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La festa di Pentecoste nella tradizione siro-occidentale

Nel pane e nel calice
il fuoco dello Spirito Santo


di Manuel Nin

La Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua, è una delle feste più antiche del calendario cristiano. Ne parlano Tertulliano e Origene nel iii secolo, e già nel iv secolo fa parte del patrimonio teologico e liturgico delle diverse Chiese. I testi dell'ufficiatura siro-occidentale si soffermano a lungo nel mettere in rilievo il dono dello Spirito Santo, quasi una nuova creazione:  "Oggi il Paraclito scende e illumina i discepoli nel cenacolo; oggi lo Spirito Paraclito dona l'intelligenza agli apostoli, illumina i pescatori e li riveste della forza dall'alto; oggi lo Spirito dona la sapienza agli ignoranti e ai semplici e ai pescatori il talento dei maestri".

Nella liturgia siro-occidentale la Pentecoste è collegata strettamente con l'Ascensione:  "Lode a te, Cristo Dio nostro, sole di giustizia, che quando ti accingevi a salire in cielo, hai radunato la tua mistica famiglia sul monte degli Ulivi e su di essa hai alitato il dono dello Spirito Santo dicendo:  Andate, ammaestrate tutte le nazioni affinché vengano pescate nelle reti evangeliche". E il vespro elenca le prefigurazioni del dono dello Spirito:  "Oggi gli apostoli hanno bevuto la bevanda divina dei doni dello Spirito Santo; oggi il cenacolo diventa una seconda Babele per la venuta dello Spirito Santo, benché in questo posto le lingue di fuoco non sono per punire ma per istruire; oggi i dodici patriarchi diventano sacerdoti, profeti e re; il giorno di oggi è prefigurato dalle sette lampade messe sul candelabro dell'altare, dalle sette colonne su cui si edifica la sapienza".

Efrem di Nisibi, con le immagini del fuoco applicata allo Spirito Santo e della brace ardente al corpo e al sangue di Cristo, afferma:  "Nel tuo pane si nasconde lo Spirito che non può essere mangiato e nel tuo vino c'è il fuoco che non si può bere. Lo Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino:  ecco una meraviglia accolta dalle nostre labbra; nostro Signore ha dato da mangiare e da bere fuoco e Spirito. Ecco il fuoco e lo Spirito nel grembo che ti ha generato. Ecco il fuoco e lo Spirito nel fiume dove sei stato battezzato. Fuoco e Spirito nel nostro battesimo. Nel pane e nel calice fuoco e Spirito Santo".

L'immagine del fuoco e dei suoi effetti - calore, lievitazione, cottura, incandescenza - applicata all'azione dello Spirito Santo diventa simbolo di realtà spirituali. Parlando dello Spirito Santo come fuoco, gli autori siriaci e la loro liturgia vogliono sottolineare l'opera divina dello Spirito per mezzo dell'eucaristia:  per mezzo di essa, diventata incandescente nello Spirito Santo, i fedeli sono vivificati e ricevono i doni dell'immortalità. Lo Spirito Santo è colui che santifica il pane e il vino, come santifica e consacra l'acqua e l'olio nel battesimo e nella cresima.

Efrem, in una omelia sulla settimana santa, dice:  "Voi mangerete una Pasqua pura e immacolata, un pane lievitato e perfetto che lo Spirito Santo ha preparato e ha fatto cuocere, un vino mescolato di fuoco e di Spirito:  il corpo e il sangue di Dio, che fu vittima per tutti gli uomini". Lo Spirito Santo, quindi, è il fuoco nascosto che avvolge il sacerdote, aleggia sull'altare e discende sui doni nel momento dell'epiclesi. L'immagine dello Spirito aleggiante viene presentata dagli autori siriaci con un termine che indica il covare della chioccia sulle uova, l'aleggiare dello Spirito sulle acque all'inizio della Genesi e la discesa dello Spirito Santo su Maria e sui santi doni nell'eucaristia. I testi liturgici siro-occidentali sottolineano anche che la santificazione operata dallo Spirito è in vista della santificazione dei fedeli e del perdono dei loro peccati:  "Affinché questi misteri purifichino i cuori di coloro che ne parteciperanno, rendano spirituali i loro pensieri e santifichino le loro anime per il Regno dei cieli e la nuova vita eterna".

Il sacerdote invoca lo Spirito Santo affinché renda presente la risurrezione di Cristo sull'altare; cioè dia al corpo di Cristo messo nella tomba l'immortalità, l'incorruttibilità e lo faccia diventare, come dice l'epiclesi dell'anafora di san Giacomo, "corpo datore di vita, corpo che dà la salvezza alle nostre anime e ai nostri corpi, corpo del Signore, Dio grande e Salvatore nostro Gesù Cristo". Questo processo di configurazione al fuoco divino, cioè allo Spirito Santo, è per Efrem processo di crescita anche nella configurazione a Cristo:  "Il suo corpo si è mescolato ai nostri corpi. Il suo sangue si è versato nelle nostre arterie. La sua voce nelle nostre orecchie, nei nostri  occhi  la  sua  luce.  Lui  e noi, interamente, per la sua grazia mescolati".

