai da offrire al Signore, presèntagli almeno il dolore e la pena.

A tanti uomini è costato tanta fatica quel pezzo di pane che riposa sulla patena.

Se vuota è la tua mano ed arida è la tua bocca, offri il tuo cuore ferito e tutto il tuo pianto. Perché il vino scorresse nel calice, non è stato forse necessario che il grappolo fosse spremuto e il chicco franto?
Se altro non hai in te che il peccato e la malvagità, la stanchezza della vita e tutta l’umana pena, le tue mani innalzino al cielo queste tristi cose, perché la Misericordia le ha ricevute come di più nella sua Cena.

E se non hai più neanche la forza dell’offerta e della preghiera, se tutto in te non è che assenza ed abbandono, accetta in silenzio che un Altro si carichi di te per te, e ti assuma perché l’offerta e l’offerente siano un solo dono”.
(Daniel Rops)


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)