00 24/01/2011 10:34
5. Il Presbitero, discepolo e missionario, nel esercizio dei “tria munera”

Il Concilio Vaticano II presenta il presbitero come ministro della Parola, ministro della santificazione con i sacramenti, in modo speciale, con l’Eucaristia, e come pastore, guida ed educatore del Popolo di Dio (cfr. Presbyterorum ordinis, nn. 4-6). Sono i “tria munera”, ambiti del suo essere discepolo e missionario.

5.1. Nell’ambito del munus docendi

Prima di tutto, per essere un vero missionario all’interno dello stesso gregge della Chiesa, secondo le attuali esigenze, è essenziale ed indispensabile che il presbitero si decida non soltanto ad accogliere ed evangelizzare coloro che lo cercano, sia nella parrocchia sia altrove, ma ad “alzarsi ed andare” in cerca, prima di tutto, dei battezzati che non partecipano alla vita della comunità ecclesiale, e anche di tutti coloro che poco, o per niente, conoscono Gesù Cristo. Questa nuova missione deve essere abbracciata con entusiasmo da ogni parrocchia, in forma permanente, con un slancio che cerchi di raggiungere tutti i battezzati del proprio territorio e poi anche i non battezzati.

L’annunzio specificamente missionario del Vangelo richiede che sia dato un rilievo centrale al Kerigma. Questo primo o rinnovato annunzio kerigmatico di Gesù Cristo, morto e risorto, e del suo Regno, ha, senz’altro, un vigore e una unzione speciale dello Spirito Santo. Il Kerigma è per eccellenza il contenuto della predicazione missionaria.

Nell’enciclica Redemptoris Missio (1990), Giovanni Paolo II scrisse: “Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce ‘nel mistero dell’amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui’ e apre la via alla conversione. La fede nasce dall’annunzio (…) L’annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto; in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la ‘vita nuova’, divina ed eterna. È questa la ‘buona novella’, che cambia l’uomo e la storia dell’umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell’uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all’opera e instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l’uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre” (n. 44).

Pertanto, bisogna riprendere, “opportune et importune” con molta costanza, convinzione e gioia evangelizzatrice, questo primo annunzio, sia nelle omelie, durante le Sante Messe o altri eventi evangelizzatori, sia nelle catechesi, sia nelle visite domiciliari, nelle piazze, nei mezzi di comunicazione sociale, negli incontri personali con i nostri battezzati che non partecipano alla vita delle comunità ecclesiali, insomma, ovunque lo Spirito ci spinga ed offra un’opportunità da non sprecare.

In questo sforzo missionario, i destinatari privilegiati saranno i poveri. Come disse lo stesso Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me […] e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Nel già citato discorso ai vescovi brasiliani, Benedetto XVI disse:

“Tra i problemi che affliggono la vostra sollecitudine pastorale c’è, senza dubbio, la questione dei cattolici che abbandonano la vita ecclesiale. Sembra chiaro che la causa principale, tra le altre, di questo problema possa essere attribuita alla mancanza di un’evangelizzazione in cui Cristo e la sua Chiesa stiano al centro di ogni delucidazione. […] Nell’Enciclica Deus caritas est, ho ricordato che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (n. 1). È necessario, pertanto, avviare l’attività apostolica come una vera missione nell’ambito del gregge costituito dalla Chiesa Cattolica (…), promovendo un’evangelizzazione metodica e capillare in vista di un’adesione personale e comunitaria a Cristo. Si tratta infatti di non risparmiare sforzi per andare alla ricerca dei cattolici che si sono allontanati e di coloro che conoscono poco o niente Gesù Cristo […] In questo sforzo evangelizzatore, la comunità ecclesiale si distingue per le iniziative pastorali, inviando soprattutto nelle case delle periferie urbane e dell’interno i suoi missionari, laici o religiosi, cercando di dialogare con tutti in spirito di comprensione e di delicata carità. Tuttavia, se le persone incontrate vivono in una situazione di povertà, bisogna aiutarle come facevano le prime comunità cristiane, praticando la solidarietà perché si sentano veramente amate. La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il Vescovo, formato ad immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il «pane materiale». Come ho potuto mettere in risalto nell’Enciclica Deus caritas est, «la Chiesa non può trascurare il servizio della carità, così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola» (22) (n.3).

5.2. Nell’ambito del munus sanctificandi

Di ogni celebrazione sacramentale fa parte la proclamazione della Parola di Dio, dato che il sacramento richiede la fede di chi lo riceve. Questo fatto indica che la celebrazione dei sacramenti, in modo speciale dell’Eucaristia, possiede una dimensione missionaria intrinseca, che può essere sviluppata come annunzio del Signore Gesù e del Suo Regno, a coloro che, poco, o ancora per niente, sono stati evangelizzati.

