DIFENDERE LA VERA FEDE

I Manoscritti che fecero... l'impresa... e poi Qumran, dove sta la verità?

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    Caterina63
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    00 03/07/2010 00:51
    Codici ebraici dalla Biblioteca Apostolica Vaticana in mostra al Jewish Museum di Londra

    I manoscritti
    che fecero l'impresa


    Il Jewish Museum di Londra ospita, fino al 10 ottobre, la mostra "Illumination. Hebrew Treasures from the Vatican and Major British Collections". In esposizione, tra gli altri, tre preziosi codici della Biblioteca Apostolica Vaticana. Pubblichiamo una presentazione della curatrice.

    di Robin Navrozov
     

    Questa mostra inaugura la Exhibitions Gallery del Jewish Museum, il cui ambizioso obiettivo è lo studio dei legami fra le fedi. A loro modo, i manoscritti e i libri in esposizione fanno questo da centinaia di anni. La generosità del Vaticano nel dare un contributo tanto grande a questa iniziativa attesta l'alta priorità che esso accorda a questo importante obiettivo. Questo assieme alla partecipazione della Biblioteca del Lambeth Palace,  della  British Library, della Bodleian Library e del Museum of the History of Science, mostra quale importante ruolo il Jewish Museum sia destinato a giocare nel panorama culturale londinese.
     
    Uno dei contributi della Biblioteca Vaticana è la Sifra o Torat Koahnim, il codice ebraico più antico esistente che risale alla fine del IX secolo. I cristiani delle origini furono i primi ad adottare il formato del codice, inventando letteralmente il libro, che divenne un emblema del cristianesimo.

    La sua importanza è legata al fatto che la diffusione di un messaggio scritto nel mondo non si sarebbe potuta verificare se questa grandissima e significativa innovazione non fosse stata apportata al momento giusto.

    I codici sono più pratici dei rotoli, meno costosi da produrre, perché scritti sul recto e sul verso, e più maneggiabili. Sono anche più solidi, più duraturi e facili da usare. Se le pagine di un libro vanno perdute o vengono danneggiate o strappate, le altre non ne risentono necessariamente.

    Grazie all'opera delle biblioteche monastiche del medioevo, e di quelle delle grandi università e cattedrali europee, si è conservata la maggior parte di ciò che è sopravvissuto dell'antica dottrina. Queste realtà, essendo cristiane, erano deputate a conservare i codici. In parte per questo motivo, quasi nulla è sopravvissuto delle scritture ebraiche dei secoli precedenti all'adozione del codice. Il manoscritto straordinario in mostra rappresenta il momento storico in cui le tradizioni culturali ebraiche e cristiane convergono.

    Altri contributi del Vaticano sono l'unica copia esistente di un targum ("interpretazione") del Pentateuco (i "Cinque Libri" di Mosè) in aramaico risalente al XVI secolo e una copia del xv secolo della Mishneh Torah di Maimonide, notevole per i suoi titoli squisitamente decorati presumibilmente dai miniatori Cristoforo de Predis o Franco dei Russi.

    Le immagini sono un esempio della massima espressione dello stile italiano della miniatura, che precedette l'avvento del libro stampato. La pagina illustrata è la raffigurazione artistica della dimensione mistica della dottrina. I quattro uomini con la barba grigia, studiosi ebrei togati, inginocchiati sotto le stelle con i loro strumenti di misurazione e i libri aperti (presumibilmente ebraici) sostengono sfere armillarie, simili a quella esposta, che risale approssimativamente allo stesso periodo e proviene dalla straordinaria collezione di astrolabi e di sfere del Museum of the History of Science di Oxford.

    La parola Mada, vergata nel cielo pare significhi "scienza" oppure "conoscenza", ma dalle imprecisioni della scrittura si evince che il miniatore non conoscesse l'ebraico. Distese come stendardi dorati nel cielo, quelle lettere illustrano in modo evocativo una delle ragioni principali per la conservazione di questi manoscritti ebraici nella biblioteca pontificia:  il rispetto per le sacre lingue originali della Bibbia.

