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Anche qui il problema è l’equilibrio tra fede e ragione. Se guardiamo solo «l’aspetto puramente storico o letterario» (ibid.) della Bibbia, i «singoli libri non sono facilmente riconoscibili come appartenenti ad un’unità interiore; esistono invece tensioni visibili tra di essi» (ibid.), per non parlare delle «pagine oscure» (ibid., n. 42) dove si riferiscono, senza disapprovarli, eventi storici dove i capi del popolo d’Israele, che pure è popolo scelto da Dio per una missione provvidenziale, si comportano con «violenza» (ibid.) e «immoralità» (ibid.). La fede, in dialogo con la ragione, legge in particolare l’Antico Testamento in modo «tipologico» (ibid., n. 41), vedendo nelle opere di Dio del Vecchio Testamento una prefigurazione di quanto nella pienezza dei tempi Dio compirà nella persona di Gesù Cristo. La lettura tipologica, richiamata anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 128, non è una fantasia, «non ha carattere arbitrario ma è intrinseca agli eventi narrati nel testo sacro» (ibid.).

Non deve tuttavia «indurre a dimenticare» (ibid.) che l’Antico Testamento ha anche un «valore suo proprio» (ibid.), così che lo studio della «comprensione ebraica della Bibbia» (ibid.) può sia aiutare l’esegeta sia favorire il dialogo interreligioso con gli ebrei. Così come il fatto che la Bibbia vada letta nella Chiesa non esclude l’utilità di studi prodotti da cristiani non cattolici e il dialogo ecumenico, senza mancare però di riconoscere con franchezza anche gli aspetti che «ci vedono ancora distanti, come ad esempio la comprensione del soggetto autorevole dell’interpretazione della Chiesa e il ruolo decisivo del Magistero» (ibid., n. 46). Tornando agli ebrei, «il concetto di adempimento delle Scritture è complesso, perché comporta una triplice dimensione: un aspetto fondamentale di continuità con la rivelazione dell’Antico Testamento, un aspetto di rottura e un aspetto di compimento e superamento» (ibid., n. 40). Così le importanti affermazioni del venerabile Giovanni Paolo II sullo speciale legame tra cristiani ed ebrei «non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni dell’Antico Testamento e meno ancora dell’adempimento delle Scritture nel mistero di Gesù Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio. Tuttavia, questa differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca» (ibid., n. 43), né deve far dimenticare l’insegnamento di san Paolo, tante volte richiamato e commentato dallo stesso Papa Wojtyla, secondo cui per gli ebrei «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,28-29)» (ibid.).

Tutto rimanda al tema centrale della Dei Verbum, ribadito nel numero 10 della costituzione conciliare: «La sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 10, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 47). Questo è il vero «insegnamento del Concilio Vaticano II» (ibid.): «lo studio della Sacra Scrittura» (ibid.) deve avvenire «nella comunione della Chiesa universale» (ibid.) e – come afferma ancora la Dei Verbum al numero 23 – «sotto la vigilanza del Sacro Magistero» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 23, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 45).



II. Verbum in Ecclesia

1. La liturgia

La Dei Verbum afferma al numero 1 che la Chiesa sta «in religioso ascolto della parola di Dio» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 1, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 51). Con queste parole ci è offerta «una definizione dinamica della vita della Chiesa» (ibid.), «comunità che ascolta ed annuncia la Parola di Dio» (ibid.), e che guarda alla Parola del Padre detta definitivamente in Gesù Cristo non come a un «evento semplicemente passato» (ibid.), ma come a una «relazione vitale» (ibid.) che continua ancora oggi.

