00 29/07/2012 14:57

I seguaci di Abramo cercano insieme la giustizia


Lo scambio di lettere tra il presidente iraniano Ahmadinejad e papa Benedetto XVI


lettere tra il presidente iraniano Ahmadinejad e papa Benedetto XVI da 30giorni dicembre 2010


Haj Sayyed Mohammad Reza Mir Tajjadini, vicepresidente della Repubblica Islamica dell’Iran, consegna a papa Benedetto XVI la lettera del presidente Ahmadinejad, il 6 ottobre 2010 [© Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede]

Haj Sayyed Mohammad Reza Mir Tajjadini, vicepresidente della Repubblica Islamica dell’Iran, consegna a papa Benedetto XVI la lettera del presidente Ahmadinejad, il 6 ottobre 2010 [© Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede]

In nome di Dio, il clemente, il misericordioso.

A sua eminenza papa Benedetto XVI, guida della Chiesa cattolica.

Porgo i miei saluti più calorosi e affettuosi a sua eminenza. Vorrei anche ringraziare lei e il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso per la posizione di condanna dell’atto privo di saggezza di una chiesa nello Stato americano della Florida, che con la sua offesa alla sacralità del Santo Corano ha riempito di dolore i cuori di milioni di musulmani.

Le particolari condizioni che dominano nel mondo d’oggi e la mancanza d’attenzione dell’umanità agli insegnamenti delle religioni monoteistiche – che purtroppo sono causate dalla diffusione di correnti come il secolarismo e l’umanesimo estremista occidentale, come anche dagli stili di vita materialistici della gente, dall’utilitarismo e dalla passionalità –, hanno guadagnato terreno e hanno creato le basi per il collasso delle società umane, dei fondamenti della famiglia e della vita dei giovani. Per questo nessuno può negare che sono diventate una necessità la stretta collaborazione e l’interazione tra le religioni di origine divina per controllare sviluppi così distruttivi.


L’appello più elevato dei profeti divini è stato al monoteismo e, sotto l’egida del monoteismo, a opporsi all’oppressione e ad applicare la giustizia; per questo i seguaci delle religioni abramitiche devono essere i primi a rafforzare la giustizia, a sradicare le oppressioni e le ingiustizie; a impedire comportamenti discriminatori e parziali che non hanno altro effetto che accumulare inimicizia e rancore e pertanto conflitti e problemi sul piano internazionale.


La Repubblica Islamica dell’Iran, in quanto nazione fondata sulla religione e sulla democrazia, ha sempre considerato tra le priorità della sua politica estera la stretta cooperazione e lo sviluppo delle relazioni bilaterali con il Vaticano e confida che la soluzione dei mali dell’umanità come le offese alle religioni e ai profeti divini, la diffusione dell’ostilità contro le religioni, l’islamofobia e i tentativi di indebolire i pilastri e le basi della famiglia, è uno dei temi importanti sui quali potremo consultarci e interagire.
Il sottoscritto esprime il più grande rispetto per le visuali di sua eminenza che mirano alla giustizia e per gli sforzi profusi per condannare la violenza e la discriminazione. Vorrei sottolineare nuovamente l’importanza della religione e della spiritualità per la soluzione dei problemi che affliggono il mondo e dichiarare la disponibilità della Repubblica Islamica dell’Iran a intraprendere sforzi congiunti per modificare le strutture di oppressione che dominano il pianeta.

Mi auguro che con la benevolenza di Dio onnipotente e con la cooperazione bilaterale, saremo testimoni di un crescente slancio delle comunità umane verso la spiritualità e verso l’affermarsi della pace e della giustizia nel mondo.
Imploro Dio onnipotente di donare salute e successo a sua eminenza nella diffusione del divino messaggio dei profeti.

Mahmoud Ahmadinejad presidente della Repubblica Islamica dell’Iran

(nostra traduzione dall’inglese)


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Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, consegna al presidente Ahmadinejad la lettera a lui indirizzata da Benedetto XVI, Teheran,  9 novembre 2010 [© Associated Press/LaPresse]

Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, consegna al presidente Ahmadinejad la lettera a lui indirizzata da Benedetto XVI, Teheran, 9 novembre 2010 [© Associated Press/LaPresse]

Al presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, 3 novembre 2010

A sua eccellenza Mahmoud Ahmadinejad, presidente della Repubblica Islamica dell’Iran.

