Cari tutti, nessuno pretende di svelare il mistero dell'Incarnazione, ma che la Chiesa per tre secoli si sia impegnata a scoprire le eresie (termine nato dai Padri della Chiesa) offrendo al mondo la dottrina sulla Trinità, è un motivo che non può dividere oggi i cristiani in un mondo in continua confusione.
Non si può avere la Trinità che è un solo Dio, con la sua dottrina se si rifiuta di riconoscere la Theotokos: Colei che ha partorito Dio. Perchè abbiamo la Trinità nella distinzione delle Tre Persone solo attraverso l'Incarnazione, il CONCEPIMENTO del Verbo nel seno della Vergine.
Questa è stata la lotta dei Padri della Chiesa quando era tutta unita.
Delle due vie delineate da Paolo e da Giovanni, la prima a essere ripresa e utilizzata è quella di Giovanni. Con il titolo di Logos, essa offriva lo strumento ideale per un dialogo con la cultura del tempo e per combattere le eresie, specie l'arianesimo. Fissiamo un momento di questo sviluppo, lungo tre secoli, che ha il suo epicentro, in Alessandria di Egitto, precisamente il momento che va da sant'Atanasio (ispirato nel definire lo Spirito Santo quale Terza Persona) a san Cirillo.
In essi, infatti, è dato contemplare questo modello cristologico nella sua forma più matura, rispettivamente, prima e dopo la crisi verificatasi al suo interno con l'eresia di Apollinare di Laodicea. Il punto di partenza di Atanasio, come era da attendersi, è Giovanni 1,e vv. 14: « E il Verbo era Dio - E il Verbo si è fatto carne». Egli interpreta la frase nel senso che «il Logos è divenuto uomo, non semplicemente che è entrato in un uomo» Maria, la Vergine attesa, ha dunque CONCEPITO per mezzo dello Spirito Santo, Dio!
L'incarnazione non distrugge tuttavia la trascendenza del Verbo, dal momento che «assumendo la carne, egli non diviene differente, ma rimane ciò che è» qui è il cuore del Mistero imperscrutabile dell'Incarnazione.
Mentre si trova in un corpo umano, il Verbo continua a esercitare la sua sovranità sull'universo come prima. Egli è dentro e fuori tutte le cose, allo stesso tempo. Nell'incarnazione avviene che il Logos prende una carne e si modella un corpo nel seno della Vergine che egli usa poi come suo "organo". Si tratta dunque di una "incarnazione" nel senso più stretto del termine, di un "farsi" carne del Verbo, senza tuttavia mutarsi in carne. L'unita di Cristo è qui un dato acquisito in partenza.
Atanasio ha orrore di quelle descrizioni del Cristo che distinguono in lui il Verbo dall'uomo Gesù. Come possono, esclama, chiamarsi ancora cristiani quelli che dicono che il Verbo è entrato in un uomo santo, esattamente come era solito entrare nei profeti, anziché dire che è divenuto uomo? Come fanno ad essere cristiani quelli che affermano che uno è Cristo e altro il Logos?
È ormai chiara l'intuizione fondamentale di questa scuola, divenuta in seguito l'asse portante di tutta la cristologia della Chiesa: Cristo è un'unica persona e questa persona è quella eterna del Verbo. Il linguaggio non è ancora così ben definito, ma l'idea dentro la Chiesa per mezzo della Tradizione, lo è perfettamente.
Il Logos è dunque per Atanasio il principio dominante in Gesù Cristo, l'unico soggetto cui va riferito tutto ciò che si dice di lui, tutte le esperienze e le azioni descritte nei vangeli. Era lo stesso identico Verbo che compiva miracoli e che piangeva, era affamato, diceva di ignorare il giorno della parusia, pregava nel Getsemani gridava dalla croce Poteva sembrare difficile conciliare, nella stessa persona, esperienze tanto differenti tra loro - e questo era l'argomento degli ariani -, ma Atanasio traccia una distinzione attenta tra quello che appartiene al Verbo nel suo essere eterno e quello che gli appartiene in quanto incarnato. La sua spiegazione delle limitazioni o dell'angoscia di Cristo è che si tratta di limiti non reali, ma pedagogici. Se la Scrittura dice che Gesù cresceva in sapienza e grazia, il significato è che c'era una concomitanza tra il suo sviluppo corporale e la manifestazione della sua sapienza. Essendo il Logos stesso, egli conosceva ogni cosa, solo che essendosi fatto carne, ed essendo la carne per natura ignorante, era giusto che mostrasse di ignorare. Si è così impiantata saldamente nella coscienza cristiana l'idea di Cristo come soggetto divino che entra nella storia assumendo la carne umana, senza che questo crei in lui alcun dualismo, alcuna spaccatura.