«L’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente» (ibid., n. 52) è la liturgia: «ogni azione liturgica è per natura sua intrisa di sacra Scrittura» (ibid.). Anzi, in un certo senso «l’ermeneutica della fede riguardo alla sacra Scrittura deve sempre avere come punto di riferimento la liturgia» (ibid.). Per comprendere questa affermazione occorre riflettere su quello che Benedetto XVI chiama «il carattere performativo della Parola» (ibid., n. 53) che, in quanto è Parola di Dio onnipotente, sempre nella storia «realizza ciò che dice» (ibid.). Questo carattere emerge in modo particolarmente evidente nell’Eucarestia, dove «la Parola di Dio si fa carne sacramentale» (ibid., n. 55). Qui vediamo l’efficacia performativa immediata delle parole di Gesù Cristo, e oggi del sacerdote, e comprendiamo qualcosa del carattere performativo della Parola di Dio in genere: «senza il riconoscimento della presenza reale del Signore Gesù nell’Eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta» (ibid.). «In analogia alla presenza reale» (ibid., n. 56) emerge anche una «sacramentalità della Parola» (ibid.), su cui amava insistere il venerabile Giovanni Paolo II.

Naturalmente, perché tutto questo possa essere ben compreso dai fedeli – e le difficoltà non mancano – è necessaria una cura particolare alla liturgia. L’attuale struttura del Lezionario, nota Benedetto XVI, ha arricchito «l’accesso alla sacra Scrittura che viene offerta in abbondanza» (ibid., n. 57): ma ci sono «difficoltà che permangono» (ibid.) e che «devono essere considerate alla luce della lettura canonica, ossia dell’unità intrinseca di tutta la Bibbia» (ibid.). È necessario anzitutto che coloro che proclamano le letture nella Messa «siano veramente idonei e preparati con impegno» (ibid., n. 58), cioè siano sia dotati di cultura «biblica e liturgica» (ibid.) sia conoscano «l’arte di leggere in pubblico» (ibid.), che non s’improvvisa.

Del tutto fondamentale per proporre ai fedeli il coordinamento tra le diverse letture e l’unità intrinseca della Bibbia è poi l’omelia. Il Papa lo raccomanda con insistenza: è indispensabile «migliorare la qualità dell’omelia» (ibid., n. 59). «Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico» (ibid.). L’omelia «è veramente un’arte che deve essere coltivata» (ibid., n. 60) non solo attraverso lo studio, ma anche con la preghiera e la vita spirituale, se necessario con futuri «sussidi adeguati» (ibid.) tra i quali il Papa pensa a un «Direttorio sull’omelia» (ibid.).

Quello che vale per la Messa, vale anche per altri ambiti – confessione, unzione degli infermi, liturgia delle ore, benedizioni, celebrazioni della Parola – dove il Papa esorta allo studio e al rigoroso rispetto delle prescrizioni della Chiesa e fornisce pure prescrizioni e suggerimenti pratici. Tra questi, il consiglio di «educare il Popolo di Dio al valore del silenzio» (ibid., n. 66), evitando lungaggini e verbosità inutili; l’invito a «valorizzare quei canti che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato […]. Penso in particolare all’importanza del canto gregoriano» (ibid., n.. 70); l’attenzione particolare a forme liturgiche specifiche per «i non vedenti e non udenti» (ibid., n. 71); e la reiterata prescrizione che nella Messa «le letture tratte dalla Sacra Scrittura non siano mai sostituite con altri testi» (ibid., n. 69), dal momento che al Sinodo diversi padri sinodali hanno riferito al riguardo seri «abusi» (ibid.) in questo senso.

2. La vita ecclesiale

Benedetto XVI ha richiamato più volte in tema di sacra Scrittura la figura decisiva di san Girolamo. «Così egli consiglia la matrona romana Leta per l’educazione della figlia: “Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura… Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera… Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (ibid., n. 72). L’esortazione apostolica è un fermo richiamo allo studio serio, alla luce della Dei Verbum correttamente interpretata, della Scrittura da parte di tutti – vescovi, studiosi accademici, sacerdoti, religiosi, diaconi permanenti e anche laici; e ancora giovani, anziani, ammalati – perché è ancora san Girolamo a ricordarci che «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (cit. ibid., n. 73). Trascurare questo studio ha un costo: si pensi, per esempio, alla «proliferazione di sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra Scrittura. Là dove non si formano i fedeli ad una conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa nell’alveo della sua Tradizione viva, di fatto si lascia un vuoto pastorale in cui realtà come le sette possono trovare terreno per mettere radici» (ibid.). Beninteso, «non si tratta, quindi, di aggiungere qualche incontro in parrocchia o nella diocesi, ma di verificare che nelle abituali attività […] si abbia realmente a cuore l’incontro con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola» (ibid.).