Signor presidente,
con questa mia desidero esprimere l’apprezzamento per le cortesi espressioni di saluto e per le riflessioni che sua eccellenza ha voluto gentilmente farmi pervenire per i buoni uffici di sua eccellenza l’Hojjat ol-Eslam Haj Sayyed Mohammad Reza Mir Tajjadini, vicepresidente della Repubblica Islamica dell’Iran.

È mio profondo convincimento che il rispetto della dimensione trascendentale della persona umana sia condizione indispensabile per l’edificazione di un ordine sociale giusto e di una pace stabile. Il rapporto personale con Dio, infatti, è fondamento primario dell’inalienabile dignità e sacralità di ogni vita umana.
Allorché la promozione della dignità della persona umana si presenta come ispirazione principale per l’attività politica e sociale, che ha come impegno quello di perseguire il bene comune, vengono gettate basi salde e durevoli per la costruzione della pace e dell’armonia tra i popoli.

La pace è innanzitutto dono di Dio, dono ricercato nella preghiera, ma è anche il risultato dell’impegno delle persone di buona volontà. In questa prospettiva, i credenti di ogni religione hanno una responsabilità tutta particolare e possono svolgere un ruolo determinante, collaborando a iniziative comuni. Il dialogo interreligioso e interculturale è strada fondamentale verso la pace.

Forte di tale convincimento, la recente Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi, tenutasi in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010, è stata un momento significativo di riflessione e di condivisione sulla situazione in Medio Oriente e sulle grandi sfide poste davanti alle comunità cattoliche lì presenti. In alcuni Paesi tali comunità si trovano ad affrontare situazioni difficili, discriminazione e persino violenza, e a esse manca la libertà di vivere e professare pubblicamente la propria fede. Sono certo che i lavori del Sinodo porteranno buoni frutti per la Chiesa e per la società tutta.

I cattolici presenti in Iran e in tutto il mondo profondono ogni impegno nel collaborare con i propri connazionali per contribuire con lealtà e onestà al bene comune delle rispettive società in cui vivono, facendosi costruttori di pace e di riconciliazione.

In questo spirito, esprimo la speranza che i cordiali rapporti già felicemente esistenti tra la Santa Sede e l’Iran continuino a progredire, e che lo stesso avvenga tra la Chiesa locale e le autorità civili. È inoltre mio convincimento che l’avvio di una commissione bilaterale sarebbe di particolare aiuto per affrontare questioni di interesse comune, tra cui quella relativa allo status giuridico della Chiesa cattolica del Paese.
Con questi sentimenti, colgo l’occasione per porgerle ancora una volta, signor presidente, assicurazione della mia più alta considerazione.

Dal Vaticano, 3 novembre 2010

Benedictus PP. XVI

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La Chiesa cattolica in Iran


 


di Giovanni Cubeddu


La Repubblica Islamica dell’Iran conta oggi 77 milioni di abitanti, con un’età media di circa 26 anni. La presenza cristiana, che ammontava a 300mila fedeli, è da tempo in diminuzione a causa dell’emigrazione verso gli Stati Uniti, il Canada e l’Europa.
La stragrande maggioranza dei cristiani appartiene alla Chiesa armena gregoriana apostolica; vi è poi la Chiesa assira dell’Oriente e varie piccole denominazioni protestanti (incluse le chiese domestiche per i musulmani convertiti, ufficialmente illegali).
La Chiesa cattolica – che si divide tra rito caldeo, armeno-cattolico e latino – è un piccolo gregge che secondo le fonti ufficiali della locale Conferenza episcopale cattolica non supera le ottomila anime. Quattro sono i vescovi che compongono detta conferenza: due sono di rito caldeo, nelle diocesi di Teheran e di Urmia, rispettivamente il metropolita arcivescovo Ramzi Garmou (dal 2007 anche presidente della Conferenza episcopale) e il vescovo Thomas Meram; Neshan Karakeheyan è amministratore patriarcale della diocesi armeno-cattolica di Isfahan, con residenza a Teheran (circa trecento fedeli), mentre Ignazio Bedini, sdb, è arcivescovo della diocesi latina di Isfahan, con residenza a Teheran (circa duemila fedeli).
I cristiani, con gli zoroastriani e gli ebrei, in base all’articolo 13 dell’attuale Costituzione iraniana, hanno la libertà di professare liberamente la propria fede, nell’ambito delle leggi islamiche.