Una grave lacuna impedisce tuttavia ancora che questa visione del Cristo possa essere accolta pacificamente tra tutti i cristiani, nascono per questo le eresie. Sarà proprio un discepolo e amico di Atanasio, Apollinare, vescovo di Laodicea, che farà esplodere questa lacuna, esplicitandola e teorizzandola.
Possiamo riassumere così il pensiero suo e dei suoi seguaci: « Cristo ha una carne umana, ma non un'anima; in lui l'anima, intesa nel suo senso più alto di intelligenza e di volontà, è sostituita dal Verbo stesso che ne fa le funzioni. Se infatti l'anima non è che "una scintilla di Logos", non c'è bisogno evidentemente che vi sia la parte là dove c'è il tutto. Senza contare che la presenza di una volontà libera in Cristo comprometterebbe la sua impeccabilità e quindi la nostra salvezza». Da qui, l'incapacità di trovare un'adeguata spiegazione a fatti come l'angoscia e l'ignoranza di Cristo. Mancando un'anima umana cui attribuire questi limiti, non restava che negarli, a meno di attribuirli al Verbo stesso, come facevano gli Ariani, con la conseguenza di compromettere così la sua piena divinità e immutabilità. Questa lacuna viene superata con san Cirillo Alessandrino che porterà questa visione di Cristo alla sua perfezione. In lui, più che mai, dobbiamo prescindere dai mezzi e dai modi pratici usati per affermare la sua posizione dottrinale, e concentrarci solo su di essa. Sulla scia di Atanasio, anch'egli non distingue in Cristo due nature (è un primo passaggio), Dio e l'uomo, ma solo due fasi di un'unica esistenza, prima senza la carne, poi nella carne; una anteriore all'incarnazione, l'altra posteriore a essa. L'incarnazione si conferma come la cerniera e lo spartiacque fondamentale.
Il Logos - egli ama dire - rimane ciò che era, cioè Dio; quello che avviene con l'incarnazione è che, continuando a esistere nella forma di Dio, egli aggiunge a essa qualcosa, assumendo la forma di servo. Non due forme o due nature che si uniscono, ma una persona che riunisce in sé due forme (due nature verrà stipulato al Concilio), due modi di essere. Cirillo non dirà mai, se non alla fine e con riserva, "due nature", ma userà la celebre formula «una sola natura del Verbo, (anche se) incarnata». (Il rifiuto di abbandonare questa formula di Cirillo, in seguito al concilio di Calcedonia, portò alla formazione della Chiesa orientale monofisita, che solo nel 1990, con la dichiarazione comune di Chambésy, è ritornata in comunione con la Chiesa ortodossa calcedonese in comunione con la Chiesa Cattolica, avendo le due Chiese riconosciuto che il disaccordo era di termini e non di dottrina) infatti il problema era nella terminologia ma non nella dottrina.
L'apporto di Cirillo al perfezionamento di questo modello cristologico ricevuto da Atanasio è duplice. Da una parte egli supera lo scoglio dell'apollinarismo, riconoscendo in Cristo una piena umanità dotata non solo di carne, ma anche di anima razionale; dall'altra egli introduce la categoria definitiva con cui spiegare l'unione delle due realtà di Cristo, quella di unione ipostatica. Che cosa vuol dire?
L'unione ipostatica è più che una "congiunzione" basata sull'armonia delle due volontà, umana e divina; va oltre ogni spiegazione esterna e artificiale dell'unità di Cristo, per vederla realizzata a livello della sua persona o ipostasi, cioè a livello più intimo e profondo che si possa pensare. Una unione per la quale l'esperienza umana non offre alcun esempio, per questo la Trinità e l'Incarnazione resta di per sè un mistero.