Poi, bisogna sottolineare che l’Eucaristia è il centro della vita della Chiesa e di ogni cristiano. In questo senso si può dire che l’Eucaristia è il punto d’arrivo della missione. Il missionario va in cerca delle persone e dei popoli per portarli alla mensa del Signore, preannunzio escatologico del banchetto di vita eterna, presso Dio, nel cielo, che sarà la realizzazione piena della salvezza, secondo il disegno redentore del Padre. L’Eucaristia ha, inoltre, una dimensione d’invio missionario. Ogni Santa Messa si conclude con l’invio di tutti i partecipanti all’opera missionaria nella società.

La comunità cristiana, nel celebrare l’Eucaristia e nel ricevere il sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù, è profondamente unita al Signore e colmata di questo Suo amore senza misura. Al contempo, riceve ogni volta, di nuovo, il comandamento di Gesù “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato” e si sente spinta dallo Spirito di Cristo ad andare ed annunciare a tutte le creature la buona Novella dell’amore di Dio e della speranza sicura nella Sua misericordia salvatrice. Nel decreto Presbyterorum Ordinis, del Concilio Vaticano II, si dice: “L’Eucaristia costituisce, infatti, la fonte e il culmine di tutta l’evangelizzazione” (n.5).

La stessa celebrazione eucaristica, e degli altri Sacramenti, bella, serena, dignitosa e devota, secondo le norme liturgiche, diventa un’evangelizzazione molto speciale per i fedeli presenti.

Tutti i Sacramenti ricevono la propria forza santificante dalla morte e risurrezione di Cristo e proclamano la misericordia indefettibile di Dio. La loro essenza ed efficacia missionarie devono essere sempre sottolineate.

5.3. Nell’ambito del munus regendi

Nell’attuale urgenza missionaria è indispensabile che i sacerdoti guidino alla missione la comunità a loro affidata, profondamente animati dalla carità pastorale, consapevoli di essere ministri di Cristo. Parte integrante del munus regendi è la capacità personale del presbitero di suscitare lo spirito missionario e la corresponsabilità nei fedeli laici, contando su di loro per la nuova evangelizzazione.

Infatti, la corresponsabilità e la compartecipazione dei fedeli laici alla missione della Chiesa non comporta un annullamento dell’essere pastore del presbitero. Nel incontro del Papa con i sacerdoti delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso, egli disse: “Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del Concilio: la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più soltanto il parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo parrocchia, tutti dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco non rimanga isolato sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore affiancato in questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive la parrocchia” (Id.).

Nel munus regendi il parroco, riguardo alla missione nella sua parrocchia, dovrà convocare i membri della comunità parrocchiale ad assumere con lui stesso questa missione. Il laico è chiamato dal Signore, in virtù del battesimo e della cresima, ad essere evangelizzatore. Così, il parroco convochi i suoi laici, li formi e l’invii alla missione, alla quale lui stesso si volgerà.

Per il buon esito della missione parrocchiale, sarà necessaria una buona metodologia missionaria. La Chiesa ne ha bi millenaria esperienza. Nondimeno, ogni epoca storica porta con sé nuove circostanze, da rilevare nel modo di attuare la missione.

L’autentica identità missionaria esige anche che il presbitero renda evidente la sua genuina presenza di pastore. In tale contesto si comprende l’importanza pastorale dell’abito ecclesiastico, che è un segno dell’identità universale del sacerdote. Quanto più una società è pluralista e secolarizzata, tanto più abbisogna di segni di identificazione del sacro. (Cf. PAOLO VI, Catechesi nell'Udienza generale del 17 settembre 1969, Allocuzione al clero (1 marzo 1973): Insegnamenti di Paolo VI, VII (1969), 1065; XI (1973), 176; can. 284; Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, n. 66; Il Presbitero: maestro della Parola..., cap. IV, n. 3). In modo simili, ma ancora più profondo, può e deve essere un segno della trascendenza del Regno di Dio, la forte testimonianza del celibato sacerdotale.

È importante aggiungere ancora che le circostanze attuali rivelano con urgenza la necessità di una profonda disponibilità dei presbiteri, che non siano solo in grado di cambiare incarico pastorale, ma anche città, regione o Paese, a seconda delle diverse necessità, e di adempiere alla missione che in ogni circostanza sia necessaria, andando oltre, per amore di Dio, ai propri gusti e progetti personali. Per la natura stessa del loro ministero, essi debbono dunque essere penetrati e animati da un profondo spirito missionario e da quello spirito veramente cattolico che li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti, nel loro animo, a predicare dovunque il Vangelo. (Cfr. Decr. Optatam totius, n. 20; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1565; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 18; Concilio Vaticano II,).

continua....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)