00 23/04/2011 19:43
Quando il nome raccontava una vita

E dopo sedici secoli Pascasio è ancora in classifica



di CARLO CARLETTI

Già nella prima età costantiniana e, in maniera più evidente, dalla metà del IV secolo, i tratti identitari di una realtà ecclesiale più matura e definita cominciano a manifestarsi tangibilmente anche attraverso la produzione epigrafica che, per non pochi aspetti, dopo la parentesi dell'epigrafia "minimale" (in realtà non meno espressiva) del III secolo, si riappropria sul piano formale del consolidato patrimonio della tradizione romana.
 
Tra l'età precostantiniana e quella immediatamente successiva le diversità appaiono subito evidenti e anche molto profonde. A giusta ragione il gesuita Antonio Ferrua nel confrontare le iscrizioni precostantiniane della Regione I-Y della catacomba dei Santi Marcellino e Pietro sulla Labicana con quelle della seconda metà del IV secolo del cimitero di Commodilla, poteva legittimamente osservare: "È incredibile come in pochi decenni le usanze cimiteriali cambino profondamente e in quasi tutti gli aspetti della loro esplicazione: sembra di entrare in un mondo nuovo".

I primi e più evidenti sintomi del mondo nuovo evocato da Ferrua si colgono preliminarmente in due aspetti di notevole portata: il rientro nella prassi corrente di tutto quanto era stato "ideologicamente" escluso nelle strutture epigrafiche del laconismo "arcaico" (i dati retrospettivi e dunque le microstorie della vita terrena) e, con particolare incidenza (anche se non sempre e dovunque) una maggiore e più articolata visibilità dello specifico cristiano che, ancora sommesso e quasi reticente nel III secolo, in breve tempo si configura sempre più come palese segno di appartenenza, manifestandosi in un cospicuo e variegato repertorio formulare, che nel corso del tempo tende a cristallizzarsi per poi scomparire quasi totalmente con la fine del mondo antico, nel corso cioè del secolo VI.

Nel periodo che intercorre che tra la metà del IV e la metà del V secolo si può senz'altro riconoscere la stagione più creativa nella acquisizione di moduli espressivi generalmente di tipo formulare, che entrano stabilmente nel repertorio epigrafico, con un linguaggio generalmente rarefatto, spesso ellittico e non sempre immediatamente comprensibile anche per la frequenza dell'uso di forme, tipicamente epigrafiche, sospese o contratte.

Sul piano dei nuovi contenuti che si affacciano e si consolidano nella cultura epigrafica del tempo, quasi all'improvviso e in notevole quantità emergono termini, espressioni o, semplicemente, "segni" che, in forme esplicita o implicita, qualificano defunto e dedicanti come adepti della nuova fede: l'aspetto più tipico e diffuso è la definitiva affermazione delle formule ireniche in pace - en eirène, variamente assunte con valenza escatologica (in pace Christi, Dei, Domini), funeraria (la quies del sepolcro) o retrospettiva in riferimento cioè a una vita condotta secundum legem domini (ad esempio Maxema que vi|xit in pace a|nnos triginta; Inscriptiones Christianae Urbis Romae, IV, 9419). Ed è proprio nell'ambito formulare più specificamente connotato, molto più che nella stanca riproposizione del formulario di routine, che si colgono i diversificati livelli di partecipazione e comprensione dei Christi fideles laici nei riguardi dei momenti forti e qualificanti che scandiscono l'avvicinamento e l'ingresso nella comunità dei cristiani.

In questo ambito, a partire dalla metà del IV secolo, un significativo elemento di novità si può agevolmente individuare nella progressiva affermazione nelle comunità di una onomastica specificamente cristiana, che dopo la morte trova il suo pressoché esclusivo alveo di memoria conservazione nella documentazione epigrafica. Nascono i nomi "identitari": in primo luogo quelli di estrazione neotestamentaria come Petrus (il più diffuso già dal III secolo), Paulus, Iohannes, Maria, o quelli che ripropongono principi dogmatici fondamentali come in primo luogo Anastasius/Anastasia, che in un caso (indubbiamente eccezionale) sollecitarono un palese svelamento del loro significato: Anastasia secundum nomen credo futuram, una vera e propria professione di fede nella resurrezione finale, espressa con l'espediente del cosiddetto feronymos.

