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I legami con la metafisica e con la storia

La saldatura tra razionalità e fede, realizzatasi nello sviluppo della missione cristiana e con la costruzione della teologia cristiana, apportò anche alcuni correttivi decisivi all'immagine filosofica di Dio, di cui due almeno vanno menzionati. Il primo era costituito dal fatto che il Dio in cui i cristiani credevano e che veneravano, a differenza delle divinità mitiche e politiche, era realmente natura Deus : e in questo rispondeva alle esigenze della razionalità filosofica.

Ma allo stesso tempo valeva anche un altro aspetto: non tamen omnis natura est Deus (non tutto ciò che è natura è Dio). Dio è Dio per natura, ma la natura in quanto tale non e Dio. Si produceva una separazione tra la natura universale e l'essere che la fondava, che le dava origine. Solo allora si arrivò a distinguere chiaramente tra loro fisica e metafisica. Solo il vero Dio, che il pensiero consentiva di riconoscere nella natura, diveniva oggetto di preghiera. Ma egli era qualcosa di più della natura. La precedeva, ed essa era una sua creatura.

A questa separazione tra la natura e Dio si aggiungeva una seconda scoperta, ancora più decisiva: il dio, la natura, l'anima del mondo o qualunque nome gli si desse, non aveva potuto essere oggetto di preghiera; come abbiamo constatato, non era un «dio religioso». Adesso, ed e quanto già diceva la fede dell'Antico e ancor più del Nuovo Testamento, quel Dio che precedeva la natura si era volto verso l'uomo. E proprio perché non era semplicemente la natura, non era un Dio silenzioso. Era entrato nella storia, era venuto incontro all'uomo, e per questo l'uomo poteva incontrarlo. L'uomo poteva unirsi a Dio perché Dio si era unito all'uomo.

Le due dimensioni della religione, che erano sempre state separate tra loro, la natura nel suo regno eterno e il bisogno di salvezza dell'uomo che soffre e che lotta, erano state congiunte tra loro. La razionalità poteva diventare religione perché il Dio della razionalità era entrato egli stesso nella religione. In fin dei conti, l'elemento che rivendicava la fede, la parola storica di Dio, non costituiva forse il presupposto perché la religione potesse volgersi oramai verso il Dio filosofico, che non era un Dio puramente filosofico e che nondimeno non respingeva la filosofia, ma anzi la assumeva? Qui si manifestava una cosa stupefacente: i due principi fondamentali apparentemente contrari del cristianesimo - legame con la metafisica e il legame con la storia - si condizionavano e si rapportavano reciprocamente; insieme formavano l'apologia del cristianesimo come religio vera.

Si può dunque dire che la vittoria del cristianesimo sulle religioni pagane fu resa possibile fondamentalmente dalla sua pretesa di intellegibilità. Ma bisogna aggiungere che a questo fatto ne era associato un secondo di non minore importanza. In termini gene­rali, esso consisteva principalmente nella serietà morale del cristianesimo, caratteristica che anche Paolo, del resto, aveva già messo in rapporto con la razionalità della fede cristiana: in fondo, l'oggetto della legge, le esigenze essenziali del Dio unico messe in luce dalla fede cristiana in considerazione della vita dell'uomo, rispondeva alle esigenze del cuore dell'uomo, di ogni uomo, di modo tale che, quando all'uomo veniva presentata questa legge, egli la riconosceva come il Bene. Essa corrispondeva a ciò che «è buono per natura» (Rm 2.14s).

È evidente qui l'allusione alla morale stoica, alla sua interpretazione etica della natura, presente anche in altri testi paolini, come nella lettera ai Filippesi: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtú e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). Così, da allora l'unione di fondo (ancorché critica) con la razionalità filosofica presente nella nozione di Dio, si confermò e si concretizzò nell'unione, anch'essa critica, con la morale filosofica. E come nell'ambito religioso il cristianesimo superava i limiti della saggezza della filosofia di scuo1a, proprio per il fatto che il Dio pensato si lasciava incontrare come un Dio vivente, così in tal caso si verificava un superamento della teoria etica in una prassi morale, vissuta e realizzata in modo comunitario, nella quale la prospettiva filosofica veniva trascesa e trasposta nell'azione reale, in particolare mediante la concentrazione di tutta la morale sul duplice comandamento dell'amore di Dio e del prossimo.

