00 15/11/2010 12:21
 
 [SM=g1740722]  Ottime riflessioni anche da Massimo Introvigne dal CESNUR



Il Papa, il Vaticano II e la Parola di Dio. L’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Benedetto XVI

di Massimo Introvigne

Papa scrive

Nelle duecento pagine dell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, datata 30 settembre 2010 ma resa pubblica il successivo 11 novembre, Benedetto XVI non si rivolge solo agli specialisti di esegesi biblica. Dal momento che la Parola di Dio è al centro di tutta la vita cristiana, anzi al centro del cosmo e della storia, l’esortazione apostolica è occasione per un’ampia ricognizione che parte dalla Bibbia ma si estende al rapporto tra fede e ragione, alla cultura, alla missione, all’instaurazione dell’ordine temporale e perfino all’arte e a Internet. Una particolare attenzione è dedicata all’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

In un discorso ormai famoso tenuto il 22 dicembre 2005 ai membri della Curia Romana, Benedetto XVI ha criticato le interpretazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II che ne leggono i documenti secondo una «ermeneutica della discontinuità e della rottura» (Benedetto XVI 2005) rispetto al Magistero precedente della Chiesa, purtroppo assai diffusa e anzi in molti ambienti prevalente, raccomandando invece una «giusta ermeneutica» (ibid.), insieme «del rinnovamento nella continuità» (ibid.) e «della riforma» (ibid.). Alcuni dei numerosi commentatori di questo storico discorso hanno rilevato che non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Si tratta in effetti ora di riprendere in mano i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, uno per uno, interpretandoli secondo la «giusta ermeneutica» e tenendo conto sia del Magistero precedente, sia di quello successivo.

Nella Verbum Domini Benedetto XVI fa appunto questo, e ci mostra la giusta ermeneutica – per così dire – in azione. Dopo la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si è celebrata in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008 e ha avuto per tema La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, il Papa rilegge metodicamente la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum del Concilio Ecumenico Vaticano II, che definisce «pietra miliare nel cammino ecclesiale» (Benedetto XVI 2010, n. 3), servendosi sia del Magistero precedente – in particolare di Leone XIII (1810-1903) e del venerabile Pio XII (1876-1958) –, sia di documenti successivi al Concilio del servo di Dio Paolo VI (1897-1978), del venerabile Giovanni Paolo II (1920-2005) e dello stesso Benedetto XVI.

Il tema, evidentemente, è di grandissimo rilievo sia per il Concilio Ecumenico Vaticano II sia per la Chiesa e l’umanità in genere. Per gli uomini, infatti, la più grande «buona notizia» (ibid., n. 1) è che la Parola di Dio, «che rimane in eterno, è entrata nel tempo» (ibid.). «Non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla» (ibid., n. 2). C’è un annuncio oggettivamente straordinario «che nel quotidiano rischiamo di dare per scontato: il fatto che Dio parli e risponda alle nostre domande» (ibid., n. 4). Per la Chiesa si tratta del «cuore stesso della vita cristiana» (ibid., n. 3): «la Chiesa si fonda sulla Parola di Dio, nasce e vive di essa» (ibid.). Benedetto XVI ricorda come questo tema sia stato particolarmente approfondito nel «pontificato di Leone XIII» (ibid.). Ma l’approfondimento ha raggiunto «il suo culmine nel Concilio Vaticano II, in modo speciale con la promulgazione della Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum» (ibid.). Oltre a riconoscere «i grandi benefici apportati da questo documento» (ibid.), si tratta ora di effettuare una «verifica dell’attuazione delle indicazioni conciliari» (ibid.) e di affrontare, alla luce della Dei Verbum, «le nuove sfide che il tempo presente pone ai credenti in Cristo» (ibid.).

Il Papa pone il documento sotto il patrocinio di san Paolo, infaticabile annunciatore del Vangelo – ricordando che il Sinodo si è riunito durante l’Anno Paolino –, e di san Giovanni, che nel Prologo del suo Vangelo ci ha offerto «una sintesi di tutta la fede cristiana» (ibid., n. 5): «il Verbo, che dal principio è presso Dio, si è fatto carne e ha preso la sua dimora in mezzo a noi (cfr Gv 1,14)» (ibid.). La trattazione è divisa in tre parti. La prima, Verbum Dei, illustra la nozione di «Parola di Dio» e riflette sulla sua ricezione e interpretazione, soffermandosi in particolare sull’esegesi biblica. La seconda, Verbum in Ecclesia, mostra come la Chiesa nella liturgia e nella vita ecclesiale custodisce e proclama la Parola di Dio. La terza, Verbum mundo, insegna che la Parola di Dio vivifica il mondo attraverso l’annuncio missionario e l’instaurazione cristiana dell’ordine temporale, che comprende la cultura e la vita politica e oggi si estende a campi nuovi come Internet.