Nell'icona della Pentecoste vediamo gli apostoli radunati come per una liturgia:  è in essa che ricevono il dono dello Spirito Santo. La presenza di Pietro e Paolo, e degli evangelisti Luca e Marco indica tutta la Chiesa radunata dallo Spirito Santo e nasce in una situazione di profonda comunione tra gli apostoli. E nella parte bassa dell'icona sono raffigurati personaggi vestiti in modi molto variegati (uno addirittura con la testa di cane) a indicare la diversità di popoli, razze e lingue a cui viene annunciato il Vangelo di Cristo.









L'inno di Pentecoste attribuito a Stefano Langton

I versi trasparenti della sequenza d'oro


di Inos Biffi

Per la Pentecoste la liturgia pone sulle nostre labbra la splendida sequenza Veni sancte Spiritus, in terzine di dimetri trocaici acatalettici, attribuita all'arcivescovo di Canterbury Stefano Langton (1150-1228 circa). È stata definita "Sequenza d'oro", certamente per i suoi versi luminosi e trasparenti, che, evocando le prerogative molteplici dello Spirito, ne implorano con ardente fervore l'effusione. Fin dalla supplica iniziale:  "Vieni, Santo Spirito, / e manda dal cielo/ un raggio della tua luce".

L'invocazione è ripetuta, perché le grazie implorate sono numerose e variegate, quali riflessi dell'intima e multiforme ricchezza dello Spirito.

Così, ne sollecitiamo con insistenza la venuta. "Vieni", replichiamo, decorandolo dei titoli più nobili e più elogiativi, che via via scorrono e si allacciano come un'armoniosa e incontenibile litania:  "Padre dei poveri, / dispensatore di doni, / luce dei cuori"; "Ottimo consolatore, / dolce ospite dell'anima, / soave refrigerio". E ancora:  "Riposo nella fatica, / freschezza negli ardori, / conforto nelle lacrime".

Ecco perciò il rinnovarsi della preghiera:  "O luce, fonte d'immensa gioia, / colma nel loro intimo / i cuori dei tuoi fedeli". Essi, infatti, sono ben coscienti che, se sono privi dello Spirito, "mancano di tutto, / e nulla si ritrova in loro di innocente":  solo lo Spirito li può liberare dalla sozzura, dall'aridità e dalle lacerazioni; e, ancora, dalla durezza, dal gelo e dal traviamento.

Le nostre terzine elencano, in questo caso con una triste sequela di umilianti evocazioni, quello che c'è nel fondo dell'uomo non trasformato dall'azione dello Spirito.
Ritorna allora l'accorato e confidente appello:  "Lava in noi quello che è sudicio, / irrora quello che è riarso, / risana quello che è ferito";  "Piega  ciò  che  è  rigido,  /  riscalda ciò che è freddo, / raddrizza quel che è distorto".

È chiesto, infine, lo Spirito nella pienezza dei suoi doni - il "Sacro Settenario" - perché conceda il premio alle virtù, guidi al traguardo della salvezza eterna ed elargisca la beatitudine senza tramonto.

In versi rapidi e concisi si trova delineata così una limpida teologia dello Spirito Santo, che, riversato con divina sovrabbondanza nella vita del cristiano, immiserita e segnata dal peccato, la ricrea e la impreziosisce.

Lo Spirito è il dono promesso da Gesù ai suoi discepoli, maturato sulla sua croce gloriosa e copiosamente effuso nel giorno di Pentecoste:  un giorno che non declina mai. Infatti, dal Signore assiso alla destra del Padre lo Spirito non cessa di sgorgare per infondere la carità nelle anime, per illuminarle e irrobustirle - poiché egli è "la Forza" che viene dall'alto (cfr. Luca, 24, 49).
Lo Spirito suscita in esse, potentemente e silenziosamente, poiché lo Spirito Santo non ama lo strepito esteriore, il gusto e la familiarità di Dio. In virtù del suo "istinto" - l'espressione "istinto dello Spirito Santo" ricorre spesso in Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae, i-ii, 68, 3, c.) - possiamo condurre una vita "spirituale".

In particolare, lo Spirito è l'anima della Chiesa, da lui dotata dei suoi carismi, iniziata alla comprensione dei misteri divini, rinvigorita per la testimonianza e l'annuncio perseverante del Vangelo e soprattutto da lui purificata e abbellita, per cui nel Credo la proclamiamo santa:  "Credo la Chiesa santa". Né potrebbe essere altrimenti, dal momento che la Chiesa è il Corpo stesso di Cristo e la sua Sposa.


(©L'Osservatore Romano - 23 maggio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)