Ed è proprio per questo che Cristo è unico, assolutamente diverso, nella sua costituzione intima, da tutti i santi e i profeti, in questa visione, il corpo di Cristo è il corpo "di Dio", non di un uomo, per questo i magi lo riconoscono e lo "adorano", per questo Simeone lo riconosce, per questo gli apostoli assistono alla sua Trasfigurazione, per questo Egli "attira le folle", pur non essendoci assolutamente tra l'umanità e la divinità in Cristo alcuna confusione o mescolanza, o assorbimento dell'una nell'altra. Se l'incarnazione, intesa in senso forte, è, insieme con la dottrina della Trinità, lo specifico del cristianesimo, ciò che lo distingue da ogni altra religione, dobbiamo dire che qui questo "specifico" è stato, per la prima volta, posto in tutta la sua forza e collocato al centro stesso dell'edificio della fede.
Tutto il resto scaturisce coerentemente da qui, e in primo luogo la strenua difesa del titolo di Theotokos dato a Maria: ella è vera Madre di Dio, perché unica e divina è la persona nata da lei. È l'esaltazione massima del cristianesimo come religione della grazia, della discesa di Dio verso l'uomo, e non dell'ascesa dell'uomo verso Dio.
Cristo appare in questa visione più il dono di Dio da accogliere con stupore e gratitudine, che non il modello da imitare nella vita, come fece Maria che rimase "stupita" tanto da sfolgorare nel Magnificat, stupita resta la cugina Elisabetta "a che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? Beata sei che hai creduto!" Il vero cristiano prima si stupisce, poi dopo aver contemplato, agisce.
La Theotokos sostituisce ogni studio teologico, è Lei che ci dice chi è il Figlio: Egli è l'Emmanuele, letteralmente il Dio-con-noi, e non è un Dio simbolico, ma è proprio Dio, il Logos ha preso dimora dentro di me letteralmente, mi ha resa Madre del mio Signore e mio Dio. Ora tu, figlio mio, per mezzo di questa natura umana Dio ti è Padre, fratello, amico, Salvatore, ti è TUTTO perchè ha preso della mia carne perchè tutti fossimo uguali a Lui, figli e salvati.
Per capire la fecondità spirituale di questa immagine di Cristo, si deve tener conto di un particolare. Pur rimanendo distinte, ognuna delle due realtà di Cristo partecipa alle prerogative dell'altra. Così se il Verbo condivide le umiliazioni e le sofferenze della carne, che diventano "patimenti di Dio", allo stesso modo, la carne di Cristo partecipa delle divine energie e della gloria del Verbo, diventa essa stessa "vivificante", per la sua unione alla vita del Verbo. Le conseguenze di questo principio sul piano spirituale e salvifico, appariranno chiare solo considerando nella sua verità anche l'Eucaristia. Il contatto con la carne di Cristo diventa contatto con il Verbo stesso e con la sua vita, natura, divina. Prima però di passare a illustrare le conseguenze di questa visione sul piano spirituale, è utile mostrare come questa visione di Cristo non è qualcosa di arcaico che non ha nessun impatto sui problemi attuali della Chiesa, ma al contrario è più che mai utile e necessaria oggi. Nella enciclica Redemptoris missio si leggono, tra le altre, queste parole: «È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo». È una risposta a quelle teorie che fanno leva su una presunta "eccedenza rivelativa del Logos rispetto a Cristo", per concludere che assoluto e necessario non sarebbe, per le varie religioni, l'orientamento a Cristo Verbo incarnato, sia pure implicito e "anonimo", ma solo l'orientamento al Logos eterno e atemporale, a cui tutte le religioni, in modo diverso, autonomamente si ricollegano. Un punto di vista che toglie ogni giustificazione alla missione verso tutti i popoli, e quindi all'esplicito comando di Cristo di andare e fare discepole "tutte le genti". La cristologia che abbiamo tratteggiato fin qui contiene la risposta più chiara e il no più fermo a questa separazione tra il Logos eterno e il Cristo storico, tra la Madre, la Thetokos e il Figlio.
Sia lodato Gesù Cristo.