Semplificando, si potrebbe dire che il cristianesimo convinceva per il legame della fede con la ragione e per l'orientamento dell'azione verso la caritas, la cura caritativa dei sofferenti, dei poveri e dei deboli, al di là di ogni limite di condizione. Che in ciò stesse la forza del cristianesimo, è particolarmente chiaro dal modo in cui l'imperatore Giuliano cercò di ristabilire, in forme rinnovate, il paganesimo. Lui, il pontifex maximus del ristabilimento della religione degli antichi dei, istituì - cosa mai vista sino ad allora - una gerarchia pagana, fatta di sacerdoti e di metropoliti.

I sacerdoti dovevano essere esempi di moralità, dovevano dedicarsi all'amore di Dio (la divinità suprema al di sopra di tutti gli dei) e del prossimo. Erano obbligati a fare atti di carità noi confronti dei poveri, non era loro consentito leggere commedie lassiste e romanzi erotici e, nei giorni di festa, dovevano predicare su un argomento filosofico per istruire e per formare il popolo. Al riguardo Teresio Bosco diceva, a ragione, che l'imperatore, in realtà, cercava in tal modo non di ristabilire il paganesimo, ma di cristianizzarlo, in una sintesi, forzata in direzione del culto degli dei, tra la razionalità e la ragione.

Guardando al passato, possiamo dire che la forza che ha trasformato il cristianesimo in una religione mondiale sta nella sintesi da esso operata tra ragione, fede e vita, brevemente indicata con l'espressione religio vera. Si impone allora la questione del perché oggi questa sintesi non convinca più, e razionalità e cristianesimo siano anzi considerati come contrapposti e persino reciprocamente escludentisi. Cosa è cambiato nella razionalità e cosa è cambiato nel cristianesimo perché sia potuto accadere questo?

Un tempo il neoplatonismo, in particolare Porfirio, aveva opposto alla sintesi cristiana un'altra interpretazione del rapporto tra filosofia e religione, un'interpretazione che si proponeva come una rifondazione filosofica della religione degli dei. Essa era alla base del tentativo di Giuliano, che proprio su di essa si arenò.

Ma oggi e proprio quest'altro modo di armonizzare la religione e la razionalità che sembra imporsi come la forma della religiosità più adatta alla coscienza moderna. Porfirio formulava così la sua prima idea fondamentale: latet omne verum (la veritá e nascosta). Ricordiamoci la parabola dell'elefante, che è esattamente ispirata da questa idea sulla quale convergono buddhismo e neoplatonismo. Secondo essa, sulla veritá, su Dio, non esistono certezze, ma solo delle opinioni.

Nella crisi di Roma del tardo IV secolo, il senatore Simmaco - immagine speculare di Varrone e della sua teoria della religione - ricondusse la concezione neoplatonica ad alcune formule semplici e concrete, che possiamo ritrovare nel discorso da lui tenuto nel 384 davanti all'imperatore Valentiniano II a difesa del paganesimo e a favore del ristabilimento della dea Vittoria nel senato romano. Cito soltanto la frase decisiva. divenuta celebre: «Tutti venerano la stessa cosa; noi pensiamo a un'unica cosa, contempliamo le stesse stelle, unico è il cielo sopra di noi, il mondo che ci circonda è il medesimo. Le diverse forme di conoscenza attraverso cui ciascuno cerca la verità non hanno importanza. Non si può giungere a un mistero così grande attraverso una sola via».

La razionalità di oggi dice esattamente la stessa cosa: noi non conosciamo la verità in quanto tale, attraverso le immagini più diverse puntiamo alla stessa cosa. Un mistero così grande come il divino non può essere ridotto a una sola figura che escluda tutto le altre, a una via obbligata per tutti. Vi sono molte vie, vi sono molte immagini, tutto riflettono qualcosa del tutto e nessuna e in sé il tutto. L' ethos della tolleranza è proprio di chi riconosce in ciascuna immagine una parte del tutto, non pone la propria al di sopra di quella dell'altro e s'inserisce pacificamente nella multiforme sinfonia dell'eterno inaccessibile. Quest'ultimo, infatti, si nasconde nei simboli, ma nondimeno questi simboli sembrano costituire la nostra unica possibilità di giungere in qualche modo alla divinità.

