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DIFENDERE LA VERA FEDE

Festa Liturgica di CRISTO RE (preghiera e studio), 21 Novembre Presentazione di Maria Bambina

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    Caterina63
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    00 25/10/2010 13:03

    Quaestio/25 Festa di Cristo Re: lo spostamento liturgico da Rinascimento Sacro

    1. Uno spostamento apparentemente irrilevante.

    Col motu proprio Summorum Pontificum il Papa Benedetto XVI ha definitivamente chiarito che il Messale romano tradizionale, detto di S. Pio V, non è mai stato abolito e che pertanto qualunque sacerdote può utilizzarlo nella sua integralità. La Pontificia Commissione Ecclesia Dei, in una risposta del 20 ottobre 2008, ha ribadito che “l’uso legittimo dei libri liturgici in vigore nel 1962 comprende il diritto di usare il calendario proprio dei medesimi libri liturgici”. Com’è noto, nel calendario universale del rito romano antico la festa di Cristo Re è assegnata all’ultima domenica di ottobre, mentre il Messale romano riformato, approvato da Paolo VI nel 1969, la colloca all’ultima domenica dell’anno liturgico.

    Non mancano coloro che, in nome di una maggiore uniformità tra le “due forme dell’unico rito romano”, insistono per una revisione del calendario che garantisca per lo meno la coincidenza delle feste maggiori (revisione che de facto è stata già compiuta per il rito ambrosiano antico, non però de iure, visto che le norme del diritto richiedono per qualunque modifica liturgica, anche relativa a riti diversi dal romano, l’espressa approvazione della Santa Sede). I più, tuttavia, considerano questo spostamento della festa di Cristo Re come irrilevante: dopo tutto, la ricorrenza è rimasta, anche se leggermente modificata nel titolo (non più “Cristo Re” simpliciter, ma “Cristo Re dell’universo”), e il fatto che sia assegnata ad una data piuttosto che ad un’altra non ne altera la sostanza. Alcuni, sebbene legati al rito antico, giungono a preferire la scelta del nuovo calendario: la festa della regalità di Cristo, infatti, costituisce il perfetto coronamento dell’anno liturgico, mentre non si vede il motivo di collocarla in una posizione apparentemente priva di significato come la fine del mese di ottobre.

    Di fronte a tanta variabilità di opinioni, cercheremo, in questo articolo, di ricostruire la genesi storica della festa di Cristo Re, di delinearne – per quanto ci è possibile, in qualità di non specialisti – la portata teologica, e infine di dimostrare perché, a nostro avviso, lo spostamento in questione è tutt’altro che irrilevante.

    2. Istituzione della festa.

    La festa di Cristo Re fu istituita da Pio XI l’11 dicembre 1925 mediante l’enciclica Quas primas. Si trattava di una festa del tutto nuova, priva – al contrario di altre feste, per esempio quella del Sacro Cuore – di precedenti nei calendari locali o religiosi. D’altronde, se nuova era la festa, non nuova era l’idea della regalità attribuita alla figura di Cristo, che non soltanto la Scrittura, i Padri e i teologi, ma anche l’arte sacra e il senso comune dei fedeli concordemente affermano. Perché il Papa abbia avvertito il bisogno di istituire una ricorrenza specifica dedicata a questo mistero, risulta chiaro dal testo della stessa enciclica: “Se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società”.

    Quale peste? Quella – risponde il Papa nel paragrafo successivo – del laicismo: “La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso”.

    Quindi, se il fine generico della festa – nelle intenzioni del Pontefice – era quello di divulgare nel popolo cristiano “la cognizione della regale dignità di nostro Signore” (regalità in senso lato), il fine specifico era quello di porre l’accento proprio su quella specificazione della regalità che il laicismo nega, vale a dire la regalità sociale. Che sia questo l’autentica ratio della festa, emerge non soltanto dal contenuto dell’enciclica, ma anche da una semplice constatazione di carattere liturgico: tutte le feste, infatti, celebrano – direttamente o indirettamente – la regalità, genericamente intesa, di nostro Signore; ma non esisteva, fino al 1925, alcuna ricorrenza espressamente dedicata al suo regno sulle società di questo mondo.

    Tale conclusione è confermata dall’indole dei testi liturgici della festa, promulgati dalla S. Congregazione dei Riti il 12 dicembre dello stesso anno.

    Nel Breviario, l’inno dei Vespri afferma:

    “Te nationum praesides / Honore tollant publico, / Colant magistri, iudices, / Leges et artes exprimant. // Submissa regum fulgeant / Tibi dicata insignia: / Mitique sceptro patriam / Domosque subde civium” (traduzione nostra: “Te i governanti delle nazioni esaltino con pubblici onori, te onorino i maestri, i giudici, te esprimano le leggi e le arti. Risplendano, a te dedicate e sottomesse, le insegne dei re: sottometti al tuo mite scettro la patria e le dimore dei cittadini”).

    Nell’inno del Mattutino si legge:

    “Cui iure sceptrum gentium / Pater supremum credidit” (“A te [Redentore] il Padre ha consegnato, per diritto, lo scettro dei popoli”). E ancora: “Iesu, tibi sit gloria, qui sceptra mundi temperas” (“A te, o Gesù, sia gloria, che regoli gli scettri [= le autorità] del mondo”).

    Stessi concetti ribaditi dall’inno delle Lodi:

    “O ter beata civitas / Cui rite Christus imperat, / Quae iussa pergit exsequi / Edicta mundo caelitus!” (“O tre volte beata la società, cui Cristo legittimamente comanda, che esegue gli ordini che il cielo ha impartito al mondo!”).

    Così pure l’orazione, dove Cristo viene definito “universorum Rege” (non Re di un generico e imprecisato universo, come afferma la nuova liturgia nelle traduzioni volgari, ma Re di tutti, ossia di tutti gli uomini), si dice che il Padre ha voluto in lui instaurare ogni cosa (ivi compreso l’ordinamento sociale), e si auspica che “cunctae familiae gentium” (diremmo, in linguaggio moderno, “ogni società umana”) si sottomettano al suo soavissimo impero.

    Dei testi della Messa, ci limiteremo a ricordare le letture scritturistiche. Nell’epistola, S. Paolo insegna l’assoluta e completa dipendenza di ogni cosa, nessuna esclusa, da Cristo “in omnibus primatum tenens” (Col. 1, 18). Dal vangelo, poi, apprendiamo che il regno del Signore dev’essere inteso non solo in senso trascendente (regalità spirituale) ma anche immanente (regalità temporale o sociale). Quando infatti Pilato pone a Gesù la fondamentale domanda: “Ergo rex es tu?” si riferisce senza dubbio al concetto di regalità che egli, come romano e come pagano, possedeva, vale a dire al regno su questo mondo.

    3. Regalità spirituale e regalità temporale.

    Né deve trarre in inganno il fatto che Gesù risponda che il suo regno non è di questo mondo. Si noti, anzitutto, la scelta dei termini: il regno non è “di questo mondo”, ossia non è secondo le modalità dei regni terreni, come Gesù stesso precisa nello stesso passo: “Se il mio regno fosse di questo mondo, le mie guardie avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei: ma il mio regno non è di questo mondo”, e come la Chiesa ha sempre interpretato. Ma ciò non significa che che non sia un regno su questo mondo. È ancora Gesù che, poco dopo, lo specifica: “Tu lo dici: io sono re. Io per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è per la verità, ascolta la mia voce” (Gv. 18, 33-37). La differenza, quindi, sta nel modo, non nell’oggetto. Gesù dichiara di essere venuto nel mondo per regnare su di esso, non però al modo dei monarchi terreni, che regnano per autorità delegata, direttamente e valendosi (in modo legittimo) della forza, ma al modo del Monarca eterno ed universale, che regna per autorità propria, indirettamente e pacificamente (“Rex pacificus vocabitur“, come ricorda la prima antifona dei Vespri, tratta da Isaia). “L’origine di questa regalità è celeste e spirituale, anche sei poteri regali sono esercitati nel mondo” (S. Garofalo, Commento al Vangelo di Giovanni, in La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali e commentata, Torino, Marietti, 1960, vol. III, p. 273).

    Lo scopo della festa, vale a dire la celebrazione della regalità sociale di Cristo, ne illumina anche la collocazione nel calendario. Esistono diversi motivi per cui essa fu assegnata all’ultima domenica di ottobre. Il primo e più importante è quello delineato dal Papa nell’enciclica: “Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti”. In altre parole, la festa di tutti i Santi, che regnano per partecipazione, viene fatta precedere dalla festa di Cristo, che regna per diritto proprio.
     
    La ricorrenza della regalità di Cristo, inoltre, costituisce il coronamento di tutto l’anno liturgico, e pertanto viene posta verso la sua fine. È lecito domandarsi: perché non proprio alla fine? Probabilmente – è l’unica spiegazione veramente plausibile – per non confondere la regalità escatologica (di ordine spirituale), che la liturgia tradizionale ricorda nell’ultima domenica dell’anno liturgico mediante la pericope evangelica sulla fine del mondo, con la regalità sociale, che costituiva l’oggetto specifico della nuova festa. Vi è poi un altra ragione, non esplicitata nell’enciclica, ma ragionevolmente presumibile. Il mese ottobre era il mese dedicato alle missioni e nella sua penultima domenica si pregava specialmente per la propagazione della Fede tra i pagani. Quale modo migliore, per concluderlo, che ricordare il fine ultimo delle missioni, vale a dire il regno sociale di Cristo su tutti i popoli?

    L’intenzione del Pontefice espressa nell’enciclica, l’indole dei testi liturgici, la collocazione originaria della festa: tutti questi elementi consentono di concludere in modo sicuro che la ricorrenza di Cristo Re fu istituita al preciso scopo di ricordare la regalità sociale di nostro Signore e di costituire così un efficace antidoto al laicismo dilagante. Occorre, a questo punto, vedere che cosa si intenda per “regalita sociale di Cristo”. Cercheremo di farlo senza esorbitare dai limiti di una trattazione che non è e non intende essere specialistica.

    Il fondamento dogmatico della regalità di Cristo genericamente intesa è l’unione ipostatica, “per mezzo della quale la natura assunta dagli uomini è unita alla seconda Persona della SS. Trinità: per tale ragione, dunque, Egli non solo è stato costituito Mediatore dal primo momento della sua Incarnazione, ma è anche divenuto, per questo ammirabile avvenimento, Re di tutta la creazione, in ragione della propria divinità” (P. Radó, Enchiridion liturgicum, Romae-Friburgi-Barcinone, 1961, vol. II, p. 1309). Lo afferma chiaramente il Papa nella citata enciclica: “In questo medesimo anno, con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli”. L’origine della regalità di Cristo in quanto uomo – prosegue Pio XI – è duplice: egli infatti è re non solo per diritto (nativo) di natura, poiché la sua umanità appartiene alla Persona del Verbo divino, ma anche per diritto (acquisito) di conquista, “in forza della Redenzione”, cioè per aver riscattato col suo Sangue il genere umano dal peccato. “Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature”.

    L’estensione del Regno del Verbo incarnato è universale, come universali sono la creazione e la redenzione donde esso promana. Perciò si estende indiscriminatamente a tutte le cose.

    Quanto alla sua natura, poiché il mondo consta di realtà trascendenti e di realtà immanenti, è invalso l’uso di distinguere tra regalità spirituale e regalità temporale. Delle due, è la prima ad avere la preminenza, poiché il temporale è per sua natura ordinato allo spirituale. Si legge infatti nell’enciclica: “Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire”. Tuttavia – prosegue il Sommo Pontefice – “sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio”. Ora, se la regalità temporale di Cristo, al pari di quella spirituale, si esercita su tutte le cose, essa riguarda non soltanto l’individuo (regalità individuale), ma anche l’insieme degli individui, vale a dire la società (regalità sociale). Ne consegue che le istituzioni sociali hanno nei confronti di Cristo gli stessi doveri dell’individuo singolarmente considerato: devono riconoscerlo, adorarlo e sottomettersi alla sua santa Legge. “Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli”, precisa l’enciclica. Sarebbe dunque in errore chi pensasse che l’obbligo morale di aderire alla divina Rivelazione riguardi soltanto il singolo, mentre la società, nelle sue istituzioni, potrebbe e dovrebbe limitarsi al solo diritto naturale (o addirittura ai soli cosiddetti “diritti umani”).

    Di qui l’esortazione, rivolta dal Papa ai capi delle nazioni, “di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli”.

    4. La “nuova” festa di Cristo Re dell’universo.

    Uno dei capisaldi del pensiero moderno è la riduzione della religione alla sola dimensione privata, senza alcuna influenza diretta sulla vita pubblica. Si tratta del “laicismo” (che oggi molti preferiscono chiamare “laicità”) di cui parla l’enciclica, già individuato e condannato dai Pontefici precedenti. La festa di Cristo Re – nelle intenzioni di Pio XI – doveva fungere da rimedio a questa pericolosa tendenza e ricordare al popolo cristiano che la regalità di Cristo si estende anche alle realtà temporali. Ci domandiamo: tali concetti emergono con la stessa chiarezza anche nella versione attuale, riformata nel 1969, della festa?

    Procederemo, anche in questo caso, con l’analisi dei testi liturgici e della collocazione del calendario.

    Nella Liturgia delle Ore, l’inno dei Vespri è lo stesso (Te saeculorum Principem), ma da esso sono state soppresse proprio quelle strofe, citate sopra in questo articolo, che parlano esplicitamente della regalità sociale (“Te nationum praesides…” e “Submissa regum fulgeant…“). Nella seconda strofa, inoltre, il riferimento al laicismo (“Scelesta turba clamitat: / Regnare Christum nolumus” = “La folla empia grida: Non vogliamo che Cristo regni”) è stato rimpiazzato a una frase generica e indefinita (“Quem prona adorant agmina / hymnisque laudant cælitum” = “Ti adorano prone le schiere celesti e ti lodano con inni”).

    Completamente diverso l’inno dell’Ufficio delle Letture (il vecchio Mattutino), privo anch’esso di qualunque riferimento alla dimensione sociale e temporale del Regno di Cristo. Le letture tratte dall’enciclica Quas primas, che il Breviario antico assegnava al secondo Notturno, sono state rimpiazzate da un brano di Origene, di carattere marcatamente spirituale.

    Così pure si cercherebbe invano un’allusione o un accenno alla necessità che Cristo regni sulla società civile nel nuovo inno delle Lodi mattutine.

    La nuova orazione ricalca lo schema della vecchia, modificandone però completamente il senso. Non si domanda più che la società umana, disgregata dalla ferita del peccato, si sottometta al soavissimo impero di Cristo, ma che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, serva e lodi Dio senza fine. La regalità sociale e temporale dell’antica formula, resa necessaria dalla disgregazione del peccato, lascia il posto alla regalità individuale e spirituale della nuova, nella quale peraltro non vi è alcun accenno esplicito all’impero di Cristo. Inoltre, sebbene l’originale latino parli ancora di Cristo “universorum Rex“, le versioni moderne hanno tradotto questa espressione con “Re dell’Universo” (cfr. inglese “King of the Universe“, francese “Roi de l’Universe“, spagnolo “Rey del Universo”), indebolmente ulteriormente la dimensione immanente, concreta, storica del suo Regno. Le stesse considerazioni valgono a proposito del nuovo titolo della festa (“Cristo Re dell’Universo”) nei libri liturgici in lingua moderna.

    La Messa si articola, come di consueto nel nuovo rito, in tre cicli scritturistici. Il primo (anno A) ha carattere eminentemente escatologico, è incentrata cioè sulla pienezza del regno spirituale di Cristo alla fine dei tempi e non contiene alcun cenno alla regalità sociale. Il secondo (anno B) prevede il vangelo del formulario tradizionale, ma nella seconda lettura l’epistola di S. Paolo è stata sostituita da un brano dell’Apocalisse che ribadisce la natura spirituale del Regno di Cristo. Il terzo (anno C) denota una situazione simile ma inversa: l’epistola è quella del formulario antico, mentre il vangelo parla del regno ultraterreno e spirituale che Gesù assicura al buon ladrone. Nel secondo e terzo ciclo scritturistico, quindi, la regalità sociale è presente, ma in misura meno esplicita, e diremmo quasi irriconoscibile, che nel formulario tradizionale.

    Del tutto scomparso il testo dell’antico graduale, tratto dal salmo 71, che, alludendo al Messia, affermava: “Dominabitur a mari usque ad mare, et a flumine usque ad terminos orbis terrarum” (espressioni ebraiche che denotano l’interezza del mondo immanente). E ancora: “Et adorabunt eum omnes reges terrae, omnes gentes servient ei” (altro chiaro riferimento all’ossequio dei governanti e della società).