Il primo ambito in cui favorire questo incontro è la catechesi, senza trascurare anche per i bambini «un’intelligente memorizzazione di alcuni brani biblici particolarmente eloquenti dei misteri cristiani» (ibid., n. 74), e purché si ricordi che «l’attività catechetica implica sempre l’accostare le Scritture nella fede e nella Tradizione della Chiesa» (ibid.). Dunque «è importante sottolineare la relazione tra la sacra Scrittura e il Catechismo della Chiesa Cattolica» (ibid.), che è «rilevante espressione attuale della Tradizione viva della Chiesa, e norma sicura per l’insegnamento della fede» (ibid.). Un altro ambito su cui Benedetto XVI insiste è quello della pastorale del matrimonio e della famiglia. Non solo i genitori «sono davanti ai propri figli i primi annunciatori della Parola di Dio» (ibid., n. 85), ma oggi è necessario difendere una istituzione come la famiglia «posta per molti aspetti sotto attacco dalla mentalità corrente. Di fronte al diffuso disordine degli affetti e al sorgere di modi di pensare che banalizzano il corpo umano e la differenza sessuale, la Parola di Dio riafferma la bontà originaria dell’uomo, creato come maschio e femmina e chiamato all’amore fedele, reciproco e fecondo» (ibid.).

Il Papa si preoccupa poi d’insegnare nuovamente a tutti i fedeli, attingendo alla grande tradizione patristica, come si debba leggere il testo sacro nella lectio divina. «Si deve evitare il rischio di un approccio individualistico» (ibid., n. 86): al contrario, «il testo sacro deve essere sempre accostato nella comunione ecclesiale» (ibid.). Benedetto XVI offre una guida ai cinque tempi della lectio divina, Questa «si apre con la lettura (lectio) del testo, che provoca la domanda circa una conoscenza autentica del suo contenuto» (ibid., n. 87): «senza questo momento si rischia che il testo diventi solo un pretesto per non uscire mai dai nostri pensieri» (ibid.). Il secondo tempo è «la meditazione (meditatio)» (ibid.), dove ciascuno applica il testo a se stesso consapevole che «non si tratta di considerare parole pronunciate nel passato, ma nel presente» (ibid.). Il terzo tempo è il «momento della preghiera (oratio)» (ibid.), che è propriamente la risposta di fede dell’uomo a Dio che parla. Segue – quarto tempo – «la contemplazione (contemplatio)» (ibid.), dove la Parola di Dio diventa «criterio di discernimento» (ibid.), ci cambia e ci converte. Ma «la lectio divina non si conclude nella sua dinamica fino a quando non arriva all’azione (actio)» (ibid.), il suo quinto tempo che mostra come del cambiamento e della conversione si debba dare prova in tutti i campi dell’esistenza umana. Il Papa invita anche a non trascurare la dottrina delle indulgenze, cui la Chiesa non rinuncia, e ricorda che la lectio divina protratta per almeno mezz’ora assicura, alle consuete condizioni, l’indulgenza plenaria.

La lectio divina, peraltro, non è l’unico modo di entrare in contatto con la Parola di Dio. «Memore della relazione inscindibile tra la Parola di Dio e Maria di Nazareth» (ibid., n. 88), la Chiesa raccomanda come «uno strumento di grande utilità» (ibid.) per «meditare i santi misteri narrati dalla Scrittura […] la recita personale e comunitaria del Santo Rosario» (ibid.), così come la preghiera dell’Angelus e gli inni mariani della tradizione orientale. Né si può trascurare il pellegrinaggio verso la Terra Santa, che è in un certo senso «il quinto Vangelo» (ibid., n. 89). «Più volgiamo lo sguardo e il cuore alla Gerusalemme terrena, più si infiammano in noi il desiderio della Gerusalemme celeste, vera meta di ogni pellegrinaggio, e la passione perché il nome di Gesù, nel quale solo c’è salvezza, sia riconosciuto da tutti (cfr. At 4,12)» (ibid.).