I. Verbum Dei

A. Dio parla

1. Parla Dio Padre

Insegna la Dei Verbum che «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 2). «Ma non avremmo ancora compreso a sufficienza il messaggio del Prologo di san Giovanni – nota Benedetto XVI – se ci fermassimo alla constatazione che Dio si comunica amorevolmente a noi» (Benedetto XVI 2010, n. 6). Le cose sono un poco più complesse. Il Papa propone una ricognizione delle «diverse modalità con cui noi utilizziamo l’espressione “Parola di Dio”» (ibid., n. 7), con un uso che è sempre «analogico» (ibid.), distinguendo fra quattro diversi significati. Anzitutto, la Parola di Dio è la persona di Gesù Cristo, l’eterno Logos del Padre che si fa uomo. In secondo luogo, è Parola di Dio «la stessa creazione, il liber naturae» (ibid.): Dio Padre ha parlato attraverso la creazione, dove tutto «porta in modo indelebile la traccia della Ragione creatrice che ordina e guida» (ibid., n. 8): «tutto ciò che esiste non è frutto di un caso irrazionale, ma è voluto da Dio» (ibid.). In questo senso san Bonaventura (ca. 1217 o 1221-1274) ha potuto scrivere che «ogni creatura è parola di Dio perché proclama Dio» (cit. ibid.). Ed è per questo che nella natura è iscritta quella che «la tradizione filosofica chiama “legge naturale”» (ibid., n. 9).

In terzo luogo, Dio parla nella storia della salvezza, nella predicazione degli Apostoli e nella «Tradizione viva della Chiesa» (ibid., n. 7). Non si devono contrapporre Parola di Dio e Tradizione, perché la Tradizione è essa stessa una Parola di Dio. Infine, nel quarto significato, l’espressione «Parola di Dio» si riferisce alla sacra Scrittura. Ma il terzo e il quarto significato non possono essere disgiunti. «Non essendo la fede cristiana una “religione del Libro”» (ibid.), che riposa esclusivamente su un testo scritto, è più esatta l’espressione di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) «religione della Parola di Dio […] [non di] una parola scritta e muta, ma del verbo incarnato e vivente» (cit. ibid.). Dunque, «la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile» (ibid.). È questo l’insegnamento fondamentale del n. 10 della Dei Verbum.

Poiché Dio parla insieme attraverso la creazione e attraverso la Rivelazione «chi conosce la divina Parola conosce pienamente anche il significato di ogni creatura» (ibid., n. 10). Si tratta dunque di «cambiare il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto» (ibid.), mentre quanto non è fondato su Dio ha solo un «carattere effimero» (ibid.). Di questo insegnamento «abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo» (ibid.), segnato dal culto dell’effimero e del transitorio.

2. Parla il Signore Gesù

La «condiscendenza di Dio» (ibid., n. 11), che accetta di parlare agli uomini, «si compie in modo insuperabile nell’incarnazione del Verbo» (ibid.). «La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di fronte alla persona stessa di Gesù. La sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all’umanità» (ibid.). Il Papa vorrebbe trasmettere il senso, difficile da esprimere nel linguaggio umano, di «una novità inaudita e umanamente inconcepibile» (ibid.), che dovrebbe sempre suscitare «nel cuore dei credenti stupore per l’iniziativa divina» (ibid.).

Questo stupore è stato espresso dalla «tradizione patristica e medievale» (ibid., n. 12) con un’«espressione suggestiva» (ibid.) già richiamata da Benedetto XVI nella sua omelia per la notte di Natale del 2006 (Benedetto XVI 2006): «il Verbo si è abbreviato» (Benedetto XVI 2010, n. 12). «La Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile» (ibid., citando Benedetto XVI 2006). Ma c’è una profonda «unità del disegno divino nel Verbo incarnato» (Benedetto XVI 2010, n. 13). Richiamando un’altra sua omelia, quella per l’Epifania del 2009, il Papa – notoriamente appassionato di musica – spiega che Dio opera «mediante la “sinfonia” del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un “assolo”, un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo “assolo” è Gesù» (Benedetto XVI 2009, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 13).

