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3. L’identità missionaria dei Presbiteri ed i tria munera

L’esercizio del ministero presbiterale appare fondamentale, all’interno dell’intero Popolo di Dio, nel rispondere alle situazioni che sono in contrasto con il Vangelo. Al riguardo, è necessario riprendere, con tutta la loro forza, i fondamenti della vera identità missionaria dei Presbiteri, in vista di un superamento dei problemi che affliggono l’umanità e si riflettono nella vita della Chiesa.

Il Decreto Presbyterorum Ordinis, sul ministero e la vita dei presbiteri, sviluppa questa verità quando si riferisce, nei nn. 4-6, rispettivamente ai presbiteri ministri della parola di Dio, ministri della santificazione con i sacramenti e l’Eucaristia, e guide ed educatori del popolo di Dio. Sono i “tria munera” del presbitero.

L’identità missionaria del presbitero, anche se non ne è oggetto esplicito, è chiaramente presente in questi testi. Il sacerdote, “inviato”, che partecipa della missione di Cristo, inviato dal Padre, si trova coinvolto in una dinamica missionaria, senza la quale non potrebbe veramente vivere la propria identità (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 26).

Nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis si afferma che, pur inserito in una Chiesa particolare, il presbitero, in virtù della sua ordinazione, ha ricevuto un dono spirituale che lo prepara ad una missione universale, fino ai confini della terra (cf. At 1,8), perché «qualsiasi ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli» (PDV 32).).

Se parliamo di missione, dobbiamo tener presente, necessariamente, che l’inviato, il presbitero in questo caso, si trova in relazione sia con chi lo invia sia con coloro ai quali è inviato. Esaminando la sua relazione con Cristo, il primo inviato dal Padre, bisogna sottolineare il fatto che, stando ai testi del Nuovo Testamento, è Cristo stesso a inviare e a costituire i ministri della sua Chiesa, essi non possono essere considerati semplicemente eletti o delegati dalla comunità o dal popolo sacerdotale. “Il presbitero trova la piena verità della sua identità nell’essere una derivazione, una partecipazione specifica e una continuazione dello stesso Cristo, sommo ed eterno sacerdote della nuova Alleanza; è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 12).



4. Il presbitero e l’esigenza di una nuova prassi missionaria

In questa relazione con Cristo, la prima verità che viene alla luce è l’importanza di una profonda identificazione e intimità con Colui che consacra il presbitero e lo invia. Infatti, l’essere missionario richiede l’essere discepolo. Il testo di San Marco afferma: “[Gesù] salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3, 13-15). “Chiamò a sé quelli che egli volle” e “che stessero con lui”, ecco il discepolato! Questi discepoli saranno mandati a predicare ed a scacciare i demoni. Ecco, i missionari!

Nell’itinerario del discepolato, tutto inizia con la chiamata del Signore. L’iniziativa è sempre Sua. Ciò indica che la chiamata è una grazia, che deve essere liberamente e umilmente accolta e custodita, con l’aiuto dello Spirito Santo. Dio ci ha amati per primo. È il primato della grazia. Alla chiamata segue l’incontro con Gesù per ascoltare la sua parola e fare l’esperienza del suo amore per ciascuno e per l’intera umanità. Egli ci ama e ci rivela il vero Dio, uno e trino, che è amore.

Nel Vangelo si mostra come, in questo incontro, lo Spirito di Gesù trasformi colui che ha il cuore aperto. Infatti, chi incontra Gesù sperimenta un profondo coinvolgimento con la sua persona e la sua missione nel mondo, crede in lui, sperimenta il suo amore, aderisce a lui, decide di seguirlo incondizionatamente, dovunque ciò conduca, investe in lui tutta la propria vita e, se necessario, accetta di morire per lui. Esce dall’incontro con un cuore gioioso ed entusiasta, affascinato dal mistero di Gesù, e si lancia ad annunciarlo a tutti. Così, il discepolo diventa simile al Maestro, inviato da lui e sostenuto dallo Spirito Santo.

Il Santo Padre Benedetto XVI, in un suo commento al citato brano di S. Marco, presenta l’essenza della vocazione spirituale del sacerdote, come lo “stare con Cristo”, per poi “essere mandato da Lui”: “Stare con Lui ed essere mandati da Lui – due cose inscindibili tra loro. Solo chi sta con Lui impara a conoscerlo e può annunciarlo veramente. Chi sta con Lui, non trattiene per sé ciò che ha trovato, ma deve comunicarlo”. Diversamente, si cadrebbe nel “vuoto attivistico”: La prassi lo afferma: dove i sacerdoti, a causa dei grandi compiti, permettono che lo stare col Signore si riduca sempre di più, lì perdono infine, nonostante la loro attività forse eroica, la forza interiore che li sostiene. Quello che fanno diventa un vuoto attivismo” (Ai seminaristi, ai sacerdoti, ai religiose e religiosi e ai membri dell’Opera Pontificia per le Vocazioni di speciale consacrazione, Germania, 11 settembre 2006).

Per il presbitero, lo “stare con Lui” si rinnova sempre, e in modo assolutamente speciale, nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, ma anche nella lettura orante della Bibbia, nell’orazione fedele della Liturgia delle Ore, nella preghiera personale e comunitaria, nel ricevere il sacramento della Riconciliazione, nella solidarietà con i poveri e in molte altre forme.

Si tratta di “stare con Lui” per diventare veri discepoli suoi e per poi annunziarlo con vigore ed efficacia! “Stare con Lui” per poi portarlo agli uomini, ecco il compito centrale del sacerdote!

Si tratta, in ultima analisi, di vivere una vita incentrata su Dio. “Se in una vita sacerdotale si perde questa centralità di Dio, si svuota passo a passo anche lo zelo dell’agire” (Papa Benedetto XVI, Ai membri della Curia Romana, 22 dicembre 2006). Da questa profonda ed intima esperienza di Dio scaturisce la vocazione missionaria dei presbiteri.

Oggi, questa missione si sviluppa necessariamente in due ambiti, cioè: “ad gentes” e nello stesso gregge, già costituito, della Chiesa, ossia tra i battezzati. Gli orizzonti della missione “ad gentes” si allargano e richiedono rinnovato impulso missionario. La Chiesa guarda con premura, amore e speranza, per esempio, all’Asia, in speciale modo alla Cina, e all’Africa. I presbiteri sono invitati ad ascoltare il soffio dello Spirito e a condividere questa sollecitudine della Chiesa universale. D’altra parte, nello stesso gregge già costituito della Chiesa, nei paesi cosidetti cristiani, dove purtroppo più della metà dei battezzati non partecipa alla vita della Chiesa, perché poco o per niente evangelizzati, un’evangelizzazione missionaria è diventata ormai urgente e improrogabile. È su questa missione all’interno dello stesso gregge, che vogliamo anzitutto riflettere in questa Plenaria. La missione “ad gentes” è di competenza specifica della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.



continua....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)