00 15/06/2010 19:35

Dettagli e surrealismo



Come ogni grande commedia basata sulla comicità surreale, The Blues Brothers adotta questo registro non soltanto per creare delle gag ex novo, ma anche per portare alla luce il senso dell'assurdo che si annida a volte nella realtà, e che paradossalmente finisce per rendere i due eccentrici protagonisti un modello di normalità.

Un effetto ottenuto attraverso il piglio documentario e calligrafico della regia di Landis, che dissemina praticamente ogni inquadratura di una quantità di dettagli impressionante, spesso apprezzabili solo dopo un attento esame. Il proposito è rivelato già nelle primissime immagini, quando ci viene mostrato l'esterno del carcere della città di Joliet, nell'Illinois, dove è prigioniero Jake.

Qui per pochi secondi appena vediamo campeggiare dei cartelli autentici che accanto a indicazioni ragionevoli come il divieto di parcheggiare sul lato del carcere, ricordano, col medesimo tenore istituzionale, che la squadra di football della città ha vinto il campionato per tre volte di fila. L'effetto è reiterato poco dopo quando Jake, nel firmare la sua libera uscita, è costretto a fare una flessione per non superare la linea gialla che irrazionalmente gli impedisce di raggiungere il bancone dell'ufficio congedi. Pochi minuti più tardi un'altra targa autentica con tanto di firma del sindaco in calce informa orgogliosamente i passanti che il ponte sul quale è posta è stato appena il terzo della città a essere costruito. La targa porta però la data del 1958, sottolineando involontariamente come la civiltà da quelle parti sia arrivata piuttosto in ritardo.

Nella sequenza dell'inseguimento all'interno del centro commerciale, poi, la furia distruttiva dei fratelli Blues arriva non a caso come una sorta di punizione divina al consumismo compulsivo di cui sono preda gli avventori. "Avete anche una Miss Piggy?" fa appena in tempo a chiedere ansiosamente un cliente di un negozio  di  giocattoli prima che l'esercizio venga buttato giù dalla bluesmobile in vena di un traumatico redde rationem. Nel locale dei ruspanti cowboy dove la coppia si ritrova a dover suonare una sera, invece, un cartello mette in guardia i minorenni dal giocare troppi soldi ai flipper, mentre un ragazzino, per imitare le ostentate abitudini degli uomini rudi che lo circondano, beve una birra e fuma una pipa senza che nessuno ci faccia caso.

Ma il procedimento raggiunge ovviamente il suo culmine nel finale. Quando l'esercito e le forze dell'ordine convergono sull'obiettivo del loro interminabile inseguimento. Al di là dell'immane spiegamento di forze, già di per sé demenziale, a far ridere sono le procedure che militari e poliziotti eseguono con dovizia maniacale eppure assolutamente credibile, mentre i protagonisti si avviano a perfezionare il loro piano con tutta calma.
 (emilio ranzato)



Quel genio eternamente bambino


Se con The Blues Brothers aveva spianato la strada a un nuovo decennio cinematografico, con la sua tragica fine in un hotel di Los Angeles per overdose appena due anni più tardi, John Belushi ci ricordò che era ancora un ragazzo degli anni Settanta, un geniale ma anche tipico esponente di quella generazione perduta che sotto la scorza di una grande vitalità nascondeva spesso il dramma di non riconoscersi nel mondo degli adulti, e si illudeva di colmare un vuoto esistenziale con metodi sconsiderati.

E osservando con attenzione i titoli della breve ma folgorante filmografia di questo figlio di un immigrato albanese, con un passato da promessa del football, ci si accorge come delineino proprio la parabola discendente del ribellismo contestatario, ossia quella fase naturale in cui gli ultimi strascichi della controcultura hippie si disperdevano in opere poco ispirate, oppure venivano convogliati dall'industria entro schemi rassicuranti e commerciali.

Animal House (John Landis, 1978), film di culto che inaugura il sottogenere divenuto presto indegno del college-movie, concilia lo spirito anarcoide che aveva pervaso l'ambiente giovanile negli anni precedenti con la tendenza alla caricatura e all'umorismo demenziale. Il compagno di scuola (Joan Tewkesbury, 1978) è un tardo road-movie attraverso un'America segnata da piccoli grandi drammi, firmato non a caso dalla sceneggiatrice di Nashville. Verso il sud (Jack Nicholson, 1978) è un western antieroico come andavano di moda dieci anni prima. Mentre 1941 - Allarme a Hollywood (Steven Spielberg, 1979) può essere considerata la parodia di quel livore iconoclasta che in passato aveva armato il cinema indipendente contro la Fabbrica dei Sogni ancora in piena crisi.

Dopo aver voltato pagina grazie al successo dei fratelli Blues, chiuse senza clamori la carriera con due innocue commedie:  Chiamami aquila (Michael Apted, 1981) e I vicini di casa (John J. Avildsen, 1981).

Come capita spesso nel mondo dello spettacolo, poi, la morte prematura alimentò probabilmente il mito. Ma a far crescere se possibile il rammarico, è la certezza che Belushi nel mito ci sarebbe finito lo stesso. Perché poche volte nella storia del cinema capita di avere a che fare con personaggi che bucano lo schermo con la loro semplice presenza, soprattutto se non si tratta dei soliti belloni hollywoodiani.

Corporeità e interpretazione per Belushi erano un tutt'uno. Eppure del proprio corpo non faceva esattamente uso; la sua era una sorta di immagine totemica, tanto più efficace quanto più si univa all'assoluta impassibilità della maschera, alla comunicazione monosillabica.  Come  sintetizza una delle tante scene memorabili del capolavoro di Landis, quella in cui i due fratelli cantano il tema del serial televisivo Rawhide:  a Belushi, già icona di se stesso, per risultare irresistibile bastava aprire bocca un paio di volte durante tutta la canzone.

(emilio ranzato)


(©L'Osservatore Romano - 16 giugno 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)