Paradossalmente, è proprio dal riservato recinto di un chiostro che emerge la singolare testimonianza di una vita in cui l'umano, nell'atto stesso in cui sembra essere stato rinnegato, si afferma con pienezza, animato da valori che ne illuminano le più profonde aspirazioni. La separazione materiale dal mondo e il distacco dalle realtà transitorie della vita non sono altro che una condizione per attuare con assoluta libertà il quotidiano cammino di conversione e di trasformazione in Cristo. Il sereno ritmo di vita, scandito dalla preghiera, dal lavoro spesso faticoso, dalla comunione fraterna in cui ciascuna è dono di sé all'altra, l'atmosfera di silenzio e di religioso ascolto del Verbo della vita, creano quell'equilibrio umano che traspare dai volti delle contemplative e da tutto il loro essere, pervaso dal "frutto dello Spirito: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé..." (Galati, 5, 23).
È questa la testimonianza più immediata che le monache offrono a chi si accosta al mondo claustrale, suscitando una segreta attrattiva, dando una risposta a esigenze intime, sopite o ignorate, e a quella sete di Dio che mai il cuore umano potrà estinguere. È stupore, ma è anche profonda nostalgia, il ridestarsi della "naturale inclinazione ad amare Dio sopra tutte le cose, memoria del primo principio e Creatore che ci rammenta - spiega san Francesco di Sales - che apparteniamo alla sua divina bontà" (Trattato dell'amor di Dio, L. i, 18). "Ci hai creati per te, e il nostro cuore non trova pace fin quando non riposa in te!", esclama Agostino (Confessioni, i, 1).
"La clausura non è solo un mezzo ascetico di immenso valore, ma un modo di vivere la Pasqua di Cristo. Da esperienza di "morte" essa diventa sovrabbondanza di "vita", ponendosi come gioioso annuncio e anticipazione profetica della possibilità offerta ad ogni persona e all'umanità intera di vivere unicamente per Dio, in Cristo Gesù (cfr. Romani, 6, 11). La clausura evoca dunque quella cella del cuore in cui ciascuno è chiamato a vivere l'unione con il Signore. Accolta come dono e scelta come libera risposta di amore, essa è il luogo della comunione spirituale con Dio e con i fratelli e le sorelle, dove la limitazione degli spazi e dei contatti opera a vantaggio dell'interiorizzazione dei valori evangelici (cfr. Giovanni, 13, 34; Matteo, 5, 3.8)" (Vita Consecrata, 59). Viene indicato, pertanto, nel magistero pontificio il senso proprio della vocazione contemplativa claustrale, nel cuore della Chiesa e dell'umanità, riconoscendole uno speciale ruolo di profezia dell'Assoluto, e di testimonianza della intima tensione verso la perfezione della carità; non la mera perfezione umana privilegiata dalla moderna antropologia, ma la perfezione dell'essere secondo il progetto del Creatore, in obbedienza alla legge dell'amore, primo e sommo comandamento.
È ancora Francesco di Sales che, nella prospettiva eminentemente soprannaturale del suo umanesimo, addita questa suprema dignità dell'uomo con una celebre affermazione: "L'uomo è la perfezione dell'universo, lo spirito la perfezione dell'uomo, l'amore quella dello spirito, la carità quella dell'amore. Ecco perché l'amore di Dio è il fine, la perfezione e l'eccellenza dell'universo" (Trattato, x, i). Dal primo principio, come da sorgente, si ascende al fine ultimo: la perfezione della carità, culmine dell'essere umano, creato e redento, per entrare nella comunione d'amore con Dio. In semplicità e umiltà di vita, una comunità contemplativa si situa in seno a questo mistero di elezione, compiendo un cammino di perfezione che conosce le gioie ma anche le austere esigenze della sequela di Cristo.
Un monastero, infatti, non è una tenda piantata sul Tabor per la beatitudine della contemplazione, ma un deserto da attraversare per un esodo che dura una intera vita, spesso nell'aridità e nella monotonia del quotidiano. La claustrale sa che dalla dura roccia sgorga l'acqua per la propria sete e per la sete del mondo.
(a cura del monastero della Visitazione di Palermo)