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[SM=g1740733] Un altro passo interessante e su cui meditare:

Ma, cosa succede di fatto? I fedeli si trovano spesso davanti ad opere e a spazi architettonici finalizzati alla culto, alla liturgia - e quindi propriamente sacri - “semplicemente” astratti (informi), dove il trascendente non è più riconosciuto: forme abbozzate, tratti confusi che non esprimono direttamente la realtà che intendono significare ma che richiedono un vero e proprio percorso di iniziazione per essere comprese.

Insomma un’arte “sacra” per pochi iniziati in cui il rapporto
tra forma e contenuto, significato e significante viene meno. Uno stile artistico tendente a relativizzare l’oggettività della realtà è finalizzato a condurre direttamente (quasi senza nessuna mediazione) al significato.
Insomma una nuova “arte sacra” che la Chiesa dovrebbe accogliere e far
propria.
Se è vero che il magistero della Chiesa ha ribadito più volte che non vi è uno stile proprio per l’arte sacra, non ha eliminato -come molti
suppongono- la sua finalità a cui è necessario attenersi: la sacralità
dell’edificio e dei riti che in esso si esprimono (SC 123). Ovvero, il trascendente (Dio, il Mistero nascosto nei secoli e rivelato a noi nel suo Verbo fatto carne) è il contenuto fondamentale per cui l’arte può definirsi sacra.

Questo contenuto deve essere semplicemente (ovvero veritativamente)
visibile e immediato perché la mente dell’uomo possa essere indirizzata ad esso, a Dio.
Ciò implica una connessione oggettiva e immediata fra l’opera, la forma e il suo contenuto. Solo questo connubio può generare uno spazio dove l’incontro fra “l’infinita bellezza divina” e l’uomo diventa un esperienza, un avvenimento.
Rivendicando una creatività e una libertà artistica tout court, si propende sempre più a favore di forme astratte e soggettive. Ora questa tipologia potrebbe, forse, essere qualificata come arte religiosa ma certamente non sacra.

Per prima cosa, non bisogna sottovalutare che oggi - a differenza del
passato - il progettista, l’artista, non parte più da una reale esperienza di
fede. Anzi, questa sembra non essere più necessaria per progettare e
creare uno spazio sacro. Ci troviamo di fronte ad una sensibilità e ad una
creatività artistica che non muove più dalla fede. Ciò denota una certa
ambiguità di fondo nella stessa arte religiosa, e una totale estraneità nei
confronti di un’arte autenticamente sacra.

Nel Concilio, infatti, il concetto di “creatività” è un elemento
assolutamente positivo e da accogliere (nella sua fase progettuale), ma
esso deve essere concepito dall’interno dell’esperienza di fede della
Chiesa stessa, da cui unicamente possono originarsi “nuovi stili” di
espressione del bello e del sublime (SC 122).
Quindi, il problema primario, oggi, non è innanzitutto la “mancanza di stili
predominanti”, come spesso si afferma, ma quello di un’arte che non è più
fecondata dalla fede e che tende a prescindere da un rapporto con il
reale. Per cui credo che non si tratti semplicemente di una questione
estetica ma ontologica; e questo è un secondo dato da cui non si può
prescindere.

Assistiamo spesso ad un assoggettamento dell’arte sacra e religiosa in
genere alla capacità di comprensione attuale; un edificio può mettere in
evidenza il silenzio, un’altro un certo connubio fra natura e architettura
(bioarchitettura), un’altro, un certo collegamento tra passato e futuro;
oppure con la ricerca di forme stravaganti: una gemma di roccia poggiata
al suolo, con un ingresso che invita ad un senso di protezione, ecc. Il
risultato è un vago spiritualismo e un simbolismo figurativo confuso e
astratto.
Sicuramente non si tratta nemmeno della mera riproposizione di canoni
standard passati o presenti. Nella Chiesa i canoni artistici non hanno mai
implicato una staticità delle forme, neanche nella cristianità bizantina.
Basta guardare alla varietà delle forme e degli stili susseguitisi nel tempo!

Nonostante la diversità degli stili si è sempre preservata nel
passato una continuità sostanziale nei contenuti e nelle stesse
forme.
É sicuramente un dato di fatto che molta parte dell’arte contemporanea
faccia leva sull’arte non figurativa. Conseguentemente la Chiesa non può
non entrare in dialogo con questo nuovo stile.

Prima di assumerne i “canoni” bisognerebbe, tuttavia, domandarsi: questo nuovo “stile”
artistico è capace di esprimere il sacro? Ossia, può, questo “nuovo stile”
essere in funzione di un incremento della fede e della devozione del
popolo cristiano?


