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[SM=g1740720]  Il farmaco d’immortalità

Dal punto di vista della fede il peccato è la causa ultima e più profonda della morte. La morte, come la conosciamo noi, e cioè come forza distruttrice, non era prevista da Dio per l’uomo. Se l’uomo non avesse peccato questo non sarebbe accaduto. “Con il peccato... la morte ha raggiunto tutto gli uomini” (Rm 5,12). La morte è divenuta condizione generale e assolutamente certa dell’esistenza umana: chiunque nasce in questo mondo, lo lascerà da morto.

L’avere la speranza della vita eterna, nonostante la morte e oltre la morte, non è in nostro potere. Nessuno può acquisire la risurrezione da se stesso, soltanto la grazia di Dio lo può fare. “Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 15,57). Colui che è venuto per liberarci dal peccato è anche Colui che vuole salvarci dal potere della morte.  

Nel Battesimo Dio dà l’avvio, donandoci la grazia della “rinascita” per la vita eterna. È come una vaccinazione prima di un lungo e pericoloso viaggio. Il Battesimo ci dà i primi “vaccini” contro la morte eterna. A questi “vaccini”, nel corso della vita, devono essere fatti dei richiami, soprattutto attraverso gli altri Sacramenti. I santi Sacramenti, soprattutto la Penitenza e l’Eucaristia, sono farmaci contro la morte.  

I cristiani sono sempre stati consapevoli del fatto che senza la Santa Messa, senza l’Eucaristia almeno la domenica, non avrebbero potuto continuare a vivere. “Senza la celebrazione domenicale del Signore non possiamo vivere”, confessavano i martiri di Abitene (+304) dinanzi al tribunale pagano. “Non è positivismo o brama di potere, se la Chiesa ci dice che l’Eucaristia è parte della domenica” (Papa Benedetto XVI). Non si tratta qui di un comandamento imposto dall’esterno, ma di sopravvivenza: Se non riceviamo regolarmente Cristo e la Sua grazia dentro di noi, se non ci facciamo continuamente “vaccinare” contro la morte e le sue conseguenze, non abbiamo nessuna garanzia che giungeremo alla vita eterna. La domenica è il giorno della settimana in cui “si fa il vaccino”, perché è lì che la forza del Risorto diventa efficace in modo più autentico.

Il nesso intimo tra il ricevere l’Eucaristia e la promessa della risurrezione non è una costruzione operata dai teologi a posteriori. Questo nesso è fondato sulla roccia originaria della Scrittura. L’evangelista Giovanni dedica il sesto capitolo del suo Vangelo all’Eucaristia. Esso contiene il grande discorso eucaristico fatto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Una lettura attenta fa notare la duplice indicazione: l’Eucaristia è il pegno della Risurrezione (cfr. Gv 6,44.54). Gesù dice molto chiaramente: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,53-54).    

Negli antichi autori della Chiesa troviamo queste affermazioni ancora più approfondite e sviluppate. In una delle sue catechesi, Gregorio di Nissa (+ dopo 394) paragona la condizione dell’uomo mortale ad un avvelenamento fatale. Soltanto un antidoto può spezzare questa forza portatrice di morte. “Che cos’è allora questo cibo?” chiede san Gregorio, e la risposta suona: “Nient’altro che questo corpo che ha superato la morte e ci ha portato la vita. Perché proprio così come, secondo le parole dell’apostolo, poco lievito rende tutta la massa dell’impasto somigliante ad esso, così anche quel corpo dotato di immortalità plasmato da Dio trasforma il nostro a somiglianza Sua“. Il santo Padre della Chiesa spiega poi come il pane e il vino, attraverso la parola di Dio, vengano trasformati nel Corpo di Cristo risorto, “affinché anche l’uomo, attraverso la sua unione con Colui che è immortale, diventi partecipe dell’immortalità”.

Un piccolo aiuto a comprendere l’Eucaristia come “farmaco d’immortalità” può venire da un breve excursus nella storia dei dogmi. Si tratta, più precisamente, delle ragioni teologiche per il dogma dell’Assunzione di Maria in cielo. Perché la madre di Dio, nell’ora della sua morte, ha avuto il privilegio di essere assunta da Dio in cielo in anima e corpo, senza che il suo corpo conoscesse la corruzione ?