    Lo spostamento della festa di Cristo Re verso una dimensione essenzialmente spirituale e trascendente è confermato dalla sua nuova posizione nel calendario. Essa non è più posta in riferimento ai Santi che regnano con Cristo e alle missioni che diffondono il suo regno temporale, ma si trova alla fine dell’anno liturgico, nella posizione che la liturgia romana assegna tradizionalmente al ricordo della fine del mondo e del giudizio universale. Il che, se da un lato spiega l’indole del ciclo scritturistico A, dall’altro rafforza l’idea che nella nuova liturgia il Regno di Cristo a cui si allude con la corrispondente festa non è primariamente, come intendeva Pio XI, quello sociale, storico, temporale, che del resto avrà fine con la sua venuta escatologica, ma piuttosto quello trascendente, spirituale, eterno, che troverà il suo perfetto compimento nella Parusia.

    5. Conclusione.

    Sulla base di tutti questi elementi, è possibile affermare che, nel nuovo rito, la festa di Cristo Re ha subito un sorprendente allontanamento dal significato voluto al momento della sua istituzione. E non ci sembra azzardato ravvisare, in questo, un certo influsso del pensiero moderno, penetrato negli ultimi decenni anche in ambiente ecclesiastico, che se da un lato accetta – come espressione del pluralismo – la regalità di Cristo sui singoli, dall’altro la rifiuta sulle istituzioni sociali.

    C’è da auspicare, pertanto, che almeno nel rito antico alla festa di Cristo Re siano mantenuti, non soltanto il suo formulario, ma anche la sua collocazione originaria. Spostarla al termine dell’anno liturgico, infatti, ne accentuerebbe la dimensione escatologica a discapito di quella sociale, e finirebbe in qualche modo per alimentare la credenza, oggi assai diffusa anche nel mondo cattolico, secondo cui la società civile – intesa nel suo complesso e nelle sue istituzioni – avrebbe il diritto e persino il dovere di prescindere dal soavissimo giogo del Regno di Cristo.
     
    “Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza” (Pio XI, enciclica Quas primas).

    Coordinamento Toscano Benedetto XVI




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 29/10/2010 10:45
    Per questa Festa Liturgica vi ricordiamo ulteriori collegamenti utili:


    LA PARUSIA: attendiamo l'unico ed ultimo ritorno del Cristo Re

    VOGLIA DI PARADISO!! PREFERISCO IL PARADISO!!! svegliamoci per davvero! il Paradiso esite e ci attende!

    "Una proposta"...per TE!

    ATTENZIONE RADIO MARIA DA VENEZIA PER IL 31 OTTOBRE ORE 10,30 FESTA DI CRISTO RE





    Cristo è poco amato


    Ogni mese sul principale motore di ricerca, il termine "Cristo" viene cercato 2,7 milioni di volte, invece il termine "porno" addirittura 151 milioni di volte. La sproporzione è abissale! Vien voglia di piangere a pensare tutto l'amore di Dio per noi e alla sua atroce Passione, e poi vedere che Gesù Cristo è poco amato. Ormai la società è paganizzata.

    Se qualcuno osa fare la correzione fraterna agli amanti dei siti porno, ricordando loro che visitare un sito pornografico è peccato mortale, questi gli ridono in faccia e lo prendono per matto. Ma ecco quel che Sant'Alfonso Maria de Liguori diceva ai mondani: "Oh amanti del mondo, alla valle, alla valle vi aspetto [la valle di Giosafat, ove avverrà il Giudizio Universale n.d.r.]. Ivi senza dubbio muterete sentimenti. Ivi piangerete la vostra pazzia. Miseri, che per fare una breve comparsa sulla scena di questa terra, avrete poi a far la parte dei dannati nella tragedia del giudizio."

    [Modificato da Caterina63 30/10/2010 12:51]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 30/10/2010 17:54

    Te Saeculorum Principem

    Te Saeculorum Principem
    Inno per i Vespri della festa di Cristo Re,composto dal P. Vittorio Genovesi S.J.
    "Come nel passato parecchie feste 1iturgiche hanno avuto origine dall'esplosione della fede della Chiesa per ribattere alcuni particolari errori allora massimamente in voga, cosi anche adesso la Sede Apostolica non ha ritenuto di popolarizzare più efficacemente la condanna del laicismo, che istituendo una solenne festa del regno Messianico di Cristo, quasi protesta,ammenda onorevole, e riparazione contro le usurpazioni della statolatria che ha riunito in vasta congiura: reges terrae et principes... in unum, adversus Dominum et adversus Christum eius... Fu assegnata alla nuova solennità la domenica che precede la festa di tutti i Santi; per metterla in relazione così coll'Ufficio del primo dì di Novembre, che col concetto stesso che informa quellà celebrità collettiva di tutti i Santi, nella quale noi veneriamo la Gerusalemme celeste e l'inclita corte del Re della gloria». Questa festa fu istituita da Pio XI con l'Enciclica «Quas primas» dell'11 dicembre 1925".
    (Beato Ildefonso Schuster, Liber Sacramentorum, vol. IX. p. 66)
    "A Cristo, re dei secoli e dei popoli, solo arbitro delle menti e dei cuori devono dunque confermare oggi la loro completa soggezione gl'individui ed i popoli cristiani; e, mentre la turba. degli scellerati schiamazza stoltamente di non voler Cristocome re, affermare che Egli è il Dominatore supremo di tutti gli uomini. Quest'affermazione sia accompagnata da un'effusione di carità verso questi poveri traviati: Gesù, principe della pace, li richiami alla sua sudditanza in modo che forminoun solo ovile: Egli patì e morì in croce per tutti, a tutti mostra il cuore trafitto dalla lancia, per tutti si sacrifica continuamente sugli altari. Lo riconoscano ed onorino cosi, pubblicamente, i Capi delle nazioni; Lo adorino i maestri ed i giudici; si ispirino alla sua legge il diritto e le arti; le bandiere delle nazioni sottomesse e benedette da Lui risplendano di vera luce: le case e gli stati Gli obbediscano"
    (Mons. A. Mirra).
    Parafrasi letterale
    Te sæculórum Príncipem,
    Te, Christe, Regem Géntium,
    Te méntium te córdium
    Unum fatémur árbitrum.

    Te, Principe dei secoli
    Te, Cristo, Re delle genti
    Te, delle menti, Te dei cuori,
    confessiamo unico Sovrano

    Scelésta turba clámitat :
    Regnáre Christum nólumus :
    Te nos ovántes ómnium
    Regem suprémum dícimus.

    La turba scellerata urla:
    «Non vogliamo che Cristo regni»
    Ma noi, acclamando,
    Ti dichiariamo Re supremo.

    O Christe, Princeps Pácifer,
    Mentes rebélles súbjice:
    Tuóque amóre dévios,
    Ovíle in unum cóngrega.

    Cristo, Principe Portatore di pace,
    assoggetta le anime ribelli;
    e, con il tuo amore, gli erranti
    raduna in un solo ovile.
    Ad hoc cruénta ab árbore
    Pendes apértis bráchiis,
    Diráque fossum cúspide
    Cor igne flagrans éxhibes.

    Per questo dall'albero sanguinante
    pendi con le braccia stese,
    e, dalla crudele punta perforato,
    il cuore, di fuoco flagrante, manifesti.

    Ad hoc in aris ábderis
    Vini dapísque imágine,
    Fundens salútem fíliis
    Transverberáto péctore.

    Per questo sugli altari ti tieni nascosto
    di vino e di cibo nell'immagine
    effondendo la salvezza sui figli
    dal petto transverberato
    Te natiónum Præsides
    Honóre tollant público,
    Colant magístri, júdices,
    Leges et artes éxprimant.


    Te delle nazioni i principi
    manifestino [Re] con pubblico onore
    [Te] adorino i maestri, i giudici
    [Te] le leggi e le arti esprimano [si ispirino all'insegnamento di Gesù]
    Submíssa regum fúlgeant
    Tibi dicáta insígnia:
    Mitíque sceptro pátriam
    Domósque subde cívium.

    Le sottomesse insegne dei re rifulgano
    a Te dedicate:
    e con tuo mite scettro la Patria
    e le case dei cittadini tieni sudditi

    Jesu tibi sit glória,
    Qui sceptra mundi témperas,
    Cum Patre, et almo Spíritu,
    In sempitérna sæcula. Amen.

    Gesù, a Te sia gloria,
    che reggi gli scettri del mondo,
    con il Padre, e l'almo Spirito
    per i secoli sempiterni. Amen


    P. VITTORIO GENOVESI S. J.

    (1887-1967)

    Nacque a Roccabascerana (AV) il 23 aprile 1887. Alla età di 15 anni, precisamente il 3 dicembre 1901, entrò nella Compagnia di Gesù, nella provincia Veneta, dove percorse il normale curriculum di studi umanistici e teologici. Nel 1919 fu destinato a far parte della Direzione Nazionale dell'Apostolato della Preghiera, con sede a Roma, in via degli Astalli, che da allora fu la sua residenza abituale. In questa attività profuse le sue migliori energie promuovendo con la parola e in maniera incisiva con gli scritti la diffusione della devozione al S. Cuore. L'impegno principale fu di gettare le basi dottrinali di tale devozione. Frutto in gran parte di questa sua fatica fu il largo diffondersi di questa devozione in Italia negli anni '20. Tutto questo lavoro ebbe poi il punto culminante nella enciclica «Miserentissimus Redemptor» di Pio XI dell'8 marzo 1928, alla cui redazione si sa per certo che il P. Genovesi non fu estraneo.

    In seguito il raggio della sua azione si allargò notevolmente con l'impegno preminente nella predicazione, nel solco della Oratoria Sacra dei secoli precedenti. Predicò Quaresimali in molte città d'Italia. Tenne corsi di esercizi spirituali a sacerdoti e religiosi. Nel 1948 predicò gli esercizi alla corte Pontificia alla presenza di Pio XII e l'anno seguente fu invitato a fare gli esercizi ai Prelati della Congregazione del Santo Ufficio.

    Dopo il 1940 iniziò per il P. Genovesi un nuovo genere di lavoro che lo portò a prestare la sua opera nelle congregazioni romane alla diretta dipendenza della Santa Sede. Da principio gli venne la nomina di Innografo della Sacra Congregazione dei Riti; in seguito fu nominato primo consultore della stessa Congregazione (20-6-1951), assegnato alla Sezione delle cause di Beatificazione e Canonizzazione dei Servi di Dio, quindi, l'anno seguente (12/2/1952), Consultore della Sacra Congregazione del Concilio per la sezione catechistica. Questa attività, specialmente il lavoro per la Congregazione dei Riti, lo teneva intensamente occupato nello studio severo e diligente della vita e delle opere dei Servi di Dio che si proponevano per la elevazione all'onore degli altari. In seguito, il 12 agosto 1959, il P. Genovesi veniva annoverato tra i membri della VIII Commissione di Studi preparatori per il prossimo Concilio.

    Ma il nome del P. Genovesi resterà a lungo legato specialmente alla sua fama di poeta latino. In merito alla padronanza della lingua e della poesia latina, lo stesso P. Giovanni affermò di non avere mai insegnato latino, di non aver mai coltivato di proposito studi letterari, di non aver mai frequentato pubbliche università. Di tutto si professava debitore alla Compagnia di Gesù, nei cui ordinamenti di studi la lingua e la poesia latina hanno una grande incidenza. Fu sotto la guida di valenti maestri gesuiti che egli apprese e si impadronì in maniera perfetta della lingua e della metrica latina, seguendo con impegno la «Ratio studiorum» della Compagnia. A proposito egli citava come suoi maestri ed ispiratori il P. Giuliano e il P. Alfonso Cagnacci, quest'ultimo già premiato nel 1908 con medaglia d'oro al concorso di poesia latina della R. Accademia Olandese di Amsterdam. Questa vena poetica giovanile del P. Genovesi ebbe un arresto quasi completo per la durata di parecchi anni, causa l'intenso e indefesso lavoro che lo teneva costantemente occupato in altre attività. Ma nell'ottobre del 1928, causa il distacco della retina di un occhio, fu costretto a limitare notevolmente la sua molteplice attività. Ricomparve così e si approfondì la sua vena poetica. Cominciò a mandare i suoi componimenti ai concorsi di poesia latina alla R. Accademia Olandese di Amsterdam. Nacque così Hirpinus, come egli stesso volle in seguito chiamarsi in omaggio alla sua Hirpinia. La prima volta che P. Genovesi partecipò al «Certamen Hoeufftianum» di poesia latina nella capitale olandese fu nel 1935, e questo fu il fortunato inizio di una serie di successi che gli acquistarono una reputazione e una fama internazionale ognora crescente. Concorse ai certami internazionali di poesia latina di Amsterdam nove volte, presentando in tutto undici composizioni e conseguendo tre volte il premio della medaglia d'oro ed otto volte la «Magna Laus». Ottennero la medaglia aurea i componimenti Hyle (1936), Taedium vitae (1943), Patrius amor (1948); furono invece decorati con «Magna Laus» i carmi Roma caput mundi (1935), Satanas (1937), Comnzunia vitae (1938), Vere novo (1938), Animi certamen (1939), Verbum (1947), Nuntiorum Publicorum glutinator (1948), Talitha (1955). Queste autentiche perle poetiche sono state inserite nella edizione ufficiale pubblicata dall'Accademia di Amsterdam, un bel volume rilegato dal titolo Carmina Hoeufftiana. Fu questo, il ventennio 1935-55, il periodo che potremo definire solare della produzione poetica del P. Genovesi. Nel 1940 e nel 1942 prese parte al concorso di poesia latina «Teodorico Ruspantini», indetto dalla Università di Roma ed entrambe le volte conseguì il premio.

    La sua produzione poetica è quanto mai vasta ed è venuta fuori in varie pubblicazioni: Carmina (1942), Carmina fidei (1942), Carmina patriae (1942), Poemata (1946), Musa latina (1948), Lyra sacra (1952), alle quali vanno aggiunti numerosissimi altri carmi composti per determinate occasioni. Tutta la sua opera in versi latini è stata definitivamente raccolta nei due volumi Carmina (1959, vol. I) e Carmina vol. alterum (1964).

    Dopo la stampa di questi due volumi, la voce poetica del P. Genovesi si andò affievolendo sempre più. Compose ancora qualche pregevole ode, poi il silenzio solenne della morte, che lo colse il 20 novembre 1967.

    La vasta opera letteraria del P. Genovesi, oltre quelli già ricordati (ai quali va anche aggiunto il premio «Città di Roma», nel IX concorso nazionale di prosa latina indetto nel XXVII centenario della fondazione di Roma, conseguito nel 1947), ebbe anche altri alti riconoscimenti.

    Innanzi a tutti gli altri dobbiamo ricordare quello del Sommo Pontefice Pio XII che, ancora cardinale, non mancò di attestare al Padre la sua alta stima. Da Pontefice poi gli fece giungere la nomina di Innografo della Congregazione dei Riti. Numerosi furono i contributi che in questa qualità furono da lui dati alla Innografia ufficiale. Basti ricordare gli inni per il nuovo Ufficio della festa dell'Assunzione dopo la definizione dogmatica del novembre 1950, oltre i numerosi inni per la festa del S. Cuore e molti altri per le varie ricorrenze liturgiche. Pio XII poi espresse solennemente il suo plauso e la sua stima con una lettera a lui indirizzata il 20/1/1952, dopo aver ricevuto in omaggio il volume Musa Latina. Un altro autorevole attestato di stima gli venne da parte del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, al quale il Padre aveva inviato in omaggio il volume Poemata. Scrive il Presidente: «Ho già dato un po’ a tutto una prima scorsa e sono rimasto ammirato non solo della freschezza, spontaneità ed eleganza di espressione che attestano assai più di un perfetto dominio della lingua dei nostri padri, ma anche un'ispirazione sempre viva e originale cui la sua opera attinge temi ed immagini, così da assumere, in un clima di elevazione umanistica, ad autentica poesia. Attendo con impazienza il momento in cui mi sarà dato di raccogliermi in una più meditata lettura dei suoi suggestivi versi». Tralasciando, per brevità, altri giudizi di insigni letterati apparsi su varie riviste, ricordo solo che nel 1945 al P. Genovesi giungeva la nomina a socio dell'Arcadia: la nomina recava la firma di Luigi Pietrobono, Custode Generale: solo questo nome aveva significato di lode e di riconoscimento.

    Nel 1952 ebbe la nomina a membro onorario perpetuo dell'Istituto di Studi Romani, facendo subito parte della Commissione dei quimqueviri incaricati di esaminare e di giudicare i lavori presentati al Certamen Capitolinum. Di questa Commissione P. Genovesi alcune volte fu anche Presidente.

    Nel 1957 fu eletto membro ordinario del Centro di Studi Ciceroniani. Nel 1960 dall'Ente Provinciale per il Turismo di Roma gli fu assegnata la medaglia d'oro per l'ode composta per le Olimpiadi di Roma e fu la quarta a lui assegnata in riconoscimento del suo valore. Una quinta medaglia d'oro gli fu concessa nel 1962 dal Presidente della Repubblica Italiana: è la medaglia dei benemeriti della cultura.

