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Ai nostri giorni, febbraio ha perduto la sua connotazione di mese dedicato alla purificazione e ai morti, poiché il mese dei morti è stato spostato a novembre, nel quale inizia l’Avvento, periodo dal carattere purificatorio e di attesa della nascita di Cristo. Eteria in Pellegrinaggio in Terra Santa narra: “il quarantesimo giorno dopo l’Epifania, qui (a Gerusalemme), è celebrato con grande solennità. In quel giorno si fa una processione (con affluenza numerosa di fedeli) all’Anastasis (Basilica sul luogo della morte e della risurrezione) e tutti vi partecipano; ogni cosa si compie con grande festa, come a Pasqua. Predicano tutti i sacerdoti e pure il Vescovo, commentando sempre quel passo del Vangelo nel quale si dice che Giuseppe e Maria, il quarantesimo giorno, portarono il Signore al Tempio, e che Simeone e la profetessa Anna, figlia di Fanuele, lo videro, e si ricordarono delle parole che essi dissero alla vista del Signore e l’offerta che i genitori fecero. Dopo aver compiuto tutte le cerimonie usuali si celebrano i Misteri e avviene il commiato” (Città Nuova, Roma 2000, pag. 146).

Da Gerusalemme tale festività si diffuse in tutto l’Oriente, e in particolar modo a Bisanzio e i monaci bizantini in seguito diffusero questa festività anche in occidente. Con l’imperatore Giustiniano I divenne giorno festivo e assunse il nome di “Ypapanté” (incontro del Signore). Festa di origini antichissime, cristianamente fu istituita da Papa Gelasio I tra il 492 e il 496 d.C. come festività interna al culto cristiano, probabilmente in sostituzione di alcune usanze pagane. All’inizio del V secolo, Cirillo d’Alessandria comincia a parlare di lumi. La commemorazione del rituale di purificazione, effettuato da Maria Vergine, dal vicino Oriente passò a Roma e già dal VIII secolo d.C. la festa aveva raggiunto una solennità imponente. A Roma, nel Medioevo, si compiva una lunghissima processione che partiva da Sant'Adriano e attraversava i fori di Nerva e di Traiano, attraverso il colle Esquilino, per raggiungere infine la basilica di Santa Maria Maggiore. La benedizione delle candele è un’usanza successiva alla processione ed è documentata a Roma tra la fine del IX e l’inizio del X secolo, probabilmente introdotta dal clero franco-germanico. Venivano accese con un cero in una cerimonia simile a quella della veglia pasquale, mentre ora sono semplicemente benedette. Secondo la tradizione, i ceri benedetti erano conservati in casa dai fedeli e venivano accesi, per placare l’ira divina, durante i violenti temporali, aspettando una persona che non tornava o che si pensava fosse in grave pericolo, assistendo un moribondo, durante le epidemie o i parti difficili. In tempi più recenti, la processione si accorciò, svolgendosi intorno alla Basilica di San Pietro.

In quell'occasione, all'interno della Basilica, sull'altare venivano poste delle candele, con un fiocco di seta rosso e argento, e con lo stemma papale. Erano scelte tre di queste e la più piccola era consegnata al Papa, mentre le altre due andavano al diacono e al suddiacono ufficiali. Una volta benedetti i ceri, il Papa consegnava la sua candela al cameriere segreto, insieme con il paramano di seta bianca, che gli era servito per proteggersi le mani dalla cera calda, e passava alla benedizione dei ceri.

A Chiaromonte, in Sicilia, alla vigilia della festa, le donne del paese effettuavano una processione che le portava in cima alla montagna dove si purificavano bagnandosi con la rugiada. Nel resto d'Italia, la festa della Candelora resta legata ai ceri benedetti. Questi ceri vengono custoditi nelle case, e si ritiene tengano lontani gli influssi maligni. In alcuni paesi costieri si riteneva che i ceri benedetti durante la Candelora servissero a ritrovare gli annegati. Gettati nell'acqua si sarebbero fermati dove si trovava il corpo dell'annegato. Se avete avuto la pazienza di seguirmi fino a questo punto, meritate di scoprire altri particolari.

