00 12/10/2010 09:23
[SM=g1740733] Alcuni passi salienti del testo di Don Matteo che potrete scaricare integralmente dal collegamento sopra postato:


Cosa intende il Concilio Vaticano II per arte
religiosa e arte sacra?
Cosa intende quando ribadisce una certa libertà degli stili artistici?


Per quindici secoli, fino alla seconda guerra mondiale, la Chiesa Cattolica
Romana è stata considerata custode dei più grandi tesori dell’arte e
dell’architettura. La Chiesa ha sempre formato artisti e architetti
influenzando non poco la stessa arte e architettura nell’ambito secolare.
Durante l'ultimo mezzo secolo, però, i ruoli sono cambiati, e la Chiesa si ritrova oggi ad essere influenzata da una certa arte laica e razionalistica con artisti e architetti formati ad una visione del mondo non cattolica e non cristiana. Mentre in precedenza lo sviluppo dell'arte è stato ispirato da e in continuità con le opere del passato, e fecondato dalla fede, (vedi l’audacia di un Caravaggio, di un Bernini, per fare solo alcuni esempi...)
l’attuale tendenza di un’arte, concepita come "avanguardia", ha
introdotto una prospettiva di progresso, e di evoluzione artistica
tendente verso una progressiva rottura con la tradizione e con la fede
stessa.

Pio XII, nel 1952, ricevendo gli artisti della Quadriennale Romana rivolse loro queste parole, che mai come oggi si rivestono di una certa attualità e che sottopongo alla riflessione di tutti:

“Non occorre che spieghiamo a voi — che lo sentite in voi stessi, spesso come nobile tormento — uno dei caratteri essenziali dell'arte, il quale consiste in una certa intrinseca “affinità” dell'arte con la religione, che fa gli artisti in qualche modo interpreti delle infinite perfezioni di Dio, e particolarmente della sua bellezza ed
armonia.
La funzione di ogni arte sta infatti nell'infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui l'uomo è immerso finché vive quaggiù, e nell'aprire come una finestra al suo spirito anelante verso l'infinito.
Da ciò consegue che ogni sforzo — vano, in verità — inteso a negare e sopprimere qualsiasi rapporto fra religione ed arte, risulterebbe menomazione dell'arte stessa, poiché qualsiasi bellezza artistica che si voglia cogliere nel mondo, nella natura, nell'uomo, per esprimerla in suoni, in colori, in giuoco di masse, non può prescindere da Dio, dal momento che quanto esiste è legato a lui con rapporti essenziali. Non si dà, dunque, come nella vita, così nell'arte — sia essa intesa quale espressione del soggetto o quale interpretazione dell'oggetto —
l'esclusivamente “umano”, l'esclusivamente “naturale” od “immanente”. Con quanto maggior chiarezza l'arte rispecchia l'infinito, il divino, con tanta maggior probabilità di felice successo essa s'innalza all'ideale e alla verità artistica. Perciò quanto più l'artista vive la religione, tanto è meglio preparato a parlare il linguaggio dell'arte ed intenderne le armonie e a comunicarne i fremiti.

Naturalmente siamo ben lontani dal pensare che per essere interpreti di Dio nel senso ora esposto, si debbano trattare esplicitamente soggetti religiosi; d'altra parte, non si può contestare il fatto che forse mai come in essi l'arte ha raggiunto i suoi più alti fastigi. In tal guisa i sommi Maestri dell'arte sacra divennero interpreti oltre che della bellezza, anche della bontà di Dio Rivelatore e Redentore. Meraviglioso ricambio di servigi tra il Cristianesimo e
l'arte.
Dalla fede essi attinsero le sublimi aspirazioni; alla fede essi attrassero le anime, allorché, durante secoli, comunicarono e diffusero le verità contenute nei Libri Santi, verità inaccessibili, almeno direttamente, all'umile popolo. A ragione furono detti “Bibbia del popolo” i capolavori artistici, come, per citare noti esempi, le vetrate di Chartres, la porta di Ghiberti (con felice espressione detta del Paradiso) i mosaici romani e ravennati, la facciata del Duomo di Orvieto. Capolavori questi ed altri, che non soltanto traducono in caratteri di facile lettura e con lingua universale delle verità cristiane, ma di esse comunicano l'intimo senso e la commozione con una efficacia, un lirismo, un ardore, quale forse non possiede la più fervida predicazione.