    Fin dalla sua fondazione la Biblioteca Vaticana ha promulgato l'ideale umanista secondo cui ogni uomo di cultura dovrebbe essere trium linguarum gnarus, dovrebbe cioè parlare in maniera fluente latino, greco ed ebraico. La Biblioteca è stata dotata di uno scriptor Hebraicus e il Vaticano ha incoraggiato attivamente lo studio dell'ebraico e la conservazione dei testi originali.

    La Chiesa cattolica non ha necessariamente avallato ogni risultato, ma ha permesso ai teologi di esplorare il significato profondo della Scrittura, cosa che ha portato molti a interessarsi ad altre aree di studi ebraici incluse la letteratura mistica e la kabbalah.
    La Bodleian Library presso l'Università di Oxford possiede una delle più importanti collezioni di manoscritti ebraici. Anche il fondatore, Thomas Bodley (1545-1613),  era  uno  studioso ebreo. I  contributi della Bodleian Library alla mostra includono la leggendaria Kennicott Bible, prodotta in Spagna nel 1476 e capolavoro artistico influenzato senza dubbio dalle tradizioni stilistiche dell'islam. Il Mahzor tripartito risalente all'inizio del xiv secolo, reca invece esempi derivanti dalle tradizioni manoscritte nordeuropee. Mentre un Pentateuco ferrarese del xv secolo presenta una vergine con un unicorno, generalmente considerata un simbolo preminentemente cristiano. La cultura e l'identità artistica ebraiche si rivelano quindi molto più eclettiche di quanto si sia spesso immaginato.

    Dalla British Library e dal Lambeth Place sono inoltre stati selezionati manoscritti e libri appartenenti a importanti ebraisti cristiani. Il filosemitismo come tendenza intellettuale ebbe un forte impatto su studiosi e teologi, statisti, filosofi e accademici. La mostra include un Pentateuco accompagnato dal commento di Rashi in quattro lingue (ebraico, aramaico, persiano e arabo in caratteri ebraici) scritto a Costantinopoli nel 1546, che apparteneva al principe Augusto Federico, Duca di Sussex, fratello di Giorgio iv e zio favorito della regina Vittoria, che era un importante ebraista e uno dei più grandi bibliofili dell'epoca. I marginalia di Isaac Casaubon, il filologo ugonotto francese, considerato alla sua epoca lo studioso più erudito d'Europa, sono visibili in latino e in ebraico nella copia personale del Sefer Mikhol di David Kimhi, pubblicato a Venezia nel 1545 da Daniel Bomberg (attivo dal 1515 al 1549). La mostra propone anche i taccuini di Benjamin Kennicott (1718-1783) che dedicò la propria vita al compito monumentale di raccogliere manoscritti ebraici precedenti all'era della stampa.

    Come evidenzia l'arcivescovo Ravasi nella sua introduzione a questo catalogo, lo studio profondo dei cinque libri di Mosè e degli altri testi ebraici è ancora importante oggi e continua a evolversi. È importante ricordare che non si tratta solo di oggetti belli e bizzarri d'ammirare indipendentemente dal loro contenuto. Lo studio della tradizione ebraica e l'interesse per i loro testi e per la loro dottrina ha una profonda influenza sulla cultura europea, inclusa quella inglese. Ebrei, cristiani e musulmani hanno un'origine religiosa comune presentata da questi manoscritti che hanno potuto essere studiati e ammirati da diverse generazioni grazie a queste grandi biblioteche. Questi libri sono il fondamento della cultura contemporanea.


    (©L'Osservatore Romano - 3 luglio 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 27/03/2011 19:43

    Qumran: quanti errori su quei papiri


    Qumran: tutto sbagliato, tutto da rifa­re? L’esclamazione bartaliana viene alla mente non appena chiusa l’ulti­ma pagina dell’avvincente Qumran. Le rovine della luna (Edb, pp. 224, euro 21), testo che fin dal sottotitolo mette la pulce nell’orecchio: «Il monastero e gli esseni: u­na certezza o un’ipotesi?». Un libro in cui il giovane – ma accreditato: insegna esegesi a Vienna e Innsbruck – Simone Paganini smonta a suon di prove e documenti prati­camente tutto ciò che sapevamo (o crede­vamo di sapere...) sulla scoperta archeolo­gica più sensazionale del Novecento, so­prattutto per quanto riguarda la storia del cristianesimo. E – proprio perché si tratta di un testo divulgativo, che forse per la prima volta in Italia rende disponibili al grande pubblico i risultati della ricerca scientifica più recente sul celebre sito – le sorprese so­no davvero molte. Tentiamone un catalogo quanto mai essenziale.