Una ragione ricorrente delle prediche dei Padri della Chiesa è l’insegnamento biblico, secondo il quale Maria fu scelta da Dio come Madre del Signore. Nessuna creatura era legata a Cristo così come Maria, Sua Madre. Il corpo di Lui proviene dal corpo di Lei, il sangue di Lui dal sangue di Lei. Nello stesso modo in cui il corpo della Madre di Dio Lo ha portato in grembo fino alla Sua nascita e Lo ha nutrito, diventando così un santuario di Dio, anche dopo la morte il suo corpo sarebbe dovuto rimanere sacro e non avrebbe dovuto conoscere la corruzione.

Ciò che Maria era in forza della sua vocazione, e cioè Colei che porta in sé Dio, noi lo possiamo diventare soltanto progressivamente. Nella Santa Eucaristia riceviamo Cristo dentro di noi. In fondo basterebbe un’unica santa Comunione per farci diventare una sola cosa con Cristo. Da parte Sua, questo sarebbe possibile. Ma a causa della nostra umana debolezza abbiamo bisogno di ripetizione. Dobbiamo sempre di nuovo “accogliere il Corpo immortale di Cristo per essere trasformati a somiglianza della Sua natura divina” (cfr. Gregorio di Nissa).

Nessuno può realizzare l’assunzione di se stesso in cielo. Portando, però, Cristo sempre di più dentro di noi, come fece Maria, Egli, in futuro, farà in noi ciò che in Maria ha già anticipato. Nell’ora della nostra morte, o almeno non lontano da essa, il Signore un giorno dovrà diventare il nostro “viatico”: sarà un’ultima “vaccinazione”, affinché il pungiglione mortale non possa nuocerci. Siccome, però, nessuno sa quando verrà quell’ora, l’Eucaristia deve essere, almeno ogni domenica, ma possibilmente anche nei giorni feriali, il nostro farmaco. Così saremo sempre pronti per il passaggio.


[SM=g1740720] Signore, non sono degno

La definizione dell’Eucaristia come “farmaco d’immortalità” indica che la ricezione della Santa Comunione deve essere esaminata attentamente. Il miglior farmaco può essere nocivo se non viene amministrato in modo giusto. Inoltre, bisogna anche considerare che, nel Sacramento dell’altare, è un “Qualcuno” che viene ricevuto dall’uomo. Chi si comunica, riceve dentro di sé Cristo, il quale gli fa dono di sé attraverso il ministero della Chiesa. Perciò, il comunicarsi bene non ha soltanto una dimensione personale, ma anche ecclesiale. La Chiesa gestisce l’amministrazione della Santa Eucaristia e determina quali siano i presupposti per una degna e fruttuosa ricezione della Comunione.

Si narra che già nella vita della Chiesa primitiva sorsero le prime difficoltà relative alla ricezione della Comunione. Nella giovane comunità di Corinto alcuni cristiani mancavano di discernimento nei confronti del Corpo del Signore. Certuni non consideravano che il pane ingerito nell’Eucaristia è il Corpo del Signore. Il santo apostolo Paolo vedeva in questo una mancanza nei confronti di Colui che dà questo santo Dono, ma anche una mancanza di ecclesialità. La Comunione è, secondo l’apostolo, il modo più profondo e più efficace per arrivare all’unione ecclesiale: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti, infatti, partecipiamo dell’unico pane” (1 Cor 10,17). Chi si comunica in modo indegno commette un peccato nei confronti del Signore e del Suo Corpo, che è la Chiesa.

“Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,27-29).

Quando ciò che, già a partire da Cristo, è pensato come pane della vita, viene ricevuto in modo superficiale, invece di regalare la vita eterna, può essere causa del Giudizio. Nonostante non si servisse della parola “farmaco”, è proprio questo che l’apostolo Paolo intende: comunicarsi in modo indegno nuoce a colui che si accosta alla Comunione, proprio come un farmaco amministrato in modo sbagliato può nuocere all’uomo. “È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,30). Che diagnosi triste! A pochi anni dall’istituzione, da parte di Gesù, di questo dono d’amore del Suo cuore, già ci sono lamentele per deviazioni e smarrimenti. Ciò che doveva essere cibo della vita eterna, per alcuni era divenuto “agente patogeno”, e cioè “acceleratore di morte”.