    Oltre gli scritti già menzionati, di P. Genovesi vanno ricordate almeno alcune opere di carattere dogmatico-ascetico, come La vita soprannaturale nei suoi principi e nelle sue manifestazioni, Il mistero del Verbo incarnato; e altri lavori di carattere apologetico, come Tra maestro e discepolo, La verità della fede nella Bibbia, Il primato del Papa e la venuta di S. Pietro a Roma, Alla Chiesa credo e ai protestanti no (in versi mnemonici)

    (testo tratto dal sito Quascirana Club)

    d. A.M.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 31/10/2010 00:37
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    Gesù chiede: "Mi lasceresti regnare dentro di te?"


    .Buona Festa di Cristo RE!




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Caterina63
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    00 31/10/2010 23:56

    Omelia di padre Konrad Zu Loewenstein per la festa di Cristo Re 31,10,2010

    In Nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

    Nostro Signore Gesù Cristo, il cui nome sia sempre benedetto, è re come Dio e come uomo.
    E' re come Dio in quanto possiede assieme al Padre  allo Spirito Santo il potere più alto e più perfetto su tutto l'universo. E' re come uomo in virtù dell'intima unione tra la sua divinità e la sa umanità. e sull'umanità in particolare in virtù della Redenzione che gli diede il dominio assoluto su tutti gli uomini. E' re di tutti gli uomini: battezzati e non battezzati ; cedenti e non credenti; e non solo di ogni individuo, ma anche di ogni famiglia, di ogni istituto, di ogni società, di ogni paese e di ogni nazione.

    Il papa Leone XIII dichiara: " L'impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana; di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo". E il papa Pio XI nella enciclica: 'Quas Primas' su Cristo Re aggiunge: "Non vi è differenza fra gli individui e le società domestica e civile.

    E' Lui solo la fonte della salvezza privata e pubblica", come sta scritto negli Atti degli Apostoli: "in nessun altro c'è salvezza, ne sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini mediante il quale possiamo essere salvati". E' Lui solo l'autore della felicità e della prosperità sia per i singoli cittadini, sia per gli stati. Il regno di Cristo è sociale dunque ma anche e soprattutto spirituale: "Il mio regno non è di questo mondo" dice a Pilato.

    Pio XI scrive: " Questo regno, nei vangeli, viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo ella penitenza e non possano entrarvi se non per la fede e per il battesimo. Questo regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla potestà delle tenebre e richiede dai suoi sudditi non solo l'animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia; ma anche che essi rinneghino sé stessi e prendano la loro croce."

    Più avanti nell'enciclica il papa aggiunge a queste virtù: le virtù dell'umiltà e ella carità. Essere membro del regno di Cristo consiste dunque nell'imitazione di Cristo; nell'imitazione della sua regalità come si è manifestata a noi durante la sua vita terrena. Non nell'esercizio della sua potestà regale, non nello splendore dei fasti ne nella vita raffinata dei re terreni; ma nella sottomissione alla volontà del suo padre, nella mitezza, nella povertà e bell'abiezzione, la più totale. questa sua regalità non si manifesta mai più chiaramente che nell'ora della sua passione e della sua morte, quando i soldati, intrecciata una corona di spine glie la posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quando gli venivano davanti e gli dicevano:" Salve, re dei giudei" e gli davano schiaffi.

    E quando sotto l'iscrizione: Gesù nazareno, il Re dei Giudei, portando la stessa corona e vestito allora della porpora regale della su carne lacerata muore per amore di noi sul legno duro della croce. E da questa croce, da questo trono infinitamente più bello e più glorioso di tutti i troni di tutti i ree tutti gli imperatori di questa terra ci chiama ad avvicinarci a Lui ed ad abbassarci davanti all sua maestà divina e ad offrirgli la nostra vita intera, fino al'ultima goccia del nostro essere; a vivere, a soffrire ed a morire con Lui in terra, per regnare con lui e la Madonna Santa per sempre in cielo. Amen.

    In Nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 03/11/2010 11:25
    Pio XI con l'Enciclica CHE TROVATE INTEGRALMENTE QUI, e l'instaurazione della Festa di Cristo RE non fece altro che applicare il Magistero dei suoi Predecessori, in particolare quello di san Pio X

    “Instaurare omnia in Christo”....

    con queste parole san Pio X iniziava il suo Pontificato all'inizio del '900....
    quale significato hanno per noi oggi? ce lo dice Giovanni Paolo II quando nel 1993 andò a visitare la Parrocchia a LUI DEDICATA a Roma....e nei tre incontri avuti sia con i bambini, che con i giovani che con il CONSIGLIO PASTORALE......ebbe a portare a tutti quale esempio SAN PIO X sottolineando l'importanza di avere certo una parrocchia ma che fosse anche intitolata a QUALCUNO CHE SIA DI ESEMPIO A NOI OGGI....


    Visita alla parrocchia di San Pio X, 31 gennaio 1993

    diceva Giovanni Paolo II:

    San Pio X ha trovato queste parole: “Instaurare omnia in Christo”. “Instaurare”, innovare, cercare in Lui sempre il recupero, l’instaurazione, la restaurazione di quello che è giusto, che è umano, che è pacifico, che è bello, che è sano e che è santo.

    “Instaurare omnia” e “omnia” vuol dire la vita personale, la vita delle famiglie

    **********

    INSTAURARE OMNIA IN CHRISTO fu anche il motto tanto caro a don Orione....TANTO DA RICEVERE una indulgenza a chi lo recitasse...

    Don Orione chiese una particolare indulgenza legata alle "parole "Instaurare omnia in Christo" dell'apostolo Paolo, si pronuncino esse da una sola o più persone con frase tutta unita, o si pronuncino staccate e da più individui, (come si suole nelle Case della Congregazione, dicendo: Instaurare omnia e rispondendosi: in Christo!), avendole come una aspirazione e un voto delle anime nostre che Cristo risusciti in tutti i cuori, e rinnovi in sé tutto l'uomo e tutti gli uomini".

    Già il giorno seguente la domanda di Don Orione, Mons. Bandi rispondeva accordando l'indulgenza all'"invocazione "Instaurare omnia in Christo "; sia che si reciti da una sola o più persone, con frase tutta unita, e separata; e ciò toties quoties nella giornata, purché recitata devotamente".

    Quest'uso del motto "Instaurare omnia in Christo" come giaculatoria fu tanto caro e inculcato da Don Orione perché sintesi di identità e di programma della Piccola Opera della Divina Provvidenza. E' bello che continui ancor oggi nella Famiglia orionina, sia nelle preghiere che in incontri comunitari o pubblici, sia da parte di religiosi che di laici: Instaurate omnia in Christo......



    La Festa di Cristo Re
    E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re.
    Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale.
    D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio [35]. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace.

    E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori.
    In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante.
    Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza.

    Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

    Il “laicismo”

    La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso.
     
    I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina.

    Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità.
    Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.

    La preparazione storica della festa di Cristo Re

    E chi non vede che fino dagli ultimi anni dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla desiderata istituzione di questo giorno festivo? Nessuno infatti ignora come, con libri divulgati nelle varie lingue di tutto il mondo, questo culto fu sostenuto e sapientemente difeso; come pure il principato e il regno di Cristo fu ben riconosciuto colla pia pratica di dedicare e consacrare tutte le famiglie al Sacratissimo Cuore di Gesù. E non soltanto famiglie furono consacrate, ma altresì nazioni e regni; anzi, per volere di Leone XIII, tutto il genere umano, durante l’Anno Santo 1900, fu felicemente consacrato al Divin Cuore.
    Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo.

    A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali.
    E per vero ad attuare il Nostro divisamento sopra accennato, l’Anno Santo che volge alla fine Ci porge la più propizia occasione, poiché Dio benedetto, avendo sollevato la mente e il cuore dei fedeli alla considerazione dei beni celesti che superano ogni gaudio, o li ristabilì in grazia e li confermò nella retta via e li avviò con nuovi incitamenti al conseguimento della perfezione.
    Perciò, sia che consideriamo le numerose suppliche a Noi rivolte, sia che consideriamo gli avvenimento di questo Anno Santo, troviamo argomento a pensare che finalmente è spuntato il giorno desiderato da tutti, nel quale possiamo annunziare che si deve onorare con una festa speciale Cristo quale Re di tutto il genere umano.
    In quest’anno infatti, come dicemmo sin da principio, quel Re divino veramente ammirabile nei suoi Santi, è stato magnificato in modo glorioso con la glorificazione di una nuova schiera di suoi fedeli elevati agli onori celesti; parimenti in questo anno per mezzo dell’Esposizione Missionaria tutti ammirarono i trionfi procurati a Cristo per lo zelo degli operai evangelici nell’estendere il suo Regno; finalmente in questo medesimo anno con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli.

    L’istituzione della festa di Cristo Re

    Pertanto, con la Nostra apostolica autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X aveva comandato di ripetere annualmente.
    In quest’anno però, vogliamo che sia rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1′Anno Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i cattolici per i beneficî fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe cattolico durante quesl’Anno Santo.
    E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale.
    Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica, è perché non solo il Clero con la celebrazione della Messa e la recita del divino Officio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione.

    Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti.
    Pertanto questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino.

    I vantaggi della festa di Cristo Re

    Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re.
    Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio.
    Di più, la società civile deve concedere simile libertà a quegli ordini e sodalizi religiosi d’ambo i sessi, i quali, essendo di validissimo aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori, cooperano grandemente all’estensione e all’incremento del regno di Cristo, sia perché con la professione dei tre voti combattono la triplice concupiscenza del mondo, sia perché con la pratica di una vita di maggior perfezione, fanno sì che quella santità, che il divino Fondatore volle fosse una delle note della vera Chiesa, risplenda di giorno in giorno vieppiù innanzi agli occhi di tutti.

    La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi.
    Inoltre non è a dire quanta forza e virtù potranno i fedeli attingere dalla meditazione di coteste cose, allo scopo di modellare il loro animo alla vera regola della vita cristiana.
    Poiché se a Cristo Signore è stata data ogni potestà in cielo e in terra; se tutti gli uomini redenti con il Sangue suo prezioso sono soggetti per un nuovo titolo alla sua autorità; se, infine, questa potestà abbraccia tutta l’umana natura, chiaramente si comprende, che nessuna delle nostre facoltà si sottrae a tanto impero.
     
    Conclusione
    Cristo regni!

    È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia” [36] offerte a Dio devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione.

    Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di Cristo, e tutti, quanti siamo, per sua misericordia, suoi sudditi e figli, lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno celeste della sua eterna felicità e gloria.
    Questo nostro augurio nella ricorrenza del Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro.

    Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo, quarto del Nostro Pontificato.
    PIUS PP. XI


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 13/11/2010 11:57

    Viva Cristo Re!






    La più grande statua di Cristo nel mondo sarà inaugurata il prossimo 21 novembre nella città polacca di Swiebodzin, nell'est del paese. La statua che sarà collocata su una collinetta di 16 metri è alta 33  e pesa circa 400 tonnellate; questa Statua che rappresenta Cristo Re sarà più alta del Cristo Redentore che dal 1931 che sovrasta la baia di Rio de Janeiro.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 21/11/2010 00:59

    MISSALE ROMANUM
    Domenica, 21 Novembre 2010




    NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL'UNIVERSO 

    VANGELO
    Dal Vangelo secondo Luca Lc 23, 35-43

    In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto».
    Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c'era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
    Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
    E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». 


    EVANGÉLIUM
    Sequéntia S. Evangélii secundum Matthǽum, 24, 15-35 

    In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Cum vidéritis abominatiónem desolatiónis, quæ dicta est a Daniéle prophéta, stantem in loco sancto: qui legit intélligat: tunc qui in Iudǽa sunt, fúgiant ad montes: et qui in tecto, non descéndat tóllere áliquid de domo sua: et qui in agro, non revertátur tóllere túnicam suam. Væ áutem prægnántibus, et nutriéntibus in illis diébus. Oráte áutem, ut non fiat fuga vestra in híeme, vel sábbato. Erit enim tunc tribulátio magna, qualis non fuit ab inítio mundi usque modo, neque fiet. Et nisi breviáti fuíssent dies illi, non fíeret salva omnis caro: sed propter eléctos breviabúntur dies illi. Tunc si quis vobis díxerit: Ecce hic est Christus, aut illic: nolíte crédere. Surgent enim pseudochrísti, et pseduoprophétæ: et dabunt signa magna, et prodígia, ita ut in errórem inducántur (si fíeri potest) étiam elécti. Ecce prædíxi vobis. Si ergo díxerint vobis: Ecce in desérto est, nolíte exíre: ecce in penetrálibus, nolíte crédere. Sicut enim fúlgur exit ab Oriénte, et paret usque in Occidéntem: ita erit et advéntus Fílii hóminis. Ubicúmque fúerit corpus, illic congregabúntur et áquilæ. Statim áutem post tribulatiónem diérum illórum sol obscurábitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cælo, et virtútes coelórum commovebúntur: et tunc parébit signum Fílii hóminis in cælo: et tunc plangent omnes tribus terræ: et vidébunt Fílium hóminis veniéntem in núbibus cæli cum virtúte multa, et maiestáte. Et mittet Ángelos suos cum tuba, et voce magna: et congregábunt eléctos eius a quátuor ventis, a summis coelórum usque ad términos eórum. Ab árbore áutem fici díscite parábolam: cum iam ramus eius tener fúerit, et fólia nata, scitis quia prope est æstas: ita et vos cum vidéritis hæc ómnia, scitóte quia prope est in iánuis. Amen dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia hæc fiant. Cælum et terra tránsibunt, verba áutem mea non præteríbunt.

    In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Quando vedrete l’abominio della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo: chi legge comprenda, allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, e chi si trova sulla terrazza non scenda per prendere qualcosa in casa sua, e chi sta al campo non torni a pigliare la sua veste. Guai poi alle donne gravide e a quelle che in quei giorni allattano. Pregate che non abbiate a fuggire d’inverno, o in giorno di sabato, poiché allora sarà grande la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo sino ad oggi, né sarà mai. E se quei giorni non fossero accorciati, nessun uomo si salverebbe, ma quei giorni saranno accorciati in grazia degli eletti.

    Allora, se alcuno vi dirà: Ecco qui o ecco là il Cristo: non credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti: e faranno grandi miracoli e prodigi, da indurre in errore, (se possibile), anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto. Se quindi vi diranno: Ecco è nel deserto, non uscite; ecco è nella parte piú riposta della casa, non credete. Infatti, come il lampo parte da Oriente e brilla fino ad Occidente: cosí sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sarà il corpo, lí si aduneranno gli avvoltoi. Ma subito dopo quei giorni di tribolazione si oscurerà il sole, e la luna non darà piú la sua luce, e le stelle cadranno dal cielo, e le potestà dei cieli saranno sconvolte.

    Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo: piangeranno tutte le tribú della terra e vedranno il Figlio dell’uomo scendere sulle nubi del cielo con grande potestà e mæstà. Egli manderà i suoi Ángeli con la tromba e con voce magna a radunare i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli. Imparate questa similitudine dall’albero del fico: quando il suo ramo intenerisce e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina: cosí, quando vedrete tutte queste cose sappiate che Egli è alle porte. In verità vi dico, non passerà questa generazione che non siano adempiute tutte queste cose. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole no
    .

    Venga il tuo regno

    Dall'opuscolo «La preghiera» di Origène, sacerdote (Cap. 25; PG 11, 495-499)

    Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l'attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell'anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in lui abita. Così l'anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell'anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell'affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).

    Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l'Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza delVerbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l'iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2 Cor 6, 14-15).

    Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre « membra che appartengono alla terra» ( Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «ultima nemica sarà distrutta la morte» (1 Cor 25, 26). Allora Cristo potrà dire dentro di noi: «Dov'è , o morte, il tuo pungiglione? Dov'è , o morte, la tua vittoria? » ( Os 13, 14; 1 Cor 15, 55). Fin d'ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di «incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell'immortalità» del Padre (1 Cor 15, 54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 21/11/2010 18:58

    Il Papa: Eppure, proprio "sulla croce Gesù è all’«altezza» di Dio, che è Amore. Lì si può «conoscerlo». Gesù ci dà la «vita» perché ci dà Dio. Ce lo può dare perché è Egli stesso una cosa sola con Dio"






    Al termine della Concelebrazione eucaristica con i nuovi Cardinali creati nel Concistoro di ieri, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
    Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

    PRIMA DELL’ANGELUS

    Cari fratelli e sorelle!