    A Qumran non abitavano gli esseni. Incredibile, no?

    Finora pensavamo che la lo­calità a nord-ovest del Mar Morto, nei cui dintorni – a partire dal 1946 – prima i be­duini e poi gli archeologi hanno scoperto 11 grotte più o meno stipate di antichi manoscritti, fosse un monastero abitato appunto dagli esseni: setta rigorista ebraica che pra­ticava celibato, assoluta purezza rituale, non­violenza, comunione dei beni e povertà. Non è così: scavi recenti (i primi infatti, dal pun­to di vista scientifico, sono da dimenticare...) hanno appurato che l’insediamento aveva piuttosto caratteri dapprima di avamposto militare, quindi di centro per la fabbricazio­ne di vasi per uso sacerdotale, ma anche di produzione agricola e commercio, persino con un certo lusso (vedi le molte monete rin­venute) incompatibile con gli usi esseni.

    Qumran non era nel deserto

    Un caposaldo della teoria essena consiste nel fatto che (più o meno a partire dal 130 a.C.) la setta – alla quale talvolta è stato acco­munato Giovanni Battista – si era rifugiata nel deserto in polemica con la corrotta clas­se sacerdotale di Gerusalemme, in una sor­ta di eremitaggio esclusivamente maschile di preghiera e copiatura dei testi sacri; e que­sto fino al 68 d.C., allorché i romani distrussero il sito, provocando (per nostra fortuna) l’abbandono delle grotte con i manoscritti. Ma ormai è dimostrato che Qumran era tutt’altro che solitario, anzi stava all’interno di un trafficato reticolo di strade e – pur es­sendo un centro di meno di 100 abitanti – conserva un cimitero di oltre mille tombe; le quali peraltro conservano cadaveri non so­lo maschili, ma pure di donne e bambini.

    I papiri non sono stati scritti a Qumran

    Un po’ strano, in un monastero dove si co­piavano intensamente libri, trovare soltanto tre calamai in pietra e nemmeno un pezzettino minimo di per­gamena... Eppure è succes­so a Qumran, nonostante vi si siano conservate discrete quantità di altri antichi ma­teriali organici. Finora si pensava che gli oltre mille rotoli del Mar Morto (660 so­no quelli i cui frammenti permettono un’identifica­zione) fossero una sorta di libreria segreta degli esseni, che avevano tra­scritto e sigillato in vasi i loro scritti sacri per conservarli dalla distruzione; e invece non solo i manoscritti appaiono quasi tutti co­piati da mani diverse (uno scrivano per ogni libro?!?), ma il loro contenuto riflette ten­denze culturali e teologiche diverse e persi­no contrastanti: come se provenissero da u­na biblioteca molto aggiornata (per esempio quella del Tempio di Gerusalemme), trasfe­rita in fretta per salvarla dalla distruzione.

    Ma gli esseni, poi, sono esistiti davvero?