Alcuni depongono a favore di un felice connubio. Partendo dal
presupposto che nella contemplazione e nell’ adorazione del Mistero lo
sguardo va oltre ciò che è materiale e reale, sarebbe possibile esprimere
l’invisibile mistero prescindendo dalla categoria della visibilità e della sua
stessa esprimibilità oggettiva; l’arte nella sua astrattezza e fluidità
tenderebbe ad esprimere “l’inesprimibilità” del sacro e del mistero.

É interessante una certa pista - in tal senso - suggerita da Timothy
Verdon - a proposito dell’astratto che può essere rivestito di forma e di
colore: “non solo il figurativo tradizionale ma anche questo tipo di figurazione
astratta può accompagnare il cammino interiore dei cristiani. Cristo stesso, pur nella
concretezza del corpo assunto da Maria, non esitò a presentarsi in termini lontani da
ogni possibilità figurativa, identificandosi come "via", "verità", "vita",
"risurrezione" e "luce" degli uomini. Così l'arte che si riferisce a Cristo, Verbo
incarnato del Padre, può benissimo rivestire di forma e colore anche le parole più
"astratte" del Salvatore, soprattutto per incentivare alla preghiera dove ognuno è
chiamato ad andare oltre le conoscenze sensorie, e massimamente per accompagnare la
preghiera liturgica, dove il carattere segnico dei riti invita a non soffermarsi sull'aspetto
esteriore delle cose. La sfida rappresentata da questo tipo d'immagine è duplice: da
una parte gli artisti devono crescere nella sensibilità scritturistica e liturgica che solo
permetterà loro di articolare, anche in forme astratte, messaggi autenticamente
cristiani; sull'altro versante i fedeli devono essere in grado di riconoscere l'autenticità
del messaggio ed apprezzarne l'originalità, lasciandosi affascinare da bellezze che
l'occhio non ha mai visto né che sono entrate nel cuore degli uomini. Prima ancora la
Chiesa deve riappropriarsi del suo storico ruolo di mecenate catecheta, perché sia artisti
che fedeli vanno educati al senso più che letterale delle parole e dei riti che plasmano la
nostra fede in Cristo. (Tratto da L’Osservatore Romano - 12 Gennaio 2008).


Dunque l’astrazione potrebbe “accompagnare il cammino interiore dei cristiani”
diventando una componente della stessa arte sacra.
Ma questa possibilità lascia alquanto perplessi se confrontata con la sana
dottrina della Chiesa, e con i canoni dell’arte sacra ritenuti nella
Tradizione


Dice in merito San Teodoro lo Studita:
"È dunque considerata ed è veramente immagine di Cristo quella fatta artisticamente, avente specie, ossia forma corporea,
caratteristiche proprie e tutti gli altri segni esterni noti" – "Ea autem duntaxat imago
Christi et est et dicitur, quae per artem facta, speciei corporae, sive formae, proprias
notas, et alia quaeque exteriorum gerit indicia" (Contro gli iconoclasti, PG 99,
496B).

Quindi un’immagine di Cristo, o di un Santo, o della Vergine, è tale se
rispecchia le caratteristiche naturali: “forma corporea” di Cristo, del Santo o
della Vergine e non quelle frutto di un’interpretazione astratta, o
personale dell’artista.
Questa, secondo i Padri, non può definirsi,
immagine di Cristo, finalizzata al culto, e quindi sacra, anche se trattasi di
un’opera d’arte; anche se l’artista dichiara di aver rappresentato con
questa sua opera Cristo o quel Santo, o la Vergine; oppure una
trasformazione simbolica di esso: Cristo via, Cristo verità; Cristo vita.

Mi spiego meglio.
Può la figurazione del concetto di Verità esprimere Cristo? Da una
affermazione di S. Agostino (che Verdon farebbe bene a ricordare)
si deduce il metodo: Quid est Veritas? - Vir qui adest (Epistola
155,1).
Quindi la conoscenza della Verità coincide con un vir, un uomo: Gesù di
Nazareth. Diciamolo meglio! Non un generico homo ma un vir, nella
concretezza e nella individualità di una carne: Gesù di Nazareth, figlio di
Maria, vero Dio e vero uomo, figlio di Dio. In Cristo la Verità si fa
visibile, conoscibile, incontra l’uomo. Dunque l’uomo può conoscere la
Verità solo attraverso la persona di Cristo!