Probabilmente la Candelora diventò festa cristiana sotto Papa Gelasio I, per sostituirne una pagana: la “februatio”, una parte della celebrazione della festività religiosa romana chiamata Lupercali o Lupercalia, che celebrava il fauno Luperco, dio della fertilità protettore del bestiame e delle messi. Questi riti si svolgevano a Roma alle Idi di Febbraio (per i romani ultimo mese dell’anno) e servivano a purificarsi prima dell’avvento dell’anno nuovo, e a propiziarne la fertilità. Plutarco ce li descrive minuziosamente nelle sue “Vite parallele” (Vita di Giulio Cesare): essi venivano celebrati nella grotta chiamata Lupercale, sul colle romano del Palatino dove, secondo la leggenda, i fondatori di Roma, Romolo e Remo, sarebbero cresciuti allattati da una lupa. Secondo il rito celebrativo, nel giorno antecedente i Lupercalia, le donne ancora in cerca di marito scrivevano il loro nome su un biglietto che veniva messo in un grande contenitore; successivamente tali biglietti, estratti a sorte, venivano abbinati ai nomi dei maschi presenti così da formare delle coppie; queste coppie passavano insieme tutto il giorno della festività danzando e cantando; poteva succedere che alla fine dei festeggiamenti alcune di esse decidessero di convolare a giuste nozze. Inoltre, nello stesso giorno, due ragazzi (i luperci) di famiglia patrizia, nella grotta consacrata al dio venivano segnati sulla fronte con del sangue di capra. Il sangue veniva quindi asciugato con della lana bianca intinta nel latte di capra, e a quel punto i due ragazzi dovevano sorridere. Venivano poi fatte loro indossare le pelli degli animali sacrificati, e con le stesse pelli venivano anche fatte delle strisce, le cosiddette “februa” o “amiculum Iunonis”, da usare come fruste. Con queste i due giovani dovevano correre intorno al colle colpendo chiunque incontrassero, in particolare le donne che volontariamente si offrivano alle sferzate per purificarsi e ottenere la fecondità.

Un altro rito della celebrazione era la “februatio”, ovvero la purificazione della città, in cui le donne scendevano in strada con dei ceri e fiaccole accesi, simbolo di luce. Secondo alcuni la festa derivava da una più antica dedicata alla Dea Lupa, in cui le sacerdotesse della dea indossavano pelli di lupa e ululavano nei riti alla luna. Esse praticavano la prostituzione sacra e il loro tempio era il "lupanare" nome che poi indicò semplicemente il postribolo. Le meretrici romane, infatti, richiamavano i clienti con il verso del lupo. Il famoso allattamento di Romolo e Remo ad opera di una lupa, si riferisce proprio all'intervento di una divinità. Poiché il rito riguardava un aspetto di Ecate, cioè Ecate Trivia, i templi erano posti nei trivi dove poi vennero posti i postriboli, da cui il termine triviale in senso spregiativo.

In merito alle origini italiche della Candelora, nel "Lunario Toscano" dell'anno 1805 troviamo il seguente testo: "La mattina si fa la benedizione delle candele, che si distribuiscono ai fedeli, la qual funzione fu istituita dalla Chiesa per togliere un antico costume dei gentili, che in questo giorno in onore della falsa dea Februa con fiaccole accese andavano scorrendo per le città, mutando quella superstizione in religione e pietà cristiana". Per la cronaca, i gentili erano i pagani e la Dea Februa era Iunio Februata (Giunone purificata), che veniva celebrata a Roma alle Calende di febbraio. Durante i festeggiamenti a Giunone purificata e Giunone Salvatrice i fedeli correvano per la città portando fiaccole accese. Giunone era detta anche Lacinia, dea della luce e protettrice, fra l’altro, delle partorienti.

Quindi, la Purificazione di Maria fu fatta coincidere (per sostituirsi poi del tutto o quasi) con la festa pagana dedicata a Giunone e ai Lupercali? Forse.