    La cosa curiosa è che, nei manoscritti di Qumran, la parola «esseno»... non esiste pro­prio! Anzi, per la verità non sappiamo nep­pure quale fosse il termine ebraico per definire la setta, visto che le uniche notizie su di essa giunte fino a noi dipendono da Giu­seppe Flavio, dunque dal latino e dal greco. E c’è persino una seria studiosa israeliana secondo la quale gli esseni non sono mai e­sistiti, in quanto sarebbe impensabile che nel giudaismo del tempo di Cristo 4000 per­sone potessero impunemente negare – con la loro castità – il primo precetto biblico: «Crescete e moltiplicatevi».
    A Qumran non c’è il testo del Vangelo...
    Per i cattolici il frammento qumranico più importante è il famoso 7Q5, nel quale alcuni studiosi hanno identificato un versetto del Vangelo di Marco: fatto di importanza ca­pitale per retrodatare la composizione dei Vangeli, avvicinandola quindi alla morte di Cristo. Secondo Paganini però si tratta di u­na tesi insostenibile: sulle 20 lettere del frammento, solo 7 sono ricostruibili con si­curezza e sulle 1127 combinazioni possibi­li appena il 2% potrebbe avere relazione con Marco. Conclusione: «Sicuramente non ci troviamo davanti a un testo cristiano», ma probabilmente a una genealogia greca. Tut­tavia i rotoli del Mar Morto, composti qua­si tutti prima della nascita di Gesù, restano importantissimi per il cristianesimo in quanto consentono di ricostruire il clima culturale e religioso in cui visse il Nazareno.

    ...ma nemmeno il complotto del Vaticano

    Negli anni Novanta, basandosi sui numero­si «pasticci» combinati dalle équipes di stu­diosi che da un quarantennio avevano il mo­nopolio sui rotoli di Qumran, si diffusero va­ri bestseller d’impostazione «complottista» a sfondo anti-cattolico. La tesi fondamenta­le era: i manoscritti del Mar Morto non ven­gono pubblicati perché rivelano una verità «alternativa» su Cristo e dunque il Vaticano li sta boicottando. Ma la teoria è inconsi­stente poiché – spiega Paganini – «il Vatica­no non ebbe mai in nessun momento a che vedere con l’opera di pubblicazione dei ma­noscritti », che dal 1967 dipende dal gover­no israeliano. Eppure l’ipotesi «alla Dan Brown» resiste nella pubblicistica. Ma la storia dei ritrovamenti di Qum­ran è costellata da numerosi altri im­previsti incredibili, marchiani errori umani, ritardi ingiustificabili, esose contratta­zioni economiche (di numerosi frammenti non si conosce nemmeno l’esistenza perché sono finiti illegalmente in mani private), conflitti per­sonali e guerre vere e proprie tra nazioni... Mol­ti misteri sui rotoli sono dunque destinati a ri­manere tali, in quanto i dati che avrebbero po­tuto fornirci risposte sono irrimediabilmente perduti. Oggi comunque l’ipotesi più accredi­tata è quella che a Qumran abitassero alcune famiglie sacerdotali ebraiche, dedite alla fabbricazione di ceramica rituale «pura», e che proprio costoro avessero aiutato altri sacerdo­ti provenienti da Gerusalemme a nascondere la biblioteca del Tempio nelle grotte dei din­torni, fornendo loro anche le giare adatte per contenere i rotoli. Sarà così? «L’analisi dei ma­noscritti del Mar Morto – ammette Paganini – è appena agli inizi». E dunque...


    fonte: Avvenire

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 05/05/2011 19:18
    Accessibile a chiunque uno dei più importanti manoscritti della Bibbia greca

    Occhi digitali sul codice Sinaitico

     

    di NIGEL G. WILSON

    Le moderne tecnologie possono offrire straordinari benefici nei campi della ricerca letteraria, storica e teologica. Un esempio viene dalla British Library. Nelle sue collezioni il tesoro forse più importante è il codice Sinaitico, uno dei manoscritti biblici più antichi oggi esistenti.


    Il suo valore per il testo dell'Antico e del Nuovo Testamento è paragonabile a quello del codice Vaticano. La grande maggioranza dei testimoni manoscritti successivi è infatti in genere ritenuta dal punto di vista testuale meno affidabile dei codici Vaticano e Sinaitico.
    Entrambi sono stati trascritti verso la metà del IV secolo, quando il codex, ossia la forma di libro a cui siamo abituati, aveva sostituito il volumen, cioè il rotolo.