In un altro brano, a coloro che sostenevano l’opinione iconoclasta
secondo la quale, la Natura Divina di Gesù Cristo sarebbe indicibile, e
non si permettebbe la Sua raffigurazione, perché la Sua rappresentazione
(icona) sarà insufficiente, in quanto raffigurazione della sola Sua natura
umana, San Teodoro risponde: "E' provenuto dalla formazione nel ventre di sua
Madre, la Theotokos, diversamente sarebbe un aborto, non un uomo avente già una
forma, o nemici di Dio" — "Expressus enim et efformatus ex utero prodiit Deiparae
matris suae: sin minus, abortivum quiddam et non formatus homo fuit, o theomachi!"
(Epistola VIII, PG 99, 1 132D).

Egli accetta certamente che l’immagine non rappresenta l’indicibile
Natura Divina – che, altrimenti, non sarebbe stata visibile ai
contemporanei di Cristo – ma soltanto la Sua natura umana che è stata
vista, scrivendo quanto segue:
"Poiché ha avuto persona rappresentata con alcune caratteristiche, allora Cristo è
raffigurabile secondo la sua visione corporale, com’è anche indicibile secondo la sua
invisibile sostanza"
(PG 99, 1 13C).

Di conseguenza, secondo questa prospettiva, l’artista non è libero di
attribuire a Cristo o a un Santo una qualsiasi figura fantastica da lui
desiderata. Al contrario, è obbligato a rispettare le sue caratteristiche
naturali. Non può, quindi, rivestire di forma e di colore ciò che non si è
dato attraverso la carne di Cristo
.

Il VII Concilio Ecumenico ha pure dichiarato in merito che la "... Santa Chiesa di Dio, come ha ricevuto dai santi Apostoli e Padri, questo genere visto dagli uomini, raffigura" (Mansi 13, 340D).

Quindi, la libertà dell’artista consiste solo
nella migliore attribuzione della figura naturale perchè questa
corrisponda al suo fine: incrementare la fede e indirizzare la mente dell’uomo a
Dio. Questo non esclude che l’artista possa sviluppare un proprio stile
artistico. Al contrario, questa libertà è riconosciuta, com’è manifesto dal
fatto che nella Chiesa lungo i secoli, si siano sviluppate molte maniere
artistiche o scuole, le quali sono state tutte accettate, solo dopo aver
rispettato la fedeltà alla forma, alla sacralità e al risultato. Anche se in
principio potevano suscitare qualche perplessità, in seguito esse venivano
accolte, e si rivelavano in tutta la loro bontà; nella diversità conservavano
una loro continuità.

Detto ciò, può l’attuale tendenza delle arti per l’astratto essere a servizio
di un’ arte autenticamente sacra? Secondo Verdon, e per molti altri, l’arte
non figurativa potrebbe divenire un metodo, un “segno”, una “forma”,
che proietterebbe direttamente al Mistero, nella sua forma indicibile,
indescrivibile, e invisibile. Quindi, la forma può ricondursi a un ombra
senza corpo nel tentativo di rivestire di forma e colore anche quei
termini con cui Cristo stesso avrebbe voluto rivelarsi e che sono lontani
da ogni possibilità figurativa. Ergo, il segno e il simbolo cedono il posto
all’allegoria5 Essa può anche essere priva di qualsiasi analogia con la
natura delle cose e della realtà, con l’oggetto concreto.
Così - come ben diceva Evdokimov - l’arte non figurativa, informale,
astratta, sopprime ogni supporto ontologico negando l’oggetto
concreto6. Si vuol esprimere l’idea nella sua purezza: ex., non la foglia,
ma il “verde”, attraverso una forma verdeggiante dove l’artista racchiude
un significato che lui solo comprende.

Ma il punto è: come per sua natura l’arte astratta può conoscere e quindi
essere al servizio di un realtà sacra? Come potrà esprimere il “Verbum
caro factum est”? É come se si volesse esprimere l’incarnazione
prescindendo dall’oggettività della carne. Ciò è inconciliabile con la stessa
logica dell’incarnazione su cui poggia tutto il cristianesimo. Cristo, Verbo
di Dio fatto carne, non è solo la verità ma portatore di essa attraverso la
sua persona; non è solo bellezza della Verità di Dio, ma portatore di
questa medesima bellezza. Per cui, il Mistero, la verità, la bellezza, il sacro
non sono più dei concetti astratti soggetti a interpretazione ma un
avvenimento, un fatto oggettivo, da riconoscere e non da interpretare.
Nella riflessione patristica emerge continuamente il fatto che solo
attraverso la carne di Cristo l’uomo può conoscere e contemplare Dio.
Quindi, solo attraverso la visibilità del suo esser-ci l’uomo può incontrare
conoscere e amare l’Essere invisibile, infinito, incommensurabile di Dio.