    Si è appena conclusa, nella Basilica Vaticana,
    la Liturgia di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, concelebrata anche dai 24 nuovi Cardinali, creati nel Concistoro di ieri. La solennità di Cristo Re venne istituita dal Papa Pio XI nel 1925 e, in seguito, dopo il Concilio Vaticano II, venne collocata a conclusione dell’anno liturgico. Il Vangelo di san Luca presenta, come in un grande quadro, la regalità di Gesù nel momento della crocifissione.
    I capi del popolo e i soldati deridono "il primogenito di tutta la creazione" (Col 1,15) e lo mettono alla prova per vedere se Egli ha il potere di salvare se stesso dalla morte (cfr Lc 23,35-37). Eppure, proprio "sulla croce Gesù è all’«altezza» di Dio, che è Amore. Lì si può «conoscerlo». […]
    Gesù ci dà la «vita» perché ci dà Dio. Ce lo può dare perché è Egli stesso una cosa sola con Dio" (Benedetto XVI,
    Gesù di Nazaret, Milano 2007, 399.404).

    Infatti, mentre il Signore sembra confondersi tra due malfattori, uno di essi, consapevole dei propri peccati, si apre alla verità, giunge alla fede e prega "il re dei Giudei": "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,42). Da Colui che "è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono" (Col 1,17) il cosiddetto "buon ladrone" riceve immediatamente il perdono e la gioia di entrare nel Regno dei Cieli. "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso" (Lc 23,43). Con queste parole, Gesù, dal trono della croce, accoglie ogni uomo con infinita misericordia. Sant’Ambrogio commenta che questo "è un bell’esempio della conversione a cui bisogna aspirare: ben presto al ladrone viene concesso il perdono, e la grazia è più abbondante della richiesta; il Signore, infatti – dice Ambrogio – accorda sempre di più di quello che si chiede […] La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno" (Expositio Ev. sec. Lucam X, 121: CCL 14, 379).

    Cari amici, la via dell’amore, che il Signore ci rivela e che ci invita a percorrere, la possiamo contemplare anche nell’arte cristiana. Infatti, anticamente, "nella conformazione degli edifici sacri […] diventò abituale rappresentare sul lato orientale il Signore che ritorna come re - l’immagine della speranza - [e …] sul lato occidentale […] il Giudizio finale come immagine della responsabilità per la nostra vita" (Enc.
    Spe salvi, 41): speranza nell’amore infinito di Dio e impegno di ordinare la nostra vita secondo l’amore di Dio. Quando contempliamo le raffigurazioni di Gesù ispirate al Nuovo Testamento – come insegna un antico Concilio – siamo condotti a "comprendere […] la sublimità dell’umiliazione del Verbo di Dio e […] a ricordare la sua vita nella carne, la sua passione e morte salvifica, e la redenzione che di lì è derivata al mondo" (Concilio in Trullo [anno 691 o 692], can. 82). "Sì, ne abbiamo bisogno, proprio per […] diventare capaci di riconoscere nel cuore trafitto del Crocifisso il mistero di Dio" (J. Ratzinger, Teologia della liturgia. La fondazione sacramentale dell’esistenza cristiana, LEV 2010, 69).

    Alla Vergine Maria, nell’odierna ricorrenza della sua Presentazione al Tempio, affidiamo i neo-Porporati del Collegio Cardinalizio e il nostro pellegrinaggio terreno verso l’eternità.

    DOPO L’ANGELUS

    Oggi, in Italia, su invito dei Vescovi, le comunità ecclesiali pregano per i cristiani che soffrono persecuzioni e discriminazioni, specialmente in Iraq. Mi unisco a questa corale invocazione al Dio della vita e della pace, affinché in ogni parte del mondo sia assicurata a tutti la libertà religiosa. Sono vicino a questi fratelli e sorelle per l’alta testimonianza di fede che rendono a Dio.

    Nell’odierna memoria della Presentazione al Tempio della Beata Vergine Maria, la Chiesa si stringe con particolare affetto alle monache e ai monaci di clausura: è la "Giornata pro Orantibus", che rinnova anche l’invito a sostenere concretamente queste comunità. Ad esse imparto di cuore la mia benedizione.

    Oggi ricorre anche la "Giornata delle vittime della strada". Mentre assicuro il mio ricordo nella preghiera, incoraggio a proseguire nell’impegno della prevenzione, che sta dando buoni risultati, ricordando sempre che la prudenza e il rispetto delle norme sono la prima forma di tutela di sé e degli altri.

    Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, specialmente a quelli venuti per rendere omaggio ai nuovi Cardinali. Sono lieto di salutare la qualificata rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri, guidata dal Comandante Generale e dall’Ordinario Militare, in occasione della festa di Maria Santissima, venerata quale Patrona col titolo di Virgo Fidelis. Saluto i volontari del "Banco Alimentare", presenti per chiedere la benedizione prima della colletta nazionale che avrà luogo sabato prossimo; come pure il gruppo parrocchiale da Cagliari.

    A tutti auguro una buona domenica.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 14/11/2011 13:53
    [SM=g1740733] Cari Amici,
    il Movimento Domenicano del Rosario: www.sulrosario.org vi offre, da questo video in poi, anche una serie di video-karaoke attraverso i quali imparare certi canti più o meno conosciuti, specialmente della nostra Tradizione, alternandoli ai video squisitamente catechetici o apologetici.
    Ci auguriamo così di fare cosa gradita ai nostri affezionati, e nuovi, lettori e aiutando tutti noi ad amare la sana Dottrina anche attraverso il canto, esprimendo sempre sentimenti di gioia e di lode a Dio e alla Sua Santissima Madre.

    Iniziamo con un canto di lode a Cristo Re dell'Universo che solennemente celebreremo domenica 20 novembre a conclusione dell'Anno Liturgico.
    www.gloria.tv/?media=215127







    [SM=g1740717]

    [SM=g1740738]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Caterina63
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    00 16/11/2011 15:26
    [SM=g1740733]Il Papa termina oggi le sue Catechesi sui Salmi , con un pensiero rivolto a Cristo Re

    L’UDIENZA GENERALE, 16.11.2011

    L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza S. Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
    Nel discorso in lingua italiana, concludendo il ciclo di catechesi dedicato alla preghiera nel Libro dei Salmi, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul Salmo 110 (109), sul Re Messia.
    Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
    L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica
    .

    Pope Benedict XVI kisses a baby at the end of his weekly audience  in Saint Peter's Square at the Vatican November 16, 2011.


    CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

    Salmo 109

    Cari fratelli e sorelle,

    vorrei oggi terminare le mie catechesi sulla preghiera del Salterio meditando uno dei più famosi "Salmi regali", un Salmo che Gesù stesso ha citato e che gli autori del Nuovo Testamento hanno ampiamente ripreso e letto in riferimento al Messia, a Cristo. Si tratta del Salmo 110 secondo la tradizione ebraica, 109 secondo quella greco-latina; un Salmo molto amato dalla Chiesa antica e dai credenti di ogni tempo. Questa preghiera era forse inizialmente collegata all’intronizzazione di un re davidico; tuttavia il suo senso va oltre la specifica contingenza del fatto storico aprendosi a dimensioni più ampie e diventando così celebrazione del Messia vittorioso, glorificato alla destra di Dio.

    Il Salmo inizia con una dichiarazione solenne:

    Oracolo del Signore al mio signore: «Siedi alla mia destra
    finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi» (v. 1)
    .

    Dio stesso intronizza il re nella gloria, facendolo sedere alla sua destra, un segno di grandissimo onore e di assoluto privilegio. Il re è ammesso in tal modo a partecipare alla signoria divina, di cui è mediatore presso il popolo. Tale signoria del re si concretizza anche nella vittoria sugli avversari, che vengono posti ai suoi piedi da Dio stesso; la vittoria sui nemici è del Signore, ma il re ne è fatto partecipe e il suo trionfo diventa testimonianza e segno del potere divino.

    La glorificazione regale espressa in questo inizio del Salmo è stata assunta dal Nuovo Testamento come profezia messianica; perciò il versetto è tra i più usati dagli autori neotestamentari, o come citazione esplicita o come allusione. Gesù stesso ha menzionato questo versetto a proposito del Messia per mostrare che il Messia è più che Davide, è il Signore di Davide (cfr Mt 22,41-45; Mc 12,35-37; Lc 20,41-44). E Pietro lo riprende nel suo discorso a Pentecoste, annunciando che nella risurrezione di Cristo si realizza questa intronizzazione del re e che da adesso Cristo sta alla destra del Padre, partecipa alla Signoria di Dio sul mondo (cfr Atti 2,29-35). È il Cristo, infatti, il Signore intronizzato, il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio che viene sulle nubi del cielo, come Gesù stesso si definisce durante il processo davanti al Sinedrio (cfr Mt 26,63-64; Mc 14,61-62; cfr anche Lc 22,66-69). È Lui il vero re che con la risurrezione è entrato nella gloria alla destra del Padre (cfr Rom 8,34; Ef 2,5; Col 3,1; Ebr 8,1; 12,2), fatto superiore agli angeli, seduto nei cieli al di sopra di ogni potenza e con ogni avversario ai suoi piedi, fino a che l’ultima nemica, la morte, sia da Lui definitivamente sconfitta (cfr 1 Cor 15,24-26; Ef 1,20-23; Ebr 1,3-4.13; 2,5-8; 10,12-13; 1 Pt 3,22). E si capisce subito che questo re che è alla destra di Dio e partecipa della sua Signoria, non è uno di questi uomini successori di Davide, ma solo il nuovo Davide, il Figlio di Dio che ha vinto la morte e partecipa realmente alla gloria di Dio. È il nostre re, che ci dà anche la vita eterna.

    Tra il re celebrato dal nostro Salmo e Dio esiste quindi una relazione inscindibile; i due governano insieme un unico governo, al punto che il Salmista può affermare che è Dio stesso a stendere lo scettro del sovrano dandogli il compito di dominare sui suoi avversari, come recita il versetto 2:

    Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion:
    domina in mezzo ai tuoi nemici!


    L’esercizio del potere è un incarico che il re riceve direttamente dal Signore, una responsabilità che deve vivere nella dipendenza e nell’obbedienza, diventando così segno, all’interno del popolo, della presenza potente e provvidente di Dio. Il dominio sui nemici, la gloria e la vittoria sono doni ricevuti, che fanno del sovrano un mediatore del trionfo divino sul male. Egli domina sui nemici trasformandoli, li vince con il suo amore.

    Perciò, nel versetto seguente, si celebra la grandezza del re. Il versetto 3, in realtà, presenta alcune difficoltà di interpretazione. Nel testo originale ebraico si fa riferimento alla convocazione dell’esercito a cui il popolo risponde generosamente stringendosi attorno al suo sovrano nel giorno della sua incoronazione. La traduzione greca dei LXX, che risale al III-II secolo prima di Cristo, fa riferimento invece alla filiazione divina del re, alla sua nascita o generazione da parte del Signore, ed è questa la scelta interpretativa di tutta la tradizione della Chiesa, per cui il versetto suona nel modo seguente:

    A te il principato nel giorno della tua potenza
    tra santi splendori;
    dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato.


    Questo oracolo divino sul re affermerebbe dunque una generazione divina soffusa di splendore e di mistero, un’origine segreta e imperscrutabile, legata alla bellezza arcana dell’aurora e alla meraviglia della rugiada che nella luce del primo mattino brilla sui campi e li rende fecondi. Si delinea così, indissolubilmente legata alla realtà celeste, la figura del re che viene realmente da Dio, del Messia che porta al popolo la vita divina ed è mediatore di santità e di salvezza. Anche qui vediamo che tutto questo non è realizzato dalla figura di un re davidico, ma dal Signore Gesù Cristo, che realmente viene da Dio; Egli è la luce che porta la vita divina al mondo.

    Con questa immagine suggestiva ed enigmatica termina la prima strofa del Salmo, a cui fa seguito un altro oracolo, che apre una nuova prospettiva, nella linea di una dimensione sacerdotale connessa alla regalità. Recita il versetto 4:

    Il Signore ha giurato e non si pente:
    «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek».


    Melchìsedek era il sacerdote re di Salem che aveva benedetto Abramo e offerto pane e vino dopo la vittoriosa campagna militare condotta dal patriarca per salvare il nipote Lot dalle mani dei nemici che lo avevano catturato (cfr Gen 14). Nella figura di Melchìsedek, potere regale e sacerdotale convergono e ora vengono proclamati dal Signore in una dichiarazione che promette eternità: il re celebrato dal Salmo sarà sacerdote per sempre, mediatore della presenza divina in mezzo al suo popolo, tramite della benedizione che viene da Dio e che nell’azione liturgica si incontra con la risposta benedicente dell’uomo.

    La Lettera agli Ebrei fa esplicito riferimento a questo versetto (cfr. 5,5-6.10; 6,19-20) e su di esso incentra tutto il capitolo 7, elaborando la sua riflessione sul sacerdozio di Cristo. Gesù, così ci dice la Lettera agli Ebrei nella luce del salmo 110 (109), Gesù è il vero e definitivo sacerdote, che porta a compimento i tratti del sacerdozio di Melchìsedek rendendoli perfetti.

    Melchìsedek, come dice la Lettera agli Ebrei, era «senza padre, senza madre, senza genealogia» (7,3a), sacerdote dunque non secondo le regole dinastiche del sacerdozio levitico. Egli perciò «rimane sacerdote per sempre» (7,3c), prefigurazione di Cristo, sommo sacerdote perfetto che «non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile» (7,16). Nel Signore Gesù risorto e asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre, si attua la profezia del nostro Salmo e il sacerdozio di Melchìsedek è portato a compimento, perché reso assoluto ed eterno, divenuto una realtà che non conosce tramonto (cfr 7,24). E l’offerta del pane e del vino, compiuta da Melchìsedek ai tempi di Abramo, trova il suo adempimento nel gesto eucaristico di Gesù, che nel pane e nel vino offre se stesso e, vinta la morte, porta alla vita tutti i credenti. Sacerdote perenne, «santo, innocente, senza macchia» (7,26), egli, come ancora dice la Lettera agli Ebrei, «può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (7,25).

    Dopo questo oracolo divino del versetto 4, col suo solenne giuramento, la scena del Salmo cambia e il poeta, rivolgendosi direttamente al re, proclama: «Il Signore è alla tua destra!» (v. 5a). Se nel versetto 1 era il re a sedersi alla destra di Dio in segno di sommo prestigio e di onore, ora è il Signore a collocarsi alla destra del sovrano per proteggerlo con lo scudo nella battaglia e salvarlo da ogni pericolo. Il re è al sicuro, Dio è il suo difensore e insieme combattono e vincono ogni male.

    Si aprono così i versetti finali del Salmo con la visione del sovrano trionfante che, appoggiato dal Signore, avendo ricevuto da Lui potere e gloria (cfr v. 2), si oppone ai nemici sbaragliando gli avversari e giudicando le nazioni. La scena è dipinta con tinte forti, a significare la drammaticità del combattimento e la pienezza della vittoria regale.

    Il sovrano, protetto dal Signore, abbatte ogni ostacolo e procede sicuro verso la vittoria. Ci dice: sì, nel mondo c'è tanto male, c'è una battaglia permanente tra il bene e il male, e sembra che il male sia più forte. No, più forte è il Signore, il nostro vero re e sacerdote Cristo, perché combatte con tutta la forza di Dio e, nonostante tutte le cose che ci fanno dubitare sull'esito positivo della storia, vince Cristo e vince il bene, vince l'amore e non l'odio.

    È qui che si inserisce la suggestiva immagine con cui si conclude il nostro Salmo, che è anche una parola enigmatica.

    lungo il cammino si disseta al torrente,
    perciò solleva alta la testa
    (v. 7).

    Nel mezzo della descrizione della battaglia, si staglia la figura del re che, in un momento di tregua e di riposo, si disseta ad un torrente d’acqua, trovando in esso ristoro e nuovo vigore, così da poter riprendere il suo cammino trionfante, a testa alta, in segno di definitiva vittoria. E' ovvio che questa parola molto enigmatica era una sfida per i Padri della Chiesa per le diverse interpretazioni che si potevano dare. Così, per esempio, sant'Agostino dice: questo torrente è l'essere umano, l'umanità, e Cristo ha bevuto da questo torrente facendosi uomo, e così, entrando nell'umanità dell'essere umano, ha sollevato il suo capo e adesso è il capo del Corpo mistico, è il nostro capo, è il vincitore definitivo (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 20: PL 36, 1462).

    Cari amici, seguendo la linea interpretativa del Nuovo Testamento, la tradizione della Chiesa ha tenuto in grande considerazione questo Salmo come uno dei più significativi testi messianici. E, in modo eminente, i Padri vi hanno fatto continuo riferimento in chiave cristologica: il re cantato dal Salmista è, in definitiva, Cristo, il Messia che instaura il Regno di Dio e vince le potenze del mondo, è il Verbo generato dal Padre prima di ogni creatura, prima dell'aurora, il Figlio incarnato morto e risorto e assiso nei cieli, il sacerdote eterno che, nel mistero del pane e del vino, dona la remissione dei peccati e la riconciliazione con Dio, il re che solleva la testa trionfando sulla morte con la sua risurrezione.