    In un memorabile saggio, il compianto Theodore Cressy Skeat ha sostenuto che questi due manoscritti sono stati realizzati nello stesso scriptorium, ma la sua ipotesi è basata in parte sulla somiglianza nello stile di ornamenti decorativi semplici realizzati a penna nei due codici, e sebbene questa somiglianza sia certamente suggestiva, non rappresenta comunque una prova. La sua congettura che il codex Sinaiticus sia stato realizzato in uno scrittorio a Cesarea in Palestina si fonda su errori di scrittura: in un momento di distrazione un amanuense scrisse Cesarea quando avrebbe dovuto scrivere Samaria e in un altro passo scrisse erroneamente il nome di Antipatrìs, una città non distante da Cesarea.


    La data è ragionevolmente certa, poiché Skeat aveva scoperto che i copisti variavano il modo di abbreviare i numeri, e il passaggio da un sistema più antico a quello che rimase in vigore per tutta la tarda antichità e il medioevo può essere osservato in alcuni documenti su papiro dell'Egitto, databili ai decenni centrali del IV secolo. Questa pratica di abbreviare i numeri sembra essere una caratteristica distintiva dei testi cristiani, poiché difficilmente è riscontrabile nei frammenti delle copie antiche dei classici della letteratura greca pagana.

    Sebbene il Sinaitico mostri segni di essere stato molto usato nei primi secoli della sua esistenza, la sua storia successiva rimane in gran parte oscura fino a quando, negli anni quaranta dell'Ottocento, non venne scoperto nel monastero di Santa Caterina ai piedi del Monte Sinai dallo studioso tedesco Konstantin von Tischendorf.
    I dettagli delle trattative mediante le quali lo studioso riuscì ad acquisirlo non sono del tutto chiari. Sembra che Tischendorf non sia stato del tutto trasparente nel trattare con i monaci, e pare accertato che i monaci stessi non avessero idea del valore del manoscritto, poiché è emerso che lo avevano trattato come combustibile bruciandone una buona parte nel forno per il pane. Il risultato è che quasi la metà dei fogli originali è andata perduta.
    La maggior parte di ciò che è sopravvissuto venne offerta da Tischendorf allo zar Alessandro II nel 1859, e rimase a San Pietroburgo fino al 1934, quando il Governo sovietico, a corto di valuta estera, ne trattò la vendita con il Governo britannico per la somma, allora considerevole, di centomila sterline. Il denaro venne raccolto mediante una sottoscrizione pubblica. Molti anni fa, un collega anziano mi raccontò che all'epoca, da studente, aveva contribuito con parte della sua paghetta.
    Ma oggi la British Library non possiede tutti i fogli esistenti: 43 si trovano a Lipsia, essendo stati offerti da Tischendorf a re Federico Augusto di Sassonia, e alcuni altri sono venuti alla luce a Santa Caterina nel 1974, quando è stata demolita una parete divisoria.

    Un paio d'anni fa a Londra si è conclusa un'operazione complessa e costosa, finanziata da una serie di enti culturali e dalla Niarchos Foundation.

    Le immagini di ogni singolo foglio del Sinaiticus sono state digitalizzate, cosicché, oltre alle copie di tipo convenzionale, le immagini digitali sono disponibili in un sito gestito dalla British Library, accessibile a tutti gratuitamente.

    La qualità di tali immagini è davvero altissima: molti dettagli quasi invisibili a occhio nudo o non visibili affatto risultano chiari. Viene fornita anche una trascrizione con alcune annotazioni.


    Grazie all'ammirevole cooperazione di tanti studiosi e istituzioni, uno dei libri più importanti per la storia del cristianesimo ora può essere studiato da chiunque. Poiché il manoscritto è stato sottoposto ad attenta analisi per oltre un secolo, la comunità degli studiosi non si attende cambiamenti sostanziali nella nostra conoscenza delle sue lezioni varianti, mentre nel caso del ben noto palinsesto di Archimede, tecniche simili per la riproduzione d'immagini hanno consentito di decifrare in modo accurato molti passi difficili o illeggibili.

    Non si può non rimanere davvero impressionati dalle immagini, ora così facilmente disponibili. Quella che era una realtà distante in questo modo assume un'immediatezza nuova e ispiratrice.



    (©L'Osservatore Romano 6 maggio 2011)
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