00 24/10/2010 16:57

Tiara o mitra?



All'Angelus di oggi l'ambiguo stemma papale da vescovo anglicano, confezionato dal card. Montezemolo in era Piero Marini, è tornato stabilmente alla finestra del Papa. Quello 'miracolosamente' apparso due settimane fa, che inalberava la tradizionale tiara, è finito, ben ripiegato, in qualche deposito vaticano. Del resto, era intervenuto perfino Avvenire, il quotidiano dei vescovi, a richiamare all'ordine l'appartamento papale. Dato che domenica scorsa il Papa era apparso alla loggia centrale, e quindi non contava (là c'è un apposito drappo, con mitra, e nessuno si aspettava che fosse cambiato), v'era attesa per vedere oggi se, affacciandosi alla solita finestra, avrebbe continuato ad usare il 'nuovo' stemma con la 'vecchia' tiara apparso due domeniche fa, oppure sarebbe tornato allo stemma mitrato. Ora lo sappiamo. Leggiamo dunque questo articolo, scritto alcuni giorni fa con preveggenza.

di BARONIO
BENE FECERUNT

Eh sì, bisogna ammetterlo: ci eravamo sbagliati. L'idea della tiara è stata un errore grossolano, una dimostrazione di ingenuità degna di un abatino idealista.

Dobbiamo riconoscerlo con franchezza e lealtà: bene ha fatto chi di dovere a intervenire, perché cose del genere sono davvero improponibili e al limite della sovversione. A nostra parziale giustificazione, possiamo addurre di non esserci ancora abituati al novus ordo che regna oltretevere da qualche decennio, e continuiamo ostinatamente a pensare che, in una società monarchica come la Chiesa, sia il Monarca a governare, e i sudditi a obbedire. E invece dovevamo tenere a mente che c'è la collegialità, che il governo è in mano alle commissioni, ai segretariati, ai consigli, agli uffici e, soprattutto, a personaggi influenti che non appaiono quasi mai in pubblico.

Quando a Roma si sforbiciavano gli schemi preparatori del Concilio sostituendoli con bozze di ben altro tenore, l'Italia era scossa dai moti sessantottini. La lectio magistralis del bolscevismo aveva ottenuto ampio seguito: le sommosse e gli scioperi erano proclamati da anonimi comitati organizzatori che nascondevano, dietro un'entità impersonale ammantata di pseudodemocrazia, i soliti tre o quattro agit prop forti della loro arroganza e dei precetti appresi alla scuola del Comunismo. Lo strepito di questi sediziosi era inversamente proporzionale alla loro entità numerica, ma il clima di intimidazione – sostenuto dal braccio armato dei compagni che sbagliano, i brigatisti – fu sufficiente per sortire l'effetto desiderato e scardinare dalle fondamenta la società borghese.

Analoghi comitati si costituirono all'interno della Curia, con identici mezzi e identiche finalità, applicate però alla Chiesa. Anche in quel caso l'autorità non seppe reagire alle prime avvisaglie della minaccia, e quando timidamente intervenne il danno ormai era fatto. Chierici ambiziosi si misero al servizio di lobbies ultraprogressiste, facendo credere che dalla base si levassero pressanti richieste di rinnovamento e di aggiornamento, mentre in verità le istanze dei fedeli erano ben altre, prima tra tutte la difesa dell'autorità e della gerarchia, che nel mondo civile avevano subito un colpo mortale. Paolo VI si lasciò convincere, con scarsa riluttanza, dagli sbrigativi metodi delle commissioni e di chi le manovrava, ed appose l'augusto chirografo a documenti e bozze, i cui autori avrebbe poi spedito in esilio. Ma quei documenti e quelle bozze nel frattempo eran diventati atti ufficiali della Chiesa, e non vennero mai sconfessati, nonostante il vizio iniziale che li inficiava. Bugnini lasciava a Roma una borsa colma di documenti compromettenti, e ne preparava un'altra per la Nunziatura di Teheran, ma i suoi sodali restavano ben saldi al proprio posto e continuavano a far carriera, proprio come in ambito profano non pochi teorizzatori della lotta armata fuggirono all'estero, mentre i loro eredi siedono ancor oggi in Parlamento, negli atenei, nelle aule dei tribunali. Ed altri eredi di altri maestri siedono ancor oggi in Curia, negli atenei pontifici, nelle Diocesi. È a costoro che si deve la sparizione dello stemma papale con la tiara, così come l'intemerata all'Ufficio delle Celebrazioni Pontificie, per riportare le funzioni papali allo squallore tribale del precedente Pontificato.

Chi ha donato lo stemma papale di Benedetto XVI ornato di tiara ha pensato che non fosse poi un'idea così peregrina, visto che sono ormai tre anni che questo stemma è ricamato sui paramenti del Papa, e da ancor più tempo esso campeggia in bella vista nei giardini vaticani. E chi, nei Sacri Palazzi, ha accolto con entusiasmo questo dono per il Pontefice ha certamente creduto di far cosa gradita alla Santità di Nostro Signore, senza mettere in crisi la Curia romana.

Il punto è un altro, e conviene che ciascuno di noi se ne faccia una ragione: il Papa non porta più la tiara perché c'è chi gliel'ha usurpata, e ci tiene ad innalzarla orgogliosamente sul proprio stemma. La tiara con le chiavi decussate è rimasta immutata – nihil innovetur! ammonirebbe Gianni Cardinale – sulla carta intestata di altri potentati, nonostante lo stesso Pontefice ne sia stato privato. E quella triplice corona, segno del governo sovrano sulla Chiesa, ormai appartiene esclusivamente a chi tiene a rivendicarne la proprietà, proprio perché sa bene cosa essa rappresenti. Vi diamo una notizia: non è la tiara ad esser stata abolita: si è abolito piuttosto il ruolo chi avrebbe diritto di portarla, il Papa Re.