[SM=g1740733]  l'altra faccia della medaglia.....

Il musulmano convertito


Ilyas Khan, filantropo britannico, racconta pubblicamente la sua coraggiosa conversione dall'Islam al cattolicesimo


di Salvatore Cernuzio

ROMA, mercoledì, 1 agosto 2012 (ZENIT.org) – Sono tanti i musulmani che vorrebbero rinunciare alla propria fede e abbracciare il cristianesimo, ma la paura delle persecuzioni dei propri correligionari li spinge spesso a non aderirvi.

Tuttavia c’è chi ha avuto il coraggio di fare questa scelta, non solo nell’intimo del suo cuore ma raccontandola pubblicamente sul sito del National Catholic Register.

Si tratta di Ilyas Khan, filantropo britannico, nato da genitori musulmani, cresciuto in Gran Bretagna, banchiere di formazione, proprietario della squadra di calcio Accrington Stanley, nonché presidente della Leonard Cheshire Disability, la più grande organizzazione mondiale di aiuto alle persone disabili.

“Alla mia fede ha contribuito molto l’educazione avuta fino ai 4 anni” ha dichiarato Ilyas all’intervistatore che gli domandava cosa lo avesse portato alla fede. “Mia madre era molto malata – prosegue - così fu una mia nonna, profondamente cattolica, ad accudirmi nei primi anni; non potevo non considerarmi se non cristiano”.

Dai 4 anni fino ai 17 anni, però, Ilyas fu educato e cresciuto come musulmano. Racconta: “Intrapresi gli studi universitari, la Provvidenza Divina intervenne ancora e scelsi di andare a soggiornare presso la Netherhall House, uno studentato dell’Opus Dei”.

Il tempo trascorso in quello studentato lo avvicinò alla spiritualità e alla fede cattolica. Lui stesso afferma in proposito: “Non posso dire di essere stato condotto alla fede inconsapevolmente, anzi fu proprio tra i 18 e 19 anni che scoprii personaggi come Hans Urs Von Balthasar, e consultai continuamente i testi presenti nella biblioteca dove cominciai a interessarmi di teologia, imbattendomi così in Sant’Agostino e Origene”.

Quelle letture provocarono nel giovane Ilyas un moto interiore che già allora lo spingevano ad uscire allo scoperto e gridare il proprio credo, ma la paura di arrecare un dolore profondo ai genitori, ancora in vita, soffocò tutto.

La svolta decisiva, ricorda Khan, fu un “maggior grado di consapevolezza di tutta la mia vita e delle mie basi morali". "Il desiderio di abbandonare l’Islam era profondo, ma è stata la spinta di Cristo che alla fine mi ha portato alla decisione” ha aggiunto.

Un contributo fondamentale arrivò, poi, dal “vivere quotidianamente la vita della Chiesa", durante il suo soggiorno in Asia, precisamente a Hong Kong all’età di venticinque anni. Proprio lì, la chiesa cinese di San Giuseppe “fu il luogo dove mi avvicinai al cattolicesimo tradizionale. Dai venticinque anni in poi non ho mai dubitato di essere cattolico”.

Ma ci fu un momento in particolare che segnò indelebilmente la sua fede: una “visione” durante una visita nella Basilica di San Pietro. Ricorda: “Stavo camminando per la Basilica e mi ricordo di essermi letteralmente arrestato vedendo la Pietà di Michelangelo; mi sono giunte mille domande nel guardare quel volto della Madonna che guardava il suo Figlio. Ho detto tra me e me: ‘Questo è Dio; non può non essere Dio’. Per l’Islam dire che Dio si è fatto uomo è un’eresia; lì mi son caduti tutti i dubbi. La bellezza e l’atmosfera attorno a quello spettacolo hanno segnato il punto di svolta”.

Una grande testimonianza quella di Ilyas Khan che, se da un lato, è stata un incoraggiamento per tutti coloro che hanno ancora dubbi o paure sul proprio credo; dall’altro, ha provocato reazioni negative tradottesi in dirette minacce di odio e di morte.

Nonostante ciò, Ilyas non ha paura di manifestare la propria fede, né di gridarne pubblicamente la bellezza, tanto da essere considerato oggi in Gran Bretagna, “il più importante neoconvertito al cattolicesimo”.





[SM=g1740733]


[Modificato da Caterina63 01/08/2012 22:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)