La pretesa del cristianesimo di essere la religio vera sarebbe dunque superata dal progresso della razionalità? Si è costretti ad abbassare il livello delle sue pretese e a inserirsi nella visione neoplatonica o buddhista o induista della verità e del simbolo, ad accontentarsi - come aveva proposto Troeltsch - di mostrare del volto di Dio solo il lato rivolto verso gli europei? Bisogna andare persino al di la di Troeltsch, che ancora considerava il cristianesimo la religione più adatta all'Europa, in considerazione del fatto che oggi la stessa Europa dubita di ciò? È questa la grossa questione con la quale la Chiesa e la teologia devono confrontarsi.

Tutto le crisi interne al cristianesimo osservabili ai nostri giorni sono riconducibili solo secondariamente a problemi di tipo istituzionale. I problemi di tipo sia istituzionale sia personale nella Chiesa derivano, in ultima istanza, da questa questione e dal suo enorme peso. Nessuno può aspettarsi, neanche lontanamente, che questa provocazione fondamentale, al termine del secondo milennio cristiano, trovi una risposta definitiva in una conferenza. Essa non può assolutamente trovare una risposta puramente teorica, nella misura in cui la religione, in quanto modo di essere fondamentale dell'uomo, non è mai soltanto teoria. Esige piuttosto quella combinazione di conoscenza e di azione che era alla base della forza di convinzione del cristianesimo dei padri.

Questo non significa assolutamente che ci si possa sottrarre alle esigenze intellettuali del problema rinviando alla necessità della praxis. Per concludere, cercherò soltanto di aprire una prospettiva che potrebbe indicare la direzione. Avevamo visto che l'unità relazionale tra razionalità e fede, cui in ultima analisi Tommaso d'Aquino diede forma sistematica, fu mandata in frantumi non tanto dagli sviluppi della fede quanto piuttosto dai nuovi processi della razionalità. Quali tappe di questa separazione reciproca si potrebbero citare Cartesio, Spinoza, Kant.

La nuova sintesi inglobante tentata da Hegel non restituì alla fede il suo luogo filosofico, ma cercò di trasporla nella ragione e di abolirla come fede. A questa assolutezza dello spirito, Marx oppose l'unicità della materia, e da allora la filosofia fu del tutto ricondotta alla scienza esatta. Solo alla conoscenza scientifica veniva riconosciuto il titolo di conoscenza. L'idea del divino veniva cosi congedata. La profezia di Auguste Comte secondo cui un giorno vi sarebbe stata una fisica dell'uomo e le grandi questioni sino ad allora lasciate alla metafisica sarebbero state trattate in modo altrettanto «positivo» di tutto quanto era già scienza positiva, ha avuto nelle scienze umane del nostro secolo un'eco impressionante.

La separazione operata dal pensiero cristiano tra fisica e metafisica è stata sempre più abbandonata. Tutto doveva divenire nuovamente «fisica». La teoria dell'evoluzione si è sempre più consolidata come la via diretta per far scomparire definitivamente la metafisica, per rendere superflua l'«ipotesi di Dio» (Laplace) e formulare una spiegazione del mondo strettamente «scientifica». Una teoria dell'evoluzione che spiega complessivamente tutto il reale, è divenuta una sorta di «filosofia prima» che rappresenta, per cosi dire, il fondamento vero della comprensione razionale del mondo. Ogni tentativo di mettere in gioco cause diverse da quelle elaborate da una tale teoria «positiva», ogni tentativo di «metafisica» deve apparire come una caduta al di sotto della ragione, come un'involuzione rispetto alla pretesa universale della scienza.

Così, l'idea cristiana di Dio è necessariamente considerata come non scientifica. A questa idea non corrisponde più nessuna theologia physica : l'unica theologia naturalis è in questa visione la dottrina dell'evoluzione, e questa, per l'appunto, non conosce alcun Dio o Creatore nel senso del cristianesimo (dell'ebraismo e dell'islam), né alcuna anima del mondo o dinamismo interiore nel senso della Stoa. Eventualmente si potrebbe, nel senso del buddismo, considerare il mondo intero come un'apparenza e il nulla come il vero reale, e giustificare in questo senso le forme mistiche della religione: perlomeno quelle che non sono in concorrenza diretta con la ragione.






continua....




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)