Non possiamo conoscere la bellezza di Dio senza la carne di Cristo.
Il rischio immediato è quello di un ritorno, in arte, anche all'eresia del
manicheismo risalente al II secolo dopo Cristo e rifiorente nella setta dei
Catari del secolo XII. Si sa che il manicheismo predicava il dualismo tra
la materia e lo spirito, tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male, tra Dio
e satana.
Qualsiasi tentativo, che miri a prescindere da questo dato fondamentalela
realtà- diventa ostacolo ad una reale esperienza di conoscenza, e quindi
di fede.

Ciò ci induce a porci un’altra questione: la conoscenza e la sua possibilità.
Ogni conoscenza, infatti, consiste nel risalire dalle cose sensibili
empiriche alla loro struttura intellegibile. Se dovessimo far leva
sull’astrattismo per una nuova arte sacra, bisognerebbe rivedere, se non
eliminare, un fondamentale assioma aristotelico che Tommaso d’Aquino
ha formulato in questi termini: “nihil est in intellectu quod non prius fuerit in
sensu” (nulla può essere “compreso” nell’intelletto che non sia entrato in esso attraverso i sensi; cfr. S. Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, IIII,
82, 3, ad2).

Secondo questo assioma, la percezione sensibile costituisce la porta
necessaria della nostra conoscenza in generale.
Cosa vuol dire questo? Vuol dire che la mente dell’uomo è indirizzata a
Dio, conosce e ama Dio, attraverso le cose sensibili: abbiamo bisogno di
vedere, toccare, sentire... Perchè? Perchè l’oggetto proprio dell’intelletto
umano è l’essenza astratta delle cose sensibili: quindi se esistono cose
non sensibili (non figurative), l’uomo non le capisce, perché non sono
corrispondenti alla sua intelligenza, e quindi non sono corrispondenti alla
sua natura. Ogni conoscenza umana deve dunque necessariamente
comportare una struttura sensoriale: essa ha dunque bisogno di trovare il
suo inizio nell’esperienza, nella percezione da parte dei sensi, e questo
vale per qualsiasi modalità della conoscenza. Per cui anche la conoscenza
di Dio non può svolgersi in noi escludendo l’intervento dei sensi, e che
pure la strada per pensare a Dio passa attraverso la percezione sensoriale
e viene mediata dai sensi. Se ciò è vero, questo significa che ogni
introduzione alla fede, con segni, simboli, spazi, deve passare attraverso
l’esperienza aperta dei sensi.
Ora, l’arte astratta separa la percezione sensoriale dalla sua sorgente, dalla
sua origine. Per esempio, com’è possibile una forma di orazione davanti
a uno spazio semplicemente luminoso, o ad una semplice
rappresentazione di una esplosione di luce che sostituisce il volto di
Cristo, il suo corpo risorto, per esprimere direttamente la resurrezione?

Un’ opera, in tal senso, potrebbe sicuramente essere accolta in un galleria
d’arte, ma non in una chiesa!
Anche le parole più “astratte” del Salvatore,- “via”, “verità”, “vita”-, si
conoscono nel loro accadere e sono indissolubilmente connesse con la
Sua carne e la Sua persona… L’esperienza, il fatto, precedono il concetto
astratto, e quest’ultimo non può essere dissociato da ciò che lo precede.

Se la forma esteriore è assente, in mancanza di questa è impossibile un
percorso verso il suo contenuto; non si può più passare da un piano
(umano) ad un altro (divino). Pertanto il percorso della conoscenza della
verità che passa attraverso la ragione dell’uomo, che muove dalla realtà e
giunge alla contemplazione (fede) della Verità, subisce un drastico
arresto.

Così intesa, l’arte sacra in genere diventerebbe un vero e proprio
percorso per pochi iniziati, una realtà astratta e totalmente scollata dalla
realtà, un fatto cerebrale; verrebbero meno, in definitiva, quei canoni
fondamentali propri di un’arte che può definirsi sacra: funzione
veritativa,(perché imago e quindi fondata sull’incarnazione), e universale
(cioè possibile per l’intelligenza dell’uomo). Ciò ingenera una rinuncia
per qualsiasi forma iconica tradizionale deponendo a favore di una
continua fluidità, contingenza e provvisorietà dei significati sacrali. Per
cui è inevitabile una rottura con le forme tradizionali del passato, e la
conseguenza più immediata di tale prospettiva è certamente la loro
estraneità al magistero della Chiesa e allo stesso Vaticano II.

[SM=g1740722]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)