Ampia accoglienza tra i cristiani ebbero anche i cosiddetti nomi teofori, tra i quali il più diffuso è Cyriacus, il cui significato cristiano deriva dal fenomeno del cosiddetto "slittamento semantico" (mutamento di significato) da "appartenente al padrone" a "appartenente al Signore".
Alcuni nomi cristiani si propongono poi come veri e propri calchi onomastici del momento forte per eccellenza del calendario liturgico cristiano: il più caratteritico e diffuso è Pascasius/Pascasia - derivato ovviamente da Pascha - spesso ricordato nelle iscrizioni in diretta correlazione con il battesimo che, come è noto, nell'antichità cristiana veniva amministrato durante la liturgia della veglia pasquale. E in effetti sono molto numerose le testimonianze epigrafiche nelle quali, attraverso una specifica gamma formulare, vengono espressamente menzionati i diversi e progressi passaggi che conducevano il fedele alla acceptio fidis, alla accoglienza del battesimo.

Da queste testimonianze si ricava tra l'altro che l'età media della gran parte dei defunti neobattezzati (dai 20 ai 50 anni) fa legittimamente supporre un deliberato rinvio del battesimo fino all'approssimarsi della morte (tra i molti esempi Inscriptiones Christianae Urbis Romae, I, 2087, 2833, 3202, 3553; II, 4164; III, 7379; IV, 11806, 11862, 12020, 12459, 12652; V, 13443; VII, 17548, 18469, 18631, 18693, 18979, 19820; IX, 24870): questi procrastinantes (così venivano definiti dai Padri della Chiesa) pertanto giungevano spesso al battesimo nello status di audientes, senza aver percorso i diversi gradi della preparazione, che prevedevano per i candidati una duplice fase di istruzione, una remota (cathecumeni, audientes) della durata di circa un triennio, e l'altra prossima nel corso della quale i catecumeni, dopo la valutazione (scrutinio) del vescovo, iscrivevano - prima della Quaresima - il loro nome nei dittici per il battesimo della notte pasquale, assumendo così requisito e denominazione di fotizòmenoi (coloro che stanno per essere illuminati), di competentes (in Occidente) di audientes (a Roma).

Questo percorso di istruzione progressivo ovviamente non poteva aver luogo per i casi - peraltro numerosissimi - di morte prematura: in questi casi il battesimo (pedobattesimo) veniva amministrato in articulo mortis, al di fuori della pratica prevista nel disciplinare battesimale, che in condizioni normali prevedeva un lungo e articolato percorso di istruzione.

Per la storia dell'origine del cognomen pasquale Pascasius un documento (ora perduto) particolarmente significativo è l'epitaffio posto sulla tomba di un bambino, morto il 28 aprile dell'anno 463 e sepolto a Roma nella catacomba di Castulo sulla via Labicana. La vicenda della sua breve esistenza è descritta in termini dettagliati (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, VI, 15895): "Pascasio, nato col nome di Severo nel corso dei giorni pasquali, giovedì quattro aprile, nell'anno del consolato di Flavio Costantino e Rufo (457) uomini chiarissimi, visse sei anni. Ricevette il battesimo (percepit) il 21 aprile e depose nel sepolcro le vesti bianche l'ottava di Pasqua, il 28 aprile, nell'anno del consolato dell'uomo chiarissimo Flavio Basilio (463)".
 
La vita, seppur breve, di Pascasio si svolse sotto il segno della Pasqua, che nell'anno 457 cadde nell'ultimo giorno del mese. Il quattro aprile, giorno della sua nascita, era dunque incluso (come specificato nell'epitaffio) nel periodo dei dies pascales, cioè dei quindici giorni comprensivi della settimana precedente e successiva al giorno di Pasqua: la sacralità dei "giorni pasquali" era anche riconosciuta in una legge del 392, che prevedeva appunto in questo periodo la sospensione di tutti gli atti giuridici, sia pubblici e privati (Codex Theodosianus, II, 8, 21). Alla nascita il defunto aveva assunto il nome anagrafico di Severus, cui fu aggiunto, al momento del battesimo, quello specificamente cristiano di Pascasius: natu(s) Severi nomine, Pascasius, dies pascales, prid(ie) Non(as) April(es), die Iobis (cioè Iovis) Fl(avio) Constantino et Rufo v(iris) c(larissimis) cons(ulibus).
 