    Basterebbe ricordare un passo ancora una volta del commento di sant’Agostino a questo Salmo dove scrive: «Era necessario conoscere l’unico Figlio di Dio, che stava per venire tra gli uomini, per assumere l’uomo e per divenire uomo attraverso la natura assunta: egli è morto, risorto, asceso al cielo, si è assiso alla destra del Padre ed ha adempiuto tra le genti quanto aveva promesso … Tutto questo, dunque, doveva essere profetizzato, doveva essere preannunciato, doveva essere segnalato come destinato a venire, perché, sopravvenendo improvviso, non facesse spavento, ma fosse preannunciato, piuttosto accettato con fede, gioia ed atteso. Nell’ambito di queste promesse rientra codesto Salmo, il quale profetizza, in termini tanto sicuri ed espliciti, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che noi non possiamo minimamente dubitare che in esso sia realmente annunciato il Cristo» (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 3: PL 36, 1447)

    L’evento pasquale di Cristo diventa così la realtà a cui ci invita a guardare il Salmo, guardare a Cristo per comprendere il senso della vera regalità, da vivere nel servizio e nel dono di sé, in un cammino di obbedienza e di amore portato "fino alla fine" (cfr. Gv 13,1 e 19,30). Pregando con questo Salmo, chiediamo dunque al Signore di poter procedere anche noi sulle sue vie, nella sequela di Cristo, il re Messia, disposti a salire con Lui sul monte della croce per giungere con Lui nella gloria, e contemplarlo assiso alla destra del Padre, re vittorioso e sacerdote misericordioso che dona perdono e salvezza a tutti gli uomini. E anche noi, resi, per grazia di Dio, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa» (cfr 1 Pt 2,9), potremo attingere con gioia alle sorgenti della salvezza (cfr Is 12,3) e proclamare a tutto il mondo le meraviglie di Colui che ci ha «chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (cfr 1 Pt 2,9).

    Cari amici, in queste ultime Catechesi ho voluto presentarvi alcuni Salmi, preziose preghiere che troviamo nella Bibbia e che riflettono le varie situazioni della vita e i vari stati d’animo che possiamo avere verso Dio. Vorrei allora rinnovare a tutti l’invito a pregare con i Salmi, magari abituandosi a utilizzare la Liturgia delle Ore della Chiesa, le Lodi al mattino, i Vespri alla sera, la Compieta prima di addormentarsi. Il nostro rapporto con Dio non potrà che essere arricchito nel quotidiano cammino verso di Lui e realizzato con maggior gioia e fiducia.

    Grazie.

    Pope Benedict XVI gestures during the weekly general audience in  St. Peter's square at the Vatican, Wednesday, Nov. 16, 2011.



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 17/11/2011 09:33
      Omelia I di san Gregorio Magno, Papa, tenuta al popolo nella Basilica di san Pietro, nella seconda Domenica di Avvento

    (nell'Omelia che segue san Gregorio Magno spiega per come può il mistero della Parusia di nostro Signore, ma più che parlare della Parusia in quanto tale, si sofferma a consigliare i fedeli del perchè non dobbiamo amare il mondo che è destinato alla corruzione e ad avere la sua fine e di come, l'amicia vera dell'uomo, deve fondarsi su Cristo per essere veramente felice.
    Nel descrivere poi gli eventi drammatici del suo tempo, sia naturali quanto umani, spiega come con il sacro timor di Dio, noi possiamo affrontarli in modo sereno....
    Non si usi, pertanto, questo testo, per tentare di spiegare la Parusia, quanto piuttosto per confermare la dottrina della Chiesa già conosciuta: chi ama questo mondo, non riuscirà mai ad amare Dio, chi mette radici in questo mondo, non comprenderà mai che la sua Patria è il Cielo....tutto il male che commettiamo ha in Cristo il nostro Avvocato e Colui che PERDONA, ma perchè il perdono abbia effetto, occorre CONVERTIRSI, ACCOGLIERE CRISTO, diversamente il male necessita di soddisfazione e ciò che la Bibbia chiama CASTIGHI DI DIO sono le legittime e PUNIZIONI di Dio attraverso le quali ci viene offerta la conversione e non per paura, ma per giustizia!

    Per favore...citare la fonte se vorrete portare in giro nella rete queste Omelie di san Gregorio Magno .... e che tutto si faccia per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime....
    Grazie!
    )


    Lezione del Santo Vangelo, secondo Luca 21, 25-33


    [25] Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei  flutti, [26] mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. [27] Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.[28] Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina".[29] E disse loro una parabola: "Guardate il fico e tutte le piante; [30] quando già germogliano, guardandoli capite da voi  stessi che ormai l'estate è vicina.
    [31] Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. [32] In verità vi dico: non  passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. [33] Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

    25 Et erunt signa in sole et luna et stellis, et super terram pressura gentium prae confusione sonitus maris et fluctuum,
    26 arescentibus hominibus prae timore et exspectatione eorum, quae supervenient orbi, nam virtutes caelorum movebuntur.
    27 Et tunc videbunt Filium hominis venientem in nube cum potestate et gloria magna.
    28 His autem fieri incipientibus, respicite et levate capita vestra, quoniam appropinquat redemptio vestra ”.
    29 Et dixit illis similitudinem: “ Videte ficulneam et omnes arbores:
    30 cum iam germinaverint, videntes vosmetipsi scitis quia iam prope est aestas.
    31 Ita et vos, cum videritis haec fieri, scitote quoniam prope est regnum Dei.
    32 Amen dico vobis: Non praeteribit generatio haec, donec omnia fiant.
    33 Caelum et terra transibunt, verba autem mea non transibunt.

    ****

    http://www.artcurel.it/ARTCUREL/RUBRICHEAUTORI/FrancescoCuccaro/parusia01art.jpg


    1. - Il Signore e Redentore nostro, o fratelli carissimi, desiderando trovarci preparati, ci svela i mali che avverranno alla  fine del mondo che invecchia, per distoglierci dall'amore di esso. Ci fa conoscere quanti flagelli precederanno la sua prossima fine, affinchè,se non vogliamo temere Iddio finchè siamo nella tranquillità, temiamo almeno, colpiti dal pensiero di tali  flagelli, annuncio di Lui,  e del di Lui vicino giudizio.
    Al brano santo del Vangelo che abbiamo appena udito, o fratelli, non vi pensate che siano parole di spauracchio, chi ben  conosce la Parola di Dio, e la mette in pratica, non vi ha nulla da temere dai fatti che verranno. Il Signore li ha premessi con  queste parole chiarissime che precedono il brano appena ascoltato: " Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e  regno contro regno,  e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo" (vv.10-11 Tunc dicebat illis: “ Surget gens contra gentem, et regnum adversus regnum; 11 et terrae motus  magni et per loca fames et pestilentiae erunt, terroresque et de caelo signa magna erunt.), e dopo altre frasi, arriviamo al  versetto 25 appena udito.
    Ora noi constatiamo senza dubbio che parte di queste cose si sono già avverate, e parte dobbiamo temere che possano essere  prossime a verificarsi (1).
    Ciò che vediamo ai nostri giorni: delle genti cioè insorgere contro altre genti, e la loro sventura dilagare sulla terra, è già  superiore a quello che noi leggiamo nei Libri Sacri. Sapete con quanta frequenza si sente dire che il terremoto, in altre parti  del mondo, sconvolge innumerevoli città. Noi poi siamo travagliati continuamente da pestilenze. E' vero che non vediamo  ancora chiari segni straordinari nel sole, nella luna e nelle stelle, ma possiamo però arguire, dalla stessa alterazione  atmosferica, che tali segni non tarderanno a venire.
    Ancor prima che l'Italia fosse consegnata alla spada dei Gentili per essere dilaniata, abbiamo veduto in cielo schiere di  fuoco, e rosseggiarvi quel sangue del genere umano che poi è stato versato. Non è ancora riapparsa l'agitazione dei mari e dei flutti, ma, dato che molte delle calamità preannunziate si sono già verificate, senza dubbio dovranno seguire anche le altre: la realtà dei fatti già avvenuti è garanzia delle cose che, rivelate, dovranno seguire, anche se non sappiamo bene come, il dove e  quando.

    2. - Questo noi diciamo, o fratelli carissimi, perchè le vostre menti vigilino con oculata cautela, onde non s'intorbidiscano per la sicurezza, nè languiscano per l'ignoranza, ma il sacro timore le solleciti sempre, e la continua sollecitudine le confermi nel  bene di operare, meditando ciò che viene soggiunto dalla voce del nostro Redentore: " mentre gli uomini moriranno per la  paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte." (v.26   arescentibus hominibus prae timore et exspectatione eorum, quae supervenient orbi, nam virtutes caelorum movebuntur).
    Che cosa, infatti, ha voluto qui indicare il Signore sotto il nome di "potenze dei cieli", se non gli Angeli, gli Arcangeli, i Troni, le Denominazioni, i Principati e le Potestà? Questi, nella venuta del Giudice inesorabile, appariranno visibilmente agli occhi  nostri, per chiederci stretto conto della pazienza che ora il Creatore invisibile usa a nostro riguardo. E si soggiunge: "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande " (v.27 Et tunc videbunt Filium hominis venientem in nube cum potestate et gloria magna), è come se si dicesse apertamente: Gli uomini vedranno nella sua potenza e maestà  Colui che non vollero ascoltare nella sua umiltà, affinchè sentano tanto più severamente allora la Sua potenza, quanto più ora  ricusano di piegare la durezza del cuore alla Sua sconfinata pazienza.

    3. - Ma dopo che furono dette queste cose contro i reprobi, subito il discorso si volge a conforto degli eletti, degli umili, di  quanti sono fedeli al Signore. Si soggiunge infatti: "Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo,  perché la vostra liberazione è vicina" (v.28 His autem fieri incipientibus, respicite et levate capita vestra, quoniam  appropinquat redemptio vestra). E' come se apertamente la Verità ammonisse i suoi eletti dicendo: Quando le piaghe del  mondo si moltiplicano, quando il terrore del giudizio si mostra mediante lo sconvolgimento delle potenze, sollevate allora con  fiducia le vostre teste, cioè gioite nei vostri cuori perchè, mentre finisce questo mondo di cui voi non siete amici, si avvicina  piuttosto quella redenzione che avete cercata.
    Nella Sacra Scrittura, spesso col nome di "capo" si intende la mente, perchè come il capo dirige tutte le membra, così la  mente ordina i pensieri. Perciò "sollevare il capo" significa sollevare i nostri pensieri ai gaudi della Patria Celeste. A coloro,  dunque, che amano Iddio viene comandato di godere e rallegrarsi per la fine del mondo, perchè mentre passa questo mondo da  essi non amato, trovano tosto Colui che è stato e sempre sarà l'oggetto del loro Amore. Non sia mai, pertanto, che un fedele,  che desidera di vedere Iddio, pianga o persino si disperi sui flagelli che colpiscono il mondo, perchè egli deve sapere che è  sotto tali flagelli che il mondo avrà termine e che potremmo vedere Gesù Signore ritornare glorioso e vittorioso, sta scritto  infatti: "Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende  nemico di Dio. " (Giacomo 4,4  Adulteri, nescitis quia amicitia huius mundi inimica est Dei? Quicumque ergo voluerit amicus  esse saeculi huius, inimicus Dei constituitur.). Non si tratta tanto di avere piacere delle sofferenze del mondo, quanto  piuttosto di ben sapere che chi non gode dell'avvicinarsi della sua fine dimostra con ciò, di esserne suo amico e di  conseguenza si proclama nemico di Dio perchè non ha alcun desiderio di volerLo vedere trionfare sul mondo. Ma vi supplico!  questo sia lontano dai vostri cuori, sia lontano da tutti coloro i quali, per fede, credono che vi sia un'altra Vita e vi aspirano a conquistarla con le buone opere.
    Piangere sulla fine del mondo, e sugli eventi drammatici che verranno per purificare gli uomini, è tipico di coloro che lo amano e vi hanno messo le proprie radici del cuore e non cercano altro, non aspirano alla Vita futura, non si aspettano, oppure  rifiutano che questa Vita esista per davvero. Ma noi che abbiamo conosciuto i gaudi eterni della Celeste Patria, dobbiamo  anelare di giungere ad essa, e dobbiamo incoraggiare il prossimo su questa via.
    Da quali mali non è oppresso il mondo? Quale tristezza, quale avversità non ci addolora? Che cosa è la vita presente se non un viaggio? Considerate dunque, o miei fratelli, quale contraddizione sarebbe essere affaticati dal viaggio, colpiti dalle  avversità e dai dolori e desiderare che questo mondo non abbia termine!
    Il nostro Redentore ci insegna come dobbiamo calpestare l'amore del mondo mediante un'opportuna similitudine, aggiungendo  subito: "E disse loro una parabola: "Guardate il fico e tutte le piante; [30] quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l'estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino."  
    (vv. 29-31  Et dixit illis similitudinem: “ Videte ficulneam et omnes arbores; cum iam germinaverint, videntes vosmetipsi scitis quia iam prope est aestas.), è come se apertamente dicesse: Come dai frutti degli alberi si conosce l'avvicinarsi dell'estate,  così dalla rovina del mondo, si conosce l'approssimarsi del regno di Dio. Da queste parole appare chiaramente che il frutto  del mondo è la rovina; esso cresce per cadere, e germoglia per consumare nella rovina tutto ciò che avrà prodotto contro Dio  e senza Dio. Il regno di Dio è così opportunamente paragonato all'estate, perchè allora si dilegueranno le nubi del nostro  dolore, l'inverno, ed i giorni della vita cominceranno a rifulgere nella luce del Sole Eterno.

    4. - Tutte queste asserzioni vengono con forza riconfermate e ribadite dalla sentenza seguente che dice: "In verità vi dico:  non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno." (vv. 32-33 Amen dico vobis: Non praeteribit generatio haec, donec omnia fiant. Caelum et terra transibunt, verba autem mea non transibunt.) Nell'ordine naturale non vi è nulla di più duraturo del cielo e della terra, e nulla, nello stesso ordine  naturale, passa più velocemente della parola!
    Le parole invero, finchè non si pronunziano possono ancora dirsi parole; ma quando poi sono state pronunziate non hanno già  più suono, perchè esse non possono completarsi se non passando.
    Ciò posto, quando il Signore dice: "cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" è come se dicesse: Tutto ciò  che presso di voi è duraturo, non è però immutabile, in eterno e, viceversa, tutto ciò che presso di Me sembra essere  passeggero non muta e non passa, perchè la mia parola che passa, esprime sentenze che rimangono fisse, in ogni tempo, senza  mutazione.

    5. - Ecco, fratelli miei, che già vediamo avverato quello che abbiamo udito! Il mondo è oppresso quotidianamente da nuovi mali che aumentano di giorno in giorno. Eravate numerosi; osservate ora quanto  pochi siete sopravvissuti! E, come se ciò non bastasse, nuovi flagelli ci affliggono, repentini infortuni ci piombano addosso,  nuove ed improvvise calamità ci colpiscono.
    Nella giovinezza il corpo è vigoroso, il petto si mantiene forte e sano, eretto il busto, ed ampio il torace; nella vecchiaia  invece la statura si curva, il collo inaridito si ripiega, il petto diventa ansimante, la forza vien meno e l'affanno tronca le  parole di chi parla, e se anche non si è propriamente malati, da vecchi la salute stessa è spesso già una malattia. Similmente il  mondo nei primi suoi tempi ebbe un vigore come di giovinezza; fu robusto accogliendo il genere umano, verdeggiò di salute  corporale e fu opulento per l'abbondanza d'ogni cosa; ora invece  comincia a dare segnali di depressione, è segnato dalle  molestie che crescono. Non vogliate dunque, o fratelli, amare questo mondo che non è eterno. Richiamate alla mente il  
    precetto apostolico con cui veniamo ammoniti: "Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del  Padre non è in lui;" (1Gv.2,15 Nolite diligere mundum neque ea, quae in mundo sunt. Si quis diligit mundum, non est caritas  Patris in eo;).
    Solo l'altro giorno, o fratelli, avete appreso che, per un improvviso turbine, alberi secolari sono stati sradicati, case  distrutte, e chiese schiantate dalle fondamenta! Quanti erano che alla sera, sani ed incolumi, pensavano a quello che  avrebbero fatto il giorno seguente, ed invece in quella stessa notte sono deceduti improvvisamente, travolti nel vortice della  rovina?