Quel bambino nella mangiatoia di Betlemme è la Parola di Dio che si è fatta persona: ma lo è anche il Cristo in croce, dove pure «il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è “detto” fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare» (ibid., n. 12). Sulla croce, «Dio parla anche per mezzo del suo silenzio» (ibid., n. 21), e «questa esperienza di Gesù è indicativa della situazione dell’uomo che, dopo aver ascoltato e riconosciuto la parola di Dio, deve misurarsi anche con il suo silenzio» (ibid.): «momenti oscuri» (ibid.), diventati «esperienza vissuta da tanti santi e mistici, e che pure oggi entra nel cammino di molti credenti» (ibid.). Ma «nel mistero luminosissimo della risurrezione questo silenzio della Parola si manifesta nel suo significato autentico e definitivo» (ibid., n. 12): Cristo è per sempre «il Vincitore, il Pantocrator» (ibid.), la «luce definitiva sulla nostra strada» (ibid.).

Benedetto XVI insiste su un aggettivo: «definitivo». In Gesù Cristo Dio ha detto tutto quello che c’era da dire. «San Giovanni della Croce [1542-1591] ha espresso questa verità in modo mirabile: “Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire…”» (ibid., n. 14). Il Papa che ha commentato in modo profondo – visitando i rispettivi santuari – i messaggi di Lourdes, nel 2008, e di Fatima, nel 2010, si chiede come si concili questa definitività della rivelazione di Dio con le rivelazioni private. Queste vanno rigorosamente distinte dalla Rivelazione pubblica del Padre in Gesù Cristo. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992, di cui il Papa richiama qui il n. 67, il ruolo delle rivelazioni private «non è quello […] di “completare” la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica» (ibid.). Dunque, «il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo» (ibid.), e la rivelazione privata autentica «si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica» (ibid.). La rivelazione privata «può introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche. Essa può avere un certo carattere profetico (cfr I Tess 5,19-21) e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non la si deve trascurare» (ibid.). Peraltro, nessuno è obbligato a occuparsi di rivelazioni private: «è un aiuto che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso» (ibid.).

3. Parla lo Spirito Santo

«Non v’è alcuna comprensione autentica della Rivelazione cristiana al di fuori dell’azione del Paraclito» (ibid., n. 15), dello Spirito Santo, che dapprima «ispira gli autori delle sacre Scritture» (ibid.), quindi «sostiene e ispira la Chiesa nel compito di annunciare la Parola di Dio» (ibid.). Quanto agli autori sacri, i due concetti fondamentali sono quelli dell’ispirazione e della verità. «Come il Verbo di Dio si è fatto carne per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, così la sacra Scrittura nasce dal grembo della Chiesa per opera dello Spirito Santo» (ibid., n. 19). L’ispirazione dello Spirito Santo non è una mera dettatura: la Chiesa «riconosce tutta l’importanza dell’autore umano che ha scritto i testi ispirati e, al medesimo tempo, Dio stesso come vero autore» (ibid.).

Benedetto XVI insiste su «quanto il tema dell’ispirazione sia decisivo» (ibid.) per una «corretta ermeneutica» (ibid.). Se si misconosce l’importanza dell’autore umano si adotta – si potrebbe dire – l’atteggiamento che l’islam ha di fronte al Corano, considerato un testo letteralmente «dettato» e non semplicemente ispirato da Dio, e si cade in forme di fondamentalismo. Ma se «si affievolisce in noi la consapevolezza dell’ispirazione» (ibid.) divina, allora «si rischia di leggere la Scrittura come oggetto di curiosità storica e non come opera dello Spirito Santo» (ibid.). Ultimamente, è lo Spirito Santo che garantisce la verità delle Scritture come insegna la Dei Verbum: «Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre Lettere» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 11).

Quanto all’azione dello Spirito Santo in relazione alla comprensione della sacra Scrittura nella Chiesa, l’affermazione di Benedetto XVI è molto forte: «senza l’azione efficace dello “Spirito della Verità” (Gv 14,16) non è dato di comprendere le parole del Signore» (Benedetto XVI 2010, n. 16). Così hanno insegnato i Padri della Chiesa e i dottori. Per san Girolamo (347-419 o 420) «non possiamo arrivare a comprendere la Scrittura senza l’aiuto dello Spirito Santo che l’ha ispirata» (cit. ibid.). E «Riccardo di San Vittore [ca. 1110-1173] ricorda che occorrono “occhi di colomba”, illuminati ed istruiti dallo Spirito, per comprendere il testo sacro» (cit. ibid.).