III. Verbum mundo

1. La missione

Il quinto tempo della lectio divina è l’actio. L’azione segue l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio e ha due momenti: la missione e l’instaurazione cristiana dell’ordine temporale. Dobbiamo porci «non soltanto come destinatari della Rivelazione divina, ma anche come suoi annunciatori» (ibid., n. 91). «La Chiesa è missionaria nella sua essenza» (ibid.) e «ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio» (ibid.). La missione «non può essere considerata come realtà facoltativa» (ibid., n. 93), e occorre comprendere bene il suo contenuto: «il Regno di Dio (cfr Mc 1, 14-15), il quale è la stessa persona di Gesù (l’Autobasileia), come ricorda suggestivamente Origene [185-284]» (ibid.). Leggendo, secondo la consueta corretta ermeneutica, un documento del servo di Dio Paolo VI, l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975, troveremo conferma del fatto che la vera missione «non si limita a suggerire al mondo valori condivisi: occorre che si arrivi all’annuncio esplicito della Parola di Dio. Solo così saremo fedeli al mandato di Cristo» (ibid., n. 98). Insegna appunto la Evangelii nuntiandi: «Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati» (Paolo VI 1975, n. 22, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 98).

Non si può rinunciare alla missio ad gentes, cioè a evangelizzare i popoli non ancora raggiunti dal Vangelo. «In nessun modo la Chiesa può limitarsi ad una pastorale di “mantenimento”, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo» (ibid., n. 95). Per questo il Papa esorta pure a «continuare profeticamente a difendere il diritto e la libertà delle persone di ascoltare la Parola di Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla, anche a costo della persecuzione» (ibid.): «non cessiamo di alzare la nostra voce perché i governi delle Nazioni garantiscano a tutti libertà di coscienza e di religione, anche di poter testimoniare la propria fede pubblicamente» (ibid., n. 98).

Nel richiamare «l’importante opera del Venerabile Giovanni Paolo II» (ibid., n. 118) per il dialogo interreligioso con i musulmani, il Papa auspica che in tale dialogo «possano essere approfonditi il rispetto della vita come valore fondamentale, i diritti inalienabili dell’uomo e della donna e la loro pari dignità» (ibid., n. 118). «Il dialogo non sarebbe fecondo se questo non includesse anche un autentico rispetto per ogni persona, perché possa aderire liberamente alla propria religione» (ibid., n. 120). Lo stesso venerabile Giovanni Paolo II, parlando nel 1985 a Casablanca, in Marocco, ha insistito sul tema caro a Benedetto XVI della reciprocità: «il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa» (Giovanni Paolo II 1985, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 120).

Oggi poi la missio ad gentes può talora svolgersi in Paesi di antica tradizione cristiana dove è in atto il «fenomeno complesso dei movimenti migratori» (ibid., n. 105), da gestire coniugando due principi, «la sicurezza delle nazioni e l’accoglienza» (ibid.). Con l’immigrazione «un grande numero di persone che non conoscono Cristo, o che ne hanno un’immagine inadeguata, si insediano in Paesi di tradizione cristiana» (ibid.), offrendo «rinnovate possibilità per la diffusione della Parola di Dio» (ibid.). «È necessario che le diocesi interessate si mobilitino» (ibid.), tenendo sempre presente il contenuto della missione: «i migranti hanno il diritto di ascoltare il contenuto del kerygma, che viene loro proposto, non imposto» (ibid.) e che va al di là della mera assistenza umanitaria. Al migrante in difficoltà non ci si può limitare a offrire cibo e coperte: è un grave dovere annunciargli anche la Parola di Dio. Lo stesso vale per i poveri in genere, «bisognosi non solo di pane, ma anche di parole di vita. La diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei santi misteri» (ibid., n. 107).