    6. - Dobbiamo pure considerare, o dilettissimi che, per compiere queste cose, il Giudice invisibile agitò il soffio di un vento  leggerissimo, eccitò la tempesta di una sola nuvola, e tuttavia ciò bastò a sconvolgere la terra ed a scuotere dalle fondamenta tanti edifici. Che cosa sarà dunque, quando questo Giudice verrà personalmente e la Sua ira divamperà per giudicare i  peccatori recidivi, se non possiamo già più sostenere ora che ci castiga per mezzo di una tenuissima nube? Quale mortale  potrà resistere, alla presenza dell'ira di Colui che, col solo agitare il vento, ha sconvolto la terra, ha turbato l'atmosfera e  divelti tanti edifici?
    Paolo, considerando il rigore del Giudice venturo, ha scritto: "È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!" (Ebrei 10,31  Horrendum est incidere in manus Dei viventis.).
    La stessa cosa esprime il Salmista dicendo: " Viene il nostro Dio e non sta in silenzio;davanti a lui un fuoco divorante, intorno  a lui si scatena la tempesta. Convoca il cielo dall'alto e la terra al giudizio del suo popolo " (Salmo 50, 3-4 3 Deus noster  veniet et non silebit: ignis consumens est in conspectu eius, et in circuitu eius tempestas valida. Advocabit caelum desursumet terram discernere populum suum:), il fuoco e la tempesta accompagnano il rigore di sì grande Giustizia, perchè la tempesta  colpisce ciò che il fuoco brucia.

    Tenete presente, dunque, o fratelli carissimi, quel giorno, e troverete leggero, al suo confronto, tutto quello che ora vi  sembra grave. Di tale giorno parla così il Profeta: "14. È vicino il gran giorno del Signore, è vicino e avanza a grandi passi. Una voce: Amaro è il giorno del Signore! anche un prode lo grida. 15. Giorno d'ira quel giorno, giorno di angoscia e di  afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, 16. giorno di squilli di  tromba e d'allarme sulle fortezze e sulle torri d'angolo. 17. Metterò gli uomini in angoscia e cammineranno come ciechi,  perchè han peccato contro il Signore; il loro sangue sarà sparso come polvere e le loro viscere come escrementi. [18] 18.  Neppure il loro argento, neppure il loro oro potranno salvarli". Nel giorno dell'ira del Signore e al fuoco della sua gelosia  tutta la terra sarà consumata, poiché farà improvvisa distruzione di tutti gli abitanti della terra.  " (Sofonia 1, 14-18 14  Iuxta est dies Domini magnus, iuxta et velox nimis; vox diei Domini amara, tribulabitur ibi fortis. 15 Dies irae dies illa, dies  tribulationis et angustiae, dies vastitatis et desolationis, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, 16 dies tubae  et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos. 17 Et tribulabo homines, et ambulabunt ut caeci, quia Domino  peccaverunt; et effundetur sanguis eorum sicut humus, et viscera eorum sicut stercora. 18 Sed et argentum eorum et aurum  eorum non poterit liberare eos in die irae Domini; in igne zeli eius devorabitur omnis terra, quia consummationem cum  festinatione faciet cunctis habitantibus terram.), e di questo ancora il Signore ci ammonisce per mezzo di un altro Profeta:" Dice infatti il Signore degli eserciti: Ancora un pò di tempo e io scuoterò il cielo e la terra, il mare e la terraferma. [7]  Scuoterò tutte le nazioni e affluiranno le ricchezze di tutte le genti e io riempirò questa casa della mia gloria, dice il  Signore degli eserciti. " (Aggeo 2, 6-7 6 Quia haec dicit Dominus exercituum: Adhuc unum modicum est, et ego commovebo  caelum et terram et mare et aridam. 7 Et movebo omnes gentes, et venient thesauri cunctarum gentium, et implebo domum  istam gloria, dicit Dominus exercituum.), ecco che come abbiamo appena spiegato fin'anzi, Egli smuove l'aria e la terra non  
    resiste ai Suoi comandi; chi reggerà dunque, quando muoverà anche il Cielo e ritornerà glorioso sulle sue nubi? Come chiameremo noi i terrori che vediamo e che tanto dolore ci provocano se non "segni annunziatori dell'ira ventura"? Ma  è anche necessario riflettere che le tribolazioni presenti sono dissimili e un  nulla dall'ultima, quanto la persona è inferiore a  quella del possente Giudice.

    Meditate attentamente allora, o fratelli carissimi, a quel giorno; correggete fin da ora la vostra condotta, cambiate i vostri  costumi, superate le passioni che vi tentano ed espiate fin da oggi colle lacrime i mali commessi; ritornate fin da oggi al Dio  ricco di misericordia che tutto ancora vi può perdonare, finchè siete in tempo. Un giorno vedrete la venuta dell'Eterno  Giudice con tanta maggior sicurezza e gioia nel cuore, quanto più ora ne scongiurate la severità operando per il bene e nel  salutare Suo timore.
    Così sia!

    Note
    (1) Qui è da considerare che l'epoca di san Gregorio Magno fu afflitta da molte calamità e da molti mali che spinsero il Santo Pontefice ad esprimersi spesso con toni apocalittici credendo, egli stesso, ormai prossima la fine del mondo.
    Ciò che va tenuto in considerazione nel proprio tempo, non deve tuttavia far venire meno il senso profondo di questo genere  di Omelie atte sempre, in ogni tempo, a sollecitare le anime alla conversione, come infatti spiegherà, il Santo Pontefice, nel  resto di questa splendida Omelia.

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 17/11/2011 12:07
    [SM=g1740733] La conclusione dell'Anno Liturgico ci invita a riflettere sulla regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, vero Re dell'Universo che, mendicante, bussa alla porta del nostro cuore e con infinita pazienza attende che Gli apriamo.... Quanto ancora dovrà attendere? Che cosa aspettiamo?

    www.gloria.tv/?media=216283


    Movimento Domenicano del Rosario
    www.sulrosario.org
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    [SM=g1740717]


    [SM=g1740738]


    21 Novembre Festa della Presentazione di Maria al Tempio....
    Approfondiamo e meditiamo "quanto è buono il Signore" ....
    www.gloria.tv/?media=217576

    Santa Maria, Prega per noi!
    Movimento Domenicano del Rosario
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    [SM=g1740717]

    [SM=g1740750]
    [Modificato da Caterina63 20/11/2011 23:25]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    00 19/11/2011 23:13
    [SM=g1740733]La Festa di Cristo Re è una Festa-Solennità detta "mobile" perchè non cade in un giorno preciso, ma nell'ultima domenica, o penultima di Novembre,  a conclusione del Calendario Liturgico dell'Anno e prima, naturalmente, della Prima Domenica d'Avvento con la quale si inizia il nuovo Anno Liturgico meditando, per l'appunto e rivivendo dalla Nascita di Nostro Signore....
    Abbiamo invece, il 21 Novembre, la Festa - fissa - dedicata alla Presentazione di Maria Santissima al Tempio....
    Perciò questa coincidenza, ossia, della Festa di Cristo Re e della Presantazione di Maria al Tempio così ravvicinate, una dietro l'altra, ci sembrano una buona occasione per vivere due giorni di grande riflessione, Comunione dei Santi e opportunità per convertirsi a Cristo....

    La festa dell'Ingresso della Madre di Dio nel tempio

    Oggi la sposa di Dio rifulge nella casa del Signore

     

    di MANUEL NIN

    Il 21 novembre le Chiese cristiane celebrano una delle dodici grandi feste, l'Ingresso della Madre di Dio nel tempio. È una festa legata alla dedicazione di una chiesa nella città santa di Gerusalemme. Molti degli aspetti presenti nei testi liturgici, vengono dal Protovangelo di Giacomo, un apocrifo che ha un influsso notevole su diverse feste in oriente e occidente.

    L'icona stessa della ricorrenza mette in evidenza i diversi aspetti presenti nei testi liturgici: il corteo delle dieci fanciulle che accompagnano Maria, con riferimento al vangelo di Matteo ("vergini recanti lampade, facendo lietamente strada alla sempre Vergine"); Zaccaria che introduce Maria nel tempio e nel Santo dei Santi: "Oggi è condotto al tempio del Signore il tempio che accoglie Dio, la Madre di Dio"; infine il cibo con cui Maria è alimentata dall'arcangelo Gabriele, prefigurazione del cibo che è la Parola di Dio e i santi doni che si ricevono nella Chiesa.

    Il canone del mattutino è attribuito a Giorgio (+860), metropolita di Nicomedia, autore di diversi testi entrati nella liturgia bizantina. Lungo le nove odi del mattutino si snoda, a partire dai titoli dati alla Madre di Dio, il tema centrale della festa: Maria entra nel tempio di Dio per diventare lei stessa tempio del Verbo di Dio.

    A partire dall'immagine veterotestamentaria dell'arca dell'alleanza, Maria è anche chiamata arca, ricettacolo di colui che è la vera alleanza tra Dio e l'uomo: "Come tempio vivente, arca di Dio, mai accada che mano di profani la tocchi. Meravigliosamente, o pura, la Legge ti ha prefigurata come tenda e urna divina, come singolare arca, velo e verga, tempio indissolubile e porta di Dio". Il titolo di tabernacolo si riferisce poi a Cristo stesso: "Oggi è condotta al tempio la Vergine tutta immacolata, per divenire tabernacolo di Dio, re dell'universo; mentre è ancora bambina nella carne; e il grande sacerdote Zaccaria lieto l'accoglie come tabernacolo di Dio, la Vergine, figlia di Dio e Madre di Dio, che viene condotta al tempio del Signore: lei che è stata prescelta da tutte le generazioni, per essere tabernacolo del Cristo, sovrano universale e Dio di tutte le cose".

    Il titolo più presente in tutto il canone della festa è quello di tempio. Essa è il tempio che accoglie Dio stesso: "Oggi il tempio vivente della santa gloria del Cristo Dio nostro, la pura, la sola benedetta tra le donne, è presentata al tempio della Legge per dimorare nel santo dei santi. È posto all'interno del tempio di Dio il tempio che accoglie Dio, la Vergine santissima".

    L'innografo Giorgio, a partire dall'immagine della porta del tempio invalicabile presa dal profeta Ezechiele (44, 1-3), vede Maria che diventa lei stessa anche porta invalicabile nella sua verginità, entrata del Verbo di Dio nel mondo nella sua incarnazione: "La porta gloriosa, inaccessibile ai pensieri, varcate le porte del tempio di Dio, ci invita ora a riunirci a godere delle sue divine meraviglie; la Legge ti ha prefigurata come tenda e urna divina, come singolare arca, velo e verga, tempio indissolubile e porta di Dio; vedendoti profeticamente Salomone come colei che avrebbe accolto Dio, ti chiamò con parole enigmatiche porta del re, vivente fonte sigillata, o Madre di Dio, dalla quale è sgorgata l'acqua limpida".

    Ognuna delle odi del canone di Giorgio di Nicomedia si chiude con una strofa che dà la chiave cristologica di tutto il testo: "Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi; al Figlio che prima dei secoli immutabilmente dal Padre è stato generato, e negli ultimi tempi dalla Vergine, senza seme, si è incarnato; virgulto dalla radice di Iesse, e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine sei germogliato".



    (©L'Osservatore Romano 20 novembre 2011)

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    00 06/11/2012 21:07
    Si dedica totalmente al Signore

    «Maria è la donna del silenzio, da una parte, ma anche del sì a Cristo senza condizioni o limitazioni» (Salvatore M. Perrella, osm).

    La celebrazione liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria, che nel calendario della Chiesa cattolica è ricordata il giorno 21 novembre, trova la sua origine legata alla dedicazione della chiesa di Santa Maria Nuova, costruita presso il Tempio di Gerusalemme nell'anno 543. È una festa che era celebrata in Oriente fin dal sec. IV e Roma la accolse nel suo calendario nel sec. XIV. Per gli orientali la Theotokos (Madre di Dio) è il vero tempio in cui si offre l'unico culto gradito a Dio; per gli occidentali Maria è l'adolescente radiosa che realizza la sua consacrazione totale ed esemplare al Signore, secondo la felice affermazione di san Francesco di Sales: «Maria è un'offerta quale il Signore la vuole». Si sa che di Maria di Nazaret non si posseggono precise notizie storiche prima del momento dell'Annunciazione e i quattro Vangeli non ci offrono indicazioni sulla precedente vita della fanciulla. Possediamo invece racconti particolari, anche significativi nelle loro espressioni, nei cosiddetti "Vangeli apocrifi", ed è interessante leggere quanto ci descrive, in riferimento all'atto della Presentazione di Maria al Tempio, il testo del Protovangelo di Giacomo.

    «La bambina aveva tre anni ed essi (i genitori Gioacchino e Anna) entrarono nel Tempio del Signore e il sacerdote la ricevette, la baciò e la benedisse, dicendo: "Il Signore ha magnificato il suo nome per tutte le generazioni. In te, nell'ultimo dei giorni, il Signore manifesterà la sua redenzione ai figli di Israele". E la mise sul terzo gradino dell'altare, e il Signore Dio mandò su di lei la sua grazia; ed ella si mise a danzare e tutti nella casa di Israele l'amarono. E i suoi genitori andarono via meravigliandosi e lodando il Signore Dio, perché la bambina non si voltava indietro. E Maria rimase nel Tempio del Signore, come una colomba nella sua dimora». Al di là del valore storico o meno del racconto, la Chiesa ha sempre invitato, sia nella celebrazione liturgica della festa e sia nella devozione popolare, a porre soprattutto l'attenzione sul valore religioso e teologico dell'episodio della Presentazione. Il fatto non deve essere visto tanto in se stesso, quanto piuttosto come simbolo di una verità più alta: quella della totale consacrazione a Dio della Vergine fin dai primi istanti della sua esistenza. Da sempre la Chiesa ha venerato la sublime santità di Maria e molto presto la riflessione cristiana si è fermata sulla misteriosa preparazione di questa anima eletta al compito che Dio le ha affidato.

    Giovannino de’ Grassi (1350 ca.-1398), Presentazione di Maria al Tempio, Biblioteca nazionale, Firenze.
    Giovannino de' Grassi (1350 ca.-1398), Presentazione di Maria
    al Tempio, Biblioteca nazionale, Firenze.

    Anche grandi artisti, come Giotto, Tiziano, Tintoretto..., si sono ispirati a questa scena della Presentazione di Maria al Tempio, offrendoci opere altamente qualificate ed espressive. Ne è un felice esempio la miniatura di copertina, opera di Giovannino de' Grassi, esposta nella Biblioteca nazionale di Firenze. In un dittico, a forma quasi di sequenza filmica, l'autore esprime in un'unica rappresentazione due momenti distinti dell'avvenimento: a sinistra Anna tiene tra le braccia la figlia ancora piccola che la accarezza teneramente, mentre Gioacchino le guarda con dolcezza; a destra la bambina, ormai più grandicella, giunta al Tempio si dirige sicura verso l'altare dove il sacerdote stende le braccia in segno di accoglienza. L'interno del Tempio è tappezzato con una stoffa riccamente decorata e trapunta d'oro, sulla quale si staglia la sontuosa veste del sacerdote. Il tutto è contornato da soli d'oro e nei tondi agli angoli vengono raffigurati i simboli dei quattro Evangelisti. La festa liturgica della Presentazione di Maria è diventata modello di chi dedica la propria vita totalmente al Signore, la Giornata pro Orantibus. Benedetto XVI a questo proposito ebbe a dire che questa è un'occasione «quanto mai opportuna per ringraziare il Signore per il dono di tante persone che, nei monasteri e negli eremi, si dedicano totalmente a Dio nella preghiera, nel silenzio e nel nascondimento… Rendiamo grazie al Signore, che nella sua provvidenza, ha voluto le comunità di clausura, maschili e femminili. Non facciamo mancare loro il nostro sostegno spirituale ed anche materiale, affinché possano compiere la loro missione, quella di mantenere viva nella Chiesa l'ardente attesa del ritorno di Cristo. Invochiamo per questo l'intercessione di Maria, che, nella memoria della sua Presentazione al Tempio, contempliamo come madre e modello della Chiesa, che riunisce in sé entrambe le vocazioni: alla verginità e al matrimonio, alla vita contemplativa e a quella attiva».

    Giovanni Ciravegna

    ****************

    Irripetibile Maria

    La Vergine santa di Nazaret è stata il luogo dell'"avvento" di Dio nella carne del mondo, senza perdere nulla della sua piena umanità, della sua femminilità profonda.