Lo “scandalo” della comunità di Corinto era evidentemente la separazione tra l’Eucaristia e la vita, tra culto divino e un rapportarsi giusto degli uni con gli altri. I membri benestanti della comunità non avevano considerato i poveri, anzi, li avevano ignorati completamente. Questa grave mancanza d’amore e di solidarietà rimane per sempre un esempio ammonitore. Chiunque si avvicina all’altare del Signore deve esaminare se stesso anche proprio sotto questo aspetto.

Da un’analisi storico-ecclesiale emerge che la Chiesa ha sempre dovuto affrontare due diversi atteggiamenti sbagliati: da una parte una ricezione superficiale della Comunione, dall’altra, un esagerato timore di accostarsi alla mensa del Signore. San Giovanni Crisostomo, uno dei più grandi Padri della Chiesa d’Oriente, dedicò varie omelie a questo tema. Chi non sapesse che le sue parole erano rivolte a una platea del IV secolo, potrebbe pensare che si tratti di un discorso pronunciato da un sacerdote o da un vescovo davanti ad una moderna comunità cattolica del XXI secolo: appena si affaccia un’occasione festiva, la folla si precipita alla mensa del Signore, ma non perché sia preparata bene, ma perché tutti ci vanno. “Vedo che tanti ricevono il corpo del Signore senza pensarci e quando capita, più per abitudine e consuetudine che per attenzione e riflessione”. Capita poi anche che i fedeli si assentino dalla mensa del Signore per tanto tempo, e anche questo per pura abitudine, come lamenta il Crisostomo.

Per non farci assumere né l’uno né l’altro comportamento sbagliato, la Chiesa, nel corso del tempo, ha formulato condizioni per l’ammissione alla mensa del Signore. Fondamentalmente, le condizioni odierne sono identiche a ciò che già la prassi protocristiana prevedeva a tale riguardo. Nell’anno 150, il martire Giustino, rispecchiando la tradizione apostolica, scrive: “Noi chiamiamo questo cibo Eucaristia. Ad essa può partecipare soltanto chi ritiene veri i nostri insegnamenti, chi ha ricevuto il bagno per la remissione dei peccati e per la rinascita, e chi vive secondo i comandamenti di Cristo. Perché non la prendiamo come pane e bevanda comuni”.

Il Battesimo come sacramento primordiale viene menzionato come condizione. Esso è il bagno purificatore che prepara all’Unione Eucaristica con il Signore. Il Battesimo è come una porta d’ingresso. Chi l’ha passata, sperimenta, nell’Eucaristia, il compimento della Iniziazione cristiana, l’integrazione nella comunità di Cristo e della Chiesa. Coloro che non sono battezzati non possono essere ammessi all’Eucaristia. Devono prima accogliere Cristo nella fede e consacrarsi a Lui nell’acqua del Battesimo.

[SM=g1740733] Anche l’adesione, nella fede, alla Chiesa e alla sua dottrina, è una condizione per la ricezione dei sacramenti. Non è possibile voler ricevere il Corpo di Cristo rifiutando, allo stesso tempo, il Suo insegnamento. Da qui si spiega anche la norma secondo la quale i cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica non possono ricevere la santa Comunione, ad eccezione di rare situazioni particolari, come per esempio nel caso di pericolo di vita. Chiunque riceve la Comunione, non riceve nel sacramento soltanto Cristo, ma si unisce, nel modo più sublime, anche alla Chiesa, corpo mistico di Cristo. Comunicarsi in modo da escludere la Chiesa non è né possibile né salutare.

[SM=g1740733] Se la Chiesa rifiuta la cosiddetta intercomunione, lo fa per rispetto dei cristiani appartenenti ad altre confessioni. Se un cristiano protestante fosse invitato, durante una Messa cattolica, alla mensa del Signore, manifesterebbe che egli è in piena comunione con la Chiesa e che è cattolico. Un convinto cristiano protestante, però, non potrà certo volere questo. Prima ci deve essere, da parte sua, l’adesione alla fede della Chiesa cattolica, assieme all’accettazione in essa, seguita, poi, come compimento, dalla Comunione eucaristica.

Significativa nel contesto inter-ecclesiale è la condizione per l’ammissione rilevata da Giustino, e cioè il “vivere secondo i comandamenti di Cristo“. Qui, la maggiore difficoltà nasce probabilmente proprio dalle condizioni nelle quali ci troviamo oggi. Dei tanti esempi che si potrebbero fare a questo riguardo, due sono particolarmente attuali.