Ora le anime
ingentilite, elevate, preparate all'arte sono più disposte ad accogliere la realtà religiosa e la grazia di Gesù Cristo. Ecco dunque uno dei motivi, per i quali i Sommi Pontefici, e in generale la Chiesa, onorano ed onorarono l'arte, e ne offrono le opere quale
omaggio delle umane creature alla maestà di Dio nei suoi templi, che sono stati sempre in pari tempo dimore di arte e di religione. Coronate, diletti figli, i vostri ideali di arte, con gli ideali religiosi, che quelli rinvigoriscono ed integrano. L'artista è di per sé un privilegiato fra gli uomini, ma l'artista cristiano è, in un certo senso, un eletto perché è proprio degli Eletti contemplare, godere ed esprimere le perfezioni di Dio.
Cercate Dio
quaggiù nella natura e nell'uomo, ma innanzitutto dentro di voi; non tentate vanamente di dare l'umano senza il divino, né la natura senza il Creatore; armonizzate invece il finito con l'infinito, il temporale con l'eterno, l'uomo con Dio, e voi darete così la verità dell'arte, la vera arte. Anche senza proporvelo espressamente
come scopo, studiatevi di educare gli animi — così facilmente inclinati verso il materialismo — alla gentilezza e al gusto spirituale; avvicinateli gli uni agli altri, voi a cui è dato di parlare un linguaggio che tutti i popoli possono comprendere. Sia
questa la missione a cui tenda la vocazione artistica, della quale siete a Dio debitori; missione così nobile e degna che basta da sé sola a dare alla vostra vita quotidiana, spesso aspra ed ardua, la pienezza e il fiducioso coraggio”.


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Quindi fra l’arte e la religione esiste un naturale e indissolubile connubio!
L’arte è in sé espressione di uno sguardo che và oltre il “finito angusto” aprendosi all’infinito mistero che è alla radice di tutte le cose; l’arte, quindi, è in sé religiosa anche se non mette a tema realtà esplicitamente religiose. Quindi è da intendersi come l’espressione più genuina del senso religioso dell’uomo; della sua domanda di verità, di bellezza, di infinito, di eternità. Infatti, fra le più nobili attività dell’ingegno umano - ebbe a dire il Concilio Vaticano II- sono da annoverarsi le belle arti, in
particolare l’arte religiosa il cui vertice è costituito dall’arte sacra.

Ma, se è vero che nel post concilio, per un’errata interpretazione dei testi conciliari stessi, si è ingenerata una sorta di confusione fra arte religiosa e arte sacra, le radici di tale confusione vanno ricercate in una crisi globale dell’arte e in uno sconvolgimento dei suoi stessi fondamenti millenari.
L’antico ideale di bellezza dell’arte classica è tramontato definitivamente e ci rendiamo conto che non ci si rivolge più ad esso; l’arte sta tentando convulsamente di superare i propri confini. Vengono violate le barriere che separano una forma dall’altra e l’arte in generale da ciò che arte non è, che sta al di sopra o al di sotto di essa.
Anche se da diverse prospettive, allora, si nota la crisi della vecchia arte e la ricerca di nuove vie: quella preferita dall’arte contemporanea è l’astrattismo.

Ora, una certa espressione artistica, sia essa del passato o
contemporanea, può anche sorgere da un genuino senso religioso
dell’artista, quindi, in tal senso autenticamente religiosa, ma non può confondersi con l’arte sacra o, peggio ancora, essere definita arte sacra4.
Ultimamente questa distinzione sembra sia stata superata. Anche un
certo preponderante astrattismo contemporaneo può essere in funzione
della sacralità dell’arte!

Allora chiediamoci: la figurazione astratta è capace di “indirizzare le menti” dell’uomo a Dio? Di incrementare la fede? Di essere a servizio del culto e della sacralità della liturgia? Può una forma astratta corrispondere alle finalità richieste dall’arte sacra così come essa viene definita da sempre dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa?

Il Vaticano II - abbiamo detto- definisce arte sacra il “vertice” dell’arte religiosa:

“Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto le belle
arti, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all’incremento della sua lode e
della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare le menti degli uomini a Dio.” (SC 122).


Quindi il “vertice” dell’arte religiosa consiste nella sua espressione del “sacro”; nella sua capacità di saper creare uno spazio dove l’incontro fra “l’infinita bellezza divina” e l’uomo, in ricerca di essa, diventa un esperienza, un avvenimento, un fatto oggettivo.
Non più, allora, un’espressione interpretativa del mistero-propria dell’arte religiosa- ma un luogo dove il mistero accade e, accadendo, rivela la sua bellezza, la sua infinita trascendenza. Una trascendenza che si manifesta all’uomo nel Verbum caro factum est, nella sua realtà oggettivamente umana da cui prende forma l’arte propriamente sacra. Quindi l’arte, seppur religiosa, non va confusa con l’arte sacra.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)