    Il riferimento a Maria, la donna, vuole evidenziare la concretezza di colei di cui si parla, la corposità storica della giovane donna d'Israele, cui è stato dato di diventare la madre del Messia. Certamente non è possibile ricavare dai Vangeli una «biografia» di Maria, così come non è possibile in base ad essi ricostruire una «biografia» di Gesù, dato il loro carattere di testimonianza pasquale, che tende a rileggere in profondità con gli occhi della fede, illuminati dall'esperienza dell'incontro col Risorto, soltanto quegli aspetti e momenti della vicenda pre-pasquale, che si rivelano maggiormente ricchi di messaggio. Tuttavia, la molteplice attestazione delle fonti, il principio dell'irriducibilità di alcuni dati fondamentali al mondo in cui furono espressi (primo fra questi l'idea della concezione verginale) e il criterio della continuità e omogeneità del messaggio evangelico nel suo insieme, consentono di rilevare alcuni tratti della figura storica di Maria. La grandezza di ciò che le è avvenuto non deve così far dimenticare l'umiltà della sua condizione, la quotidianità delle sue fatiche nella famiglia di Nazaret, l'oscurità dell'itinerario di fede in cui ella è avanzata, i condizionamenti ricevuti dall'ambiente che la circondava, la densità piena e vera del suo essere donna e dell'aver conosciuto gli stati differenti dell'esperienza femminile: vergine, madre, sposa. Maria non è un mito, né una vaga astrazione: ella è proprio la «vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe», che sta «in una città della Galilea, chiamata Nazaret», borgo piuttosto insignificante e disprezzato (cf Gv 1,46), e porta un nome abbastanza comune nel suo ambiente (Miryam in ebraico, cf Lc 1,26ss).

    Dal racconto evangelico traspare la fede profonda di questa donna, che si è lasciata totalmente plasmare dal Signore e ha saputo accompagnare il proprio Figlio nel cammino di un'esistenza segnata dai disegni misteriosi dell'Eterno. Maria è stata una donna profonda e meditativa (cf Lc 2,19 e 51), esperta nel silenzio e nell'ascolto della Parola di Dio (la «spada» che, secondo la profezia di Simeone, le avrebbe trafitto l'anima: cf Lc 1,35), donna forte nel dolore, nella più pura tradizione delle grandi madri ebraiche, donna che ha saputo passare dal rapporto del tutto naturale della sua maternità, tenera e affettuosa, al discepolato della fede incondizionata. È donna ricca della delicatezza della carità, capace di prevenire il bisogno altrui e di soccorrerlo: così fa con la cugina Elisabetta (cf Lc 1,39ss) e con i giovani sposi di Cana (cf Gv 2,1-11).

    F. De Mura, Maria ed Elisabetta (sec. XVIII), Pinacoteca provinciale, Bari.
    F. De Mura, Maria ed Elisabetta (sec. XVIII), Pinacoteca provinciale, Bari.

    Alla scuola del Figlio. È la «serva del Signore» (Lc 1,38) che, alla scuola del Figlio, entra nella comunità messianica, la Chiesa (cf Gv 2,12), e ne vive il mistero delle origini, in un'esperienza analoga a quella sperimentata nella propria vicenda personale (cf At 1,14 e 2,1-4 e le analogie fra quest'ultimo testo e Lc 1,35). Al «discepolo dell'amore» questa donna, umile e forte, silenziosa e insieme incisiva nelle parole decisive che pronuncia nel Vangelo, è affidata, perché per volontà del Figlio morente appartiene ormai in modo vitale al suo mondo, al mondo della Chiesa, nuovo Israele. In lei il popolo del compimento viene ad incontrarsi a tal punto col popolo della speranza e dell'attesa che la fede pasquale ha riconosciuto nella sua figura la «figlia di Sion», che esulta nella gioia del tempo messianico (cf Lc 1,28 e Sof 3,14ss), la «donna» Israele-Gerusalemme- Chiesa, che entra nell'ora escatologica (cf Gv 2,1-11; 19,25-27 e Ap 12): e questo riconoscimento è avvenuto certamente anche sulla base dei tratti profondamente ebraici della sua personalità di donna, che ha saputo vivere nel modo più alto la fede e la speranza messianica, sperimentandone in se stessa in maniera inaudita e stupefacente il compimento e insieme il nuovo inizio.

    G. Gelfi, Le nozze di Cana (1994), chiesa parrocchiale del Cristo Re, Saiano (Brescia).
    G. Gelfi, Le nozze di Cana (1994), chiesa parrocchiale del Cristo Re, Saiano (Brescia).

    Questa donna concreta, Maria di Nazaret, è stata il luogo dell'avvento di Dio nella carne del mondo, senza perdere nulla della sua piena umanità, della sua femminilità profonda. Nella scelta di questa donna per l'inaugurazione dell'alleanza, Dio manifesta un compiacimento gratuito. (Egli) vuole valorizzare la personalità femminile, senza basare questo valore su alcun altro titolo umano. Maria è scelta come donna, una donna che non ha bisogno di raccomandazioni speciali e che possiede, nella sua persona e nella sua qualità di donna, tutto quanto è necessario per vivere da alleata di Dio e compiere la sua missione. Donna concreta scelta da Dio per realizzare il nuovo inizio del mondo, Maria non è un caso dell'universale, ma – esattamente al contrario – è la «Virgo singularis», la Vergine irripetibile nella sua storicità unica, il concreto femminile della persona, che l'Eterno ha eletto per la rivelazione del Mistero: dal Figlio suo, l'«Universale concreto», la norma e l'archetipo dell'umano, la Vergine Madre riceve, proprio nella sua determinata singolarità, una certa partecipazione all'universalità del disegno salvifico.

    Senza cessare di essere la concreta donna che è, Maria riflette l'universalità del Figlio nella sua natura femminile. Non è l'Universale che prende per noi l'apparenza del Personale, per rendersi afferrabile in una qualche espressione mitica, o che diviene più o meno personale, ricevendo in tal modo una sorta di sovraggiunto attributo: è piuttosto il Personale che, esattamente nella misura in cui realizza più in profondità, per il tramite di determinate condizioni, il suo carattere proprio, diventa universale. È la persona di Maria che, attuando il suo essere donna nell'accoglienza pura del Mistero, diventa «benedetta fra tutte le donne», come è «benedetto il frutto del suo grembo», Gesù (cf Lc 1,42). Non si tratta, pertanto, di sviluppare una «ontologia del femminile», partendo dalla figura di Maria, vergine-madre-sposa: i rischi di astrattezza di una simile ricerca dell'eterno femminino (Goethe) sono stati giustamente denunciati dagli sviluppi del pensiero femminista. Si tratta piuttosto di indagare qualche aspetto del mistero racchiuso in ogni donna, e quindi reciprocamente in ogni uomo, a partire dal «caso» assolutamente singolare, che è la donna «Vergine Madre, figlia del suo Figlio» (Dante). Il significato universale di Maria, dunque, sta o cade con la sua singolarità di donna concreta: quanto più questa singolarità femminile sarà colta, tanto più il suo valore di archetipo per la dimensione femminile dell'essere umano si lascerà percepire e il mistero in lei riposto dall'Eterno si farà penetrare.

    Icona del Mistero. È questo gioco di visibile concretezza e di invisibile profondità che fa parlare di Maria come di una icona: sull'esempio della fede pasquale, testimoniata nel Nuovo Testamento, a Maria ci si avvicina con la trepidazione e la violenza della fede. Il mondo liturgico, l'icona... si chiudono sui propri segni, diventano cifre e attendono la "violenza della fede" di cui parla il Vangelo (Lc 16,16), che è la sola che sia in grado di spezzare i sigilli del Libro della vita, affinché la Vita sgorghi. Maria è «icona» perché sin dalle origini è oggetto di questa innamorata violenza della fede: basti pensare al denso simbolismo con cui la presenta il Vangelo di Giovanni. La Vergine Madre è «icona» perché in lei si offre il duplice movimento, che ogni icona tende a trasmettere: la discesa e l'ascesa, l'antropologia di Dio e la teologia dell'uomo. In lei risplende l'elezione dell'Eterno e il libero consenso della fede in lui; Maria è (icona) perché in lei si compie la rivelazione del nascosto, l'apocalisse dell'ultimo tempo, la presenza dell'Eterno nella storia e insieme perché in lei si offre all'occhio del cuore credente la finestra del mistero, il ponte fra il visibile e l'invisibile.

    Guardare a Maria, la donna, significa, allora, orientarsi verso un discorso di fede su di lei saldamente ancorato al dato biblico nella determinatezza e nella sua corposità, e insieme aperto a sondare la profondità di questo dato nella continuità con l'ininterrotta tradizione credente della Chiesa, a partire dalle sue prime origini. Si potrebbe affermare che la testimonianza biblica su Maria ha i caratteri dell'icona, in quanto insieme narrativa e simbolica: tale deve essere perciò ogni mariologia che, in obbedienza alla Parola di Dio, voglia scrutare nella donna eletta da Dio il Mistero in lei offerto, contemplando con la «violenza della fede» l'icona della «Madre del Signore». La donna Maria ha conosciuto nella sua esistenza terrena la triplice condizione di vergine, madre e sposa, senza mai nulla perdere di ciascuno dì questi tre aspetti, tanto da essere la madre verginale del Figlio eterno e la vergine sposa della nuova alleanza. Il carattere di una simile mariologia, narrativa e simbolica insieme, sarà profondamente biblico, tale da unire alle sorgenti le due vie, che reciprocamente si integrano nella contemplazione dell'icona: la via della verità e la via della bellezza, la concretezza del racconto e la nutriente densità del simbolo. Per queste sue caratteristiche, radicate nella testimonianza oggettiva della Scrittura ricevuta nella storia della fede, questa mariologia farà non di meno appello alla soggettività di chi contempla: se il visibile dell'icona è percepibile a tutti, l'invisibile si offre a chi vi si avvicina con cuore umile e con docilità interiore. Allora soltanto, al di là delle parole, si realizzerà l'incontro e i sigilli del Libro si schiuderanno alla contemplazione del cuore.

    Giuseppe Daminelli, smm





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    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    00 21/11/2012 23:47
    [SM=g1740758] Una famosa parabola racconta di un giovane.
    Egli pensava che tutti gli sforzi fatti per trovare la vicinanza di Dio fossero vani. Credeva che, alla fine, non rimanesse nulla dello sforzo da lui fatto.
    Il saggio lo mandò con un cestino di paglia sporco al pozzo per prendere l’acqua. Siccome la strada era lunga, alla fine nel cestino non c’era più acqua.
    Ma ogni giorno il saggio ce lo rimandò di nuovo.
    “E allora?” chiese dopo un po’ di tempo. “Era tutto vano?”.
    “Sì, tutto era vano, non sono riuscito neanche a portare una sola tazza d’acqua a casa. Ho perso tutto per strada”.
    “No, non è stato vano andare ogni giorno al pozzo con il cestino”, rispose il maestro di saggezza.
    “È vero che con il tuo cestino di paglia non sei riuscito a conservare l’acqua. Ma non vedi come il cestino, grazie all’acqua, si è pulito? Lo stesso vale anche per te. Anche se credi che tutto lo sforzo fatto per trovare la vicinanza di Dio sia vano, sei comunque stato infine purificato da Lui, fonte di ogni bene”.

    Questo racconto si può applicare anche alla partecipazione nella fede alla celebrazione della Santa Messa. Se ogni settimana portiamo il cestino sporco della nostra vita, pesantemente concentrata su se stessa, al pozzo della Celebrazione eucaristica, con l’andare del tempo anche in noi avverrà una purificazione. Il sangue di Cristo, versato per noi sulla Croce, sicuramente mostrerà la sua efficacia su di noi, fragili vasi. Soprattutto in unione con il sacramento della Penitenza, la Messa possiede un’altissima forza risanatrice.

    Buona Festa di Cristo Re a tutti


    *********

    Saluti del Santo Padre all'Udienza di oggi:

    Domenica prossima, ultima del Tempo ordinario, celebreremo la solennità di Cristo Re dell’universo. Cari giovani, ponete Gesù al centro della vostra vita, e da Lui riceverete luce e coraggio in ogni scelta quotidiana. Cristo, che ha fatto della Croce un trono regale, insegni a voi, cari malati, a comprendere il valore redentivo della sofferenza vissuta in unione con Lui. A voi, cari sposi novelli, auguro di riconoscere la presenza del Signore nel vostro cammino matrimoniale, così da partecipare alla costruzione del suo Regno di amore e di pace.

    Oggi, memoria liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, si celebra la Giornata per le Claustrali. Alle sorelle chiamate dal Signore alla vita contemplativa, desidero assicurare la speciale vicinanza mia e dell’intera Comunità ecclesiale. Rinnovo, al tempo stesso, l’invito a tutti i cristiani affinché non facciano mancare ai monasteri di clausura il necessario sostegno spirituale e materiale. Tanto dobbiamo, infatti, a queste persone che si consacrano interamente alla preghiera per la Chiesa e per il mondo! Grazie.


    **************

    Gloriamoci del Nostro Re

     
     



    Predica del 28 ottobre 2012 di padre Konrad Festa di Cristo Re
     
    In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
        Essendo anche oggi la Festa patronale di questa chiesa, comincio con una parola su San Simone e San Giuda Taddeo. Sono gli apostoli e discepoli del Signore: il primo è San Simone Zelotes, il secondo è il cugino del Signore e che ha scritto l'Epistola cattolica di San Giuda. San Simone è l'apostolo di Mesopotamia, San Giuda Taddeo è l'apostolo dell'Egitto. Dopo i duri lavori in questi Paesi si sono incontrati in Persia dove hanno convertito innumerevoli pagani alla fede cattolica e hanno illustrato il Santissimo Nome di Gesù Cristo + con la loro dottrina, con i loro miracoli, e poi con il loro glorioso martirio.
     
       Ora ci soffermiamo sulla Festa di Cristo Re.
       Talvolta, qualcuno chiamerà la Chiesa "trionfalista", come se fosse una società mediocre, puramente umana, centrata su un mero uomo, una società che non abbia niente su cui gloriarsi: come se dovesse prendere un posto modesto vicino alle altre religioni e modestamente tacere.
       La realtà, però, carissimi amici, è ben diversa. La Chiesa è una società perfetta, animata dallo stesso Spirito Santo, il Santificatore; infallibile, tutta pura, l'immacolata Sposa di Cristo; e Cristo è Dio, l'unico Dio, il Figlio dell'uomo, come dice San Giovanni evangelista nell'Apocalisse: "... con occhi fiammeggianti come fuoco, la voce simile al fragore di grandi acque che nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio, il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza. Egli mi disse: - Non temere, io sono l'Alfa e l'Omega e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap.1, 11-18).
       Nostro Signore Gesù Cristo + è Re dell'Universo, Pantocrator, sia da Dio sia da uomo in virtù dell'unione ipostatica tra la Sua divinità e la Sua umanità; è anche Re di tutti gli uomini in virtù della Sua passione e morte in Croce, tramite la quale ci ha redenti.
     
       La Santa Chiesa Cattolica non si vergogna, dunque, di Lui, Ché altrimenti si vergognerà di lei davanti a Suo Padre e ai Suoi Angeli (cfr Mc.8, 38); bensì esulta, soprattutto oggi sulla Festa di Cristo Re quando ricorda il Suo trionfo su Satana, sul peccato e sulla morte. Esulta per Lui ed esulta per se stessa perché sa con certezza assoluta che seguendo il Suo Re sul campo di battaglia di questo mondo, trionferà anche lei.
     
       Quaggiù facciamo parte della Chiesa militante, militante "contro i Principati e le Potestà come abbiamo visto la settimana scorsa, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti", e "ci gloriamo di combattere sotto il Vessillo di Cristo", nelle parole dell'ultima Preghiera di questa Santa Messa, per poter regnare con Lui dopo, come Chiesa trionfante in Cielo, per sempre.
     
       La parola "trionfalista" è una parola, carissimi amici, moderna, inventata da menti moderne per presentare come falso e male ciò che è vero e bene. La Chiesa ha sempre visto la nostra vita terrena come una lotta dura contro i nemici della nostra salvezza: il mondo, la carne, il diavolo, in collaborazione con Nostro Signore Gesù Cristo + il cui Nome sia sempre adorato, per poi partecipare con Lui alla Sua gloriosa vittoria. Questa è la visione della Chiesa, la visione che è da accettare da noi come pienamente cattolica.
       Gloriamoci dunque di combattere sotto i Vessilli di questo Re vestito di una Corona e di una Porpora ancor più gloriosa di quella di tutti i re che hanno mai vissuto su questa terra, essendo gli strumenti dell'opera del Suo divino amore.
     
       Gloriamoci del Nostro Re per cui saremo onorati di versare la nostra vita, come Lui ha versato la Sua per noi fino all'ultima goccia, e come l'hanno fatto i Suoi gloriosi Martiri San Simone e San Giuda Taddeo. Gloriamoci di seguirLo in questa vita non con l'arroganza e la superbia, bensì nella profondissima umiltà, portando la nostra croce dietro a Lui, consapevoli solo della Sua infinita Maestà e della nostra iniquità che l'ha messo in Croce. E seguendoLo così nell'umiltà, rinnegandoci e portando la nostra croce, vinceremo nella battaglia contro i nostri nemici, e trionferemo e regneremo poi con Lui per sempre nella gloria della Patria Celeste.
                         Amen.
                         In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
     
    Sia lodato Gesù Cristo +




    ****************


    [SM=g1740738] [SM=g1740720]

    [Modificato da Caterina63 23/11/2012 11:39]
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    00 25/11/2012 18:07

    CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO
    PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI

    SANTA MESSA CON I NUOVI CARDINALI

    OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

    Basilica Vaticana
    Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
    Domenica, 25 novembre 2012

    [Video]


     

     

    Signori Cardinali,

    venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

    cari fratelli e sorelle!