Accanto alla missio ad gentes c’è poi – in realtà già preannunciata dalla stessa Evangelii nuntiandi, prima che il venerabile Giovanni Paolo II ne facesse il programma del suo pontificato – la nuova evangelizzazione delle «Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni [che] vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza di una cultura secolarizzata» (ibid., n. 96). Si tratta, allora, di «intraprendere con tutte le forze la nuova evangelizzazione, soprattutto in quelle nazioni dove il Vangelo è stato dimenticato o soffre l’indifferenza dei più a causa di un diffuso secolarismo» (ibid., n. 122).

2. L’instaurazione cristiana dell’ordine temporale

«Tutta la storia dell’umanità sta sotto il giudizio di Dio» (ibid., n. 99): «nel nostro tempo ci fermiamo spesso superficialmente sul valore dell’istante che passa, come se fosse irrilevante per il futuro» (ibid.), mentre la Parola di Dio «ci ricorda che ogni momento della nostra esistenza è importante e deve essere vissuto intensamente, sapendo che ognuno di noi dovrà rendere conto della propria vita» (ibid.). Passare dalla lectio all’actio significa trasformare con la forza del Vangelo tutti i campi dell’agire umano, compresa la «vita politica e sociale» (ibid., n. 100). Il Papa ricorda che «non è compito diretto» (ibid.) della gerarchia ecclesiastica occuparsi della vita politica, «anche se a lei spetta il diritto ed il dovere di intervenire sulle questioni etiche e morali che riguardano il bene delle persone e dei popoli» (ibid.). È «compito dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo, intervenire direttamente nell’azione sociale e politica» (ibid.), ed è loro dovere dotarsi di «un’adeguata formazione secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa» (ibid.) e della «legge naturale» (ibid., n. 101).

La riflessione sulla Parola di Dio dà l’occasione a Benedetto XVI di riflettere su due temi già in precedenza affrontati nel suo Magistero, e che hanno connessione con l’instaurazione cristiana dell’ordine temporale: l’ecologia e la cultura. «La Rivelazione, mentre ci rende noto il disegno di Dio sul cosmo, ci porta anche a denunciare gli atteggiamenti sbagliati dell’uomo, quando non riconosce tutte le cose come riflesso del Creatore ma mera materia da manipolare senza scrupoli» (ibid., n. 108). Riprendendo la denuncia della tecnocrazia nell’enciclica del 2009 Caritas in veritate, il Papa nota come «l’arroganza dell’uomo che vive come se Dio non ci fosse porta a sfruttare e deturpare la natura, non riconoscendo in essa un’opera della Parola creatrice» (ibid.).

Particolarmente profonda è la riflessione che parte dal «rapporto tra Parola di Dio e cultura. Infatti, Dio non si rivela all’uomo in astratto, ma assumendo linguaggi, immagini ed espressioni legati alle diverse culture» (ibid., n. 109), un rapporto che oggi «entra anche in una nuova fase» (ibid.) sia perché la missione ad gentes incontra culture nuove, sia perché emergono mondi in precedenza inediti come quello di Internet. «Ogni autentica cultura per essere veramente per l’uomo deve essere aperta alla trascendenza, ultimamente a Dio» (ibid.). Contro ogni relativismo, la Bibbia si presenta come «grande codice per le culture» (ibid., n. 110) e giudica le culture, che non sono tutte uguali. Nello stesso tempo, «trasfigura i limiti delle singole culture creando comunione tra popoli diversi» (ibid., n. 116).

Si parla molto d’inculturazione. Ma «l’inculturazione non va scambiata con processi di adattamento superficiale e nemmeno con la confusione sincretista che diluisce l’originalità del Vangelo per renderlo più facilmente accettabile» (ibid., n. 114). Questo va tenuto presente nel dialogo interreligioso, che va condotto «evitando forme di sincretismo e di relativismo e seguendo le linee indicate dalla Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate sviluppate dal Magistero successivo dei Sommi Pontefici» (ibid., n. 117).