Non si tratta di un’affermazione priva di conseguenze. «Riaffermando il profondo legame tra lo Spirito Santo e la Parola di Dio, abbiamo anche posto le basi per comprendere il senso ed il valore decisivo della viva Tradizione» (ibid., n. 17) nella sua relazione con la sacra Scrittura, e per interpretare correttamente la Dei Verbum. Ci appare allora come «il Concilio Vaticano II ricord […] come questa Tradizione di origine apostolica sia realtà viva e dinamica: essa “progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo”; non nel senso che essa muti nella sua verità, che è perenne. Piuttosto “cresce… la comprensione tanto della cose quanto delle parole trasmesse”, con la contemplazione e lo studio, con l’intelligenza data da una più profonda esperienza spirituale e per mezzo “della predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità”» (ibid.: i riferimenti tra virgolette sono al n. 8 della Dei Verbum). Se si legge la Dei Verbum meditando sull’azione dello Spirito Santo ci si convince che «la viva Tradizione è essenziale affinché la Chiesa possa crescere nel tempo nella comprensione della verità rivelata nelle Scritture» (ibid.): «in definitiva, è la viva Tradizione della Chiesa a farci comprendere in modo adeguato la sacra Scrittura come Parola di Dio» (ibid.).

«Mediante l’opera dello Spirito Santo e sotto la guida del Magistero, la Chiesa trasmette a tutte le generazioni quanto è stato rivelato in Cristo» (ibid., n. 18). Ma questa trasmissione è impossibile senza che il corpo dei fedeli «sia educato e formato in modo chiaro ad accostarsi alle sacre Scritture in relazione alla viva Tradizione della Chiesa» (ibid.).

B. L’uomo risponde

1. Il dialogo con Dio

«Nella nostra epoca purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia» (ibid., n. 23). Abbiamo visto invece che «Dio parla ed interviene nella storia a favore dell’uomo e della sua salvezza integrale» (ibid.). Anche il nostro tempo deve tornare a scoprire «che solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo!» (ibid.). Così, «l’intera esistenza dell’uomo diviene un dialogo con Dio» (ibid., n. 24), come mostrano mirabilmente i Salmi, dove «troviamo tutta la gamma articolata di sentimenti che l’uomo può provare nella propria esistenza e che vengono posti con sapienza davanti a Dio» (ibid.). Non si deve però credere che il dialogo tra Dio e l’uomo sia «un incontro tra due contraenti alla pari» (ibid., n. 22): «non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma puro dono di Dio» (ibid.), che è infinitamente superiore all’uomo e non ha bisogno di parlargli, ma liberamente decide di farlo per amore.

Insegna la Dei Verbum che «a Dio che si rivela è dovuta “l’obbedienza della fede”» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, 5): «con queste parole la Costituzione dogmatica Dei Verbum ha espresso in modo preciso l’atteggiamento dell’uomo nei confronti di Dio. La risposta propria dell’uomo al Dio che parla è la fede» (Benedetto XVI 2010, n. 25). Due libertà s’incontrano. Dio liberamente si rivela, l’uomo liberamente risponde a Dio con la fede. Questo implica pure «la possibilità drammatica da parte della libertà dell’uomo di sottrarsi a questo dialogo di alleanza con Dio per il quale siamo stati creati» (ibid., n. 26), e l’emergere nella storia del «peccato come non ascolto della Parola» (ibid.).

Il contrario del peccato è l’atteggiamento della Madonna. Per sfuggire radicalmente al peccato «è necessario guardare là dove la reciprocità tra Parola di Dio e fede si è compiuta perfettamente, ossia a Maria Vergine» (ibid., n. 27); «è necessario nel nostro tempo che i fedeli vengano introdotti a scoprire meglio il legame tra Maria di Nazareth e l’ascolto credente della divina Parola» (ibid.). E non solo i fedeli, ma anche «gli studiosi» (ibid.), che talora trascurano «il rapporto tra mariologia e teologia della Parola» (ibid.). Mentre da una parte «in realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna» (ibid.), che vive «un’esistenza totalmente modellata dalla Parola» (ibid., n. 28), dall’altra «anche la nostra azione apostolica e pastorale non potrà mai essere efficace se non impariamo da Maria» (ibid.).





CONTINUA...................

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)