Il numero dei cattolici che non sentono il bisogno di partecipare, ogni domenica, alla Santa Messa, è abbastanza alto. Quando a questi cattolici, però, di tanto in tanto, capita di andare a Messa, essi sentono il bisogno di avvicinarsi alla mensa del Signore. Non sembrano rendersi conto che la mancata santificazione della domenica costituisce una mancanza grave. In fondo, è un atteggiamento paradossale e incomprensibile: si vuole essere uniti al Signore nel sacramento, ma non si cerca l’unione con i Suoi comandamenti. La ricezione del Corpo di Cristo senza l’adempimento della legge di Cristo, però, sicuramente non corrisponde alle intenzioni del fondatore, e di conseguenza non è neanche salutare.

Il secondo ambito tocca le varie situazioni irregolari riguardo al sacramento del Matrimonio. I singoli sacramenti non possono mai essere separati l’uno dall’altro. Sono ordinati l’uno all’altro e collegati indissolubilmente: così anche il Matrimonio e l’Eucaristia. Nel caso di tutti e due i sacramenti si tratta dell’unione carnale tra due persone. Chi dona se stesso ad un’altra persona affinché “i due siano una carne sola” (Mt 19,5), secondo la dottrina della Chiesa, può farlo soltanto all’interno del matrimonio sacramentale. Per un membro battezzato della Chiesa, per quanto riguarda il sacramento del matrimonio, non esiste zona neutra. Ogni unione carnale al di fuori del vincolo cristiano del matrimonio contraddice l’alleanza con Cristo alla quale abbiamo aderito con il nostro battesimo. È vero che oggi questo riguarda tantissime persone. La Chiesa, però, rimane fedele alla sua convinzione quando insiste sul fatto che chi si unisce carnalmente con un partner o una partner senza il sacramento del matrimonio, non può, in questa condizione, unirsi nella santa Comunione con il corpo di Cristo. Questo vale perciò non solo per unioni libere e rapporti extra-coniugali, ma anche per coloro che sono sposati solo civilmente, che sia il primo oppure il secondo matrimonio.

Sorge la domanda se la Chiesa, con questa sua così alta considerazione dei Sacramenti, a tanti suoi membri non faccia mancare i necessari mezzi della grazia: se l’Eucaristia è il farmaco d’immortalità, come rifiutarla ai fedeli ? A questo riguardo bisogna puntualizzare che non esiste alcuna situazione umana nella quale la Chiesa esclude dalla santa Comunione categoricamente e per sempre. Attraverso il sacramento della Penitenza, la maggior parte degli ostacoli può essere eliminata. Unioni libere possono essere regolarizzate attraverso il sacramento del Matrimonio, e persino i divorziati risposati possono essere ammessi alla Comunione eucaristica se sono disposti a rinunciare, in futuro, a questo essere-una-carne-sola con un partner che, davanti a Dio, non appartiene loro.

Siccome la Chiesa è sempre stata consapevole della debolezza dei suoi membri, si aspetta, come minimo, che un cattolico debba essere “preparato dal sacramento della Riconciliazione e di ricevere almeno una volta all’anno l’Eucaristia, possibilmente nel tempo pasquale” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1389). Il fatto che la diminuzione della prassi della Confessione vada di pari passo con l’aumento dell’accostamento alla Comunione è sicuramente una sollecitudine pastorale che sta attualmente a cuore alla Chiesa. La riscoperta del sacramento della Penitenza darà un notevole contributo alla ricezione fruttuosa della Comunione.

Chi non riesce a staccarsi dalla sua attuale condizione di vita che non corrisponde alla dottrina della Chiesa e che, di conseguenza, gli impedisce di adempiere il suo “dovere pasquale”, deve almeno, in attesa della santa Comunione, unirsi a Cristo chiedendoGli che, nel momento cruciale della sua vita, gli sia data la grazia di ricevere il sacramento dell’immortalità.

Quando ascolta la preghiera “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato!”, il Signore sicuramente noterà se qualcuno ha davvero partecipato ardentemente “alla Sua mensa”, o se può riceverLo anche sacramentalmente nella Santa Ostia. La Comunione spirituale deve in ogni caso precedere quella sacramentale, per far sì che il più Santo dei Sacramenti, l’Eucaristia, possa sviluppare i suoi pieni effetti.



[SM=g1740771] continua............




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)