Due ambiti culturali su cui il Papa porta una speciale attenzione sono l’arte e Internet. Rilevando che l’arte cristiana affascina sempre più anche non cristiani – Benedetto XVI pensa per esempio, «all’antico linguaggio espresso dalle icone che dalla tradizione orientale si sta diffondendo in tutto il mondo» (ibid., n. 112) – il Papa celebra gli artisti che «hanno aiutato a rendere in qualche modo percepibili nel tempo e nello spazio le realtà invisibili ed eterne» (ibid.). Nello stesso tempo esorta a che, per quanto possibile, «si promuova nella Chiesa una solida formazione degli artisti riguardo alla Sacra Scrittura alla luce della Tradizione viva della Chiesa e del Magistero» (ibid.).

Con Internet «oggi la comunicazione stende una rete che avvolge tutto il globo, e acquista un nuovo significato l’appello di Cristo: “Quello che io vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo nelle terrazze” (Mt 10,27)» (ibid., n. 113). Richiamando un importante documento del venerabile Giovanni Paolo II, il Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, del 2002 (Giovanni Paolo II 2002), Benedetto XVI invita a fare «emergere il volto di Cristo» (Benedetto XVI 2010, n. 113) anche «nel mondo di internet, che permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo» (ibid.). Internet «costituisce un nuovo forum in cui far risuonare il Vangelo, nella consapevolezza, però, che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il mondo reale e che l’evangelizzazione potrà usufruire della virtualità offerta dai new media solo se si arriverà al contatto personale, che resta insostituibile» (ibid.). È una lezione particolarmente pertinente nell’epoca dei social network come Facebook, dove – se si vuole usare lo strumento per l’evangelizzazione – si tratta appunto di passare dal primo contatto virtuale all’insostituibile contatto personale.

In Internet, come altrove, deve alla fine emergere che «tutto l’essere sta sotto il segno della Parola» (ibid., n. 121), e che «sia nella sacra Scrittura che nella Tradizione viva della Chiesa» (ibid.) siamo di fronte «alla Parola definitiva di Dio sul cosmo e sulla storia» (ibid.). Il frutto dell’obbedienza a questa Parola sarà qualcosa che il mondo rischia di dimenticare: la gioia. «Si tratta di una gioia profonda che scaturisce dal cuore stesso della vita trinitaria e che si comunica a noi nel Figlio. Si tratta della gioia come dono ineffabile che il mondo non può dare. Si possono organizzare feste, ma non la gioia» (ibid., n. 123). Questa viene solo dal Signore per mezzo di Maria, che in quanto «Mater Verbi» (ibid., n. 123) è anche «Mater laetitiae» (ibid.).
 

Riferimenti

Per tutti i testi, che sono disponibili su Internet sul sito della Santa Sede vatican.va è fornito un indirizzo abbreviato con il sistema tinyurl. Nei riferimenti gli indirizzi tinyurl sono indicati da una T maiuscola. Per esempio «T b8f72» indica che per accedere alla pagina del sito della Santa Sede dov’è disponibile il documento occorre digitare http://tinyurl.com/b8f72.

Benedetto XVI. 2005. Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005. T b8f72.

Benedetto XVI. 2006. Omelia nella solennità del Natale del Signore, del 24-12-2006. T 2cwdbep.

Benedetto XVI. 2009. Omelia nella solennità dell’Epifania, del 6-1-2009. T 2ay3k27.

Benedetto XVI. 2010. Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, del 30-9-2010. T 3yf3ouy.

Concilio Ecumenico Vaticano II. 1965. Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, del 18-11-1965. T 6avj.

Giovanni Paolo II. 2002. Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali – Internet: un nuovo Forum per proclamare il Vangelo, del 24-1-2002. T 3xzp39j.

Paolo VI. 1975. Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, dell’8-12-1975. T 37ehsbt.

Pontificia Commissione Biblica. 1993. L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, del 15-4-1993. T 2sylu.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)