E l'altro punto, non secondario, è che chi si oppone alla falange dei progressisti ha il grave difetto – per così dire – di non condividerne la meschinità, l'ignoranza, la presunzione, la cialtroneria, l'assenza di scrupoli. Benedetto XVI ed i suoi pochi fedeli collaboratori sono persone colte, educate, dotate di grande signorilità e magnanimità. Non userebbero mai gli stessi metodi, perché lo giudicherebbero volgare, indegno, ripugnante. Così i primi si credono più forti, per il solo fatto di avere avversari leali e pazienti.

Bene ha fatto quindi chi, nei filoni del progressismo più gretto, si è sentito esautorato da un Benedetto XVI qualsiasi, che non dovrebbe essere più considerato – nella loro mente ottenebrata – il sovrano del Vaticano né il capo supremo della Chiesa. Essi possono concedere al massimo che egli ne sia il presidente, il rappresentante, e colui contro cui la stampa si scatena a fasi alterne. Per questo sullo stemma del Papa la mitria è quasi ridondante, e vi è chi vorrebbe vedervi al massimo un galero a due fiocchi. Poiché è evidente che vi sono eminenze grigie che si credono ben al di sopra del Pontefice, e non fanno nulla per nasconderlo, anzi ne menan vanto, confidando che la propria insubordinazione valga loro le patenti di progressismo, indispensabili per far carriera proprio là dove la tiara si usa ancora.

Ma una volta che si è insinuato il principio in base al quale il Papa usa la mitria perché se ne vuole enfatizzare il ruolo di Pastore al pari degli altri Vescovi, piuttosto di quello di unico e supremo Pastore al quale devono obbedienza anche i Vescovi: cosa impedirà agli autori di questa visione democratica del Papato di suggerire che il Pontefice rinunzi alla veste bianca? O che vada adabitare al Laterano, come Vescovo di Roma, rinunciando al Palazzo Aposolico? E perché conservare nello stemma le chiavi decussate, visto che i Vescovi non le hanno nel proprio? Perché non far pubblicare le Encicliche da qualche Dicastero o da un comitato di Cardinali, anziché riservarne la promulgazione al Papa?

Ovviamente sono proprio quelli che si stanno dando daffare per raggiungere questo scopo che interverranno immeditamente per tranquillizzarci e dire che siamo profeti di sventura. Proprio come fecero con la riforma liturgica: il latino – pontificavano – rimarrà nella liturgia. E poi: la Messa è in volgare, ma il Canone sarà sempre detto in latino. E poi: il Canone è in vernacolo, ma la Consacrazione rimarrà in latino. E alla fine ci troviamo un pro multis tradotto in per tutti, e di latino non se ne vede l'ombra, a parte rarissime eccezioni. Profeti di sventura?

A noi incurabili cultori del Papato vien nostalgia dei tempi in cui comportamenti del genere avrebbero meritato qualche mese a Castel Sant'Angelo, senza troppe cerimonie. O di un meno rinascimentale ma pur sempre efficace amoveatur, magari in quel di Teheran, dove si mandavano i reprobi, e donde oggi vengono i loro degni sostituti.

Via la tiara dunque! Lasciamola a chi, finalmente senza ipocrisie, ci ha fatto capire – papale papale – chi comanda. Ma ci si lasci dire che sul capo di costoro, il triregno appare ridicolo né più né meno del copricapo del mago Otelma. Ci vuole ben altra levatura, ben altra classe e ben altro carisma per saperla portare.


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 Breve riflessione e appello:

Non mi ero fatta illusioni, seppur ci avevo sperato! Pazienza! Vorrà dire che poseremo anche questa delusione sulla bilancia di quelle ingiustizie per le quali il Signore ha promesso un riscatto di giustizia.... Wink  
Il problema non sta appunto nelle delusioni le quali rinforzano la virtù dell'umiltà, della pazienza, della vera carità.... quanto piuttosto nel dramma di vedere il Vicario di Cristo PRIVATO nella sua legittima simbologia, proprio perchè NON appartiene a Lui in quanto Uomo, ma in quanto VICARIO DI CRISTO IN TERRA, nel suo specifico RUOLO....  
 
Il Papa ci ha invitati a pregare per LUI perchè NON fugga davanti ai lupi.....  
 
ebbene santo Padre,
Beatissimo Padre! mi guardo bene dal suggerire cosa Ella debba fare o non fare, ma si guardi dai LUPI:
 
 se davvero Lei, Beatissimo Padre, non è più libero di portare almeno nella simbologia la legittima Tiara che non appartiene a LEI ma a CRISTO RE.... potrebbe significare per noi, piccolo gregge, che da qualcosa sta rischiando di scappare....  
Dio non voglia!!  
La mitezza è una grande virtù, ma anche preservare il gregge da certi lupi che se la ridono del Suo abbandonare la Tiara, richiede quell'uso del BASTONE da Lei stesso augurato in chiusura dell'Anno Sacerdotale....  
Auguri Santo Padre!  
Con o senza la Tiara non ci staccheremo da Lei, ma come Lei stesso insegna la nostra Fede E' FATTA DI SEGNI E DI SIMBOLI, se li aboliamo uno alla volta, anche la fede verrà meno!  
 
Con affetto filiale, in ginocchio, mi benedica!  
LDCaterina63  




 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)