Un'altra circostanza, anch'essa del tutto fortuita, contrassegna la fine di Severus/Pascasius, che nello stesso giorno (l'ultimo dei dies paschales) insieme al corpo depose nel sepolcro anche "la veste bianca", assunta al momento del battesimo: percepit XI Kal(endas) Maias et albas suas octabas Pascae ad sepulcrum deposuit, laddove l'ottava di Pasqua è appunto la domenica in albis. A quello di Severus-Pascasius possono coerentemente avvicinarsi gli epitaffi (rispettivamente del IV e V secolo) della gallica Optatina Reticia, originaria di Arles (Corpus Inscriptionum Latinarum XII 956) e della romana Veneranda che, come nutrix, dedicò la sepoltura ai propri protetti (alumnis suis) Primitiva e Felicio (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, I, 3722): ambedue nel corso della liturgia battesimale assunsero il supernomen di Pascasia.

La microstoria di questo antroponimo pasquale è sostenuta anche da altre sporadiche attestazioni, storicamente rilevanti, perché per un verso documentano (anche attraverso la memoria funeraria) una ormai diffusa e radicata percezione della centralità della celebrazione pasquale e battesimale e per l'altro perché consentono di cogliere o, quantomeno, ipotizzare, le motivazioni "tecniche" immediate e nel contempo contingenti - dunque connesse all'evento e al tempo liturgico - che chiariscono le ragioni della introduzione nella onomastica cristiana antica di un nome (precedentemente ignoto) come Pascasius/Pascasia.

In taluni casi la motivazione non sempre è quella "rituale" connessa all'assunzione di un nuovo nome nel corso del rito dell'iniziazione, ma quella invece della occasionale nascita di un individuo (evidentemente cristiano) nella settimana precedente o successiva al giorno della celebrazione pasquale, cioè nel corso dei quindici giorni, definiti appunto dies pascales, come nel già ricordato epitaffio di Severus-Pascasius. Le iscrizioni in cui vengono ricordati defunti con il nome Pascasius/Pascasia, se corredate dalla menzione del giorno, mese e anno della morte, consentono infatti agevolmente - attraverso il ricorso al calendario perpetuo pasquale - di verificare se l'opzione per il supernomen Pascasius fosse derivata dalla coincidenza della nascita nel corso dei dies pascales o, viceversa, da una scelta genericamente devozionale, svincolata dalla sollecitazione di un contesto liturgico, e dunque esercitata in un periodo qualsiasi dell'anno, come peraltro documentato in numerose iscrizioni di Roma e dell'Africa nel corso dei secoli IV e V.

Una opzione, riconoscibile nella sua consapevole definizione, è quella che implicitamente si evince nell'epitaffio che commemora una dulcissima infans morta ad Arles il 29 luglio del 422 a due anni, tre mesi, dieci giorni: era dunque nata il 19 aprile del 420 e in quell'anno la Pasqua cadeva il 18 aprile. Ciò spiega pienamente la motivazione che sollecitò la scelta del cognomen Pascasia, attribuito alla giovane defunta: hic requiescit Pascasia / dulcissima infans, quae vixit an(n)i(s) duobus, mens(ibus) tribus et dies X. obiit IIII Kal(endas) Iul(ias) Honorio XIII et Theodosio cons(ulibus) (Corpus Inscriptionum Latinarum, XIII, 2353). A Roma un bambino di quattro anni, otto mesi, quattro giorni morì il quattro dicembre del 382. La sua nascita era allora avvenuta il primo aprile del 378, che in quell'anno coincideva con il giorno della Pasqua: pridie Non(is) Decemb(ribus) d(e)p(ositus) Pascasius, qui vixit ann(is) IIII m(ensibus) VIII d(iebus) IIII. Antonio et Syagrio con)sulibus) (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, II, 5791).

Questa in sintesi la storia della formazione e della diffusione nel corso dei secoli IV e V secolo di un nome cristiano, che ebbe nei secoli successivi una straordinaria fortuna e che tuttora, in molteplici varianti, occupa in Italia il ventesimo posto nella graduatoria dei nomi più diffusi.



(©L'Osservatore Romano 24 aprile 2011)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)