    La solennità odierna di Cristo Re dell’universo, coronamento dell’anno liturgico, si arricchisce dell’accoglienza nel Collegio Cardinalizio di sei nuovi Membri che, secondo la tradizione, ho invitato questa mattina a concelebrare con me l’Eucaristia. A ciascuno di essi rivolgo il mio più cordiale saluto, ringraziando il Cardinale James Michael Harvey per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti. Saluto gli altri Porporati e tutti i Presuli presenti, come pure le distinte Autorità, i Signori Ambasciatori, i sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli, specialmente quelli provenienti dalle Diocesi affidate alla guida pastorale dei nuovi Cardinali.

    In quest’ultima domenica dell’anno liturgico la Chiesa ci invita a celebrare il Signore Gesù quale Re dell’universo. Ci chiama a rivolgere lo sguardo al futuro, o meglio in profondità, verso la meta ultima della storia, che sarà il regno definitivo ed eterno di Cristo. Egli era all’inizio con il Padre quando è stato creato il mondo, e manifesterà pienamente la sua signoria alla fine dei tempi, quando giudicherà tutti gli uomini. Le tre Letture di oggi ci parlano di questo regno. Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, tratto dal Vangelo di San Giovanni, Gesù si trova in una situazione umiliante - quella di accusato -, davanti al potere romano. E’ stato arrestato, insultato, schernito, e ora i suoi nemici sperano di ottenerne la condanna al supplizio della croce. L’hanno presentato a Pilato come uno che aspira al potere politico, come il sedicente re dei Giudei. Il procuratore romano compie la sua indagine e interroga Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?» (Gv 18,33). Rispondendo a questa domanda, Gesù chiarisce la natura del suo regno e della sua stessa messianicità, che non è potere mondano, ma amore che serve; Egli afferma che il suo regno non va assolutamente confuso con un qualsiasi regno politico: «Il mio regno non è di questo mondo … non è di quaggiù» (v. 36).

    E’ chiaro che Gesù non ha nessuna ambizione politica. Dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasmata dal miracolo, lo voleva prendere per farlo re, per rovesciare il potere romano e stabilire così un nuovo regno politico, che sarebbe stato considerato come il regno di Dio tanto atteso. Ma Gesù sa che il regno di Dio è di tutt’altro genere, non si basa sulle armi e sulla violenza. Ed è proprio la moltiplicazione dei pani che diventa, da un lato, segno della sua messianicità, ma, dall’altro, uno spartiacque nella sua attività: da quel momento il cammino verso la Croce si fa sempre più chiaro; lì, nel supremo atto di amore, risplenderà il regno promesso, il regno di Dio.

    Ma la folla non comprende, è delusa, e Gesù si ritira sul monte da solo a pregare, a parlare con il Padre (cfr Gv 6,1-15).
    Nel racconto della Passione vediamo come anche i discepoli, pur avendo condiviso la vita con Gesù e ascoltato le sue parole, pensavano ad un regno politico, instaurato anche con l’aiuto della forza. Nel Getsemani, Pietro aveva sfoderato la sua spada e iniziato a combattere, ma Gesù lo aveva fermato (cfr Gv 18,10-11). Egli non vuole essere difeso con le armi, ma vuole compiere la volontà del Padre fino in fondo e stabilire il suo regno non con le armi e la violenza, ma con l’apparente debolezza dell’amore che dona la vita. Il regno di Dio è un regno completamente diverso da quelli terreni.

    Ed è per questo che davanti ad un uomo indifeso, fragile, umiliato, come è Gesù, un uomo di potere come Pilato rimane sorpreso; sorpreso perché sente parlare di un regno, di servitori. E pone una domanda che gli sarà sembrata paradossale: «Dunque tu sei re?». Che tipo di re può essere un uomo in quelle condizioni? Ma Gesù risponde in modo affermativo: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (18,37). Gesù parla di re, di regno, ma il riferimento non è al dominio, bensì alla verità. Pilato non comprende: ci può essere un potere che non si ottiene con mezzi umani? Un potere che non risponda alla logica del dominio e della forza? Gesù è venuto per rivelare e portare una nuova regalità, quella di Dio; è venuto per rendere testimonianza alla verità di un Dio che è amore (cfr 1 Gv 4,8.16) e che vuole stabilire un regno di giustizia, di amore e di pace (cfr Prefazio). Chi è aperto all’amore, ascolta questa testimonianza e l’accoglie con fede, per entrare nel regno di Dio.

    Questa prospettiva la ritroviamo nella prima Lettura che abbiamo ascoltato. Il profeta Daniele predice il potere di un misterioso personaggio collocato tra cielo e terra: «Ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno: tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (7,13-14). Sono parole che prospettano un re che domina da mare a mare fino ai confini della terra, con un potere assoluto che non sarà mai distrutto. Questa visione del Profeta, una visione messianica, viene illuminata e trova la sua realizzazione in Cristo: il potere del vero Messia, potere che non tramonta mai e che non sarà mai distrutto, non è quello dei regni della terra che sorgono e cadono, ma è quello della verità e dell’amore. Con ciò comprendiamo come la regalità annunciata da Gesù nelle parabole e rivelata in modo aperto ed esplicito davanti al Procuratore romano, è la regalità della verità, l’unica che dà a tutte le cose la loro luce e la loro grandezza.

    Nella seconda Lettura l’autore dell’Apocalisse afferma che anche noi partecipiamo alla regalità di Cristo. Nell’acclamazione rivolta a «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» dichiara che Cristo «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (1,5-6). Anche qui è chiaro che si tratta di un regno fondato sulla relazione con Dio, con la verità, e non di un regno politico. Con il suo sacrificio, Gesù ci ha aperto la strada per un rapporto profondo con Dio: in Lui siamo diventati veri figli adottivi, siamo resi così partecipi della sua regalità sul mondo. Essere discepoli di Gesù significa, allora, non lasciarsi affascinare dalla logica mondana del potere, ma portare nel mondo la luce della verità e dell’amore di Dio.
    L’autore dell’Apocalisse allarga poi lo sguardo alla seconda venuta di Gesù per giudicare gli uomini e stabilire per sempre il regno divino, e ci ricorda che la conversione, come risposta alla grazia divina, è la condizione per l’instaurazione di questo regno (cfr 1,7). E’ un forte invito rivolto a tutti e a ciascuno: convertirsi sempre di nuovo al regno di Dio, alla signoria di Dio, della Verità, nella nostra vita. Lo invochiamo quotidianamente nella preghiera del “Padre nostro” con le parole “Venga il tuo regno”, che è dire a Gesù: Signore facci essere tuoi, vivi in noi, raccogli l’umanità dispersa e sofferente, perché in Te tutto sia sottomesso al Padre della misericordia e dell’amore.

    A voi, cari e venerati Fratelli Cardinali – penso in particolare a quelli creati ieri – viene affidata questa impegnativa responsabilità: dare testimonianza al regno di Dio, alla verità. Ciò significa far emergere sempre la priorità di Dio e della sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Fatevi imitatori di Gesù, il quale, davanti a Pilato, nella situazione umiliante descritta dal Vangelo, ha manifestato la sua gloria: quella di amare sino all’estremo, donando la propria vita per le persone amate.
    Questa è la rivelazione del regno di Gesù. E per questo, con un cuore solo ed un’anima sola, preghiamo: «Adveniat regnum tuum». Amen.








    BENEDETTO XVI

    ANGELUS

    Piazza San Pietro
    Domenica, 25 novembre 2012

    [Video]

     

    Cari fratelli e sorelle!

    Oggi la Chiesa celebra Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo. Questa solennità è posta al termine dell’anno liturgico e riassume il mistero di Gesù «primogenito dei morti e dominatore di tutti i potenti della terra» (Orazione Colletta Anno B), allargando il nostro sguardo verso la piena realizzazione del Regno di Dio, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28). San Cirillo di Gerusalemme afferma: «Noi annunciamo non solo la prima venuta di Cristo, ma anche una seconda molto più bella della prima. La prima, infatti, fu una manifestazione di patimento, la seconda porta il diadema della regalità divina; … nella prima fu sottoposto all’umiliazione della croce, nella seconda è attorniato e glorificato da una schiera di angeli» (Catechesis XV,1 Illuminandorum, De secundo Christi adventu: PG 33, 869 A).

    Tutta la missione di Gesù e il contenuto del suo messaggio consistono nell’annunciare il Regno di Dio e attuarlo in mezzo agli uomini con segni e prodigi. «Ma – come ricorda il Concilio Vaticano II – innanzitutto il Regno si manifesta nella stessa persona di Cristo» (Cost. dogm. Lumen gentium, 5), che lo ha instaurato mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione, con cui si è manifestato quale Signore e Messia e Sacerdote in eterno. Questo Regno di Cristo è stato affidato alla Chiesa, che ne è «germe» ed «inizio» e ha il compito di annunciarlo e diffonderlo tra tutte le genti, con la forza dello Spirito Santo (cfr ibid.). Al termine del tempo stabilito, il Signore consegnerà a Dio Padre il Regno e gli presenterà tutti coloro che hanno vissuto secondo il comandamento dell’amore.

    Cari amici, tutti noi siamo chiamati a prolungare l’opera salvifica di Dio convertendoci al Vangelo, ponendoci con decisione al seguito di quel Re che non è venuto per essere servito ma per servire e per dare testimonianza alla verità (cfr Mc 10,45; Gv 18,37). In questa prospettiva invito tutti a pregare per i sei nuovi Cardinali che ieri ho creato, affinché lo Spirito Santo li rafforzi nella fede e nella carità e li ricolmi dei suoi doni, così che vivano la loro nuova responsabilità come un’ulteriore dedizione a Cristo e al suo Regno. Questi nuovi membri del Collegio Cardinalizio ben rappresentano la dimensione universale della Chiesa: sono Pastori di Chiese nel Libano, in India, in Nigeria, in Colombia, nelle Filippine, e uno di essi è da lungo tempo al servizio della Santa Sede.

    Invochiamo la protezione di Maria Santissima su ciascuno di essi e sui fedeli affidati al loro servizio. La Vergine ci aiuti tutti a vivere il tempo presente in attesa del ritorno del Signore, chiedendo con forza a Dio: «Venga il tuo Regno», e compiendo quelle opere di luce che ci avvicinano sempre più al Cielo, consapevoli che, nelle tormentate vicende della storia, Dio continua a costruire il suo Regno di amore.

     


    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Ieri, a Macas, in Eucador, è stata proclamata Beata Maria Troncatti, Suora delle Figlie di Maria Ausiliatrice, nata in Val Camonica. Infermiera durante la prima Guerra Mondiale, partì poi per l’Ecuador, dove si spese interamente al servizio delle popolazioni della selva, nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Rendiamo grazie a Dio per questa sua generosa testimone!

    Sabato prossimo, 1° dicembre, avrà luogo il pellegrinaggio degli universitari di Roma alla Tomba di San Pietro, in occasione dell’Anno della fede. Per loro presiederò la celebrazione dei Primi Vespri della Prima Domenica di Avvento.



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 22/11/2015 13:57

    ANGELUS


    Piazza San Pietro
    Domenica, 22 novembre 2015

    [Multimedia]



     

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In questa ultima domenica dell’anno liturgico, celebriamo la solennità di Cristo Re. E il Vangelo di oggi ci fa contemplare Gesù mentre si presenta a Pilato come re di un regno che «non è di questo mondo» (Gv 18,36). Questo non significa che Cristo sia re diun altro mondo, ma che è re in un altro modo, eppure è re in questo mondo. Si tratta di una contrapposizione tra due logiche. La logica mondana poggia sull’ambizione, sulla competizione, combatte con le armi della paura, del ricatto e della manipolazione delle coscienze. La logica del Vangelo, cioè la logica di Gesù, invece si esprime nell’umiltà e nella gratuità, si afferma silenziosamente ma efficacemente con la forza della verità. I regni di questo mondo a volte si reggono su prepotenze, rivalità, oppressioni; il regno di Cristo è un «regno di giustizia, di amore e di pace» (Prefazio).

    Gesù si è rivelato re quando? Nell’evento della Croce! Chi guarda la Croce di Cristo non può non vedere la sorprendente gratuità dell’amore. Qualcuno di voi può dire: “Ma, Padre, questo è stato un fallimento!”. E’ proprio nel fallimento del peccato - il peccato è un fallimento - nel fallimento delle ambizioni umane, lì c’è il trionfo della Croce, c’è la gratuità dell’amore. Nel fallimento della Croce si vede l’amore, questo amore che è gratuito, che Gesù ci dà. Parlare di potenza e di forza, per il cristiano, significa fare riferimento alla potenza della Croce e alla forza dell’amore di Gesù: un amore che rimane saldo e integro, anche di fronte al rifiuto, e che appare come il compimento di una vita spesa nella totale offerta di sé in favore dell’umanità. Sul Calvario, i passanti e i capi deridono Gesù inchiodato alla croce, e gli lanciano la sfida: «Salva te stesso scendendo dalla croce!» (Mc 15,30). “Salva te stesso!”. Ma paradossalmente la verità di Gesù è proprio quella che in tono di scherno gli scagliano addosso i suoi avversari: «Non può salvare sé stesso!» (v. 31). Se Gesù fosse sceso dalla croce, avrebbe ceduto alla tentazione del principe di questo mondo; invece Lui non può salvare sé stesso proprio per poter salvare gli altri, proprio perché ha dato la sua vita per noi, per ognuno di noi. Dire: “Gesù ha dato la vita per il mondo” è vero, ma è più bello dire: “Gesù ha dato la sua vita per me”. E oggi in piazza, ognuno di noi, dica nel suo cuore: “Ha dato la sua vita per me”, per poter salvare ognuno di noi dai nostri peccati.

    E questo chi lo ha capito? Lo ha capito bene uno dei due malfattori che sono crocifissi con Lui, detto il “buon ladrone”, che Lo supplica: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). Ma questo era un malfattore, era un corrotto ed era lì condannato a morte proprio per tutte le brutalità che aveva fatto nella sua vita. Ma ha visto nell’atteggiamento di Gesù, nella mitezza di Gesù l’amore. E questa è la forza del regno di Cristo: è l’amore. Per questo la regalità di Gesù non ci opprime, ma ci libera dalle nostre debolezze e miserie, incoraggiandoci a percorrere le strade del bene, della riconciliazione e del perdono. Guardiamo la Croce di Gesù, guardiamo il buon ladrone e diciamo tutti insieme quello che ha detto il buon ladrone: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Tutti insieme: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Chiedere a Gesù, quando noi ci vediamo deboli, peccatori, sconfitti, di guardarci e dire: “Tu sei lì. Non ti dimenticare di me!”.

    Di fronte alle tante lacerazioni nel mondo e alle troppe ferite nella carne degli uomini, chiediamo alla Vergine Maria di sostenerci nel nostro impegno di imitare Gesù, nostro re, rendendo presente il suo regno con gesti di tenerezza, di comprensione e di misericordia. 


    Dopo l'Angelus:

    Ieri, a Barcellona, sono stati proclamati Beati Federico da Berga e venticinque compagni martiri, uccisi in Spagna durante la feroce persecuzione contro la Chiesa nel secolo scorso. Si tratta di sacerdoti, giovani professi in attesa di ordinazione e fratelli laici appartenenti all’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Affidiamo alla loro intercessione i tanti nostri fratelli e sorelle che purtroppo ancora oggi, in diverse parti del mondo, sono perseguitati a causa della fede in Cristo.

    Saluto tutti voi pellegrini, venuti dall’Italia e da diversi Paesi: le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni. In particolare saluto quelli del Messico, dell’Australia e di Paderborn (Germania). Saluto i fedeli di Avola, Mestre, Foggia, Pozzallo, Campagna e della Val di Non; come pure i gruppi musicali – che ho sentito! - che festeggiano Santa Cecilia, patrona del canto e della musica. Dopo l’Angelus fatevi sentire, perché suonate bene!

    Mercoledì prossimo inizierò il viaggio in Africa, per visitare Kenya, Uganda e la Repubblica Centrafricana. Chiedo a tutti voi di pregare per questo viaggio, affinché sia per tutti questi cari fratelli, e anche per me, un segno di vicinanza e d’amore. Chiediamo insieme alla Madonna di benedire queste care terre, affinché ci sia in esse la pace e la prosperità.

    Recita Ave Maria

    A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)