Un’altra ipotesi, sostenuta per lo più da altri studiosi, ritiene che la festa cristiana della Candelora sia una cristianizzazione della festa celtica di Imbolc, celebrata originariamente il 1° Febbraio e solo attualmente il 2 febbraio, probabilmente a causa di una confusione, ma non esiste nessuna evidenza del fatto che Imbolc fosse celebrata in epoca pre-cristiana al di fuori dell'Irlanda (da cui provengono gli unici resoconti scritti), mentre la festa della Candelora ha origine nel bacino del Mar Mediterraneo come i Lettori già sanno. Il termine Imbolc in irlandese significa “in grembo”, in riferimento alla gravidanza delle pecore, ed è anche il termine celtico per Primavera. Gli antichi Druidi chiamavano questo giorno il Festival del Ritorno della Luce, nel quale si risvegliava la Dea Terra. Dopo il sonno dell’Inverno spuntavano infatti i primi timidi fiori, il giorno era visibilmente più lungo, c’era la speranza della primavera.

Altri nomi per questa festività sono: “Oimelc” (latte di pecora) e “Brigid” o “Bride”, dal nome della dea celtica a cui il giorno è consacrato. Questa era la dea del Fuoco, di natura Trina poiché aveva altre due sorelle a lei identiche e sempre di nome Bride. Per questo motivo era contemporaneamente la protettrice dei fabbri, dei poeti e dei guaritori. Nel culto di Bride non erano ammessi uomini. A Bride erano consacrate diciannove sacerdotesse, molto simili alle vestali romane. Diciannove è il numero del ciclo metonico, in quanto ogni 19 anni le fasi lunari ricadono nello stesso giorno dell’anno solare. Curiosamente il nome della dea Bride fu assorbito in quello di Santa Brigida, una suora missionaria omonima (Saint Brigit) vissuta tra il 450 e il 525, i cui miracoli la fecero identificare presso il popolo con l'antica divinità pagana. Santa Brigida, divenuta poi seconda patrona d'Irlanda (dopo S. Patrizio), resta ancora oggi la protettrice di fabbri, poeti e guaritori, e viene raffigurata nei dipinti con una fiamma sopra la testa in ricordo dell’Antico Fuoco di Bride. Purificazione, rinnovamento, rinascita, fonte di giovinezza, nuova luce che si diffonde, sono tutti aspetti di Imbolc e della Candelora. Passano i secoli e i millenni ma il significato delle date fondamentali del Calendario legate al cielo stellato non cambia. Molto simbolica era anche l’antica festa della Candelora che prevedeva dapprima una processione per le strade dei paese a ceri spenti [nigredo], poi tutti i devoti, prima di entrare in chiesa, accendevano la candela [albedo], attingendo da un unico cero posto nell'ingresso. Qui il simbolismo di tenebra e quindi luce che proviene da unica fonte, è chiaro. Ma i fedeli, se numerosi, potevano anche far accendere il vicino direttamente dalla propria candela, divenendo in tal modo loro stessi portatori della nuova luce come accade nella santa notte della Veglia di Pasqua. L’idea di una purificazione rituale in questo periodo è rimasta forte nel folklore europeo. Ad esempio le decorazioni vegetali natalizie vengono messe da parte e bruciate alla Candelora per evitare che i folletti che in esse si sono nascosti infestino le case.

Il concetto di purificazione è presupposto di una nuova vita: si eliminano le impurità del passato per far posto alle cose nuove. Un antico detto celtico ricordava come fosse una buona cosa lavarsi spesso mani e viso con il bucaneve (i virus vecchi e nuovi dell’influenza sono sempre in agguato e non servono astronomici investimenti!). Bucaneve e mandorli in fiore riaccendono la Natura con il loro candido manto sfavillante che annuncia la Primavera alle porte. Il bucaneve è il primo fiore dell’anno a sbocciare e il suo colore bianco ricorda allo stesso tempo la purezza.

Storia della festa di Candelora, 2 febbraio - Report On Line

Dal sito Report On Line L'Informazione (che) aiuta la vita
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)